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Autore: IvanaEfp    16/06/2012    8 recensioni
E si rivedono bambini, innamorati dell’idea dell’amore ( il quale temono come l’uomo nero o zio Giuseppe con il carretto per i bambini cattivi).
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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A chi vive e muore per l'amore,

e per chi, invece, preferisce morire di nostalgia.

 

 

 

Il giardino incantato

È tutta colpa della luna,

quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire tutti.

William Shakespeare

 

 

 

Il giorno in cui Draco venne al mondo, in una selva perse la vita un cervo. Il sole era così rovente che un’ape si spense sul petalo inaridito di un fiore.
A Hogwarts le norme non mutavano mai e c’era intesa da esserne tediati.
Il giorno in cui Draco venne al mondo, una donna morì addentando una mela. Il sole era così arrogante che a un pettirosso seccò il sangue in gola.
Quel giorno, il giorno in cui Draco venne al mondo, una strega profetizzò un amaro avvenire a chi affannosamente era nato.
E sulle foglie secche, mentre il sole è schivo e polare, Draco si trascina dietro la sua maledizione. Ha i capelli sporchi e troppe parole nel cuore.
Quando lei nacque, per Draco, furono notti senza sogni.

 

§

 

All’età di tre anni Hermione era innamorata delle viole. Ne raccoglieva un mazzetto ogni giorno e con l’aiuto di sua madre le usava per abbellire la propria camera.
Quando la madre scoprì chiazze rosse sulla schiena della bambina, le vietò di portarne ancora in casa o solo annusarle in giardino; Hermione pianse per quelle viole.
L’anno dopo s’innamorò dei papaveri e poi delle giunchiglie. Ogni volta sua madre le ostacolava l’ingresso in quel meraviglioso giardino a trenta passi dal campo di grano.
«E’ pericoloso…» le diceva.
Quando Hermione compì sei anni la madre era dell’idea che era il grano a provocarle quelle macchie, e Hermione non poté neppure sedersi lì, semplicemente, a immaginare il profumo dei fiori.
A dieci anni cominciò a credere che la vita le fosse ostile; lo fu, perlomeno, finché un bambino non le regalò una margherita. 

Poi fu nostalgia.
«Le margherite sono i fiori più belli», le spiegò. «Sono le migliori amiche di un innamorato; stacca tutti i petali, chiediti se ti ama o no. Alla fine, fidati, che sarà proprio come dice lei.»
Quella notte Hermione aveva strappato tutti i petali di quella margherita e, felice, s’era addormentata con l’amore nel cuore… e nelle mani.

 

 

§

 

 

A trent’anni compiuti Hermione è sposata con un uomo che starnutisce sulle sue margherite e che le chiede un figlio tutte le notti.
L’aria è pregna di sesso e di preghiere e le lenzuola puzzano di promesse e sogni e richieste.
A trent’anni ha la guerra alle spalle e il suo migliore amico nell’altra stanza.
Harry dorme sul divano da due mesi e nasconde la fede nei calzini. Poi, quando Ginny lo rivuole a casa, si ripromette di non ritornare a frugare sotto la gonna delle puttane a Nocturn Alley. A trent’anni Harry dorme da due mesi sul suo divano; ha un figlio che vuole fare il pirata e una che si sente Serpeverde dentro. E’ così disperato che Hermione deve raccontargli una storia, prima di dormire.
A trent’anni, Hermione è sposata con un uomo che le vieta di andare nel giardino a trenta passi dal campo di grano. Ronald è un tale fannullone che, delle volte, per scampare alle sue petulanze, l’unico modo è rifugiarsi in una biblioteca e sognare di non tornare mai più a casa; proprio come faceva da bambina.
A trent’anni deve sorbirsi, ogni sera, delle promesse d’amore che il suo cuore non desidera; e sentirsi, ogni volta, in dovere di adempire a quelli che sono i suoi doveri di moglie.

«Dammi un figlio e  prometto che sarai la donna più felice al mondo.»
«Non promettermi mai che andrai via se poi non hai intenzione di farlo.»
«Sarò sempre qui con te.»
«Proprio come temevo.»

