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Autore: _Mally_    22/06/2012    3 recensioni
Lei si inginocchio su di me. I suoi occhi neri riempirono il mio mondo. -No no no, tesoro- fece petulante e spaventosamente dolce- Non devi sporcare questo meraviglioso faccino, monellaccia.
Ansimai, tentando di respirare, sebbene il sangue m'impastasse tutta la bocca. Lei continuò a parlare- Lo sai che questa bellezza fluirà via dal tuo misero corpicino, quindi...evita di rovinarla.
Il suo tono era diventato glaciale e annunciava ciò che ormai era il mio destino. Sarei morta e finalmente non avrei più sofferto. Ma non potei fare a meno di pensare a tutti quelli che conoscevo, sapendo che mi sarebbero sicuramente mancati. Così, per l'ultima volta, ripensai alla mia vita negli ultimi nove mesi.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Ma non è sua figlia.
Maggie si intromise nella conversazione. Ci girammo verso di lei sorprese.
-In realtà la Signora Arkwright è la sorella del padre della signorina Nancy.
-Sì, è mia zia- confermò lei tornando a girarsi verso il fuoco scoppiettante.
La guardai un attimo in silenzio. I capelli stavano ancora gocciolando e il suo sguardo era perso tra le fiamme, le quali si riflettevano negli occhi grigi e le illuminavano il giovane volto di luce calda; sebbene fosse ancora bagnata perlomeno aveva smesso di tremare.
- Allora, cosa facevate fuori con questo tempaccio?- ci chiese Maggie, le mani paffute che si affaccendavano a sistemare le tazzine su un vassoio con alcuni biscotti. Il bollitore prese a fischiare.
Nancy non disse nulla. All'improvviso mi tornò in mente l'uomo, mi aveva davvero inseguita? Ora che ci ripensavo forse mi ero fatta prendere un po' troppo dal panico. Dopotutto come potevo pensare che volesse inseguirmi, non sapevo chi era, né se mi ero immaginata tutto e poi, perché mai avrebbe dovuto? Non volevo dirle nulla, così provai a mentire.
-Ero andata al lago, poi quando ha cominciato a piovere mi sono messa a correre per tornare indietro, ma ci siamo scontrate, nell'impatto credo di esseri slogata la caviglia.
Be', in realtà non erano bugie, non mi riuscivano. Avevo semplicemente mescolato la verità in modo sintetico ed estromesso un passaggio più o meno importante.
-Cosa? Ma perché non me lo hai detto subito!?- esclamò Maggie, che intanto aveva versato il tè e si avvicinava con il vassoio in mano. Prese uno sgabello e ce lo poggiò sopra.
-Fammi vedere.
S'inginocchiò e con cautela mi sfilò la scarpa esaminando la caviglia. -Gonfia è gonfia. Ti fa molto male?
-Be', quanto basta a farmi zoppicare.- le risposi rimettendomi delicatamente la scarpa.
La Signora Arkwright irruppe nella stanza portando delle camicie da notte. -Sono del parere che stanotte anche la signorina Nancy dovrà passare la notte qui. Di certo non le do l'autorizzazione ad uscire con questo tempo e non si deve nemmeno scomodare a chiamare suo padre. Ci ha già pensato la sottoscritta.
Nancy sembrava presa dallo sconforto. Si voltò verso sua zia implorante, ma lei non la guardò neppure. Non avevo idea del perché non voleva rimanere, ma nei suoi occhi leggevo che era a disagio, che provava una profonda inquietudine tra quelle mura. Maggie si rialzò e andò ad aprire il freezer tirando fuori i classici piselli congelati e mi porse la confezione, che io afferrai.
- Bene, è mio avviso che debbano andare immediatamente a togliersi quegli abiti e mettere questi asciutti, Maggie provvederà a spostare il tè in camera di Cathlyn. Suppongo anche che farete una doccia calda.
Un paio di ore dopo -pulite, profumate e asciutte- eravamo collassate sul letto mangiucchiando gli ultimi biscotti del tè.
