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Autore: Schiaccianoci    12/06/2012    5 recensioni
Melissa è una sedicenne molto bella ma imbranata, costretta ad abbandonare la sua casa in Italia per entrare sotto la protezione dei servizi segreti. Viene mandata in Scozia dove frequenterà uno dei collegi più prestigiosi della Gran Bretagna tra amori, amicizie e ragazzi misteriosi. Ben presto però la sua vita e quella degli altri studenti verranno sconvolte da una serie di brutali e inspiegabili omicidi. Melissa si troverà così ad indagare con l'aiuto delle sue migliori amiche, sempre presenti nel momento del bisogno...
Genere: Mistero, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

 

 

 

Pioveva a dirotto quando l’aereo atterrò a Edimburgo quella mattina. In effetti pioveva così forte che i passeggeri furono costretti a ripararsi alla bell’e meglio con felpe, valige o giornali, ognuno come poteva. Melissa scese di corsa le scale dell’aereo strizzando gli occhi e coprendosi il volto con le mani, cercando di vedere qualcosa oltre il groviglio dei suoi lunghi capelli biondi che il vento agitava e faceva ricadere a mulinello sulla sua faccia. Con un ultimo salto entrò nell’autobus diretto all’aeroporto, e con la mano libera abbassò il cappuccio della ventina sospirando profondamente. Dall’autobus, oltre le minuscole goccioline di pioggia che si riversavano imperterrite sul finestrino, si distingueva appena la campagna brulla dei Lothian. La Scozia in inverno non dava il meglio di sé, questo lo sapeva. L’aveva letto nella guida Routard regalatale da sua madre prima di partire e che ora si trovava nella tasca destra del suo zaino Eastpack. Almeno lei è asciutta pensò e un sorriso amaro comparve sulle sue labbra. Finalmente, l’autobus raggiunse l’area di sbarco dell’aeroporto ed i passeggeri scesero al coperto, riversandosi fradici e stanchi nelle code per il controllo del passaporto. Per fortuna non c’era molta gente sull’aereo e ne giro di un quarto d’ora Melissa si ritrovò fuori dall’aeroporto, nella periferia di Edimburgo.

 

Corse fino alla fermata del fly-bus* più vicina, arrancando sotto il peso della valigia tanto che il conducente, impietosito, la aiutò a sistemare il bagaglio nell’apposito scomparto. Dopo averlo ringraziato con un debole sorriso, Melissa si lasciò cadere su un sedile in fondo e raccolse i capelli bagnati in una coda. Mise la ventina su un sedile vuoto ad asciugare e, data un’occhiata al finestrino, si disse che non c’era niente di meglio di un po’ di musica per distendere i nervi già messi a dura prova dal lungo viaggio. Aveva appena aperto lo zaino Eastpack rosso per prendere l’Ipod, quando il suo sguardo si fermò sulla tasca destra, dove era custodita la preziosa guida Routard. La aprì e tra le sue pagine trovò i depliant del collegio dove i suoi avevano deciso di mandarla a studiare. Si mise a sfogliarli con le dita bagnate, facendo attenzione a non rovinarli. I depliant si dilungavano in descrizioni di varie attività extra-scolastiche, dal tennis alla pallanuoto, dal corso di cucina a quello di yoga. L’immagine della scuola, una tenuta in stile neo-classico dei primi del ’800, si stagliava nitida a lato di ogni pagina. Ad accompagnarla, scritto in eleganti caratteri neri, un trafiletto dove si elencavano le proprietà della scuola, che, a quanto pare, si estendeva per 500 acri e comprendeva una biblioteca, un lago, un teatro e numerosi campi sportivi, tutti a disposizione degli studenti. Qua e là facevano capolino fotografie di ragazzi in divisa, sorridenti e sicuramente estasiati di potersi annoverare tra i pochi eletti a frequentare quello che era ritenuto uno dei migliori istituti della Gran Bretagna...

 

Dio, ho la nausea.

 

Con un colpo secco abbassò il finestrino dell’autobus: l’aria fresca e la pioggia che picchiettava leggera sul suo viso la fecero sentire subito meglio.

Doveva essere contenta. Era finalmente riuscita a scappare di casa, da quella piccola realtà provinciale che ultimamente le andava troppo stretta e di cui si era sempre lamentata. Eppure perché ora si sentiva come se un grande macigno gravasse sul suo cuore? Perché non riusciva ad essere felice?

