D’AMORE E DI FIAMMA
(ALEDILEO)
That Love is all there is
Is all we know of Love.
(Emily Dickinson)
Pensare a suo padre lo aveva
innervosito, gli aveva ricordato quanto fosse ancora un ragazzino, quanto fosse
ancora umano. I ricordi di quel giorno, le gocce di sangue che centellinavano
l’ultimo addio all’uomo che l’aveva cresciuto, erano ancora vividi nella sua
mente, come fosse accaduto ieri. Del
resto, si disse prendendo a pugni la parete di ghiaccio eterno, la vita è così. Vorremmo dimenticare le cose
brutte, eppure tornano, continuano a tornare, imperterrite, a ricordarti ogni
giorno quanto fragili ed effimere siano le nostre esistenze.
Ma
allora?
Soma del Leone Minore strinse i pugni
con rabbia, fermando un attacco a pochi centimetri dalla parete di ghiaccio.
Ormai aveva capito, non l’avrebbe abbattuta in quel modo.
Un rumore alla sua destra lo fece
voltare verso il ragazzo dai capelli violacei che, a sua volta, stava cercando
di trovare un modo per andare oltre, per superare l’ultimo ostacolo che li
separava dal raggiungimento della loro missione. Anche lui, al pari di Soma,
aveva un obiettivo. Non qualcuno da vendicare, bensì qualcuno da proteggere e
da salvare.
Salvare. Mormorò il
ragazzo, osservando i goffi tentativi di Kouga di
spaccare il ghiaccio a pugni. Nonostante il suo cosmo ancora debole e rozzo,
l’erede dell’armatura di Pegasus non aveva niente da invidiare in quanto a
tenacia e determinazione rispetto al suo predecessore.
Soma sorrise, rivedendo in quei pugni,
in quello sguardo fermo, mai stanco, la sua stessa ambizione. E prese la sua
decisione.
Avvolto in un turbinar di fiamme, bruciò
tutto quel che restava del suo cosmo, combattendo contro la barriera mistica
che impregnava la zona e riduceva i poteri di tutti i Cavalieri, e infine lo
liberò, sventrando un fianco della montagna e liberando la strada verso la
cima. Crollò così, col sorriso sulle labbra, felice per aver dato degna prova
di sé, per aver onorato il nome di un padre troppo a lungo infangato e per aver
aperto la strada all’amico. Sì, almeno Kouga sarebbe
arrivato alla meta. Ci sarebbe arrivato anche per lui. Con quella consapevolezza,
chiuse gli occhi e perse i sensi.
Quando li riaprì, per un momento credette di essere sulle spalle di suo padre, credette di essere tornato bambino, ai giorni felici della
sua infanzia, quando il genitore lo faceva divertire, concedendosi qualche
minuto assieme al figlio. Qualche minuto di felicità prima che la guerra li
richiamasse entrambi, uno a combattere, l’altro a continuare a vivere tra i
ricordi e il dolore.
“Cerca di tenerti, o cadrai!” –Disse una
voce. E solo allora Soma si sorprese di non essere sulle spalle del padre, ma
su quelle dell’amico, che a fatica si stava inerpicando sull’irto sentiero
verso la cima di Cosmo Delta.
“Sei… tornato
indietro per me…” –Mormorò, stanco.
“Non avrei potuto lasciarti indietro. Il
torneo dei Cavalieri non avrebbe alcun senso per me, se tu non ci fossi.” –Si
limitò a commentare Kouga, continuando ad avanzare e
strappando un sorriso al Cavaliere del Leone Minore. Un sorriso sincero,
sereno, che gli riscaldò il cuore, mentre poggiava la faccia sulla schiena del
ragazzo, inebriandosi della sua forza, del suo essere vivo. Del loro essere
insieme.
Quella sera stessa, rientrati alla Palaestra, Soma era estremamente silenzioso. Kouga, credendo che l’amico preferisse rimanere un po’ da
solo, per liberarsi la mente dai fantasmi del passato, se ne era andato al
planetario con Yuna e quando era tornato lo aveva
visto disteso sul letto, la finestra aperta da cui soffiava una leggera brezza
serale.
“Sei tornato…”
–Mormorò Soma, mentre Kouga richiudeva la porta alle
sue spalle.
“Non volevo disturbare i tuoi pensieri.”
“Non ora, oggi intendevo. Sei tornato a
prendermi.”
“Avrei dovuto lasciarti lì? Beh, forse
ci avrei guadagnato una stanza più libera e meno caotica!” –Rise Kouga, avvicinandosi al letto e cercando di scansare i
vestiti e gli oggetti sparsi sul pavimento della camera.
“Ma non lo hai fatto. Non mi hai
abbandonato!”
Kouga non rispose
alcunché, limitandosi a sedersi sul letto, accanto all’amico, che lo fissava da
sotto le lenzuola, i ciuffi di capelli rossicci sparsi sul cuscino. Soltanto
allora, guardandolo meglio, sotto la luce soffusa della luna, notò che Soma non
indossava alcuna maglietta. Era nudo, il petto scolpito dai continui esercizi e
dall’attività fisica che il ragazzo non aveva mai trascurato.
“Avevi dubbi al riguardo?” –Gli chiese
infine, cercando di spostare lo sguardo.
Soma si sollevò, lasciando cadere il
lenzuolo, e avvicinando il viso a quello dell’amico. Il sorriso che solitamente
gli ornava il volto sembrava oscurato da una malinconia di fondo, che Kouga ritenne dovuta al litigio con Argo e alle crude
parole sul padre che aveva udito quel pomeriggio.