Eravamo rimaste in silenzio a lungo, guardando il soffitto a volta e dato che mi si stava congelando il piede tenendoci sopra i piselli surgelati, buttai la confezione giù dal letto. Ero curiosa di sapere perché Nancy fosse così inquieta e non mi feci scrupoli a domandarglielo. Lei mi guardò un attimo con i suoi grandi occhi profondi e grigi, mi ricordavano delle perle di fiume. Avevo l'impressione che stesse valutando se fidarsi di me, così le sorrisi. -Se non vuoi non dirmelo.
Ma intanto non sapevo se sarei riuscita a contenere la mia curiosità. Ero fatta così, ogni piccolo segreto era per me troppo affascinante e unico per non venirne a conoscenza.
Nancy tornò a guardare il soffitto. Chiuse gli occhi.
Pensai che avesse deciso di non dirmi niente, così rimasi delusa.
-In questa casa è morta mia madre.
Lo disse lentamente e ogni parola sembrava lacerarla dentro, come una lama che riapriva vecchie ferite, non ancora del tutto cicatrizzate. Non sapevo che dire, a volte i segreti erano dolorosi. -Io...mi dispiace.
In realtà però volevo saperne di più. Perché sua madre si trovava in quella casa? Come era morta?
Prima ancora che potessi dare voce alle mie domande, Nancy riprese a parlare.
-Sai, frequentava la scuola di tuo zio. Certo, a quel tempo non c'era lui come preside...ma un tipo con il pizzetto e i capelli lunghi e corvini. Una volta ho visto una foto in bianco e nero: erano tutti disposti in ordine, gli allievi, e lui se ne stava al centro con un gran sorriso. Alla sua destra c'era mia madre, con i capelli corti corti. Le piacevano così. Mio padre dice che le assomiglio molto, se non fosse per gli occhi sarei identica a lei. I suoi erano di un castano chiarissimo, quasi trasparente. Comunque dicevo...frequentava questa scuola e all'età di sedici anni era già incinta di me. Non smise di frequentare le lezioni perché ci teneva molto, ma con il passare dei mesi la pancia diveniva sempre più ingombrante. In questa casa ci sono scale dappertutto, immagina quanto fosse difficile per lei con tutto quel peso in più. Inoltre soffriva terribilmente di nausea e tutte le volte che era a lezione le toccava correre al bagno velocemente, per non vomitare in corridoio. E' morta la vigilia del suo diciassettesimo compleanno. Quel giorno, intorno all'ottavo mese, la trovarono distesa in fondo alle scale.  Sono sopravvissuta per miracolo, i dottori non lo credevano possibile. Continuavano a ripetere che sarebbe dovuto essere all'incontrario, solitamente quando una donna incinta cade dalle scale è più probabile che muoia il bambino che lei, ma io sono qua e lei è sotto una lapide. Strano, no?
Ma la cosa ancor più strana è che quando l'hanno trovata i suoi occhi erano sbarrati. Il loro colore era nero.
Ecco perché non mi piace questo posto.
Per tutto il tempo che aveva parlato era rimasta ad occhi chiusi, come se stesse rivivendo qualche ricordo, che in realtà non le apparteneva. Quando finì di parlare li riaprì per guardarmi. Aveva uno sguardo che mi colpì profondamente. Era spaventata e malinconica. Tradita. Poi sbatté le palpebre e quell'espressione sparì.
-Tu perché correvi in quel modo? Dubito che fosse per sfuggire dalla pioggia, non ti ho vista nemmeno arrivare. Chi corre così velocemente è perché ha paura.
Quella domanda a bruciapelo mi prese alla sprovvista. Aveva capito che mentivo, un'altra prova di quanto non mi riuscisse. Decisi di dirle la verità, dopotutto a che serviva mentirle ancora se aveva già capito e inoltre lei si era fidata di me raccontandomi di sua madre. Quindi le rivelai dell'uomo e lei mi ascoltò con attenzione. Quando finii di parlare sembrava aver dimenticato ogni preoccupazione. -E se invece era la tua anima gemella che è venuta a cercarti? Che romantico!
-Sei impazzita? Io non lo credo affatto...i brividi che ho provato erano di terrore. Non so perché, ma chiunque fosse, appena l'ho visto ho provato un'incontrollabile paura irrazionale. Secondo te sono diventata pazza? Magari mi sono inventata tutto.
