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Autore: MissDiggory    18/06/2012    3 recensioni
L’ultima persona che John Watson si sarebbe aspettato di vedere al funerale del suo migliore amico era proprio Sherlock Holmes. Eppure anche se John non lo vide, lui c’era: era nascosto in fondo, dietro ad un albero, divertito dalla commozione e dai sentimentalisti dei suoi amici. Se ne andò prima della fine della cerimonia, era diventato troppo noioso. Ma nemmeno Sherlock si accorse che non era l’unico a guardare da lontano.
- Più avanti la storia passerà al rating rosso ;)
[Post The Reichenbach Fall] [Sherlock\Altro Personaggio][Sherlock\John] [leggermente OOC]
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ok, questa volta "l'angolo dell'autrice" lo metterò prima, per darvi un paio di spiegazioni :D
Questo è l'ultimo capitolo (finalmente! direte voi) comunque questo è il finale ideale per me, e spero anche per voi!
Quindi volevo ringraziare tuuuuuuuuuuutte le persone che, anche non commentando e un bacione a quelli che hanno commentato!
Grazie a Akasha13; Anabeggia; cassylucy; derfelDreletta; EileenSHFelpata90; freccia75; irelin; MoriartyWasReal; Sabry93; Sevvina; Sherlocked e  a Shinku Rozen Maiden per averla messa tra i Seguiti!
Grazie a Shinku Rozen Maiden per averla messa tra le Ricordate!
Grazie a lisettolaMissMalfoy1; e a Sabry93 per averla messa tra i Preferiti!
Grazie a JimmyHouse; Rosebud_secret; chibisaru93; MissMalfoy1; Sabry93; manumanu1988; Sherlocked93 per averla Recensita!
Grazie ancora a tutti, infinitamente! <3
Ora vi lascio all'ultimo capitolo della mia storia:

XIII

Quella notte né Sherlock né John chiusero occhio.

John tornò a casa e rimase tutto il tempo sdraiato sul divano nuovo a fissare il vuoto reggendo in mano una tazza ormai fredda di tea.
Sherlock rimase tutta la notte in ospedale vegliando sull’amica che sempre vegliò su di lui.
<< Mi dispiace >> disse Mycroft, mentre erano seduti in silenzio in una camera limitrofa, rigirandosi il telefono tra le mani, incerto su come affrontare una perdita del genere con il fratello minore.
<< Non è colpa tua >> disse Sherlock, fissando la parete davanti a lui.
<< Nemmeno tua, Sherlock >> sospirò Mycroft, che dal tono distaccato aveva capito che si riteneva colpevole della perdita della ragazza. << Non prenderti la colpa per qualcosa che non potevi controllare >>
<< Ma io potevo controllarlo! >> esclamò il minore degli Holmes. << Potevo prevederlo! >>
<< Come ogni essere umano potrebbe prevedere se e quando un fulmine lo colpirà! >> disse il maggiore, tranquillamente. << Non sei onnipotente, anche tu sbagli >>
Sherlock gli rifilò un’occhiataccia mentre il respiro iniziava ad accelerare e la rabbia correva a fiotti nelle sue vene, strinse convulsamente i pugni e chiuse gli occhi, cercando di ritrovare una parvenza di calma, ma non ci riusciva.
<< Non riesco a calmarmi >> soffiò tra i denti. << Non riesco a pensare lucidamente >>
Mycroft non si stupì dell’emozione del fratello, né lo diede a vedere, ma addolcì impercettibilmente il tono della voce: << Lo so, andrà via con il tempo >>
<< E per il dolore? >> chiese il giovane Holmes con un leggero sospiro.
A Mycroft sembrava di essere tornato indietro nel tempo: a quando Sherlock era piccolo e non comprendeva i sentimenti, ed era stranamente inquietante quando questo succedeva ancora.
<< Ora hai John, no? >> rispose Mycroft. << Ti aiuterà lui >>
<< John >> borbottò Sherlock passandosi le mani tra i capelli.
<< State insieme ora? >>
<< No >>
<< Mi sembravate particolarmente uniti >>
<< Non mi va di parlarne >> borbottò, seccato.
<< Sherlock >>
<< Oddio, Mycroft, non ho due anni, non voglio parlarne. Basta >> esclamò, alzando le mani a bloccare il fratello.
<< Ora me ne vado >> disse lui, alzandosi e uscendo << Faresti meglio a tornare a casa >>
<< Non posso lasciarla qui.. non così >> sospirò << Aspetterò mattina l’arrivo di Molly >>
<< Vuoi che resti qui? >> domandò Mycroft, addolcendo il tono, dopo aver visto l’aspetto stravolto del fratello.
<< No.. l’Inghilterra ha bisogno di te, vai >> rispose Sherlock, alzandosi a sua volta, insieme al fratello.
<< L’Inghilterra sopravvivrebbe una notte senza di me >> disse Mycroft, ma uscì lo stesso, mentre Sherlock tornava da Eliza.
Rimase immobile seduto a cavalcioni di una scomoda sedia ad osservare Lizzy, fino a quando tre ore dopo arrivò Molly.
<< Sherlock >> lo chiamò piano, << Mi dispiace >> bisbigliò, avvicinandosi al consulente.
<< Molly >> disse Sherlock, sollevandosi e stiracchiando le braccia. << Ti ringrazio per la disponibilità >>
<< Oh, mi fa piacere.. >> sorrise delicatamente lei. << No, aspetta, nel senso che mi fa piacere che tu volessi che fossi io ad occuparmene >>
Sherlock le toccò il braccio in un gesto che voleva far sembrare naturale, casuale, e sospirò di sollievo quando capì d’aver centrato il tasto giusto, tentò di fare un sorriso, ma uscì solo una piccola smorfia << Avevo capito.. dobbiamo spostarla? >>
<< La portiamo all’obitorio >> disse Molly, staccando gli ultimi macchinari collegati al corpo della ragazza e la portò lentamente alla sala settoria aiutata da Sherlock.
