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Autore: Haruakira    16/06/2012    3 recensioni
Estratto: "Quando vide una testa bionda soffocò un urlo tra i denti facendo girare la padrona del locale verso di sè. Il primo istinto fu quello di nascondersi dietro il bancone e strisciare fino alla porta di servizio per scappare a gambe levate, le pizzicavano un poco gli occhi. Quando il ragazzo si girò e potè vedere il suo viso tirò un sospiro di sollievo, si toccò il cuore che pareva scoppiarle nel petto e si andò a nascondere in un angolino a ridere e a piangere insieme"
(N.B. Accenni shonen-ai Milo/Camus.)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gemini Kanon, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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c. 2 running away
Running away










Forse non aveva ancora capito se la sua anima fosse bianca o nera, pura o meno.
Se, con quel suo animo fuligginoso, potesse servire la Dea.
Chi era degno di farlo?
Chi doveva ammetterlo tra quelle fila di giusti?
Il giudizio degli uomini è qualcosa di estremamente vago e fragile. Privo di ogni assolutezza.
Quello della dea anche. Vale finchè si è sotto la sua giurisdizione. Il suo metro è diverso da quello di Hades o Poseidone.
No?
La cosa più terrificante era per lui il giudizio di se stesso da parte di sè medesimo. Era impietoso e lo terrorizzava.




Il tempo tra il vuoto delle colonne della terza casa in quell' attimo era scandito dal passo cadenzato del cavaliere che lo stava attraversando. Kanon di Gemini non avvertiva nemmeno il rumore sottile e discreto del proprio respiro. Sembrava che tutto, in quel vuoto labirintico quale era la sua dimora, fosse eternamente muto. Rade fiaccole rischiaravano il suo cammino nell' ambiente libero al tempo stesso opprimente di cui era padrone.
Buio.
Un passo.
Silenzio.
Un altro.
Vuoto.
Un altro ancora.
La dimora di Gemini era fissa in un' immobilità senza tempo. Lo inquietava perchè la casa sembrava viva e morta insieme.
Morta nella sua spaventosa staticità in cui tutto apparentemente taceva.
Viva per il suo cuore malato che secoli infiniti aveva attraversato riempiendosi di sangue e dolore nel nome della giustizia o più spesso dell' ambizione personale dei proprietari che vi si erano succeduti.
Finalmente vide la luce dell' uscita. Una volta all' aria aperta, in cima ai gradini che conducevano alla successiva casa del Cancro, si concesse di respirare.
Respirò a fondo, mosse gli occhi ad abbracciare le rocce, l' erba, i templi, gli insetti sul terreno secco, ogni cosa, insomma, e ogni minimo particolare che lo stava circondando.
Si fece attento per respirare gli odori, per guardare con le pupille spalancate la luce e lo spazio aperto, per sentire, soprattutto, con le orecchie i suoni e i rumori.
Bramava un movimento repentino e allora guardò in alto seguendo il volo degli uccelli, assaporando il battito rapido delle loro ali.
Desiderava un suono, un canto, un rumore così forte da rompere il silenzio; che gli ricordasse di essere vivo.
Sentì il canto degli uccelli, il ronzio di una zanzara.
Poi nulla.
Scese velocemente i due gradini per risalirne altri cento verso la casa del Cancro.
Veloce.
L' antro di Cancer puzzava ancora di morte e di sangue. Non sarebbe mai andato via.
Sentì la sua risata sguaiata. Alta.
"Grazie"
-Ecco il novello cavaliere di Gemini!- lo apostrofò il custode camminando baldanzoso verso di lui, le mani sui fianchi e privo dell'armatura dorata.
Non era cambiato affatto. Lo prendeva per il culo.
-Chi sei tu per giudicarmi?
Death Mask fece spallucce tirando fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans:- E chi lo sa!
Non aveva negato, non aveva detto "io non ti giudico". Lo faceva, oh se lo faceva, non solo lui ma molti, dai semplici soldati fino ai saints suoi pari. Lo giudicavano, mentalmente lo deridevano.
Traditore sconfitto, poi santo per necessità, dicevano.
Indegno dell' armatura che portava.
Indegno come suo fratello che sedeva sul trono del Grande Sacerdote ancora una volta.
