Capitolo
9: Appartenenza.
Il Covo di Akatsuki è
costruito sotto terra. Per ovvi motivi non dirò con esattezza dove, vi basti
sapere che in origine era una base segreta creata dal primo Hokage in persona
in territorio nemico durante la guerra contro il villaggio della Pioggia,
serviva ai ninja di Konoha per spiare i nemici e, al tempo stesso, avere un
luogo non rintracciabile dove poter curare i feriti.
Sono passati anni da
quella guerra e ormai nessuno ha memoria di quella base, nemmeno gli stessi
ninja di Konoha… fu un fortunatissimo avvistamento di Zetsu, e Pain decise di
utilizzare quel luogo come Covo.
Spesso Deidara, per
scherzare, dice che è come se avessimo un debito di riconoscenza nei confronti
di Konoha, per averci inconsapevolmente fornito un Covo così straordinariamente
comodo, al che Kakuzu solitamente si sente in dovere di rispondere che è
disponibile a ricambiare in qualsiasi modo, purché non si parli di cominciare a
pagare loro l’affitto.
Peccato che le
prigioni di Konoha non siano comode allo stesso modo… ma forse il mio giudizio
è influenzato dal fatto di aver appena subito un interrogatorio in piena regola
da niente meno che Ibiki Morino in persona. Wow, che onore… ne avrei volentieri
fatto a meno, sono ancora così intontito dalle droghe che ha usato per
interrogarmi che la mano trema e la mente elabora a rilento, sto impiegando
troppo tempo a scrivere, spero solo di finire in tempo.
Il punto, però, non è
questo.
Essendo costruito
sotto terra, nel covo non c’erano finestre che dessero all’esterno e l’aria era
pesante, cosa che Hinata si ritrovò a maledire per la centesima volta quando si
svegliò.
Sentiva la testa
dolere da morire e pensò che un po’ d’aria fresca non avrebbe potuto che farle
bene. Non aprì subito gli occhi, cercando di ricordare come diavolo era finita
nel suo letto se fino a poco prima si stava allenando con Hidan, poi ricordò d’essere
andata con il “sensei” a cercare Itachi e di essere svenuta poco dopo.
“Magnifico” imprecò
mentalmente, per poi sbuffare e portarsi una mano a massaggiare le palpebre.
Socchiuse gli occhi e, dopo essersi
accertata che la stanza fosse al buio, li spalancò senza troppe cerimonie. Non
si aspettava di vedere Hidan o qualcun altro al suo “capezzale”, ma ciò non le
impedì ugualmente di sentirsi in qualche modo sola e abbandonata.
Si stiracchiò pigramente e si tirò
su, abbracciandosi le ginocchia; pensandoci bene, si disse che non era
sensazione d’abbandono, la sua, più che altro aveva lei stessa la sensazione di
aver abbandonato qualcuno, si sentiva confusa e qualcosa nei suoi ricordi non
quadrava più, come se avesse dimenticato qualcosa di vitale. Dandosi della
stupida scosse la testa, decidendo che si sentiva in quel modo solo a causa
dello svenimento.
“Bene, sono caduta giù come un
ramoscello e senza motivo” pensò, mentre il suo sguardo si posava su l’unica
sedia usata come comodino accanto allo scomodo letto. Vi era un voluminoso
pacchetto, con sopra un vecchio foglietto di carta, ingiallito dal tempo; ciò
che c’era scritto, però, doveva essere recente come il brillante inchiostro blu
che macchiava la carta con poche parole:
“È ora che tu abbia delle vesti più consone,
non ti pare?
Appena ti sarai cambiata,
raggiungimi nel campo di allenamento,
abbiamo una missione.
Hidan.”
Dovette leggere un paio di volte il
biglietto, prima di comprendere sul serio cosa doveva esserci all’interno del
pacchetto. Subito lo scartò e ne tirò fuori una morbida cappa rossa all’interno
e nera all’esterno, decorata a nuvole vermiglie circondate di bianco, la divisa
dell’Akatsuki. Finalmente faceva parte di qualcosa.