 

§

 

A quarant’anni Draco Malfoy aveva seppellito tre mogli. Nel suo giardino incantato giacevano esperimenti di vero amore. Aveva sposato Astoria dopo la Seconda Guerra Magica. Da lei aveva succhiato il nettare pregiato di un fiore della miglior specie, poi s’era punto – avvelenato – e l’aveva uccisa mentre la luna gli sfiorava la mano.
Sua prigioniera, quella luna, aveva mentito al suo secondo amore, fingendosi sigillo di una storia che non avrebbe visto un lieto fine.
Pansy Parkinson morì che era gravida di cinque mesi. Nelle mani stringeva rose rosse, nella bocca un urlo che nessuno avrebbe ascoltato mai.
Nel tempo divenne una malattia –uno, due, tre… un rumore. Si avvicina. Devo scappare, devo ucciderla – che gli rubò il senno. Uccise per pazzia, o per vendetta. Uccise in onore della bambina a cui aveva donato una margherita. Uccise per dimenticare la sua maledizione.
Si ripromise – mentre la terra gli graffiava le guance e la fossa buia risucchiava la sua terza vittima –, che la prossima volta, a morire, sarebbe stata la nostalgia di un amore che non aveva mai incontrato.
Avrebbe strappato i petali di quella margherita e, sulle foglie secche del suo giardino incantato, avrebbe liberato la sua luna bugiarda.

 

§

 

 

Negli anni che seguirono, Hermione finì per dare alla luce due bambini. I suoi ricci scompigliati divennero serpenti che si agitavano sulla testa, minacciandola di succhiarle la vita, di ucciderla, di avvelenarla.
Fu così che un giorno – mentre le margherite erano ad appassire sul balcone della cucina e mentre la nostalgia le mangiava il fegato –, Hermione tagliò i suoi capelli. Lo fece con una vecchia forbice arrugginita che aveva trovato la mattina prima nel garage, sotto i mille attrezzi che Ron non aveva mai usato, per aggiustare una macchina che non avevano mai comprato.
I soldi scarseggiavano in quel periodo, Harry era tornato a dormire sul divano di Hermione ma, a differenza delle altre volte, ora aveva gettato la fede nel lavandino. Hermione aveva passato un giorno intero a cercare di capire cosa accadesse al suo lavandino, dopodiché si era sforzata di far funzionare le cose.
Gli anni passavano, e con gli anni aumentavano le litigate mattutine, i biglietti della lotteria sparsi sul tappeto del bagno, le volte in cui il computer rimaneva acceso e i soldi sul conto in banca che diminuivano giorno dopo giorno.
Si era sforzata con tutte le sue forze di far funzionare le cose; lo aveva fatto davvero. Dopodiché la nostalgia dei suoi sogni se l’era mangiata, divorata come un timido cervo dalle zanne di un leone affamato.
Hermione si era davvero sforzata, ma quando la sua ragione decise che fosse ora di farla finita, non bastò tutta la forza del mondo per far funzionare le cose.

 

 

§

 

 

Si ammalò che era Primavera o forse prima.
Un giorno si svegliò che Ron era già andato via. A lavoro, diceva, ma lei sapeva della puttana a Nocturn Alley e anche delle scommesse d’azzardo.
Era una mattina come qualunque altra: il sole era sorto da poco, il venticello fresco d’aprile portava con sé l’odore dei fiori e nel vialetto i suoi figli giocavano con la giacca sgualcita di un barbone.
Scattò a sedere non appena il suo sguardo cadde sulla finestra in frantumi: un pallone da calcio sul suo tappeto dai colori orientali e il vaso di margherite a terra, in una pozzanghera di terra e petali.
L’aria le mancò da subito. La sensazione che la sua vita appartenesse a quella margherita, che, morto un fiore, morisse anche una parte di lei, quasi la uccise.
Fece per uscire fuori, diretta alla mera simulazione del giardino incantato dei suoi sogni, ma le gambe le si bloccarono.
Da quel giorno Hermione non mise più piede fuori casa. Passò le sue giornate ad annusare margherite fresche, a ringraziare i suoi figli per il toast a pranzo e il toast a cena, e rifiutando di far entrare Ron nel suo letto.
La malattia la divorò piano piano; il fuoco la bruciò lentamente e a Hermione non restò che pregare, in silenzio, che le sue sofferenze finissero il prima possibile.