Il dottore Haigh li raggiunse proprio mentre la stavano sistemando sul tavolo anatomico.
<< Buon giorno >> sorrise. << Volevo avere l’onore di assistere la signorina Hooper nell’autopsia >>
<< No! >> esclamò Sherlock. << Non ci sarà nessuna autopsia! >>
<< Cosa? >> chiese Haigh.
<< Nessuna autopsia >> ripeté il sociopatico, fissando con astio il medico.
<< Ma.. >>
<< No >> ribatté di nuovo Sherlock. << È la mia ultima parola. Ora fuori! >>
Il medico obbedì e lasciò la stanza innervosito dal trattamento a lui riservato.
<< Perché non vuoi che effettuiamo l’autopsia? >> chiese Molly, appoggiando una mano sul braccio di Sherlock.
<< Non ho intenzione di vederla riempita di tagli >> spiegò il consulente, sottraendosi dal tocco dell’amica e aprendo il getto d’acqua per lavare delicatamente i capelli a Lizzy.
La lavarono e la sistemarono insieme e nel giro di un paio d’ore era perfettamente pronta, solo senza abiti, Sherlock aveva insistito per non truccarla, solo un velo di rossetto rosso, e appena finirono John entrò traballante.
<< Buongiorno >> bisbigliò Molly con un piccolo sorriso mentre John la salutava con un cenno e si avvicinava, lanciando un’occhiata di sott’occhi al coinquilino.
<< Come stai? >> gli chiese andandogli vicino.
<< Hai fatto quello che ti ho chiesto? >> ribatté Sherlock, senza alzare lo sguardo da Eliza.
<< Sì, ti ho portato l’abito che mi avevi chiesto.. ma davvero vuoi metterle questo? >> John, estrasse dalla borsa un vestito da sera che aveva trovato nella sacca di Eliza, allungandolo a Sherlock: era un abito senza spalline, lungo, di un blu mezzanotte che aveva quattro lunghi tagli almeno fino a metà coscia, con due sottili fili argentati come cintura ai fianchi.
<< Sì >> rispose semplicemente Sherlock, << Grazie >>
Molly e John lo aiutarono, sollevando la ragazza e Sherlock le infilò rapidamente l’abito, sistemandoglielo delicatamente lasciando intravedere le gambe pallide e snelle.
<< Lo strappò lei, anni fa, non per farmi un dispetto, ovvio >> sospirò Sherlock. << Era il suo abito preferito.. be'.. anche l’unico che aveva >> aggiunse dopo qualche secondo in cui rimase a fissarla: l’abito scuro non faceva che risaltare il pallore della morte.
<< Andiamo a casa, Sherlock, hai bisogno di riposare >> disse John, stringendogli la spalla.
<< No, devo organizzare il funerale >> rispose quest’ultimo, spostandosi dal tocco di John.
<< Ci penseremo insieme dopo che avrai dormito, ora, andiamo a casa >> insistette il medico.
Sherlock si voltò a guardarlo serio e John non abbassò lo sguardo: erano abituati a questi discorsi muti, dicendosi tutto e nulla, Sherlock era abbastanza avvezzo a vincere certe lotte di sguardi, ma John era un valido avversario e questa volta la spuntò; il consulente distolse lo sguardo e si lasciò condurre fuori dall’ospedale dal dottore, non prima di aver sfiorato con le labbra la fronte di Lizzy.
John rimase in silenzio per tutto il viaggio di ritorno, reprimendo l’istinto di dire qualcosa di consolatorio: sapeva perfettamente che Sherlock non voleva sentire, che le avrebbe ritenute inutili e noiose.
Quando arrivarono a casa Sherlock si rannicchiò nel divano, borbottando che il nuovo mobile era scomodo, ma John lo ignorò allontanandosi in cucina a preparare un tea. Era stato davvero così quando lui era sparito? John si era sentito come si sentiva lui ora? Come se ci fosse un qualcosa nel suo petto che spingeva insistente per uscire: qualcosa di amaro e fastidioso.
Anche John aveva associato ad ogni luogo della casa un ricordo? l’angolo contro la poltrona contro cui Lizzy si appoggiava a disegnare, i suoi oggetti sparsi fra gli esperimenti di Sherlock. Era inutile che passasse il tempo a rimuginarci sopra, Lizzy era morta e nulla l’avrebbe riportata indietro: doveva solo riprendere la sua vita, come quand’era prima di Eliza.. peccato che la sua vita prima di Eliza fosse quella di un ragazzo poco più che ventenne con una mania di grandezza – che durante il tempo non si era affatto attenuata – e ora di certo non era un semplice vent’enne, né poteva permettersi di ragionare e vivere come tale, quindi doveva solo fare come se Eliza non ci fosse, infondo.. era sempre stato così no? lei c’era sì, ma era sempre in secondo piano.. sempre in ombra, sempre al sicuro e sempre troppo scoperta.
John lo raggiunse dopo un po’ con una tazza di tea fumante che gli infilò a forza nelle mani, con un ordine che non raggiunse il cervello di Sherlock.
<< Bevi, Sherlock >> ripeté, alzandogli le braccia per portare la tazza alla bocca e controllando che sopravvivesse.
 
Il giorno del funerale di Eliza, Sherlock e John dovettero di nuovo usare un’uscita laterale per riuscire ad arrivare al cimitero, visto che tutta la faccenda non era minimamente stata messa a tacere, ma il provvidenziale arrivo di Mycroft riuscì perlomeno a regalarle una cerimonia all’aperto relativamente tranquilla; l’affluenza fu nettamente superiore a quello di Sherlock: c’erano tutti gli amici della ragazza, ma rimasero tutti in disparte, tranne Denis, che era in prima fila con gli occhi costantemente velati di lacrime.