Quasi inciampò nelle lenzuola nella
fretta di alzarsi per indossare l’indumento, avrebbe tanto voluto avere uno
specchio dove poter rimirare la sua immagine ammantata da quel simbolo di potere,
per poi scacciar via quel pensiero frivolo da ragazzina vanitosa. Si strinse,
sentendo il calore e il profumo della veste; sapeva di buono ma anche
dell’odore che troppo spesso accompagnava i membri dell’Akatsuki, sangue.
Afferrò il coprifronte sfregiato e
lo osservò attentamente, rigirandoselo tra le dita: fino a poco tempo prima era
stato anche quello un simbolo di appartenenza, per poi diventare un simbolo di
non-appartenenza. Era fiera del fatto di non avere più nulla a che fare con
Konoha, quindi se lo infilò nella tasca interna della cappa, assieme ad alcuni
kunai e pochi shuriken, uniche armi che aveva.
Corse a perdifiato fino al campo di
allenamento, dove Hidan stava mollemente adagiato contro un albero e Kakuzu
dormicchiava tranquillamente su un ramo dello stesso.
«Scusate, mi sono ripresa solo ora»
mormorò la ragazza, chinando la testa in segno di scuse.
Hidan agitò una mano con noncuranza,
poi alzò lo sguardo in direzione del compagno di squadra, che aveva aperto gli
occhi all’arrivo della ragazza, tornando subito vigile, «Hey, nonna, hai finito
il sonno di bellezza?» lo rimbeccò con una smorfia.
«Fottiti, Hidan» si limitò a grugnire
il tesoriere, balzando giù dal ramo sul quale era appollaiato.
Fece finta di pensarci, l’albino,
«magari più tardi, grazie».
Come sempre a quegli scambi di
battute, Hinata arrossì e sbuffò, combattuta tra imbarazzo ed esasperazione;
ciò che non capitava spesso, a differenza di quella volta, fu l’essere
richiamati all’ordine dalla voce glaciale di Pain.
«E io che credevo di aver assoldato
dei Nukenin di grado S» sospirò il Leader, avvicinandosi da dov’era venuta
Hinata.
«Hey, il Leader viene a salutarci
per la partenza… stiamo diventando sentimentali?» domandò Hidan, giocando
distrattamente con un kunai e guardando con sufficienza Pain.
Questi non si scompose se non in una
lieve smorfia contrariata, «immagino che sarebbe ridicolo se giustificassi a te ciò che faccio, dico bene?» disse,
senza aspettare una risposta, per poi rivolgersi alla ragazza.
«Allora, non aspettarti le solite
missioni che svolgevi a Konoha» esordì, duro, «sei stata abituata a tornare a
casa dopo ogni missione, be’, non sarà più così. In questo momento siamo tutti
o quasi al covo per pura combinazione, solitamente quando si parte per una
missione per l’Akatsuki si rivede questo luogo dopo anni, abbiamo un sistema di
comunicazione che mi permette di informarvi delle vostre prossime missioni
senza che voi dobbiate tornare qua ogni volta. Ti sto dicendo questo perché
Hidan è convinto che tu sia già pronta per una missione, io non ne sono
pienamente sicuro e preferisco che tu sappia a cosa vai incontro se andrai con
loro» il Leader si permise una pausa, durante la quale studiò attentamente il
viso della ragazza, che riuscì a sostenere lo sguardo di Pain in modo quasi
deciso; «la vostra destinazione è il Paese del Fuoco» concluse, cercando di
decifrare il rapido lampo che passò negli occhi di Hyuuga.
La ragazza abbassò lo sguardo,
pensando qualche secondo prima di decidere che una missione era una missione,
in qualsiasi luogo l’avesse portata.
