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Autore: Doe    19/06/2012    12 recensioni
DAL TESTO:
Poi, però, lo sento. Mi do mentalmente dell’idiota per non averlo sentito prima.
Un cuore che batte.
Rapido come lo sbattere delle ali di un colibrì.
L’ho spaventata.
Respiro il suo profumo.
È diverso dal ricordo che ho del profumo di Katherine.
È floreale. Una boccata d’aria fresca di primavera.
Lo gradisco.
(Chapter 1, I like her)
CONCLUSA.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Katherine Pierce | Coppie: Damon/Elena, Damon/Katherine
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8. Hurt  (Does she have feelings for me?)

 

Lei non ti amava, Damon.

Mando giù un altro sorso di bourbon.

Qualche tavolo più in là, due ragazzine, una castano biondiccia e l’altra rossa, mi mandano occhiatine ammiccanti, ridacchiando come una coppia di iene.

Le degno a mala pena del mio sguardo.

Un paio di settimane fa, mi sarei seduto al loro tavolo, avrei fatto un paio di battute a doppio senso e me le sarei portate entrambe a casa.

Adesso, quei tempi mi sembrano lontani anni luce.

Lei non ti amava, Damon.

Perché mi sembra di soffrire non tanto per queste parole quanto per quello che ha detto dopo?

Tu lo sapevi.

Lo sapevo davvero?

So che la risposta è .

Lo sapevo già allora, quando lei era viva, quando lei era con me pur non essendolo stata mai veramente.

Perché divertirsi anche con mio fratello, se era me che voleva per sempre al suo fianco? Perché scambiare il sangue con entrambi?

Ma lei è morta e io pensavo di poter fingere che tra noi ci fosse stato qualcosa di vero.

Probabilmente, dovrei chiedermi se le cose sarebbero andate diversamente, se non l’avessero bruciata in quella chiesa. Se adesso io e lei saremmo insieme.

Una parte di me non ha mai smesso di chiederselo.

Ma la risposta al quesito non mi è piaciuta, per questo ho preferito ignorare quella parte.

Non so cosa mi aspettavo che Elena dicesse, una volta raccontatale la mia storia.

Non so perché mi aspettavo una reazione diversa, delle parole diverse.

Chiunque avrebbe detto ciò che lei ha detto.

Chiunque mi avesse a cuore.

Solo che negli ultimi centoquarantacinque anni non ho incontrato nessuno del genere.

È così, quindi?

Elena tiene a me?

Elena tiene a me spontaneamente?

... No.

No, è ridicolo.

Elena può solo credere di volermi bene.

Una volta scoperta la verità, una volta resasi conto di ciò che le ho fatto, di come ho approfittato di lei, potrebbe solo odiarmi.

Io mi odierei.

È venerdì sera e non la sento da tre giorni. Da quella volta.

Ce l’ha con me?

Idiota, è perfettamente normale che ce l’abbia con te! Lei ti ha detto la verità, ha cercato di esserti amica, e tu l’hai cacciata via.

Amica.

Damon ha un’amica.

Ahah.

Suona strano.

E io sto ridendo solo.

Dev’essere l’alcool.

Basta bourbon.

Vai a cercarla. Dille che ti dispiace. Sii suo amico.

Una volta tanto, penso che darò ascolto al mio alterego.

 

 

Ma dove diamine si è cacciata?!

Non è a casa, non risponde al cellulare, non è con le sue amiche!

Non può essere.

La perdo di vista per settantadue ore e lei sparisce dalla faccia della terra.

L’auto non è nel viale d’accesso di casa Gilbert.

Fantastico.

Calma. Calma. CALMA.

Mystic Falls è una città piccola. Ritrovarla sarà un gioco da ragazzi.

Devo solo sperare che non sia uscita dalla città. O dai confini della Virginia.

Mentre penso, vago per le strade sulla mia Camaro.

Sono di fronte ad un locale dalle luci stroboscopiche – qualcosa di vagamente simile a una discoteca? – quando sento un paio di ragazzi fare il suo nome.

Non mi piace quello che stanno dicendo.

Non mi piace per niente.

Scendo dall’auto e li supero, soggiogando il buttafuori e introducendomi nel caos più totale.

La gente balla corpo contro corpo, la maggior parte non per sua volontà, ma perché le dimensioni del locale sono molto modeste.

Mi scrollo letteralmente di dosso due ragazze che indossano fasce per capelli al posto di gonne, viste le dimensioni parecchio mini, e finisco per dare un cazzotto a un tipo ubriaco che cercava rissa.