Sherlock si rifiutò di fare o far fare qualsiasi discorso, a parte qualche parola di convenienza detta dal cerimoniere, voleva che fosse solo un semplice e silenzioso saluto, tutto quello che gli doveva dire l’aveva già fatto, ma lui fu anche l’ultimo ad andarsene dalla tomba, lasciando un mazzo di gigli, i suoi preferiti, davanti alla lapide e asciugandosi una singola lacrima mentre scappava furtiva dal suo occhio destro, dandosi dello stupido sentimentale; sbuffò passandosi rapidamente le mani sul viso, cercando di far passare in secondo piano i suoi sentimenti: ora al posto della lapide in marmo nera troneggiava una meravigliosa lapide in marmo bianco striato da venature verdi ‘imperfetto, e per questo bellissimo’.
Come aveva sempre detto Lizzy, specialmente quando parlava di Sherlock, anche se lui cercava di zittirla, lei amava continuare a ripetere quanto fosse bella la piccola macchia marrone sull’azzurro cielo del suo occhio destro, quanto lo rendesse imperfetto e per questo, bellissimo.
<< Ci vediamo, Lizzy >> bisbigliò, accarezzando con la mano la lapide e avviandosi verso l’uscita del cimitero.
Appena uscì si trovò affiancato dal fratello Mycroft. << Credevo fossi già andato a casa, o al club >> borbottò Sherlock.
<< Volevo farti di nuovo le mie condoglianze.. so che lei era molto importante per te >> disse Mycroft, seguendolo verso la strada.
<< Molto gentile >> borbottò.
<< Cosa farai adesso? >> domandò Mycroft, sorvolando il commento di Sherlock.
<< Continuerò con il mio lavoro, come ho sempre fatto >> sbuffò Sherlock, camminando speditamente, sempre seguito silenziosamente da Mycroft, << Ti ringrazio per l’aiuto che mi hai dato con il caso >> aggiunse dopo un paio di minuti.
Mycroft sorrise << Quando vuoi, preferirei comunque che per un po’ ti fermassi.. che ti prendessi una vacanza.. >>
<< Non dire sciocchezze >> sbuffò Sherlock.
<< Sei dimagrito un po’ troppo, sono giorni che non mangi e da quanto non dormi? >> disse Mycroft con tono piatto.
<< Ho dormito questa notte >> esclamò Sherlock, mantenendo il passo sostenuto.
<< Su quella scomoda poltrona? Per favore, Sherlock, non insultare la mia intelligenza >> sbuffò, il fratello maggiore.
<< Non posso fermarmi >> borbottò lui, stoico.
<< Sherlock >> esclamò Mycroft.
<< Non fare la voce grossa, non ho intenzione di prendermi una vacanza, sono già rimasto fermo per troppo tempo >> ribadì Sherlock, attraversando rapidamente la strada. << La tua auto ti sta aspettando, ci vediamo >> aggiunse, superando rapidamente suo fratello e rallentando di colpo dopo il primo incrocio, inspirando profondamente l’aria colma di smog.
A che diavolo serviva smettere di fumare se i suoi polmoni venivano continuamente intaccati dall’inquinamento della city?
 
John era stato uno dei primi a dileguarsi dal cimitero, come segnale per il resto degli invitati che era arrivato il momento di lasciare da solo Sherlock, si fermò non lontano dall’entrata del cimitero, rivolgendo cenni di saluto agli invitati mano a mano che uscivano; si allontanò solo quando pensò che ormai erano tutti andati via, ma non si era reso conto che Denis lo stava seguendo, se ne accorse solo quando questo lo fermò a metà strada dal loro appartamento.
<< Dottore! >> esclamò il ragazzo raggiungendolo.
<< Denis! >> sbottò spaventato John, sobbalzando e voltandosi verso Denis.
Il ragazzo si passò nervosamente una mano sul viso, asciugandosi una lacrima silenziosa.
<< Tutto bene? >> aggiunse il dottore con un tono molto più dolce.
<< Sì.. >> annuì lui, alzando il mento e sollevando il petto, cercando di mostrarsi forte e coraggioso, ma si sgonfiò appena ricominciò a parlare. << Com’è successo esattamente? >>
John prese un profondo respiro << Vieni, accompagnami a casa >> iniziò appoggiando una mano sulla spalla di Denis.
Dopo un paio di secondi in cui camminarono in silenzio John decise di rompere il ghiaccio e di spiegargli tutto dall’inizio: << Moran era nell’esercito insieme a me, be' non esattamente nel mio stesso squadrone, ma comunque era molto famoso, soprattutto per il suo sadismo nell’utilizzare armi avvelenate, come, per esempio pallottole.
<< Ora, lui fu congedato con disonore anni prima del mio permesso, io non ne seguii mai il percorso oltre l’esercito, perché non lo avevo mai conosciuto di persona e lo reputavo un codardo per ciò che faceva.
<< Quando Sherlock tornò dalla sua.. “morte” raccontandoci di Moran per me fu come un tuffo in un incubo ricorrente, sapevo delle pallottole avvelenate, ma la mia mente non registrò l’informazione, troppo fiducioso nei metodi di Sherlock per pensare che potesse sbagliare.
<< Giuro che non avrei mai pensato che potesse aver coinvolto qualcun altro a questa pratica, credevo che il suo egocentrismo fosse al di sopra del legame che l’aveva unito a Moriarty, ma evidentemente la sua devozione era più forte di tutto: per scegliere di uccidere tutti e condividere i suoi metodi.
<< Mi dispiace così tanto, farei qualsiasi cosa per tornare indietro.. qualsiasi >> sospirò John, chinando il viso, colpevole.
Denis non disse nulla, seguendo il dottore, elaborando la sua risposta, asciugandosi una lacrima di tanto in tanto. << So che non era colpa sua, doc, non è colpa sua è che lei.. Mi piaceva >> bisbigliò dopo un po’ il ragazzo.
Avevano superato da un bel po’ il 221B ma avevano continuato a camminare senza una meta precisa.
