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Autore: formerly_known_as_A    17/06/2012    3 recensioni
Islanda non si ricorda il giorno in cui è nato, anche se sa leggere le date del calendario, ma annuisce e tende un braccio verso pabbi Den, emozionato, cercando di abbracciare entrambi.
Non sa cosa sia un compleanno, ma se i pabbi sono contenti di averlo con loro, allora dev'essere una cosa davvero bella...
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Danimarca, Islanda, Norvegia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Buon compleanno, Eirik!"

Islanda apre gli occhi e si stiracchia pigramente, tornando quasi immediatamente ad appallottolarsi su se stesso perché la luce che gli ferisce gli occhi non è affatto piacevole.

E il pabbi Den parla di cose strane, le cose che lui non capisce mai.

Lo scuote un pochino, prendendolo poi in braccio e facendolo saltare in aria.

Non potrebbe esserci risveglio più brusco che sentirsi la terra mancare da sotto i piedi, aprire gli occhi e ritrovarsi a due metri dal suolo.

Grida, spaventato e scoppia a piangere, sentendo i passi di pabbi Nor sul legno del pavimento, passi che poi si trasformano in uno schiaffo ed uno sbuffo stizzito.

"Sei impazzito del tutto?" borbotta il norvegese, prendendo il posto dell'altro ed avvolgendo le braccia intorno al piccolo Islanda, che apprezza il conforto ed esagera il numero di singhiozzi per avere qualche carezza in più.

Non che pabbi Nor non gliene faccia, ma ha avuto davvero paura, svegliandosi così, anche se ormai è un bambino grande e non ha paura di tante cose, non come quando indossava ancora gli abiti grandi che lo facevano inciampare.

"Ma Nor... Dobbiamo festeggiare!" esclama pabbi Den, con voce lamentosa ed il bambino sente la sua mano grande e calda nella schiena, pronto ad accarezzarlo anche lui, per consolarlo da quello spavento.

Islanda sa cosa vuol dire festeggiare. I due pabbi lo fanno spesso, bevono birra e cantano -bè, pabbi Nor quando diventa strano si addormenta soltanto appoggiato alla spalla dell'altro, non canta- e ridono un sacco.

Succede quando tornano dai lunghi viaggi, quando non sono seri seri.

Ma ora non hanno fatto nessun viaggio, anzi, pabbi Den gli ha detto che ci sarebbe stato qualcosa di speciale di lì a poco e non è voluto andare da nessuna parte per questo ed Islanda è rimasto incuriosito da questa cosa speciale.

"Che cosa?" chiede infatti, chiedendosi se alla festa ci sarà anche lo zio Sve. Lo zio Sve gli piace tanto, perché, anche se ha una faccia come quella di un orso, è sempre gentile con lui.

E poi, gli porta dei regali bellissimi, come i cavalli tutti colorati che pabbi Nor ha poggiato sulla mensola alta per non farli cadere.

Le sue storie sono diverse e quando torna dai viaggi non ha quasi mai male da nessuna parte, lui dice che va' in altri posti, non dove vanno i pabbi e che quindi ci si fa meno male. Ha chiesto ai pabbi di andare dove va' lo zio, perché piange sempre un pochino quando loro tornano con una ferita, ma pabbi Den ha riso dicendo che lo zio è noioso.

Anche se dice che è noioso, però, Islanda sa che si vogliono bene, perché i pabbi stanno sempre ad ascoltare quando lo zio racconta.

"Il tuo compleanno!" risponde tutto allegro pabbi Den. Il piccolino emerge dall'abbraccio protettivo del norvegese, per guardare confuso l'altro. Non sa cosa sia, questo compleanno, ma se c'è da festeggiare, allora, vuol dire che può bere l'idromele? Finalmente è un adulto?

"Cosa vuol dire?"

"Il compleanno è il giorno in cui sei nato e si festeggia perché siamo contenti che tu sia con noi." spiega pabbi Nor, con un piccolo sorriso.

Islanda non si ricorda il giorno in cui è nato, anche se sa leggere le date del calendario, ma annuisce e tende un braccio verso pabbi Den, emozionato, cercando di abbracciare entrambi.

Non sa cosa sia un compleanno, ma se i pabbi sono contenti di averlo con loro, allora dev'essere una cosa davvero bella...




Islanda apre gli occhi, sentendoli immediatamente umidi.

Fa qualche respiro, calmando il dolore al petto che lo opprime come se qualcuno ci avesse appena posato sopra Mjöllnir, chiudendo e riaprendo gli occhi per lasciar scivolare via le ultime lacrime e voltando la testa di lato per guardare l'ora.