“Sei l’unico a non averlo fatto.”
–Commentò infine il Leone Minore. –“Mia madre è morta nel darmi alla luce e mio
padre… di lui ti ho già parlato!”
“Mi dispiace.” –Mormorò Kouga, abbracciando l’amico.
Soma non disse alcunché, limitandosi ad
inebriarsi della sua presenza, proprio come aveva fatto ore addietro, stretto
in un abbraccio che pareva non finire mai.
“Resta con me, stanotte.” –Gli sussurrò,
prima di distendersi sul letto, trascinando Kouga con
sé.
Il Cavaliere di Pegasus rimase un attimo
spiazzato da quell’uscita, ma gli andò dietro, trascinato dalla vitalità e dallo
sguardo intenso del ragazzo, ritrovandosi col viso col cuscino, a breve
distanza dalle sue labbra. Le notò, attratto dalla loro carnosità, prima di
sentirle premere sulla sua bocca, delicate ma decise al tempo stesso. Fu un
bacio lento, che fermò il tempo per un lungo istante, ma poi Soma si ritrasse,
affondando la testa nel cuscino e addormentandosi.
Kouga rimase a
guardarlo per qualche momento, prima di allungare un braccio e carezzargli il
petto. Percorse con un dito i giovani addominali scolpiti, solleticando i
capezzoli, salendo e scendendo più volte, fino ad addormentarsi al suo fianco,
un braccio ancora steso sopra il compagno.
Fu svegliato da Soma qualche ora dopo,
quando ormai la Palaestra era sprofondata nel
silenzio della notte. L’amico lo aveva tirato a sé, incrociando le gambe sotto
le lenzuola e stringendolo in un caldo abbraccio. Nel sentirlo così vicino, Kouga poteva percepire il suo respirare ritmico, l’odore
della sua pelle, la piacevolezza di un contatto fino ad allora mai
sperimentato.
Era una sensazione strana, si disse.
Così diversa dall’affetto, quasi materno, che aveva per Lady Isabel, la donna
che lo aveva cresciuto, prendendosi cura di lui, o dalla riconoscenza che lo
legava a Tisifone, la combattente che l’aveva
istruito all’arte della guerra. Era un formicolio che, per quanto sconosciuto,
lo rendeva felice, e lo attraeva. Lo intrigava.
Quasi come avesse udito i suoi pensieri,
Soma lo abbracciò, strusciando le braccia sulla sua schiena e carezzandogli i
capelli, il collo, le vertebre una ad una. Infine lo baciò, di nuovo, premendo
le labbra su quelle dell’amico fino ad aprirgliele con la lingua poco dopo. Kouga lo lasciò fare, trattenendo un sorriso, prima di
lasciarsi trasportare dalla passione del momento. Il vento sollevò le lenzuola,
dentro le quali Soma e Kouga si dimenavano, rotolando
sul letto, avvinghiandosi, assaporandosi a vicenda, corpo e anima. Ancora
ridendo, il Cavaliere di Pegasus cadde per terra,
trascinando l’amico con sé, sopra di sé, lasciando che le loro labbra si
trovassero di nuovo, affannando, l’uno alla ricerca dell’altro, bramando quel
contatto, quella sicurezza, quella felicità che solo nell’altro potevano
trovare.
Senza staccare le labbra dalla bocca del
compagno, Kouga allargò le gambe, mentre Soma lo tirava
a sé, tenendolo forte, ancorandosi al suo corpo, bisognoso d’amore e di una
vittoria sulla solitudine che aveva marcato la sua breve esistenza. Una lacrima
gli rigò il volto, mescolandosi alle gocce di sudore che l’avvampare delle loro
passioni aveva generato, ma non lo frenò, dandogli nuovo impeto per andare
avanti. Kouga lo guardò, sorridendo amabile, e Soma
capì. Che voleva essere suo.
Lo baciò, percorrendo con la lingua
l’intera superficie del suo corpo, fino all’ombelico, e scendendo ancora, facendo
ansimare il Cavaliere suo compagno. Poi lo tenne a sé, guardandolo, baciandolo,
ardendo allo stesso fuoco, mentre lo faceva sedere sopra di lui. In un attimo
gli fu dentro, ansando, gemendo, assaporando quel momento, cibandosi di
quell’unione che già era immortalata tra i ricordi.
Tra
quelli belli, almeno. Del resto, la vita dovrebbe servire a questo no? Si disse il
giovane leone, il volto madido di sudore, affondando nel corpo di Kouga. Più e più volte, fino all’ultimo rantolo. Ad essere felici. A sentirsi parte di
qualcosa più grande, di un tutto in grado di dare un senso alla nostra
esistenza. Che sia Dio o siano gli Dei lontani, che sia il tepore di una casa,
l’affetto di una madre, il ricordo di un giorno insieme o l’affannare frenetico
del presente. Del nostro presente. Sorrise, esplodendo e accasciandosi
infine sopra l’amico.
Kouga lo baciò,
scombinandogli i capelli bagnati, prima di assopirsi assieme, tra le lenzuola
sfatte e l’odore di sesso ancora nell’aria. Quel gusto fresco di amore che,
anche l’indomani, al pigro sorgere dell’alba, gli avrebbe ricordato di lui. Di
loro. Zanne dello stesso artiglio sempre pronto ad azzannare la vita.
Questi personaggi non mi
appartengono, ma sono proprietà di Masami Kurumada e di Toei Animation; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo
di lucro.