John gli lanciò un’occhiata di sbieco. << Lo immaginavo >> sospirò. << È per questo che mi sembrava giusto raccontarti com’era andata >>
<< Lei.. tu sai se lei..? >>
<< Non ne abbiamo mai parlato direttamente, ma so che tu eri uno dei suoi preferiti, parlava molto più spesso di te che di chiunque altro >> sorrise John, stringendo la spalla del ragazzo, sì, gli aveva addolcito un po’ la pillola, ma infondo era vero che lei gli era molto affezionata, e la cosa funzionò perché un lieve sorriso spuntò sul viso di Denis. << La nostra casa è sempre aperta per te e gli altri, lo sai, vero? >>
Denis annuì ancora con il mezzo sorriso stampato in faccia.
 
Quando Sherlock arrivò al 221B John non era in casa, e Mrs. Hudson aveva lasciato un piatto di qualcosa di troppo speziato in cucina, ne sentiva l’odore fin dal salotto, sbuffando si trascinò in camera sua, sfilandosi la giacca e lasciandosi cadere sul letto, sprofondando quasi subito in un confusionale vortice di colori e suoni che lo trascinò nell’oblio.
Caldo.
Caldo.
CALDO.
Sherlock scattò a sedere respirando a fatica, portandosi le mani al collo, sentendosi soffocare, ma trovò solo la sua gola nuda: si era già sbottonato e tolto la camicia nel sonno, si asciugò il sudore dalla fronte; abbassò lo sguardo trovando la risposta: la sua erezione era lì, impertinente ed esplicita sotto i suoi pantaloni, si accarezzò il collo, ascoltando il battito accelerato del suo cuore, ringhiò, voltandosi di lato e premendo il cuscino sulla testa, imponendosi di dormire e di distogliere l’attenzione dall’amico arrogante.
Cadde in uno stato di dormi veglia e quando tornò a casa John, lo sentì a fatica, se ne accorse solo quando il dottore entrò nella sua camera: Sherlock si riscosse, rannicchiandosi su se stesso.
<< Sherlock? >> bisbigliò John, appoggiandogli una mano sulla spalla.
Caldo.
Caldo.
Aprì gli occhi e si voltò a guardare John con il viso a pochi centimetri da quello del dottore, che fece per spostarsi, ma Sherlock gli agguantò un braccio tenendolo.
<< Sherlock.. >> bisbigliò John. << Cosa…? >>
Ma prima che potesse finire di parlare il consulente investigativo aveva incatenato le sue labbra su quelle dell’amico.
CALDO.
Aveva bisogno di risentire di nuovo quel calore, lo stesso calore di Eliza stretta tra le sue braccia.
Anche lei aveva provato quel caldo quando lo baciava?
John era rimasto immobile, scioccato, almeno fino a quando la lingua di Sherlock non si fece invadente e rabbiosa tra le sue labbra, quel accaloramento lo tramortì, le labbra del consulente erano morbide e caldissime, molto più di quanto potesse mai immaginare, sfilò le braccia dalla presa di Sherlock e si infilò accanto a lui nel letto premendo la sua lingua a giocare con quella dell’amico, senza nemmeno rendersi conto di cosa stesse facendo.
Caldo.
Pensa, Sherlock.
Cosa doveva fare?
Cos’avrebbe detto Eliza?
Non pensare, agisci. – la voce di Lizzy gli esplose nella testa.
Sherlock portò le mani alla camicia di John, sbottonandola rapidamente.
<< Sherlock >> borbottò John. << Aspetta.. >> lo fermò e lo osservò.
Ma che diavolo stava facendo?
Lui non era gay. E nemmeno Sherlock lo era.
<< Perché lo stai facendo? >> chiese, John osservando Sherlock respirare affannosamente, si era appena riscosso ma era ancora evidente l’erezione, il detective seguì il suo sguardo, notando che nel sonno si era sfilato anche i pantaloni.
<< Volevo.. sentire ancora.. come Eliza >> sospirò Sherlock, distratto, allungando le mani tremanti verso il viso di John.
<< No.. aspetta.. perché con me? >> sbuffò John, allontanandolo di nuovo, incredulo dal gesto dell’amico e dall’evidente stato confusionale in cui si trovava.
<< Perché tu sei.. sei importante.. anche Lizzy lo era, ovviamente e.. io non ho.. >> esclamò passandosi le mani tra i capelli, spaventato e tremante.
<< Sherlock! Calmati! >> esclamò John, facendolo sedere e premendogli le mani sulle spalle, mentre lo sguardo di Sherlock si posizionava saldo su di lui. << Ok.. ora calmati.. Lizzy non c’è più.. dovresti trovare qualcun altro.. >>
<< Perché? >> chiese Sherlock, passandosi una mano tra i capelli. << Non provo attrazione per nessuna.. >>
<< La provi per… me? >> domandò il dottore, dopo un secondo d’esitazione, cercano di trattenere il rossore improvviso che stava lottando per salirgli alle guancie.. o per raggiungere altri posti leggermente più in basso.
Sherlock ricambiò lo sguardo << Tu sei diverso.. tu ti sei fidato quando nessun’altro l’ha fatto.. mi hai aspettato.. >> disse << Sì >> aggiunse alla fine dopo diversi secondi, guardando negli occhi John. << Però non sei gay.. eppure non ti sei tirato indietro al mio bacio pochi minuti fa, o a quel’altro o sbaglio? >>
<< Ero talmente.. >> tentò di scusarsi. << Avanti.. come diavolo siamo finiti a.. >>
Ma Sherlock non gli dava già più retta, osservando il suo migliore amico arrossire: gli sfilò la camicia tra le sue proteste e premette le sue labbra sulle sue di nuovo, ripercorrendo con la mente le poche esperienze con Eliza, e tentando di imitare i suoi gesti sbottonò i pantaloni di John, mentre questo si lasciava sfuggire un gemito, mentre lo spingeva  contro la testiera del letto mordicchiandogli il collo, riuscendo ad aprire i suoi pantaloni e vi infilò la mano dentro.