Un gesto automatico, che fa sempre, quando si risveglia in quel modo.

Ma non è a casa, l'unico orologio disponibile è quello da polso poggiato sul comodino, che indica le nove passate del mattino. Le persiane e le tende pesanti della stanza in cui si sveglia non lasciano passare che un filo di luce e lui sospira, sfregandosi gli occhi con le dita.

Va' tutto bene, è solo un ricordo.

Si stiracchia un poco, chiedendosi se sia troppo presto per presentarsi in cucina, visto che dovrebbe essere in vacanza. Ha trascorso anni in quella stanza, secoli, a dire il vero, abbastanza per conoscere le abitudini del suo residente permanente, eppure non si azzarda a fare nulla senza pensarci a lungo.

Sente la porta sul retro chiudersi e sobbalza, l'aria gelida dei ricordi spiacevoli che spazza via ogni senso di benessere che ha provato durante il ricordo, obbligandolo a tornare alla realtà.

Tra il primo compleanno e questo se ne susseguiti molti tutti uguali, trascorsi, il più delle volta, a cercare di sanare le ferite della mente di un padre troppo fragile. Ce ne sono stati di felici, senza dubbio, ce ne sono stati in cui si addormentava placidamente in mezzo a persone amate, altri in cui gli sono stati spiegati concetti importanti della vita e per cui è grato... e c'è l'adesso, l'immediato futuro, da cui è terrorrizzato, perché non sa cosa aspettarsi.

Il giorno del compleanno è cambiato, è diventato quello della propria indipendenza e per anni l'ha trascorso da solo o con persone con cui gli andava di trascorrere una giornata senza aspettarsi altro se non un divertimento superficiale. Non sono brutti compleanni, quelli, soltanto... soltanto lontani da quello che avrebbe voluto realmente.

Ora, nell'immediato passato e futuro, c'è quell'invito del danese a passare qualche giorno insieme, invitando anche il resto della famiglia alla sera, un compleanno standard, per gli umani, ma di cui non sa nulla.

Ad ogni rumore, si ricorda i momenti di fragilità del danese ed ha paura. Ha paura di sentire mobili rovesciarsi, grida, vedere sangue e morte ancora una volta. Ha paura di quella che è diventata quotidianità per anni, anche se sa che non dovrebbe più essere così.

Ma il cuore gli batte all'impazzata anche pensando razionalmente, soltanto per quella porta sbattuta.


La decisione di alzarsi e camminare fino al giardino la prende solo dopo venti minuti trascorsi a fare avanti ed indietro per la stanza, soppesando tutti i possibili scenari. Nonostante questo, arrivato di fronte al fienile, la mano che dovrebbe spingere la porta secondaria trema come se fosse caduto nell'acqua gelida dell'oceano.

Non sente rumore provenire dall'interno e lotta contro le lacrime, sconfiggendole un secondo prima di spalancare la porta e fare un passo avanti.

Vuoto.

In realtà l'interno è un insieme confuso di attrezzi e quella che sembra la prua di una nave vichinga in miniatura, ma non c'è nessuna traccia del danese.

Si calma, rischiando di finire seduto per terra quando i muscoli lo abbandonano, rendendosi conto di essere rimasto in tensione per tutto il tempo.

Alza la testa verso il soffitto, restando qualche secondo a fissare la trave alla quale trovava, a volte, appeso per il collo, Danimarca.

Non riesce a guardarla più di un minuto, ma è un minuto terribile, che come un'onda lo travolge con il peso dei ricordi, dei rimpianti e di tutto quello che ha provato in quegli anni. A partire della speranza che tutto si risolvesse, un giorno, che gli fosse restituita la propria ingenuità infantile, morta la prima volta insieme al danese.

"Noooo!"

Sobbalza, spaventato, prima che due mani grandi vadano a posarsi sui suoi occhi. Le tocca, sentendosi stupido quasi immediatamente, come a controllare a chi appartengano, quasi fosse un gioco, ma sa benissimo di chi sono.

"Non avresti dovuto vederla!" esclama il danese, con voce comicamente disperata, scivolandogli di fronte per sbarrargli il passaggio. I capelli sono più disordinati del solito ed ha una macchia di pittura sulla guancia, che lo rendono buffo.

"Che cosa?" chiede Eirik, cercando di guardare oltre a lui. Ora è curioso, cosa non ha visto?

"Il tuo regalo! Fai finta di niente per due ore, ancora, ti prego! La vernice deve asciugarsi, ho finito solo ora!" protesta Danimarca, imbronciandosi, come deluso.