Ma chi cercava di prendere in giro...lei non voleva andarsene, né tantomeno abbandonare i suoi genitori proprio ora che erano in pericolo. D’altra parte cercare di disubbidire al loro ordine era stato impossibile: non li aveva mai visti così irremovibili. E così ora si ritrovava esiliata in Scozia, spedita sul primo volo della mattina assieme a pochi bagagli preparati in fretta e furia e una nuova identità...

 

L’autobus si fermò a Prince Street Gardens e i passeggeri incominciarono a scendere. Melissa chiuse la guida con uno scatto e, afferrati zaino e valigia, si fece strada tra la giungla di gente della city scozzese. Edimburgo può sembrare all’apparenza una città piccola, nulla in confronto a metropoli come Londra o Parigi, ma offre comunque molte piacevoli e sorprendenti opportunità a un ignaro visitatore, nonché una garanzia di ottimo shopping. Lasciò la valigia al deposito bagagli della stazione dei treni, e senza più impiccio, procedette agilmente lungo le strade della città vecchia, verso la principale area di negozi. Topshop, Zara, H&M, Monsoon ma anche Louis Vuitton, Dior, Gucci...miriadi di insegne luminose, eleganti, in maiuscolo o stampatello troneggiavano sopra ogni vetrina, promettendo chissà quali delizie o miracoli. Ora che era immersa in questa città caotica e vibrante di energia, la tristezza si era dileguata e anche il ricordo dei genitori diveniva sempre più lontano. Melissa si guardò in girò spaesata ma anche segretamente euforica. La assaporava finalmente, la libertà, quella sensazione, tra le più appaganti della vita, dell’essere esattamente dove dovresti e all’insieme vorresti essere. Era come se Edimburgo, con i suoi giardini all’inglese e le sue case vittoriane, fosse stata lì per tutto il tempo ad aspettarla e, una volta arrivata, le avesse aperto le braccia dicendole “Benvenuta a casa”. Melissa si sentiva veramente a casa, in mezzo al caos cittadino dell’ora di punta e circondata da quei negozi sfavillanti. Accoglieva con un sorriso tutto quello che era diverso dalla piccola realtà di provincia da cui proveniva e a cui non voleva mai più fare ritorno.

 

Dall’area prettamente commerciale si diresse verso il centro città, vagando senza meta tra le vie strette e contorte che caratterizzavano la Edimburgo vecchia, segno evidente di un retaggio medievale e che conferivano un’aura di eternità e storicità alla città. Passeggiò così per più di un’ora, senza meta, osservando assorta la città che si agitava frenetica sotto i suoi occhi: donne che portavano i bambini all’asilo, uomini con la ventiquattrore che parlavano concitati al telefono, venditori che reclamavano i loro prodotti ai bordi delle strade. Tutto di quella città le piaceva, dall’architettura degli edifici alle vecchie insegne dei pub, perfino le caratteristiche cabine telefoniche, rosse quasi quanto il suo fedele zaino Eastpack la affascinavano. Quando fu circa mezzogiorno e il sole lattiginoso fece capolino da dietro le pensanti nuvole che avevano riversato pioggia per tutta la mattinata, Melissa incominciò ad avvertire un leggero languorino. Decise allora di prendere un autobus e andare a mangiare al porto, che la sua amica Anna una volta le aveva consigliato di visitare. L’aria impregnata del fresco profumo della pioggia si mischiava a un acre odore di salsedine sollecitandole le narici. Melissa trovò un posticino carino vicino al porto dove, secondo la sua guida, facevano le migliori chips della città e girò quindi per il porto di Leith osservando le varie imbarcazioni attraccate sul molo e sbocconcellando patatine. La brezza marina le solleticava piacevolmente il viso e le agitava i capelli colore dell’oro, ancora umidi per la pioggia. Chiuse gli occhi inspirando l’aria di Mare del Nord, quello stesso mare che sotto di lei si increspava in piccole onde che a sua volta andavano a infrangersi spumeggiando contro le rocce della riva del molo.

Continuò a camminare con gli occhi chiusi fino a che non andò a sbattere contro qualcosa, o meglio qualcuno che giungeva dalla direzione opposta. L’impatto fu abbastanza forte da buttarla a terra senza però farle male.

- Oddio, scusa! Ti sei fatta male?