<< Sherlock! >> esalò John, scioccato, mentre Sherlock iniziava a massaggiarlo, il dottore cedette e si rilassò, non riusciva a creare nessun collegamento logico riusciva solo a sentire il caldo tra le mani di Sherlock e i suoi gemiti mentre il dottore passava le dita tra i suoi capelli, tirandoli e sospirando sonoramente, accarezzando con la gamba l’interno coscia del suo compagno che continuava a mordergli il collo.
Caldo.
<< Sherlock.. >> sospirò John.
Il consulente si rese conto di ciò che stava facendo e non aveva la minima intenzione di fermarsi: gli piaceva!
Gli piaceva il leggero sapore salato del sudore di John, la sua gola allungata e riusciva a sentire il battito accelerato del suo cuore se premeva la lingua contro la giugulare, gli piaceva sentire l’eccitazione di John nella sua mano e gli piaceva la sensazione che tutte queste cose suscitavano nel suo corpo, passò la mano sulla sua schiena e gli accarezzò i capelli, tirandoli leggermente.
Caldo.
Le labbra di Lizzy.
Il corpo di John.
Il calore sotto il suo corpo.
Il dottore sembrò prendere vita sotto il rossore e sotto il corpo di Sherlock, sentiva la sua mano e il piacere che gli stava dando e senza pensare, senza rendersene conto aveva allungato il braccio infilando le dita nei boxer di Sherlock, toccandolo e facendolo gemere a sua volta: la prima volta vennero così, ognuno nelle mani dell’altro; mentre continuarono a sfiorarsi e a baciarsi finché non tornarono entrambi a respirare normalmente, e poi il dottore lo trattenne, allungando le braccia e abbracciandolo, gli accarezzò i capelli e lo baciò sulla fronte: credeva fosse bellissimo, così rosso in viso e il respiro era ancora esageratamente pesante, Sherlock rise << Non intendevo finire così >>
<< Nemmeno io >> esclamò John, con Sherlock acciambellato come un gattino di un metro e ottantaquattro contro il suo fianco. << Cosa dobbiamo fare? >>
<< Andresti a prendermi una sigaretta? >> ribadì Sherlock.
<< Non era esattamente quello che volevo dire >> rise John. << E no, comunque >>
<< Cambierà qualcosa per te? >> bisbigliò Sherlock, rassegnandosi a superare l’argomento e a tornare su quello serio, anche se era quasi timoroso della risposta.
<< No, nulla, non cambierà nulla.. >> sorrise John. << E se preferisci che la gente non lo sappia possiamo fare a meno di urlarlo ai quattro venti >>
Sherlock sembrò rilassarsi e tornò di nuovo in un leggero stato di dormi veglia in poco tempo.
John non riusciva a dormire e rimase quasi tutta la notte sveglio a pensare a quello che stava succedendo, o meglio: l’avrebbe voluto fare, se Sherlock non si fosse svegliato di colpo nemmeno un’ora dopo essersi addormentato: tremava violentemente e rimase immobile contro il petto di John.
<< Sherlock? >> bisbigliò John appoggiando una mano sulla spalla di Sherlock.
Il consulente si voltò di scatto a guardarlo, riassumendo di colpo la propria espressione neutrale. << Scusa. Un brutto sogno >> borbottò e fece per chinarsi di nuovo sul petto di John.
<< No, aspetta! >> disse il dottore. << Che sognavi? >>
<< Nulla >>
<< Sherlock >>
<< Nulla. >> ribadì. << Non ricordo nulla, solo la sensazione di.. vuoto >>
<< Se vuoi puoi parlarmene >>
<< Te l’ho appena detto >> sbuffò Sherlock spostando il viso, ma John lo trattenne.
<< Va bene.. va bene.. >> sorrise John baciandogli i capelli. << Ci sono io >> borbottò; mentre Sherlock si alzò e agguantò il lenzuolo tirandolo sopra di loro e si allungò di nuovo sul suo petto, infossando il viso nell’incavo del collo del dottore, che stringendo leggermente il lenzuolo, passò le braccia attorno alla schiena di Sherlock.
La mattina dopo il consulente si svegliò da solo e dopo aver sfilato dal letto con un paio di strattoni ben piantati il lenzuolo, vi si avvolse e si diresse in cucina seguendo l’odore del caffè e osservò John intento a preparare il nettare alla caffeina, che porse a Sherlock assieme ad un bacio sulla guancia; Sherlock sbuffò e si allontanò bevendo il caffè, notando che, nonostante John fosse già completamente vestito e pronto, il segno violaceo sul collo, ricordo di quella notte, era bello evidente sulla pelle.
John ci aveva rimuginato sopra tutta la notte praticamente e si era convinto di non essere assolutamente gay, insomma.. non aveva mai provato attrazione per nessun altro uomo, eppure era riuscito ad avere un’erezione pensando a Sherlock che lo toccava: all’alba aveva deciso che Sherlock era l’eccezione che confermava la regola, ma era sicuro che finché lui gli avesse ronzato attorno John l’avrebbe seguito come un cagnolino obbediente, il sociopatico aveva scelto bene il proprio compagno.
<< Che vuoi fare oggi? >> chiese John, bevendo il suo caffè.
<< Cosa vuol dire? Non avevamo detto giornate normali? >> borbottò Sherlock lanciandogli un’occhiataccia.
<< Già.. e oggi non ho voglia di andare a lavoro, ergo mi sono preso un giorno libero, tu non hai un caso tra le mani.. pensavo che potevamo andare a fare un giro.. no? >> domandò il dottore.
Sherlock rimase in silenzio a finire il caffè. << Andiamo a pranzo da Angelo? >> chiese dopo un po’ a bassa voce. << È un po’ che non torniamo >>
<< Va bene.. spero almeno tu ti vesta per uscire >> sorrise John, felice d’averla spuntata.