Tuttavia se i gold saint e quasi tutti i cavalieri d' argento e di bronzo rispettavano in qualche maniera Saga, credevano naturalmente in lui, memori dell' aura benevola che un tempo lo aveva circondato facendolo sembrare simile agli dei, nei suoi confronti mancava questa fiducia. Lui aveva affrettato la corruzione del fratello in maniera consapevola, lui era nato sporco, impuro, il suo animo non era limpido come quello del gemello che aveva dovuto affrontare un' entità malvagia che a detta dei più non gli apparteneva. Pochi erano coloro che disprezzavano il nuovo sacerdote.
-Bada Kanon- sputò Death guardandolo di traverso- neppure tu puoi giudicare. Non sei nella posizione per farlo quindi non guardarmi in quel modo, con quell' aria da santarellino. Lo so cosa pensi di me.
Aspirò l' ultima boccata fumo, poi calpestò la sigaretta sotto la scarpa:- Sparisci.
L' uomo strinse i pugni sui fianchi raddrizzando le spalle:- Voglio sapere se sei fedele alla dea.
Death si girò completamente verso di lui:- Per chi diavolo mi hai preso?- le sue labbra si incresparono in un ghigno, quello di chi ha ragione- tu non ti fidi di me e io non mi fido di te. Lo vedi? - allargò le braccia prima di riabbassarle, facendo stizzito:- e ora vattene.
Era vero, non poteva giudicare proprio nessuno.
La scalata delle dodici case era davvero lunga, specie per chi tra quei luoghi si sentiva un estraneo. Nel corso della guerra contro Hades aveva creduto veramente di potersi redimere. Milo lo aveva accettato nella cerchia dei santi d' oro, tuttavia la realtà quotidiana era ben diversa da quella della battaglia. Non credeva neppure che avrebbe rivisto la luce del sole, invece la dea era riuscita a farli tornare alla vita.
La dea lo aveva benedetto, lo aveva perdonato e accolto, aveva guardato il suo cuore vedendovi il pentimento. Ma gli uomini non possono tanto nè è semplice per loro scordare il passato. Questo pensava Kanon.
Stava andando al tredicesimo tempio a trovare Saga. Un po' per ricordare a sè stesso che il destino aveva deciso di farlo essere l' ombra dell' altro, un po' per farsi consolare dalla sua presenza perchè in fondo lo sapeva, una medaglia ha sempre due facce e una senza l' altra non esiste.
Era quasi assurdo, un pensiero contorto. Chissà, forse stava impazzendo.
Stava salendo, era appena uscito dall' undicesima casa quando vide Saga. E ovviamente Aiolos.
Aiolos era sempre con Saga.
Aggrottò le sopracciglia per guardarli meglio mentre si avvicinavano, parlavano e si sorridevano, uno avvolto nel manto bianco sacerdotale, l' altro nell' oro dell' armatura con quelle ali che lo facevano sembrare un angelo.
Sembravano quasi perfetti.
Abbaglianti, forse, era il termine giusto.
-Kanon- e Saga lo chiamò e gli sorrise. Non sorrideva spesso a dire il vero.
Il minore non ricambiò.
Aiolos lo salutò con quell' aura di bontà che pareva circondarlo perennemente. Forse era troppo buono, gli venne da pensare.
Troppo poi fa male.
-Dove andavi?- chiese il maggiore- venivi da me?
Kanon si affrettò a negare, serio:- Andavo da Aprhodite.
Si sarebbe messo a ridere.
Aphrodite!
Quando mai si erano parlati.
Oh sì, si sarebbe messo a rotolare a terra per le risate.
Saga aggrottò le sopracciglia sospettoso:- Da Pisces?- chiese.
Kanon annuì come se fosse la cosa più ovvia del mondo, come se lui e Phro fossero compagni di bevute o... o di giardinaggio.
Il pensiero gli fece balzare una capriola allo stomaco, un altra risata da trattenere. Non ci si vedeva proprio a fare giardinaggio. Con Pisces poi...
-E' una cosa positiva, no?- fece Aiolos.
Ma quanto sei scemo? pensò il cavaliere di Gemini.
Saga invece forse, forse... non se l' era bevuta.
-A far che?- domandò infatti.
Kanon sbuffò, era un interrogatorio. Non poteva dargli torto. Sorrise sornione e vittorioso:- Devo regalare un fiore a una ragazza. Voglio un consiglio e Pisces se ne intende.