 

 

 

§

 

 

A sessant’anni, ad Hermione quasi non restavano più capelli. Se li strappava ogni giorno, uno ad uno, mentre una parte di sé lottava con le proprie paure per uscire e respirare un’aria diversa  da quella profumata di margherite della sua anonima camera da letto.
Sua figlia, Rose, aveva da poco sposato un vecchio ereditiere italiano. I capelli di quell’uomo erano così bianchi che Hermione gli aveva suggerito di rasarli. E la barba era così incolta che non aveva smesso di grattarsi il mento per giorni. Aveva cercato in tutti i modi di deviare Rose da un matrimonio senza amore; l’aveva fatto perché l’amore, lei, l’aveva perduto. Perduto in un giardino incantato, incoscientemente, con un sorriso fanciullesco e l’amaro in bocca del senno di poi.
Ce l’aveva perso, il senno – perso sulla luna –, cercando di ricordare il volto, o almeno gli occhi, del bambino che viveva in quel giardino incantato.
Era finita così, a sessant’anni, con una figlia che pur di non vivere con lei, aveva compromesso la propria vita e la propria felicità. Con un figlio che tornava a casa all’alba e usciva prima che lei se ne rendesse conto.
Viveva sola, Hermione, sola con la paura della morte.
La nostalgia, in quei giorni, era così forte da succhiarle via il coraggio; la  forza se l’era già portata via la malattia senza che nessuno si prodigasse ad aiutarla.
In quel momento Hermione era completamente sola.

 

 

§

 

 

Una notte il suo sguardo cade su una margherita, sola, in un bicchiere di plastica. Accende la tv, prende le sue pillole, poi rimane a fissare quel fiore, pensierosa.
Sotto il suo sguardo la margherita si chiude … e muore.

 

§

 

 

«È morta?»
«Mi hai chiamato a quest’ora per…»
«Harry, devi dirmelo.»
«Lo è.»

Da quel giorno in casa Weasley non si vide neppure l’ombra di una margherita. Non più petali dimenticati sul tappeto sporco o vasi sparsi o frantumati.
A Hermione non restò che la follia e la sensazione che, presto, troppo presto, qualcuno le avrebbe strappato via la vita.

 

§

 

 

Harry passò a prenderla con una nuova macchina e la fede al dito. Hermione rise dei capelli bianchi tra la folta chioma nera e della felicità che increspava il suo volto.
«Dopo tutto questo tempo sei ancora innamorato, Harry?»
«Sono innamorato della vita. Tu dovresti saperlo.»
Hermione annuì poco convinta. «E Ginny?»
«E’ con mio nipote, Jeremy. Sapevi di mio nipote, Hermione?»
La felicità e l’amore che trasudavano dalle rughe del suo vecchio, caro, amico, riuscirono a metterla di ottimo umore.
Pensò a Rose e al vecchio uomo dalla barba incolta e desiderò sentire la voce di suo figlio – la voce di un bambino imprigionata in un corpo d’uomo –, per colmare l’infinita voglia di amore.
Probabilmente quel bambino che tanto aveva desiderato incontrare da tutta la vita, che le aveva rubato l’amore – forse quello vero – e che le aveva succhiato la vita; probabilmente era morto anni fa. Forse per un cancro. Forse per vecchiaia. Forse per un incidente. Forse per solitudine, così come stava per morire lei.
Era quello uno dei motivi fondamentali per cui aveva deciso di farsi curare. Quel giorno uscire da casa sua era stato un grande passo avanti. Aveva percorso il vialetto a passi lunghi, concentrandosi
 per ricordare come si facesse a trascinare i piedi uno dopo l’altro e tenendo la testa bassa affinché il sole non le colpisse gli occhi.
Ah, quanto le era mancato il sole.
Harry, dopo che la sua margherita era morta, le aveva parlato di uno psicologo che avrebbe potuto curarla. Uno scapolo, diceva, con un cimitero per giardino.
«Devi ricordarti di lui, Hermione. Un Serpeverde tanto bello quanto codardo. »
Hermione aveva sorriso, pensando al ragazzino che aveva reso terribili tutti i suoi anni ad Hogwarts.

Non lui, aveva pensato; come può, un uomo che teme la sua ombra, cercare e curare quella degli altri?
Nello studio Vittoriano, su una vecchia poltrona in vimini e mentre il sole filtrava dalle tende pesanti, quello che Hermione vide fu proprio la faccia di Draco Malfoy.