Gli ha... gli ha fatto un regalo? Come...?

“Andiamo a fare colazione, prima!” aggiunge, prendendolo per mano e trascinandolo fuori, ridacchiando con aria molto imbarazzata.

Si lascia trascinare per un po', fino alla cucina, poi lo blocca, incredulo e confuso.

“Un regalo?” riesce a chiedere.

È quello che ha da offrire, quel futuro immediato? Il più normale dei compleanni, per davvero? Non un grido, non una lacrima, non la disperazione?

Che cosa aspettava? Che fosse ancora tutto come a quel tempo? Che non fosse guarito, che non si fosse lasciato il passato alle spalle?

Niente di questo, soltanto... soltanto lui ha l'impressione di viverci ancora dentro, si tiene dentro tutto quello che ha provato, tutto il senso di impotenza che gli ha lasciato quel periodo, senza possibilità di trovare una luce.

Quasi lo detesta per essere andato avanti, perché non ci sono state scuse, non c'è stato nulla che gli facesse capire che era pentito dell'inferno attraverso cui li aveva trascinati... però ha quell'aria buffa, mentre lo guarda, innocente e gli viene voglia, come sempre, di proteggerlo.

È sempre stato quello più fragile, tra i due, è sempre stato lui a lasciarsi trascinare dagli eccessi, ad avere così tanta paura e sensi di colpa da perdere se stesso.

“Eirik! È il tuo compleanno, oggi, non ricordi? Per i compleanni ci vogliono i regali ed una torta!” esclama semplicemente il danese, guardandolo ancora con un'espressione imbarazzata.

Sembra calare un'ombra sul suo viso e distoglie lo sguardo, tendendo una mano per afferrargli un pezzo di maglietta del pigiama.

“Voglio rimettere le cose a posto.” mormora, diretto come sempre, risultando doloroso come un pugno nello stomaco.

Vorrebbe allontanarsi e gridargli qualcosa, che è uno stronzo e che ha chiuso con lui, che non deve considerarsi suo padre, che non se ne fa nulla della sua torta, quando dovrebbe restituirgli anni di esistenza, ma non riesce.

Una parte di sé è ancora profondamente inchiodata a quel periodo e quella, semplice e diretta, è una piccola luce, una speranza che rinasce e si stiracchia debolmente, come una pianta dopo l'inverno.

“Sei uno scemo.” borbotta, posando una mano sulla sua.

L'altro annuisce, ma non apre bocca, rilassando la mano e voltandola per prendergliela.

“Non basterà un compleanno.” aggiunge l'islandese, corrucciandosi, cercando di non pensare ad altro se non al momento immediatamente futuro, quello in cui poggerà la fronte sul suo braccio e cederà soltanto un po'.

Possono farcela? Può, lui, tornare alla felicità dell'infanzia, a quell'animo spensierato, a quella fiducia cieca nel futuro e in chi ama? E Dan? Può evitare di deluderlo un'altra volta? Può dimostrarsi degno dell'affetto che l'altro cerca di soffocare ed uccidere?

Il futuro, quello luminoso che immaginava, prima di addormentarsi con nella testa ancora immagini di disperazione, è questo. Perché non riesce ad accoglierlo, perché non riesce a fare quel passo in più verso di esso?

Forse ha terminato quei passi disponibili, forse ogni attesa del risveglio del danese ne ha consumato uno, forse l'ultimo è stato prima dell'indipendenza.

“Lo so.” mormora finalmente Danimarca, senza lasciargli la mano, avvicinandosi e facendogli scivolare un braccio nella schiena, fino alla nuca, portandoselo addosso e stringendolo. “Lo so, ma ho tantissimo tempo per non fallire più.”

L'islandese vorrebbe chiudersi completamente, senza sentire e percepire più nulla, fare finta che quella frase non lo colpisca nel profondo, ma non ci riesce.

Ci ha sperato troppo, ne ha bisogno.

Per questo alza l'altro braccio e la posa nella sua schiena, in un abbraccio stretto, seppur silenzioso.

Il futuro luminoso per cui ha pregato tanto è adesso.

Non se lo lascerà scappare.



Note dell'autrice

Buon compleanno anche ad Islanda! Ero parecchio indecisa se scrivere un sequel di Doed Ballade oppure tanto fluff... e alla fine ho optato per questa :)

Spero vi piaccia, non ho molto da dire, a parte che collegate a questa ci sono:

Doed Ballade e Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso. Per leggerla e capirla non sono necessarie, ma se volete un'esperienza completa, forse sì.

A domani con Amsterdam!





   
 
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