Saga arcuò le sopracciglia, quel giorno il fratello era assai espressivo, si disse Kanon:- Ah- concluse stupito domandandosi chi fosse lei e se, soprattutto, esistesse.
-Vado- fece il minore superandoli.
Apparentemente sembrava andare tutto bene.
Kanon andò da Aphrodite perchè di certo Saga avrebbe chiesto all' altro saint se per caso lo avesse visto. Lo salutò, si beccò uno sguardo altezzoso e una frecciatina sul perchè fosse lì.
-Non ho tempo per i convenevoli, Pisces.
-Sei simpatico, proprio simpatico. Vieni in casa mia, chissà perchè poi, e a mala pena ti degni di salutare.
Vero, era assolutamente vero. Ma quando mai loro avevano avuto un rapporto idilliaco? O una qualche forma di rapporto a voler essere pignoli.
Ora veniva la parte peggiore. Aprhodite era un pettegolo.
-Che fiori si regalano a una donna?
L' altro spalancò gli occhi impercettibilmente e un risolino gli sfuggì dalle labbra:- Questo è un favore?
-No, direi più che altro una domanda.
-Oh, una domanda- lo assecondò il parigrado sedendosi in una poltrona di vimini che si affacciava sul giardino, senza perderlo d' occhio- e perchè la fai proprio a me?
-Te ne intendi.
-Quindi... sei venuto da una persona che si intende di queste cose. E che quindi può aiutarti- argomentò- allora... allora direi che possa definirsi un favore.
E Aphrodite non era uno che faceva niente per niente e non era affatto discreto, chè se gli avesse davvero fatto un favore, anche uno piccolo piccolo, piccolissimo, glielo avrebbe rinfacciato nei secoli dei secoli e se ne sarebbe vantato per tutto in santuario.
-Senti- Kanon gli diede le spalle- la stai tirando troppo per le lunghe. Vado dal fioraio.
Fottiti, aggiunse mentalmente.
Aphrodite accavallò le gambe odorando una rosa rossa:- Permaloso.- e lo salutò così.
Kanon ebbe anche l' impressione di sentirlo canticchiare una cantilena che faceva: "Kanon è innamorato!"
Scendeva di nuovo infastidito dal caldo secco che annunciava un' estate afosa e dall' idea di aver sfacchinato tanto per nulla. E di essersi finto innamorato di una donna immaginaria, lo avrebbero preso per scemo.
Cento gradini, più cento, più cento...
Non finivano mai.
Varcò la soglia dell' ottava casa, se quella di Aphrodite puzzava dell' odore nauseabondo delle rose, se in quella di Camus si rabbrividiva di un freddo pungente che invadeva tutti i sensi e ogni interstizio del corpo, se in quella di Shura avvertivi tutta la pesantezza della sua lealtà -e della sua colpa che opprimeva lo sventurato che la attraversava, se quella di Aiolos sapeva di pulizia e di luce, brillante e trasparente, tanto quanto quella di Gemini era scura e inquietante, quella di Milo, tra tutte, era la casa dove non avvertivi proprio nulla.
Era apparentemente neutra e distaccata, abbastanza luminosa sì, solenne come tutte ma del suo proprietario non diceva nulla.
Sentì dei passi frettolosi avvicinarsi da un corridoio laterale e si fermò.
-Ohi! Dovresti chiedermi il permesso per passare. Non si usa più salutare il padrone di casa?- Milo lo guardava con un sorriso impertinente, coprì la distanza che li separava avvicinandosi ulteriormente- hai fatto presto- notò- a salire e scendere intendo.
Quel ragazzo era veramente curioso. Oltre che particolarmente intuitivo. Kanon si limitò a scrollare le spalle annuendo.
-E allora... aspetto.
-Cosa?
Milo non la smetteva di sorridete:- Il permesso- disse con ovvietà
-Ah- fece Kanon realizzando- il permesso. Ma certo, ti accordo il permesso di passare dall' ottava casa, Scorpio- affermò solenne.
L' altro sbuffò divertito:- Mi prendi per il culo.
-Anche tu- convenne il maggiore.
Lo Scorpione del cielo si girò tirandogli un lembo del mantello per trascinarlo nei suoi alloggi privati.