 Dopo un primo momento di disorientamento, Melissa alzò gli occhi verso la figura misteriosa in cui si era imbattuta. Era un ragazzo, a occhio tra i diciotto e i venti anni, giacca scura e portamento elegante e..ah sì! Il dettaglio più importante: era decisamente l’esponente del sesso maschile più bello che avesse mai visto. Sul suo viso regolare erano incastonati due grandi occhi verdi da gatto, così espressivi che sembrava comunicassero ciò che anche mille parole non sarebbero state in grado di esprimere. Le labbra morbide e leggermente carnose erano incurvate in un’espressione di sincera preoccupazione mentre i folti capelli ondulati danzavano sui suoi zigomi pronunciati. Ci volle circa una frazione di secondo perché Melissa osservasse tutto questo e passò altrettanto tempo perché un acceso colorito roseo le imporporasse le guance. Il ragazzo le tese la mano, grande e forte, e la aiutò a rialzarsi. Melissa fortunatamente si riebbe e riuscì a sussurrare un flebile grazie. Si guardò intorno: tutto sembrava al suo posto tranne le sue chips che, meno fortunate di lei, si erano riversate nelle profondità del mare con un sonoro flop. Il ragazzo le sorrise e nel farlo, le sue labbra si dischiusero lasciando intravedere una dentatura bianca e perfetta.

- Mi dispiace tanto. Non ti ho proprio vista.

- Oh, tranquillo...è tutto a posto, non mi sono fatta male.

- Quella però non mi piace per niente…

Il ragazzo le indicò una leggera ferita sul suo braccio che, seppur superficiale, aveva incominciato a sanguinare impercettibilmente. Melissa non se ne era neanche resa conto, persa com’era a contemplare il misterioso arrivato, ma ora che lui gliela faceva notare avvertì un lieve bruciore nel punto in cui si era fatta male e si sentì leggermente nauseata alla vista del rivolo di sangue che le scorreva lungo il braccio.

- Questa, oh! Non è niente, ti assicuro. Un po’ d’acqua e sarà come nuova.

Come nuova?! Ma che cavolo sto dicendo!

- Ecco.

Il ragazzo le porse un fazzoletto di stoffa bianco e lo premette delicatamente sulla ferita per fermare il flusso di sangue. Nel farlo, sfiorò piano il braccio di Melissa mantenendo il contatto per un paio di secondi e facendole venire la pelle d’oca. Il gradevole profumo di menta e tabacco emanato dal fazzoletto finemente ricamato di lui, riusciva a coprire l’odore ferroso e leggermente salato del liquido vischioso, facendo riavere la povera ragazza che ormai pendeva letteralmente dalle labbra del dolce straniero.

Molti scambierebbero la situazione di Melissa per un banale colpo di fulmine, se possiamo chiamare così il tale stato di confusione mista a gioia profonda che si era impossessato della giovane ragazza, tanto da farle desiderare di sprofondare dieci volte sottoterra, o meglio sott’acqua, per paura di dire o fare qualcosa che l’altro avrebbe giudicato stupido o sconveniente.

- A proposito, io sono Will.

La voce calda e rassicurante del ragazzo riportò Melissa alla realtà per poi farla sprofondare come un macigno nell’abisso dei suoi pensieri. Non poteva rivelargli il suo vero nome, non avrebbe dovuto nemmeno rivolgergli la parola! Passò qualche minuto di silenzio e vedendo che la ragazza non rispondeva, Will fece un secondo tentativo.

- E tu sei?

- Prego?

- Come ti chiami?

- Oh, sì! Scusa, io mi chiamo...Asia.

La ragazza arrossì violentemente cercando di nascondere il suo evidente imbarazzo. Il ragazzo incominciò a ridere divertito e il suono caldo della sua risata riecheggiò nel porto per poi perdersi nel leggero vento di ponente.

- Beh, piacere di conoscerti Asia. Cosa posso fare per rimediare?

- Io, ecco, non lo so…

- Ti va un caffè?

Melissa non riusciva a crederci. Questo sconosciuto di nome Will non solo sorbiva le sue stranezze senza battere ciglio, ma la invitava anche a bere qualcosa. Mentre si dirigevano lungo il porto alzò gli occhi per osservare il cielo: le nuvole si stavano ritirando lasciando spazio alla luce brillante del sole pomeridiano. Lontano, sulla riva, un gruppo di gabbiani si contendeva gracidando un avanzo di pesce.

Si prospettava un pomeriggio indimenticabile.

 

 







  
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