«Non è un problema, credo di essere
pronta per una missione»
«Credi?»
Hinata alzò lo sguardo, affrontando
una seconda volta quello gelido del Leader. «Sono pronta» decretò.
Un rapido sorriso incurvò le labbra
di Pain, «in questo caso, mi duole dirti che la tua divisa è ancora incompleta»
disse, lanciandole è piccolo oggetto che lei prese al volo, «questo anello è
parte integrante della divisa di Akatsuki. Apparteneva ad Orochimaru, Zetsu è
riuscito a recuperarlo ieri sera ed ora lo affido a te… per ora è solo un
affidamento, sarà Hidan che deciderà quando sarai veramente pronta ad indossare
quell’anello al mignolo sinistro. Solo allora sarà tuo e tu farai davvero parte
di Akatsuki» spiegò, per poi voltarsi e tornare sui suoi passi.
[…]
Dopo la notte passato nella foresta,
finalmente io ed Hanabi riuscimmo a rimetterci in viaggio concludendo qualcosa:
riuscii a rintracciare la truppa d’insetti che si era persa e trovammo entro
sera l’entrata del villaggio dei Pescatori, unica cosa che ci separava dal
villaggio della Pioggia.
Hanabi, nonostante la fortuna
sembrasse favorirci, era terribilmente tesa e, se le mie priorità fossero state
altre, lo sarei stato pure io. Il modo in cui gli abitanti del villaggio
guardavano i forestieri come noi andava persino oltre l’ostilità. Si vedeva dai
nostri movimenti e dalla guardia mai del tutto assopita che eravamo Ninja e la
cosa sembrava indisporli ancora di più nei nostri confronti.
«Quanto ci metteremo ad abbandonare
questa fogna?» mi sussurrò Hanabi, con tutto l’autocontrollo di cui era capace…
non molto a dire il vero.
«Dobbiamo procurarci il necessario
per continuare a viaggiare, poi dovremo trovare un posto dove passare la notte.
Ripartiremo all’alba» risposi, senza curarmi di tenere la voce bassa come aveva
fatto lei.
Hanabi a quelle parole, si fermò in
mezzo alla strada, senza accennare a fare anche solo un altro passo.
Sbuffai. «Che c’è adesso?»
«Perché non possiamo partire questa
notte, piuttosto che perdere tempo e passare la nottata qui?»
Effettivamente il suo ragionamento
non faceva una piega, avremmo risparmiato un sacco di tempo, se fossimo partiti
di notte, ma avevo le mie ragioni, «è poco prudente affrontare un viaggio via
mare di notte, specialmente in quel tratto di mare. Anche se dal villaggio
della Pioggia non si aspettano attacchi da questo fronte, ci saranno delle
difese, seppur minime, e in mare ci sarà difficile evitarle senza almeno un po’
di visibilità, ecco perché partiremo alle primissime luci dell’alba» spiegai,
cercando di mantenere un tono ragionevole, poi sorrisi, coperto dal colletto
della mia maglia, «se ti inquietano gli sguardi di questa gente, pensa a come
ci guarderanno a Konoha se mai ci torneremo vivi» scherzai.
Sì, era uno scherzo, in quel momento
sinceramente stavo già cominciando a pensare che dopotutto sarebbero state
davvero scarse le possibilità di tornare realmente a Konoha.
Be’, a quanto pare mi sbagliavo, ora
a Konoha ci sono tornato. Contro la mia volontà, imprigionato come il peggiore dei
criminali, ma ci sono tornato, con la consapevolezza di non essere mai
appartenuto meno ad un luogo… ed ho visto gli sguardi che hanno accolto il mio
ritorno, in confronto al disprezzo ipocrita che vi ho letto, l’ostilità del
villaggio dei Pescatori era caldo e accogliente.
E voi, siete davvero sicuri di
appartenere al luogo in cui state leggendo queste righe?