Le lancio un'ultima occhiata, come per rassicurarle che andrà tutto bene. 
Non ne sono certo neppure io, ma la vedo così impaurita, che il gesto mi viene spontaneo.

“Primrose Everdeen”, quel nome rimbombò nella piazza in modo forte e chiaro. Nella mia mente si susseguivano pensieri orribili. Cosa le avrebbero fatto? Era così piccola, dopotutto.

“No!”. Si sente un urlo.

Non c’è neppure bisogno di voltarmi, lo riconosco dalla voce. Katniss.
Lo farebbe sul serio? Si offrirebbe volontaria al posto di Prim? Ma sì, mi dico. Certo che lo farebbe, come lo avrei fatto io se uno dei miei fratelli fosse stato sorteggiato.

“No! Prim! Prim!”, un altro urlo.

Mi fa davvero male sentire la disperazione palpabile nella sua voce. In queste situazioni mi sento davvero impotente. Ma, dopotutto, chi il giorno della mietitura non si sente esattamente così? Impotenti. E’ questo che siamo.
“Mi offro volontaria! Mi offro volontaria come tributo!”.
Sebbene l’avessi previsto, quelle parole mi provocano un’intensa fitta allo stomaco. Non possono portarmela via, non la mia Katniss.
Alzo lo sguardo da terra, e vedo Prim urlare di rimando alla sorella.
“No, No! Katniss!”.
Altra disperazione, altra tristezza.
L’unica cosa in cui ora posso rendermi utile è prendere Prim, qui con me.
Portarla via dalla sorella. E’ questo che vuole Katniss, ed è questo che farò.
Avanzo a passi sicuri, ostentando una forza che, soprattutto in questo momento, non è affatto mia.
Afferro Prim par la vita e la trascino via. Lei continua ad urlare, ed io lotto per tenerla ancora stretta a me.
Vedo Katniss salire sul palco, il suo volto privo di lacrime.
E’ così, la mia Catnip. Anche lei ostenta sicurezza di sé e forza, soprattutto quando entrambe mancano.
 Ma io so cosa sta provando in questo momento.
E forse sono l’unico.

 
La leziosa, snob di Effie, tutt’un tratto, ci dice:

“Facciamo tutti un bell’applauso al nostro nuovo tributo!”.

Quella vocina così acuta e quelle parole così fuori luogo mi fanno provare un disgusto che non si può neanche descrivere.
Come plausibile, tutti gli abitanti del distretto non accennano neanche ad un battito di mani. Il silenzio è la miglior arma di disapprovazione.

Ma poi eccolo lì. L’antico gesto del nostro distretto.
Esso significa grazie, significa ammirazione, significa dire addio ad una persona a cui vuoi bene.
Una rabbia percorre il mio corpo.
 Io non alzo il mio braccio.
 Io la rivedrò, perché lei ritornerà qui da me.
Non posso rassegnarmi all’idea che morirà.

Io non le dirò addio.