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Autore: Love_in_idleness    05/01/2007    0 recensioni
C'è una sola cosa che accomuna tutti gli uomini in tutto il mondo - il Tempo. Probabilmente, in un angolo del pianeta, nello stesso istante, un’amicizia nasce ed un’altra si spezza; qualcuno porta il lutto, qualcuno ricomincia a vivere; qualcuno muore, qualcuno nasce; qualcuno si innamora, qualcuno si dimentica la passione; qualcuno vive incubi abissali, qualcuno contempla un paesaggio nell’assoluta solitudine. *AVVERTENZA* - la storia è formata da one-shot slegate tra loro. Solo il capitolo II è drammatico e il capitolo X shonen-ai.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Primo aggiornamento dell

Primo aggiornamento dell'anno! Il 2007 porterà molti cambiamenti nella mia vita, speriamo in positivo ^_^...

Per Fuuma come al solito un grazie particolare, Grazie per il commento! La prossima città è---

Москва. E' una delle ultime un po' tristi, lo giuro. Il tema del Giorno: Solitudine.

 

V.

[Mosca; Ventuno Novembre 2006, 19.58]

 

Il tempo è sempre lo stesso in ogni luogo. A volte cambia l’ora, a volte il giorno, a volte la luce. In ognuna di queste sue trasmigrazioni permane la stessa essenza, lo stesso movimento proteso in avanti. È fondamentalmente un attimo cristallizzato nell’infinito, un unico istante vissuto da milioni di anime – quel tempo era una confusa sera di Novembre che sembrava fondere il blu del suo cielo con l’abbaglio delle luci colorate della città, accese e palpitanti ai bordi delle immense strade affollate.

Ekaterina camminava barcollando per le vie del centro, aggrappandosi alle cose e alle persone che scorrevano veloci attorno a lei. Guardò l’orologio e non capì molto bene. Credeva fossero le sette e cinquantotto, ma non poteva dirlo con assoluta sicurezza, perché ogni dettaglio reale della città e della gente che incontrava le sembrava estremamente vago, confuso, dilatato, fuori posto. Aveva la strana sensazione di stare oscillando come una nave in piena tempesta, eppure non lo voleva, non lo desiderava, si diceva solo di camminare dritta per tornare a casa – sempre avanti per quello stradone, giù nel sottopassaggio senza scivolare dalle scale, il primo treno verso una meta che, al momento, le sembrava di aver dimenticato.

Non sapeva nemmeno più cosa le fosse successo. Si era scordata ogni cosa? Scuoteva un po’ troppo la testa. Aveva la strana, disarmante sensazione, di non essere in grado di arrivare a casa da sola.

In quel momento scendeva i gradini della scala maestosa. La sua mente aveva perfettamente chiaro il piano della Novoslobodskaja, ma questa esaustiva visione si fermava dentro le sue mura. Era una costruzione grandiosa, questo lo sapeva. Una delle più vecchie stazioni di Mosca e una delle più vecchie metropolitane del mondo. Ricordava vagamente di averla studiata in qualche corso di architettura. Non era strano. Le stazioni della metropolitana moscovita sono quasi sempre delle opere d’arte grandiose. Percorse pochi metri della galleria buia che si incuneava nella terra e sentì di lontano, ovattato dal rumore della gente che le scorreva accanto senza fermarsi, senza conoscerla, senza guardarla, lo sferragliare stridente dei treni che andavano e venivano come la sua memoria.

Possibile che nessuno si accorgesse del suo malessere? Avrebbe voluto gridare, ma non ne aveva la forza. Si accasciò con un rantolo contro il muro freddo, rassegnata all’idea di non ricordare dove dovesse dirigersi.

Gli occhi della gente erano freddi e vuoti. Ekaterina aveva la paura di folle di essere schiacciata da un treno che all’improvviso deragliasse dal suo percorso ordinario, o dal soffitto della stazione che sembrava così solido, eppure sprofondava nelle viscere della terra di molti metri raggelanti. Sotto quelle volte chiuse si sentiva quasi seppellita in una maniera improbabile ed imprevista. Era come una gigantesca oltretomba scintillante popolata da mille spettri trasparenti che scivolavano via nell’indifferenza più totale e disarmante.

Aggrappata a quel muro, agonizzava. Le pareti della stazione la confortavano modestamente col loro blu violento e le loro vetrate simili a quelle di una chiesa cattolica. Proprio come nelle cattedrali che aveva visto in Europa, quelle dove non esistevano icone dorate e tutte uguali, e dove la messa era celebrata per tutti su un altare rialzato, non all’interno di una strettissima, celata iconostasi. Nel vuoto annegamento della sua ragione si aggrappava alle figure ammantate di splendore e tutte uguali della tradizione ispirata ortodossa. Aveva sempre pensato che emanassero una luce più pura ed una magnificenza sconosciuta ai marmi candidi di Michelangelo e alle tinte sfumate di Leonardo. Quell’alone di sacralità e di staticità ieratica le sembrava un piccolo, fulgido punto fermo in un mare turbolento.

La sua testa scoppiava. Ekaterina non vedeva più nulla. Mille persone le passavano davanti come trascinate via dalla corrente di un fiume che scorre in piena, e se ne andavano senza aiutarla, senza compatirla. Le mancava il respiro. Allora le sembrava già di soffocare. La testa le girava ed il cuore le batteva forsennatamente nel petto, sentiva il corpo pulsare ed un calore innaturale invaderle le membra. Appoggiò la fronte al marmo freddo sperando di ricevere conforto.

Un blu accecante le penetrò gli occhi, il cervello. Non ricordava – niente. Non capiva – niente. E nessuno si accorgeva della sua piccola, disperata battaglia condotta contro il pavimento di una scintillante stazione della metropolitana, così piena di persone, eppure così deserta di anime.

Urlò con tutto il fiato che aveva in gola quando la sensazione di orrore raggiunse il suo culmine e si accorse di non riuscire più ad aprire gli occhi. Cadde contro il pavimento in un tonfo sordo coperto dall’insopportabile stridio del treno che arrivava. Il deliquio si impossessava di lei. Sentiva tutto, anche se il suo corpo non si muoveva, non si alzava, non rispondeva alle sue sollecitazioni. Sentiva anche che, finalmente, qualcuno le si stava avvicinando per scuoterla.

Ekaterina aveva imparato una lezione fondamentale. Nell’agonia della sua inerzia aveva scoperto un dolore terribile, una sofferenza lancinante prodotta dalla svogliatezza, e questo peccato si chiama solitudine. La solitudine aveva bussato alla sua testa distrutta e l’aveva abbandonata lì, sul pavimento gelido della Novoslobodskaja, in un’ora qualsiasi di un giorno qualsiasi di Novembre, che con la sua indifferenza e la sua noncuranza le scivolava addosso e la dimenticava dentro agli abissi dell’incubo.

 

[Oh, Solitude]

 

___

Ho scelto la stazione di Novoslobodskaja (Credo si scriva Новослободская) perché ha queste pareti che mi hanno ricordato le nostre chiese. Le chiese mi piacciono in un modo paradossale dal punto di vista artistico. Le vetrate soprattutto. Così era piuttosto vicina alla mia immaginazione, anche se il suo nome è immenso. E poi mi piace la Russia, il Russo e tutte queste cose. Studierò il Russo, credo.

Oh, Solitude è una canzone di un gruppo strano di cui non ricordo più il nome, scusate...

Buona Befana a tutti XP

 

 

 

   
 
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