In un certo senso ci credevo, ma sapevo ciò che avevo visto e per quanto volessi che non fosse mai successo, sapevo anche che era vero e che non me lo ero immaginata.
-Non lo so- rispose lei pensierosa. -Forse hai una strana fobia verso la tua anima gemella...
Scoppiai a ridere. -La smetti! Non ho nessuna fobia!
-Sembra l'unica spiegazione possibile- fece lei sorridendo scherzosa. In quel momento mi scattò una foto.
Tra le dita pallide stringeva una macchina fotografica, di quelle professionali, era enorme e io non l'avevo ancora notata. -E quella?
-Ti presento la mia migliore amica.
Nancy mi scattò un'altra foto. -Non mi piace farmi fotografare-l'avvisai.
-Ah, okey.
Abbassò immediatamente l'obbiettivo. -Adoro fare le foto, sono la mia passione. Sai, è stato mio padre a passarmela, anche lui amava fotografare, soprattutto mia madre. Mi ha raccontato che prima di prendere coraggio e andare a parlarle, rimaneva spesso acquattato dietro un cespuglio e le scattava un sacco di foto. In realtà lui frequentava la scuola comunale e gli era proibito di venire qui. Ma nessuno lo ha mai scoperto, tranne mia madre- mi rivelò.
-Sembra molto romantico.
-Vero? Mio padre era solito raccontarmi di mia madre prima di andare a letto, quando ero piccola. Era così giovane, ma basta parlare del mio passato. Per quanto sia romantico, mi deprime un po'.
Nancy fece un sorriso triste.
Erano le otto e  un quarto. Quando guardai l'orologio mi prese un colpo. -La cena!
Mi lanciò uno sguardo confuso.
-Era alle sette e mezzo! Oddio...non potrei mai perdonarmi di aver saltato la cena- esclamai sgomenta, mettendomi una mano sullo stomaco.
Nancy non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere. -Se proprio hai tutta questa fame...chiedi a Maggie di portartela in camera.
Credo che in quel momento mi luccicassero gli occhi di gioia. -Dici sul serio?
-Sì, mi è capitato altre volte di venire qui. Maggie fa qualsiasi cosa  le chiedi, o quasi. E' una domestica eccezionale, ma a volte è un po' invadente, s'immischia negli affari altrui.
All'improvviso sentimmo bussare e apparve Maggie con la cena.
Io e Nancy ci scambiammo uno sguardo leggermente scioccato.


Più tardi scoprimmo che Zio Bernard non era ancora tornato e per questo motivo la cena non c'era nemmeno stata.
-Non si sa nulla di dove si trovi?- avevo chiesto con una punta di preoccupazione a Maggie.
-No, non ne sappiamo nulla- mi aveva risposto ridendo -Ma, tranquilla cara, fa sempre così. Poi torna a casa vivo e vegeto...e spesso anche molto affamato, una volta ho dovuto preparargli addirittura una teglia di lasagne solo per lui. Comunque non preoccuparti troppo... scommetto- e qui si era incupita- che è rimasto a cena da quella megera della Signora Cooper! Mi rinfaccia sempre che cucina meglio di me...
Decisi di fidarmi e non ci pensai più.


Dopo aver cenato crollammo subito sul letto addormentate.
Prendeva tutta la mia visuale, era profondo e ipnotico. Al suo cospetto provavo una sensazione di vuoto assoluto e mi sentivo attirata e terrorizzata allo stesso tempo. Ma non riuscivo a sfuggirgli né ad andargli incontro.
L'occhio era incorniciato di lunghe ciglia scure. Il suo colore era nero e la pupilla non si distingueva dall'iride, pareva un buco nero. Era agghiacciante.
All'improvviso, riflesso su di esso saettò un fulmine azzurro, subito dopo udii l'assordante tuono, troppo vicino.
Infine, una risata orribilmente perfetta.
Mi svegliai di soprassalto, sudavo freddo. “Sta per succedere qualcosa
Non so perché lo sapevo, ma lo sentivo. Stava per accadere qualcosa, ma non avevo idea di cosa. L'aria che mi circondava era pesante e faticavo a respirare, le mie orecchie fischiavano e avevo la nausea. Una leggera, ma fastidiosa nausea. Nancy dormiva profondamente accanto a me, dovevo uscire da quella stanza, ma non volevo assolutamente svegliarla. Sembrava così serena.