Sherlock non rispose e si chiuse in bagno.
Arrivarono da Angelo camminando fianco a fianco in silenzio e John ammetteva che il silenzio del consulente lo stava facendo innervosire: si era forse pentito?
Sherlock chiese un tavolo appartato e tranquillo, e appena si sedettero Angelo portò loro la solita candela rossa, sorridendo soddisfatto, quando notò che John non si oppose al gesto, e si allontanò dopo aver preso l’ordine di entrambi e aver continuato a ripetere che ovviamente non avrebbero dovuto pagare.
<< Non ho fame >> borbottò Sherlock, appena il ristoratore si allontanò.
<< Non dire scemenze è da martedì sera che non mangi.. oggi è domenica! >> esclamò John.
<< Solo perché tu non mi hai visto mangiare non significa che io non l’abbia fatto >> ribatté Sherlock.
<< Non attacca con me >> borbottò John. << Mycroft potrà fingere di crederci, ma non io.. so che non hai mangiato >>
Sherlock sbuffò e si mise a fissare la gente del ristorante nella penombra.
<< Tutto ok? >> chiese Angelo tornando, dopo qualche minuto con le ordinazioni. << Non avrete litigato eh? È per tutti i casini che stanno succedendo? A proposito Sherlock.. mi dispiace molto per Lizzy >>
Sherlock fece un leggero sorriso e alzò una mano per ringraziarlo, dopodiché diede tutta la sua attenzione al piatto che aveva davanti, Angelo se ne andò facendo l’occhiolino a John.
<< Sta zitto e mangia! >> sospirò John, prima che Sherlock potesse fare un commento.
<< Perché sei voluto uscire a pranzo? >> chiese Sherlock che nel giro di pochi minuti aveva finito di mangiare.
<< Tu perché sei venuto? >> ribatté John.
<< Non avevamo detto che di giorno ci saremo comportati normalmente? >> sollecitò Sherlock.
<< Perché non lo stiamo facendo? Siamo venuti qui moltissime volte da quando ci conosciamo >> si arrese il dottore, rispondendo. << E poi avevo voglia di uscire un po’ e non avevamo nessun caso >>
<< Quindi questo non è.. un appuntamento? >> domandò Sherlock.
John arrossì e quasi si strozzò con la pasta, bevve avidamente un bicchiere d’acqua << No! >> tossì, << Cioè.. se tu vuoi.. >> borbottò, distogliendo lo sguardo, e osservando Angelo far accomodare diversi ragazzi che continuavano a ridere e a parlare ad alta voce e si sedettero, per fortuna, molto lontano da dove erano loro.
<< Come primo appuntamento è molto banale >> disse Sherlock, seguendo il suo sguardo.
<< La nostra.. ehm.. >> che diamine era? Una relazione? Una.. tipo.. scopamici? << Be'.. qualunque cosa sia iniziato questa notte.. non è normale, no? quindi possiamo dire che anche un’uscita del genere possa essere originale >>
Sherlock rimase ad osservarlo per un po’ << Che cosa si è dopo aver fatto sesso? Ma si poteva definire sesso? >>
<< Non ne ho idea.. forse sì.. >> sospirò John, quasi non ci credeva che stava davvero spiegando certe cose ad una persona con l’intelligenza di Sherlock. << Salvo alcune volte.. nulla in particole.. di solito prima si esce insieme e si è già definiti ‘coppia’ quando si va a letto insieme >>
<< E le ‘alcune volte’? >> domandò Sherlock vago.
<< Per farti un esempio che tu possa conoscere: tu ed… Eliza >> iniziò John, mentre il viso di Sherlock si irrigidiva sentendo il nome di Lizzy. << Voi due eravate già molto legati.. amici da così tanto tempo che è stato solamente come passare ad uno scalino più in alto.. eravate già praticamente insieme.. >> cercò di spiegare.
Sherlock annuì, lo sguardo fisso su John, che si sentiva osservato e innervosito da quell’occhiata inquisitrice.
<< Lizzy.. lei.. aveva detto che non sarebbe stata la mia… fidanzata >> confessò con una piccola smorfia. << Diceva che non era la persona adatta a me.. >> continuò, bevendo un lungo sorso d’acqua. << Credo sapesse dall’inizio che sarebbe finita così >> aggiunse dopo un aver riposto il bicchiere su tavolo, ripensando alle piccole allusioni che lei aveva fatto.
John non rispose, sconcertato da quello che aveva detto e si innervosì soprattutto dal silenzio durante il quale Sherlock mangiò rapidamente, mentre lui faceva fatica ad ingoiare ogni singolo boccone, perché non aveva la minima idea di cosa dire; appena finì di mangiare Sherlock si alzò di scatto << Io devo andare in un posto >> annunciò, prima di dirigersi rapidamente fuori dal ristorante.
<< Ma che? >> borbottò John, osservando Sherlock allontanarsi, si costrinse a finire di mangiare, indispettito dall’essere stato lasciato così, quando finì si avviò verso la cassa per pagare il suo conto ma Angelo lo bloccò.
<< Oh, dottore! Ma le pare! >> esclamò il ristoratore, allontanando il portafogli di John con un gesto stizzito << Era così tanto tempo che non venivate a trovarmi.. ero preoccupato >> aggiunse, abbassando la voce << Mi dispiace per la ragazza.. era molto carina >>
John annuì << Lo era, sì >> distolse lo sguardo, cercando di portarlo a cambiare argomento, ma fu inutile.
<< Sherlock come sta? Avete litigato? È andato via così di fretta? >> borbottò Angelo.
<< Sta.. sta relativamente bene.. insomma.. >> tentò John. << e comunque non abbiamo litigato >>
<< Bene.. bene.. tornate a trovarmi >> sorrise, malinconicamente lasciando John ad uscire rapidamente.