Per mia fortuna – perché non ho tempo da perdere – e sua – perché suppongo tenga alla sua pellaccia – è troppo sbronzo per riuscire ad alzarsi da terra, e dopo un paio di tentativi getta la spugna e si addormenta sul pavimento.

Nonostante il locale sia piccolo, non riesco a trovarla. C’è troppa gente.

Tendo l’orecchio, cercando di captare la sua voce, anche se la musica a palla non aiuta.

«Ehi, piccola! Ehi, tesoro! Avanti, scendi. Vieni più vicina. Dimmi come ti chiami

Nessuna risposta.

«Ehi, ti ho chiesto il tuo nome!»

«Si chiama Elena», risponde un altro per lei, ridendo.

«E-le-na. Un bel nome per una bella ragazza. Avanti, tesoro. Scendi che ci divertiamo!»

«Naah, non voglio! Io mi diverto di più qui. Voglio ballareee!»

«Puoi ballare anche qui, puoi ballare con me. Avanti, ragazzina, scendi.»

Non mi rendo conto nemmeno di essere riuscito ad aprirmi un varco tra la folla.

E di aver assistito alla fine della scena.

E di aver intimato minacciosamente al tizio di togliergli le sue luride zampe di dosso.

Non so nemmeno esattamente che faccia abbia il tipo.

Sono troppo concentrato sulla sua mano sulla coscia scoperta di lei, intenta a ballare disinibita su un cubo.

Assestargli un pugno in pieno viso mi viene naturale e spontaneo.

Poco naturale agli occhi degli altri, forse, il crack prodotto dal suo naso, che si rompe, e il volo che fa il resto di lui, finendo per sbattere sulla parete e creare persino una lieve crepa.

Mi guardano tutti allibiti. Una miriade di occhi fuori dalle orbite puntati su di me.

Trattengo a stento i canini frementi e il mio vero volto che brama di mostrarsi.

Mi volto e mi accorgo che persino Elena ha assistito alla scena, con occhi semichiusi, come non riuscisse a mettere bene a fuoco.

«Che ci fai tu, qui?», biascica.

È ubriaca.

Non che avessi dubbi.

«Scendi di lì, Elena. Andiamo via.»

«No!»

Incrocia le braccia al petto e fa il broncio, esattamente come una bambina cui viene negata qualcosa.

«Elena, scendi di lì ti ho detto», impreco tra i denti.

«E io ho detto NO! Voglio ballare!»

«Come preferisci.»

Salgo sul cubo e me la carico in spalla come fosse un sacco di patate, mentre lei batte i pugnetti sulla mia schiena, senza nemmeno riuscire a mettere insieme un paio di parole per ordinarmi di rimetterla giù.

«Ehi, amico. Lei è con noi

Voltandomi, trattengo a stento l’impulso di strangolare il ragazzino dai capelli troppo gellati che mi sta di fronte.

Se solo non ci fossero così tanti testimoni, lì dentro.

«Tu credi? Io invece ti consiglio di non fiatare più e stare lontano da lei, se ci tieni a questo ammasso di acne che tu chiami pelle, amico

Inchiodo il mio sguardo al suo.

«E riferisci questo messaggio agli altri coglioni: se una sola parola su questa serata e sulla mia ragazza uscirà dalle loro labbra, possono iniziare a scavarsi la fossa con le loro mani. Quello che ho fatto al tuo amichetto laggiù, vi sembrerà piacevole come un massaggio facciale, in confronto a quello che vi farò anche solo se vi sentirò pronunciare il suo nome. È tutto chiaro?»

L’idiota annuisce e dallo sguardo sembra stia per farsela nei pantaloni.

«Un’ultima cosa», aggiungo non contento. «Adesso ti infilerai l’intero contenuto di questo bicchiere nelle mutande davanti ai tuoi amici.»

Il ragazzino fa una faccia sofferente ma obbedisce.

Avanza verso la banda di coglioni ma non ho tempo di assistere alla scena.

Mentre esco dal locale con Elena sulle spalle, sento solo il suo urlo agonizzante e le risate del resto della gente.

Il che, comunque, non mi rende soddisfatto a sufficienza. Ma perché ciò avvenga dovrei torturare quegli energumeni in stile Saw, fino a sentirli implorare la morte, e poi lasciarli morire lentamente di dolore.

Al momento ho una ragazza ubriaca a cui pensare.

«Mettimi… giù!»

«Risparmia il fiato.»

«Da…on. Dico sul… erio. Mett…mi… ù. De…o vomita…e.»

«Oh, grandioso.»

Alla mia velocità, la porto vicino ad un albero e le reggo fronte e capelli, mentre rimette tutto ciò che si è bevuta e persino i succhi gastrici.

