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Autore: FitzChevalier    12/06/2012    2 recensioni
"Di quel giorno il ricordo è molto nitido, e al tempo stesso incredibilmente impreciso. Mi ricordo la calura dei primi giorni d’estate, appena mitigata dalla brezza proveniente dal lago, ma ricordo altrettanto bene che quel giorno alzando gli occhi vidi i fiori rosa pallido del ciliegio sotto il quale avevo cercato riparo dal sole. Aveva piovuto il giorno prima: sotto la gonna il terreno era ancora umido. Sentivo sotto le dita la ruvida pelle della copertina, e la carezza delle pagine che sembravano fatte di seta. A poca distanza da me le onde del lago nero sciabordavano contro la ripida parete della scogliera che formava le fondamenta di Hogwarts.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: George, e, Fred, Weasley, Nuovo, personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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I RACCONTI DI HOGWARTS

capitolo primo




Quando mi guardo indietro non posso fare a meno di chiedermi se abbia commesso solo un gravissimo errore.

Mi chiedo se sia stato il fato, o il caso. Esiste il fato? Ho sempre creduto di no. È l’entità che un uomo associa ad episodi significativi della sua vita, mi ripetevo quando qualcuno lo nominava. Ma è davvero così? È davvero solo un altro modo di chiamare “Dio”, solo il risultato della cerca di un’entità superiore cui affidarci nella buona o nella cattiva sorte? O erano solo patetiche operazioni di auto-convincimento, nate dalla disperazione della solitudine che in quel periodo mi perseguitava come un’ombra? È stato davvero un caso che quel giorno avessi deciso di starmene seduta all’ombra di un albero? O fu la mano di “Dio” a condurmi per mano sotto quel ciliegio, a tenermi il mento sollevato dal libro di Pozioni che stavo sfogliando pigramente?

Anche adesso, dopo anni e anni di isolamento nella prigione di Azkaban, ricordo tutto. Forse è stato proprio l’isolamento a obbligarmi a conservare con cura ogni singola memoria della mia breve vita, custodirle tutte come la cassetta di sale che la mia nonna babbana nascondeva sotto il letto durante la guerra. Non lo saprò mai, temo. É un’altra cosa che dovrò chiedere a questo “Dio”.

Di quel giorno il ricordo è molto nitido, e al tempo stesso incredibilmente impreciso. Mi ricordo la calura dei primi giorni d’estate, appena mitigata dalla brezza proveniente dal lago, ma ricordo altrettanto bene che quel giorno alzando gli occhi vidi i fiori rosa pallido del ciliegio sotto il quale avevo cercato riparo dal sole. Aveva piovuto il giorno prima: sotto la gonna il terreno era ancora umido. Sentivo sotto le dita la ruvida pelle della copertina, e la carezza delle pagine che sembravano fatte di seta. A poca distanza da me le onde del lago nero sciabordavano contro la ripida parete della scogliera che formava le fondamenta di Hogwarts.

Il sussurro del vento, lo sciabordio, il canto degli uccelli...

Qualcuno gridò. Alzai lo sguardo.

Due macchie si inseguivano nel cielo. Troppo grandi per essere uccelli, e non ne avevano la forma. Persone, mi disse la logica, su scope volanti. Ma se lo erano volavano troppo in alto, ben oltre i limiti consentiti dalle regole di Hogwarts.

Quando le due figure scesero in picchiata sopra il lago mi si avvicinarono abbastanza perché riconoscessi le divise scolastiche. Studenti di Hogwarts, con indosso delle maschere. Quando furono vicini alla superficie del lago ripresero una traiettoria orizzontale con una manovra a L. Il vento mi portò le loro risate mentre uno di loro lanciò una palla all’altro. Risalirono di quota e scesero di nuovo in picchiata.

Solo che a metà della discesa una delle due figure si fermò. Rimase ad aleggiare a mezz’aria, poi lentamente iniziò a planare. Verso di me. Guardai la figura diventare poco a poco sempre più grande. La figura diede una brusca accelerata e in pochi secondi mi raggiunse e mi superò. Alzai la testa, ma il ciliegio in fiore mi ostruiva la vista, e non avevo voglia di alzarmi.

Pazienza.

Chinai la testa e continuai a leggere il libro di Pozioni. Lo scartabellai in fretta finché non trovai la pagina che riportava gli ingredienti dell’infuso contro il veleno di Piduppolo.

Per la corteccia di efedra nessun problema, la mamma a Natale me ne aveva data una generosa scorta, per quando dovevo studiare fino a tardi. La saliva del topardo ce l’aveva data Piton durante l’ultima lezione, i baffi del leone bianco e i dieci grammi di carbone attivo idem... La polvere di pomice, vediamo... forse avrei dovuto chiedere a mia sorella. Presi in mano la penna e mi grattai la testa. La intinsi nel calamaio e scarabocchiai un promemoria sulla prima pagina del libro di testo. Poi c’era la bocca di sanguisuga... Avrei mandato un gufo alla mamma e le avrei chiesto di aprire la tomba della zia e di prenderle la dentiera. Scribacchiai anche quell’appunto. Chissà come avrebbe preso la battuta...

Una cosa informe apparve proprio di fronte a me, in una nuvola di petali di ciliegio e rami spezzati.

Gridai, mi spinsi contro l’albero, e mi strinsi il libro a petto.