-Aspettami qui- gli disse chiudendosi la porta della stanza da letto alle spalle. Ne uscì pochi minuti dopo vestito di jeans e maglietta- ora andiamo alla terza e ti cambi- affermò.
Kanon lo seguì per i corridoi del palazzo senza fare domande, a parlare era Milo.
-Ti porto in un posto.
-Dove- volle sapere guardandosi intorno col tono di chi però più che domandare afferma..
-Ti porto in città, c' è un caffè veramente bello- stavano scendendo le scale del tempio, Milo si mise le mani diestro alla testa- è bello- ripetè più a se stesso che a Kanon- non ci vado... non ci vado da...- si morse le labbra guardando il cielo, pensando- da prima- concluse in un soffio doloroso.
Anche Kanon era un tipo curioso e di norma sapeva quando era il caso di non fare domande, quella volta però non si trattenne. Con Milo era diverso.
-Da prima. Prima di che?- chiese stizzito.
-Prima- ripetè Milo- prma è prima.
-A "prima" deve seguire un' affermazione che risponda alla domanda "di che?" oppure "di cosa?"- fece notare.
Milo rise:- Mi sembri Camus.
-Lo so che me lo vuoi dire- fece Kanon- che devi svuotare il sacco. Altrimenti non avresti detto "prima" se avessi voluto tenerti il resto per te.
-Colpito- convenne Milo. Guardava ancora il cielo, quei gradini li conosceva a memoria- prima che Camus morisse. O forse prima che andasse in Siberia per allenarsi. O per allenare Hyoga. Prima. Ci andavo sempre da quando ho potuto mettere il naso fuori dal tempio; a volte con lui... a volte senza- abbassò le braccia lungo i fianchi e iniziò a guardare i gradini.
-L' hai sempre... amato?- azzardò Kanon.
-Sempre- rispose senza esitazione. Poi si girò verso di lui guardandolo stupito- come diavolo fai a saperlo?
-Vivevo nascosto qui al tempio. Sapevo più cose io che le ancelle- gli disse.
-Ah.
-E quindi... non lo sa nessuno?
Milo parve pensarci un po' su:- Nessuno, credo. Tranne Camus.
-Ovviamente.
-Ma no, neanche tanto- le labbra di Milo si incresparono in un sorriso dolce e malinconico- fa fatica a capirle certe cose. E' proprio ottuso.- e scoppiò a ridere.
Kanon pensò che amare, e più in generale avere dei legami, fosse una gran fregatura, una debolezza enorme. Che Milo soffrisse era piuttosto evidente.
Quando era entrato nella casa dello Scorpione del cielo aveva pensato che non dicesse nulla del suo proprietario. Guardandola meglio dovette ammettere di essersi sbagliato. C' erano delle crepe lievi su qualche muro, qualche colonna antica diversa dalle altre, forse erano quelle del tempio prima che venisse sistemato, il pavimento di pietra scheggiato in qualche punto. Atena aveva fatto sistemare le dodici case dopo l' ultima guerra sacra e Milo aveva preteso che nella propria venisse fatto solo l' essenziale. Non voleva cancellare certe cose, il passato suo e di chi lo aveva preceduto che albergava tra le solide mure. Tante piccole schegge, tanti piccoli dolori, tante piccole gioie.
In fondo era un sentimentale.






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HARU DICE: Mi scuso per il ritardo infinito nella pubblicazione, avevo deciso di non postare fino alla fine degli esami ma avendo un poco di tempo a disposizione ho terminato di riscrivere il capitolo e ho pensato di metterlo. Spero che non vi stancherete di seguirmi. Ci tengo a precisare che questo capitolo non è messo lì "tanto per", apparentemente può sembrare inutile ai fini della storia, in realtà non è così. La ff si propone di essere introspettiva e di toccare e/o sfiorare determinate corde (come vedete c' è anche qualche accenno di Milo/Camus se no non mi sento io XD), Kanon è il protagonista quindi era necesserio, per me, dare un' occhiata al contesto in cui vive e a come se la passa, diciamo, altrimenti finirei per privare il personaggio del suo spessore. Se cercate una storia romantica punto e basta, bè, non è questa.
Sullo Zibaldino presto troverete un paio di estratti dal capitolo successivo se può interessarvi.
   
 
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