«Non ti hanno mai insegnato a non bere a stomaco vuoto?», mormoro sarcastico.

Lei prova a rispondermi, tra un conato e l’altro, con scarsi risultati.

Quando il peggio sembra passato, la infilo in auto e parto.

«Si può sapere che cosa diamine ci facevi in quel posto con quegli idioti?!»

Silenzio.

«Elena rispondimi! Sto parlando con te.»

«Piantala. Non sei mio padre.»

«Per tua fortuna. E rispondi alla mia domanda, per favore!»

«Ero a casa. Avevo finito la birra. Sono andata a comprarne un po’, li ho incontrati e mi hanno chiesto se volevo andare a ballare con loro. Fine della storia.»

Mi trattengo dall’imprecare.

«Cazzo, Elena. Credevo fossi dotata di un po’ più di maturità o, non so, istinto di sopravvivenza! Quei porci aspettavano solo il momento di… Se non fossi arrivato in tempo… Ma tu hai una vaga idea di quello che ti avrebbero fatto a serata ultimata? Ti avrebbero…»

«…Messo le mani addosso? Dov’è il problema? Lo fai anche tu

Freno di colpo.

«Non farlo mai più, se ci tieni al cruscotto della tua auto», mormora trattenendo un conato.

La ignoro.

«Non è la stessa cosa, Elena. Tu non devi neanche pensare di paragonare le due cose, okay?»

«Perché? Perché non è lo stesso? Spiegamelo, Damon! Perché io non lo capisco…»

Mi porto le dita alle tempie, frustrato, ma non parlo. Non so che dire.

«Dov’è la differenza? È sempre sesso. Soltanto sesso.»

Ha la voce incrinata e persino quando colgo il significato delle sue parole rimango zitto.

«Io non ti farei mai del male», mormoro qualche minuto dopo, fissando la strada buia davanti a me.

«Invece l’hai fatto.»

E mi lascia così, incredibilmente spiazzato, completamente sconvolto.

A mala pena credevo che ce l’avesse con me e invece scopro che l’ho ferita.

Ed è bastato così poco.

Allora è vero.

È vero che sente qualcosa per me.

E non basta più il senso di colpa che ho iniziato a provare quando ha paragonato ciò che faccio io con quello che quei bastardi avrebbero potuto farle.

Adesso mi sento in colpa per altro.

È incredibile.

Passi più di un secolo senza provare nulla, e poi incontri una persona qualunque che fa riaffiorare tutto, e ti plasma a suo piacimento senza che tu te ne accorga. Senza che se ne accorga persino lei.

Non so più cosa dire.

Non so nemmeno se c’è qualcosa da dire.

Se devo chiederle scusa o se risulterei scontato.

Vorrei solo che fosse facile.

Ma non lo è.

Non lo è mai.

Passano i minuti e nessuno dei due fiata.

Ho paura persino di guardarla, paura di leggere in quegli occhi umidi cosa prova.

Paura di vederci me stesso.

Lei apre lo sportello e scende.

Un attimo dopo la raggiungo e le reggo testa e capelli

«Faccio da sola.»

Invece sembra reggersi in piedi a mala pena.

Con l’altro braccio le circondo la vita e la tengo su, ignorandola.

Quando rientra in macchina so che sta evitando il mio sguardo di proposito.

«Perché non eri con Bonnie e le altre?», mormoro addolcendo il tono.

«Perché non mi andava.»

Pausa.

«E tu perché eri in discoteca?»

«Perché ti stavo cercando.»

Altra pausa.

«Cos’hai fatto negli ultimi tre giorni?»

Ancora pausa.

«Ho aspettato che mi chiamassi», ammette.

Sorrido.

«E tu, invece?»

Guardo la strada.

«Mi sono dato del coglione perché non riuscivo a farlo.»

E anche se non posso vederlo, so che adesso è lei a sorridere.


____________________________

Salve, mie carissime ^^

Lo trovo un po' incompleto come capitolo. Elena e Damon hanno ancora parecchio da chiarire. Il che avverrà soprattutto nel prossimo.

Spero vi sia ugualmente piaciuto.

Ringrazio, come sempre, chi preferisce/segue/ricorda la storia e in modo particolare chi la recensisce.

Come accennato nelle mie altre storie, nonostante la mia "pausa estiva", durante la quale mi sto dedicando a scrivere altro, questa è l'unica fan fiction che ho deciso di portare avanti. Per cui, se gli aggiornamenti non saranno rapidi, siate clementi. :)

Sempre vostra,

Lisa

   
 
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