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Autore: W_Morgan_Bryn    22/06/2012    1 recensioni
Ognuno di noi nella nostra vita è portato a fare delle scelte in vista di uno 'scopo'. E se quest'ultimo, che pensiamo sia stato tracciato da noi stessi, sia invece già stato determinato da qualcuno, o qualcosa, da prima della nostra nascita? E se tutte le certezze di quella ragazza su un destino fatto di isolamento e disperazione, fossero spazzate via da uno scopo maggiore, come potrebbe reagire? Altra disperazione o accettazione?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«He who fights with monsters might take care lest he thereby become a monster.
And if you gaze for long into an abyss, the abyss gazes also into you.
»
"Al di là del bene e del male"
{Friedrich Wilhelm Nietzsche}





- Karin, tutto bene? E’ da un po’ che ti chiamo, ma non mi rispondi.-
Spostai il mio sguardo dal fuori della finestra al viso della mia compagna, troppo in apprensione per capire che non ero molto interessata alla conversazione.
- Dimmi.- Finsi una reazione spontanea alla sua domanda. In classe la mia presenza era già ben poco contata a causa del mio tendere ad isolarmi e chi raramente mi rivolgeva la parola lo faceva solo per sentirsi una persona popolare che parla di sé anche alle sfigate.
- Bene, ti stavo spiegando delle mie prossime vacanze a Hokkaido..- La mia scarsa attenzione si spense dopo questa frase, il resto erano solo parole appannate dai miei pensieri, che non lasciavano spazio ad altro.
I discorsi mi scivolavano addosso come l’acqua che scorre e fissavo la mia interlocutrice con uno sguardo vacuo, senz’anima.
L’unica cosa che sentii più delle voci e del solito casino fu la campanella che suonava per l’ultima volta nell’anno scolastico. Poi un urlo generale, come se ci fosse una liberazione da una perpetua schiavitù. Non partecipai alla follia generale, non era quella la mia fonte d’angoscia.
Un breve scambio di saluti e una fuga senza rimpianti, ecco cosa successe dopo pochi minuti. In fondo questa era una piccola conquista per chi vedeva nella scuola una prigione. Non mi scappò neanche una risata. Pensai che anche se ero diversa e non mi piaceva esserlo, e che avrei voluto essere come gli altri, non mi sarei mai abbassata a certi livelli di demenza.
Dopo che la scuola si era svuotata, me ne andai. Presi la mia roba e lasciai quel posto che mi aveva occupato la mia mente dai miei pensieri assillanti e andarmene da lì un po’ mi dispiaceva.
Imboccai la prima a sinistra dal vecchio alimentari, poi a destra. La via più veloce per andare a casa, non mi andava di incrociare nessuno.
- Ahia. – L’altro minuto dopo ero a terra. Qualcuno o qualcosa mi aveva urtato.
- Accidenti a questa spesa! Tutto bene cara? Mi dispiace, ma non sono riuscita a frenare in tempo..- Sentii una voce di donna che da quanto si poteva intuire dagli oggetti stipati nelle buste e da ciò che aveva appena detto doveva avere una gran fretta di andarsene.
- No, niente.. Non è nulla..- Mentii, mi aveva dato una bella botta al braccio.
- Ah menomale cara.- Mi aiutò a rialzarmi dopo aver accostato la bici ad un albero.
La guardai bene, era abbastanza giovane che doveva aver superato la trentina da poco e il suo viso largo era incorniciato da un sorriso dall’aria molto bonaria con degli occhietti piuttosto languidi.
Ma c’era qualcosa che non mi convinceva, qualcosa mi diceva che l’incontro non era dovuto tutto al caso.
Mi rialzai lentamente, i vestiti erano un po’ impolverati e mi toccò ripulirli più volte con le mani.
La donna dopo essersi un’altra volta assicurata che stessi bene, ripartì immediatamente.
Dopo pochi passi mi ritrovai davanti ad una piazza.
Alzai di poco lo sguardo.
Il sangue mi raggelò nelle vene come se la mia vita dovesse finire in quel momento.

Lui era lì e mi fissava.

La sua massa nera incombeva sulla folla, informe.
La maschera bianca aveva due buchi per gli occhi e un sorriso stampato.
Le persone ignare della sua presenza, continuavano a svolgere le proprie mansioni.
Non riuscivo a muovermi, tutti i miei muscoli si erano irrigiditi, ero incapace di scappare.
Lo fissavo e lui fissava me. Uno scambio di sguardi alquanto inquietante.
Sapevo che lui non lasciava niente al caso, nemmeno le sue vittime.
E capivo il perché lo stavo vedendo e che cosa voleva da me.