 

§

 

 

«Signora Weasley…»
«Granger, Malfoy, mi sono disfatta di quel fannullone molto tempo fa.»
«Il buon vecchio Ronald, eh?»
«Non mi sarebbe mai potuta andare peggio.»
«Avresti potuto sposare me.»
«Neppure l’età ha smorzato il tuo fastidioso sarcasmo, vedo.»
«L’età ti ha resa più bella, Hermione. Raccontami di te.»

 

 

§

 

 

«… credo di aver cercato per una vita la persona sbagliata. La tenacia nel cercare il bambino di cui mi ero innamorata mi ha portata alla follia. Avrei dato di tutto per trovare quel bambino. Ho conservato con me la sua margherita fino a quando ho capito che vivere ancorata al passato, cercando di esaudire il desiderio di una bambina o del fantasma di una bambina, non avrebbe portato che a una morte triste. Ero così innamorata di quel giardino incantato…»
«Una margherita, dici?» Draco corrugò la fronte, lasciando scivolare una ciocca di capelli sulle sopracciglia non più folte come una volta « credo… credo di essere io quel bambino, Hermione.»

 

 

§

 

 

Lotti una vita per toccare la luna e sapere di che sapore ha. Quando la tocchi con un dito scopri che brucia, brucia di una violenta nostalgia. Allora ne rimani delusa, scottata. Quella luna ha deluso le tue aspettative.
Hermione riuscì solo a star zitta. Per la prima volta nel corso della sua esistenza, la donna s’accorse di aver sprecato troppe parole. In quel momento, mentre finalmente aveva smesso di cercare ed era stato l’amore a trovarla, Hermione riuscì solo a star zitta.
Più tardi, nel suo letto, rise di se stessa. In fondo l’amore non è altro che una guerra: una guerra semplice da iniziare, ma difficile da finire.

 

§

 

 

Draco Malfoy a settant’anni aveva seppellito tre mogli. Nel suo letto, di notte, sentiva il respiro di ognuna torturarlo.
A settant’anni dormiva da solo in una casa troppo grande, con troppi elfi domestici e nemmeno un televisore a fargli compagnia.
A settant’anni Draco credeva in un mondo migliore, con a capo dello Stato un uomo in grado di governare e decidere per tutti. Ciò non sarebbe mai accaduto, Draco lo sapeva e non avendo altro modo per mettere fine alle sue incertezze, Draco uccideva.
Una volta aveva spezzato l’ala ad una farfalla. Un’altra volta aveva pestato un uccellino ferito. Ancora, aveva bruciato un formicaio.
A Draco piaceva respirare il profumo della morte: lo rendeva vivo.
A settant’anni, però, non aveva più mogli da seppellire. Il suo fascino era sparito insieme agli anni e ne era rimasta la violenta follia che lo svegliava di notte e lo costringeva a ridere sulla lapide delle assassinate.
La notte in cui uccise Hermione, però, mettendo fine alla sua disperata voglia di pace, nel suo cuore non sentì che un grosso dispiacere.
L'adrenalina di un nuovo omicidio e l'idea di poter leccare il sangue dalle dita una volta uccisa la donna non lo stravolsero

Dopo averla trascinata per i capelli, strappandoli e sporcandoli, Draco pianse sulla terra secca del suo giardino incantato.
Come unico segno, una margherita.

 

«Uccidimi, Draco, fallo prima che il sole tramonti.»
«Non posso…»
«Devi farlo. Starò bene.»

All’orizzonte nel cielo, - spettatore immobile di quell’amore mai amato davvero –, c’è un arcobaleno. I colori sono chiari, trasparenti. Sembra che sia lì per il loro ultimo, vero, addio.
E si rivedono bambini, innamorati dell’idea dell’amore ( il quale temono come l’uomo nero o zio Giuseppe con il carretto per i bambini cattivi).
A Hermione non è rimasto quasi neanche un capello. La malattia si è mangiata la forza di vivere e di andare avanti. A Hermione non è rimasto niente se non la speranza di ricominciare daccapo, in un’altra vita, in un altro luogo.

«Draco, ti aspetterò. Tu ricordarti sempre di me.»

   
 
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