Mi alzai piano piano scostando le coperte appiccicose. Non ricordavo dove avessi messo le scarpe ed era troppo buio per mettermi a cercarle, così poggiai delicatamente i piedi nudi sul pavimento in parquet per non fare rumore.
Quel maledetto legno scricchiolava ad ogni passo mentre mi avvicinavo alla porta. L'aprii e appena mi ritrovai nel corridoio, me la richiusi lentamente alle spalle. Non mi sentivo affatto meglio.
Provai a prendere qualche respiro profondo e la nausea parve attenuarsi. Ma dimenticai ogni mio malessere quando sentii la melodia. Era bellissima, le sue note si libravano leggere per i corridoi e riempivano la notte.
Le sue pause sembravano sospiri e ogni volta pareva che il tempo si fermasse, in attesa di riprendere con la musica.
Cominciai a seguirla, volevo sapere da dove provenisse. In quel momento sembrava la cosa più importante, avevo persino dimenticato l'incubo. Ora dovevo seguire quelle note di piano.
Percorsi vari corridoi e salii delle scale strette di pietra gelida. Camminavo a piedi scalzi, ma non temevo il freddo pungente del pavimento. Dovevo seguirla.
Mi trovai davanti ad una arco di pietra, le scale usurate dal tempo scendeva di qualche gradino girando di lato.
Le scesi con cautela. La musica diventava sempre più forte ad ogni passo, mi sentivo pervasa e incatenata da essa.
Quando arrivai in fondo provai uno senso di deja vu. Ero nella veranda.
Nella penombra scorgevo il pianoforte al centro della stanza, c'era qualcuno che lo suonava.
Sapevo chi era, ancora prima che si girasse a guardarmi stupito, interrompendo bruscamente la melodia. Gabriel.
I capelli scuri più corti dell'ultima volta, ma ancora di qualche centimetro di troppo.
Gli zigomi alti e definiti, il naso dritto e quegli occhi di un nero profondo e sconvolgente. Per un attimo mi attraversò un brivido, mi ricordavano l'incubo.
Ci vidi un lampo di riconoscimento.
-Cosa ci fai qui?- mi sgridò alzandosi, mentre il suo viso diventava una maschera priva di espressioni. Diciamo che era diventato anche alto.
-E tu perché stavi suonando a quest'ora?- gli chiesi sospettosa. Rimase in silenzio.
La pioggia batteva sulle vetrate nell'ombra della notte. Non si riusciva a scorgere niente aldilà del vetro, troppa oscurità.
Dato che non rispondeva decisi di azzardare con un'altra domanda. -Che canzone era?
- Non era una canzone- rispose lui seccato.
- Che brano?
Gabriel si passò una mano nei capelli scompigliandoli, ma non disse niente.
- Cosa ci fai qui?- fece di nuovo lui. Sbuffai. Certo che mio cugino era sempre un'ottima compagnia.
- Ho seguito la musica.
-Non dovevi, torna a dormire.
-Non ho più sonno.
-Allora torna in camera tua e basta...non dovresti stare nell'ala ovest.
Lo guardai chiudendo gli occhi a fessura. -Questa non è l'ala ovest. Me ne sarei accorta se avessi superato l'ingresso.
-Si vede che non conosci bene la casa, sei al terzo piano.
-Anche tu non potresti- affermai convinta, dopotutto era l'ala adibita a scuola, non poteva mica gironzolarci di notte.
Mi guardò con un misto di scherno. -Ah no?
-Sue!
Mi girai di scatto in tempo per vedere una biondina dai grandi boccoli perfetti e dalle lunghe gambe scoperte dalla mini camicia da notte correre per le scale in preda al panico. Si bloccò guardandoci spaesata e cercando di riprendere fiato. Sembrava sconvolta.
Gabriel la squadrò in allarme. -Isobel, che succede?
-Dov'è mia sorella? Dov'è Sue?
I suoi occhi turchini divennero vacui e subito dopo si accasciò in terra, svenuta.

 

  
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