Voleva fare una cosa prima di tornare all’appartamento e sperava che Sherlock non l’avesse notato: prima di uscire aveva preso il telefono di Eliza e voleva andare a stampare la foto della ragazza assieme a Sherlock, un piccolo ricordo per lui.
Passò rapidamente in uno studio fotografico, dove lasciò la foto e andò a fare un giro nel parco poco distante mentre aspettava che la stampassero.
 
Sherlock camminò rapidamente per tutta la strada che lo divideva dal 221B e lo superò senza degnare di un’occhiata la porta, si avviò verso il supermarket dietro l’angolo, entrò e si guardò attorno – sperando di non trovare nessuna persona di sua conoscenza – agguantò un carrello e percorse rapidamente tutti i corridoi, afferrando qualche oggetto ogni tanto e, dopo aver pagato, tornò all’appartamento, costatando felicemente che John ancora non era tornato: andò al frigo e sistemò la maggior parte dei suoi esperimenti su un paio di ripiani, invece ordinò il resto del cibo sugli scafali rimanenti; aveva scelto le stesse cose che ricordava aver visto quando Lizzy faceva la spesa, quindi aveva fatto bene.
Si sfilò la giacca e si lasciò cadere sulla sua poltrona a fissare la bandiera dell’Inghilterra sul cuscino di fronte a lui, allungò la mano per prendere il telefono di Eliza ma le sue dita incontrarono solo fogli, libri, giornali e il suo cellulare personale, si guardò attorno, cercando con gli occhi il telefono della ragazza, alzandosi di scatto con un leggero moto di panico e andò a cercarlo in cucina e in camera sua: eppure era sicuro che quella mattina il telefono di Lizzy fosse sul tavolo!
Corse giù dalle scale cercando tracce della presenza di un intruso o di un effrazione, aprì la porta dell’appartamento continuando a cercare e si trovò davanti John.
<< Hai tu il telefono di Lizzy? >> chiese, infilando la testa fuori guardandosi attorno.
<< Sì, certo >> rispose John, spostando Sherlock di lato e salendo le scale.
<< Cosa? >> esclamò Sherlock << Che diamine ci facevi con il suo telefono? >>
<< Volevo.. volevo farti una sorpresa >> borbottò John, entrando nell’appartamento seguito da Sherlock.
<< Una sorpresa? >> borbottò il consulente. << Cosa? >> ripeté Sherlock.
John si voltò estraendo la sporta di plastica dalla tasca interna della giacca, allungandogliela e osservano la sua espressione incuriosita. << A cosa ti serviva il telefono di Lizzy per farmi una so.. >> borbottò, restando fermo a fissare intontito la foto nella semplice cornice nera. << Ti ringrazio, John >> aggiunse allungandosi e baciando John sulla guancia, che si voltò e gli lasciò un leggero bacio a stampo.
<< Va bene? >> chiese John.
Sherlock annuì e strinse forte la foto, fino a far sbiancare le nocche.
<< Quando l’avete scattata? >> domandò John, stringendo il braccio del consulente e portarlo a sedere sulla sua poltrona.
<< Un anno dopo che ci eravamo conosciuti.. >> borbottò Sherlock sfiorando con la punta delle dita il viso sorridente di Lizzy. << I capelli le erano cresciuti rapidamente e aveva chiesto di fare una foto insieme perché voleva immortalare quel momento: decise allora che non si sarebbe mai più tagliata i capelli.. li riteneva un simbolo della propria libertà e della sua femminilità.. >> spiegò.
John si sedette sul bracciolo della poltrone e gli passò una mano sulle spalle, stringendolo contro il suo petto, rimasero così per un bel po’ di tempo, nessuno dei due sentiva il bisogno di fare altro che restare lì vicino.
<< Ho fatto la spesa >> borbottò Sherlock dopo quelle che sembrarono minuti, invece erano passate quasi due ore.
<< Stai scherzando? >> rise John.
<< No.. è tutto nel frigo >> ribadì Sherlock, seriamente.
<< Ti ringrazio >> sorrise John. << Non avevamo quasi più nulla.. e soprattutto non avevo voglia di uscire.. >> borbottò alzandosi e sfilandogli dalle mani la foto, appoggiandola sulla mensola davanti allo specchio. << Preparo del tea, ok? >>
Sherlock non rispose reclinando la testa all’indietro, chiuse gli occhi e si addormentò cullato dai rumori familiari di John che si muoveva in cucina.
Corse rapidamente sulle scale del suo palazzo mentale e osservò la stanza dove aveva rinchiuso i suoi sentimenti: la porta era fuori dai cardini ed era rotta in diversi punti, come se fosse stata presa violentemente a calci, borbottò avvicinandosi e osservando dentro, le pareti erano ancora più distrutte e come la volta precedente non c’era nulla in disordine; al centro c’era Lizzy – o chiunque dovesse rappresentare – rannicchiata su sé stessa, tremante come una foglia.
<< Che succede? >> chiese Sherlock avvicinandosi, innervosito dalla presenza della ragazza lì davanti.
<< Abbiamo paura >> borbottò lei. << Non ci hai mai lasciati uscire.. ora non sappiamo come reagiremo tutti insieme >> Sherlock rimase davanti alla ragazza, in piedi ad osservarla riprendersi ed alzarsi a sua volta. << Però hai capito quello che sapevi >>
Sherlock annuì << Be', vedete di riprendervi >> borbottò voltandosi << E non pensare di avere tutta questa libertà! Non ho intenzione di farmi dominare dai sentimenti >>
<< Eppure l’hai già fatto >> sorrise la ragazza, voltandosi di spalle e annusando l’aria. << Ho voglia di tea.. >> disse, uscendo dalla stanza.