Era lo studente che prima stava svolazzando sulla scopa. Afferrò la maschera per il lungo becco e se la tolse. Lentiggini e capelli rossi, un viso affilato e labbra sottili aperte in un sorriso. Aprì il mantello scuro e logoro. Intravidi la cravatta dei colori del Grifondoro.

Il ragazzo allungò lentamente una mano dietro la schiena. Prese la bacchetta e le fece tracciare in aria tre cerchi perfetti. Dalla punta esposero fumo e scintille che mi fecero tossire. Stavo per mandare in bocca alle serpi quell’idiota, quando il vento diradò il fumo e mostrò un enorme mazzo di rose bianche.

Dovevo avere un’espressione sconvolta, perché il ragazzo si lasciò andare ad un ghigno e una risata rauca. Mi porse i fiori, si alzò e si congedò con un inchino e con uno svolazzo del mantello della divisa scolastica. Rimontò sulla scopa e si librò in volo. Si era alzato solo di un paio di metri quando una forte esplosione mi fece sussultare e chiudere gli occhi.

Li riaprii.

Del mazzo di rose era rimasto soltanto l’involucro di carta e qualche stelo senza fiore, tutto ricoperto da una strana sostanza verde. La stessa cosa che mi aveva imbrattato la divisa, i libri e la borsa, reso inservibile le boccette di china. Mi portai le mani al viso e le ritirai coperte dalla stessa sostanza verde, fredda e viscida.

Sentii le lacrime pungermi gli occhi. Me le asciugai sul dorso della manica del mantello, incurante delle chiazze verdi attaccate al tessuto. Gettai alla rinfusa i libri nella borsa, mi alzai in pieni e tornai al castello. Corsi a testa bassa per i corridoi affollati, urtando di continuo qualcuno. Ignorai una voce che gridava il mio nome, e mi fermai solo quando giunsi davanti alle scale a chiocciola che conducevano alla sala comune della mia Casa. Ripresi fiato, poi corsi sugli scalini e mi buttai nel corridoio.

In fondo c’erano delle persone. Mi fermai ansimando. Nel corridoio non c’era nessun punto dove nascondersi, tranne la statua... Mi gettai tra il muro e la gonna di Priscilla Corvonero. Attesi.

«Il risultato è sei!» stava gridando una voce maschile. Doveva essere il Prefetto Sean Fisher.

Sbirciai oltre le sottane di pietra di Priscilla. Sì, il tizio alto con il naso aquilino era sicuramente lui.

«No...» sospirò la voce metallica del Signor Battacchio.

«Allora è per forza dieci!» gemette una ragazza.

«No!»

«Quattro!»

«Neanche lontanamente giusto!»

Brusio.

«Dodici?»

«Eh, alla buon’ora!» abbaiò il signor Battacchio.

Accolsi il lento cigolio della porta che si apriva con un sospiro di sollievo. Mi accodai alla gente che entrava e oltrepassai l’arco di pietra.

Schizzai verso le scale che conducevano ai dormitori delle ragazze, aprii la porta con le mani viscide per la cosa verde ed entrai.

«Jen, che ti sei fatta?» la mia vicina di letto si avvicinò a me con una smorfia e mi aiutò a togliermi gli abiti sporchi, afferrandoli tra il pollice e l’indice e portandoli fino alla cesta, tenendoli ben lontano da sé.

Mentre mi abbottonavo la camicia sul seno appena accennato le raccontai del ragazzo in sella al manico di scopa, e dello scherzo idiota che mi aveva giocato. Elisa mi ascoltò in silenzio, seduta sul suo letto, un sorriso che si faceva più largo via via che procedevo con il mio racconto.

Mi avvicinai allo specchio e controllai che il nodo della cravatta fosse decente. «Sai chi è?» conclusi.

«Sì.»

Si alzò e corse da me con un sorriso. Non c’era nessuno oltre a noi due nel dormitorio, ma lei si chinò e mi sussurrò all’orecchio il nome che volevo conoscere.







Nona classificata al contest "Da lì dove tutto nasce - il prologo di una storia" indetto da Kate Kitty

Grammatica, lessico e punteggiatura: 9,5/10
Originalità: 9/10
Trama: 8/10
Stile: 8/10
Gradimento Personale: 9/10
Totale: 43,5/50

E' pressocché perfetto. Solo delle virgole sono da sistemare:
"Prese la bacchetta e le fece tracciare in aria tre cerchi perfetti. Dalla punta esposero fumo e scintille che mi fecero tossire."

Di accadimenti simili ce ne sono nella sezione Harry Potter, ma comunque l'ho apprezzata ugualmente, mi è piaciuta lo stesso, proprio perché hai mantenuto le caratteristiche dell'Harry Potter originale, senza sembrare frutto della mente di un fan.

Non è il genere di storie che leggo, ma mi è sembrato davvero di essere lì in piedi, al posto di Jenny. Vedere ogni cosa intorno a me compreso il sole, le scope volanti e i loro cavalieri. Di solito mi irrita sentire chi parla di Harry Potter, per i temi che trattano. Spesso sono storie tutte uguali, ma questa ha un alone di strano, magia, suspance che in altre non ho trovato. Complimenti. Lo stile risulta molto semplice ma comunque d'effetto, non troppo ricercato né forzato, la trama a sua volta consiste nello scoprire mano  amano ciò che circonda e ciò che accade alla protagonista attraverso i suoi occhi, senza figurare prima la sua figura ma prima ciò che hai voluto mostrare attraverso lei.

                                                     
   
 
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