<< Ecco il tea! >> esclamò John, porgendo a Sherlock una tazzina, questo lo prese in silenzio, sbattendo diverse volte le palpebre e osservando John avvicinare la sua poltrona a quella del consulente che lo osservava incuriosito: aveva occhiaie e sembrava perennemente preoccupato per qualcosa.
<< Cosa succederà adesso? >> chiese dopo un po’ Sherlock, distogliendo lo sguardo e fissando la porta della propria stanza.
<< Restiamo insieme >> rispose, semplicemente, John.
 
Epilogo
Era il 14 febbraio e nonostante fosse il loro primo San Valentino insieme, sia John che Sherlock sembravano aver sorvolato di comune muto accordo la festività, principalmente perché la loro storia era rimasta segreta, o almeno così a loro piaceva pensare, soprattutto perché ormai tutti l’avevano capito ma nessuno dei due aveva interesse nell’ufficializzare la cosa, né nessuno aveva mai trovato il coraggio di chiedere effettivamente a Sherlock o a John quale fosse la verità, anche se Molly aveva sempre un sorriso stupido ogni volta che li vedeva girare assieme, per un tocco o una parola sussurrata troppo vicino.
Il consulente investigativo si recava al cimitero quasi tutte le settimane a portare dei fiori all’amica: inizialmente si era limitato a fiori che lei preferiva, ma successivamente avvezzo al significato delle piante aveva iniziato a portarle mazzi di fiori intelligenti.
E il giorno prima aveva insistito – nemmeno tanto – con John per portarle un mazzo di fiori per San Valentino, John sembrò entusiasta dell’idea e gli chiese se volesse che lo accompagnasse: Sherlock rimase in silenzio per quasi un’ora prima di rispondere con un semplice << Sì >>.
John tornò a casa nel primo pomeriggio – aveva smesso di lavorare all’ambulatorio di Sarah per aprirne uno piccolo tutto suo – e trovò Sherlock seduto sulla sua poltrona a suonare il violino, con accanto un enorme mazzo di fiori appoggiato sul tavolino.
<< Andiamo? >> chiese John, senza nemmeno togliersi il cappotto e aspettando che Sherlock lo raggiungesse sulla porta, storcendo leggermente il naso per il forte odore derivante dai fiori.
Chiamarono un taxi e si diressero silenziosamente al cimitero, dove Sherlock depose delicatamente il mazzo a terra davanti alla lapide.
<< Che fiori sono? >> chiese John, mentre Sherlock tornava vicino a lui.
<< Garofani rosa, Giacinti viola e Eliotropio >> spiegò << Significano “non ti dimenticherò mai”, “perdonami, ti prego” e “affetto devoto” >>
<< Adatto per l’occasione >> sorrise John, ironico. << Ma credo che Lizzy apprezzerà comunque il gesto >> aveva preso l’abitudine di usare anche lui il nomignolo della ragazza.
Sherlock annuì << Le nostre facoltà, i nostri desideri, il nostro cibo, sono in realtà cose di prima necessità per la nostra esistenza. Ma questi fiori rappresentano qualcosa di più. I loro profumi e i loro colori sono un abbellimento della vita, non una condizione di essa. È la bontà soltanto che ci offre delle cose in più, e perciò dobbiamo sperare nei fiori >> disse, solennemente, sistemandosi il violino sotto il mento ed iniziò a suonare una canzone che John aveva sentito diverse volte alla radio, ma non ne ricordava il titolo, evidentemente a Lizzy piaceva molto, perché Sherlock la allungò parecchio, ma il dottore non se ne fece un problema e rimase seduto vicino alla lapide ad ascoltarlo, come faceva spesso assieme a Lizzy, mesi prima.
Mentre riponeva il violino Sherlock si voltò ad osservare John che con un fazzoletto puliva la foto che era stata aggiunta alla lapide – un desiderio dei suoi amici. << John >> disse, tornando a dare retta al violino << Nel mazzo di fiori ce n’è uno spaiato, ti spiacerebbe prenderlo? >>
John lo osservò per un paio di secondi prima di raccogliere il mazzo di fiori da terra, notando solo in quel momento che al centro del mazzo c’era una petunia. << Devo tirarla fuori? >> domandò John, sfiorandone delicatamente i petali.
<< Sì, John, è per te >> disse Sherlock, chiudendo di scatto la custodia del violino.
<< Che cosa vuol dire? >> chiese John, estraendo delicatamente il fiore dal mazzo per non smontare la composizione.
<< Scoprilo >> sorrise Sherlock. << Buon San Valentino, Lizzy >> aggiunse sfiorando leggermente la lapide con la mano, e superando John nell’uscita dal cimitero.
<< Sherlock! >> esclamò John, seguendolo. << Non hai intenzione di dirmelo? >>
<< Preferirei che lo andassi a cercare.. non c’è divertimento altrimenti >> sorrise Sherlock chiamando un taxi.
John non disse nulla e annusò delicatamente la petunia soppesandola con le dita, nonostante sapesse di sembrare uno scemo, era davvero felice per aver ricevuto un fiore da Sherlock, qualunque cosa significasse.
<< Io non ti ho preso niente >> borbottò John.
<< Invece sì >> rispose Sherlock, guardando fuori dal finestrino. << Scopri qual è il significato di quel fiore, e lo capirai >>
Quando tornarono a casa John corse a prendere uno di quei volumetti sul linguaggio dei fiori che Sherlock aveva sempre avuto negli scaffali, senza dargli molto peso.
“Petunia – La tua presenza mi consola”
Sorrise mentre sentiva Sherlock andare in cucina e, lasciando cadere il libro per terra, lo raggiunse e gli cinse le spalle con le braccia mentre il consulente era seduto, Sherlock borbottò infastidito, ma si lasciò abbracciare e successivamente baciare dal dottore.
<< Buon San Valentino, Sherlock >>
 
I will never let you fall
I'll stand up with you forever
I'll be there for you through it all
even if saving you sends me to heaven.
The Red Jumpsuit Apparatus, ‘Your Guardian Angel’
  
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