La sua maschera sorridente era un concentrato di puro sadismo.

Un urlo e un rumore sordo di un corpo che si accascia a terra.
Quel grido soffocato raggiunse immediatamente le mie orecchie, come un richiamo.
Lui non si mosse, non gli importava di quello che stava accadendo.
A lui importava solo che io vedessi, e continuava a sorridere.
Come a costatare la mia impotenza.
Il tempo per me, lui ed il corpo si era fermato.
Sentivo solo un lungo silenzio assoluto scandito dalla mia angoscia.
Abbassai lentamente lo sguardo, che fino a poco prima era rimasto a fissare quelle voragini.
Vidi che si era formata un buco tra la folla.
Il corpo doveva giacere lì, in mezzo alla piazza.
Ma non riscontravo nessuna reazione nei passanti.
Nessuno si era voltato.
Nessuno si era preoccupato di andare a capire cosa era successo.
Nessuno aveva chiamato aiuto, magari per accertarsi se la persona a terra era viva.
Niente.
Lentamente alzai la testa per vedere se lui era ancora lì.
Non c’era più.
Era sparito, senza lasciare traccia, ma per riapparire nuovamente come un’ombra a tormentare i miei pensieri.
Improvvisamente ricominciai a sentire le mie gambe, rimaste rigide per troppo tempo.
Ma non avevo tempo per indugiare.
Iniziai a correre verso il corpo.
Nel mentre nuovi pensieri incominciarono ad assillarmi sempre più.
Man mano che andavo avanti questi crescevano di negatività.
Desiderai non essere mai arrivata in questa piazza, di non essere mai uscita dalla scuola, desiderai di non aver avuto mai contatti col mondo esterno, ma di aver vissuto isolata da tutto.
Quando arrivai al centro della piazza, desiderai di non essere mai nata. Tristemente riconobbi il corpo della donna.
In mezzo ai sacchi, poco prima stracolmi di oggetti, ora sparsi per terra, il corpo ormai senza vita della donna giaceva come supino.
La bici le bloccava le gambe, ma non erano stati né il peso degli oggetti né quest’ultima a defraudarla della sua vita.
Era stato lui.
Rimasi come ghiacciata sul posto, non riuscivo a staccare gli occhi dalla vista di quel corpo.
Ma per quanto quelli mi mostrassero la realtà, la rifiutavo.
Dopo attimi interminabili di staticità, mi percosse un brivido.
Non avrei voluto che tutto questo accadesse.
Con un ultimo sforzo mi voltai.
Poi incominciai a camminare, prima lentamente poi accelerando fino a correre.
Andavo sempre più velocemente, senza curarmi di andare a sbattere contro chiunque.
La mia fuga disperata.
E correvo lontano da quella piazza.
Lontano da quel corpo.
Lontano dalla verità.
Lontano da lui.

Ritrovai una me stessa al limitare di un parco.
Per quanto ormai fossi lontana dalla piazza, non mi sentivo al sicuro.
Volevo continuare a correre, ma stavo ansimando.
L’intensità della mia volontà non riusciva ad avere la meglio sulla pesantezza del mio corpo.
Mi rannicchiai all’ombra di un albero poco distante.
Non avrei voluto rimanere lì ancora a lungo, perché continuavo ad essere angosciata.
Avevo paura del “dopo”.
Il pensiero di quello invece di darmi una ragione per rassicurarmi, aumentava le mie pene.
Avvicinai sempre di più le gambe al corpo, senza curarmi della pressione che esercitavano sulla mia gabbia toracica.
La mia mente intanto iniziava ad annebbiarsi e la testa mi pulsava.
La vista mi si annebbiò totalmente e mi abbandonai a questo malessere. Poi i ricordi affiorarono.
Ecco il “dopo”.

La faccia della donna riaffiorò in un turbinio di immagini.
Poi subito dopo spariva e mi ritrovavo in una casa confortevole.
Lei ricompariva davanti allo specchio, con un lungo abito da sposa.
Sentii dell’emozioni di agitazione e impazienza, forse legate al ricordo.
- Lucia stai benissimo! Beato tuo marito!-
Entrò un’altra donna nella stanza, percepii un immediato stupore e anche un senso di imbarazzo per i complimenti.
-Grazie-
La donna allo specchio si voltò con lo stesso sorriso bonario di prima.

Tutto questo era come una pugnalata sulla schiena.
Ma non potevo liberarmi, perché mi aveva in pugno.
Cercavo di ribellarmi perché non volevo, speravo solo che la tortura finisse presto.
I miei ricordi si stavano fondendo con quelli della vittima.
Temevo che la testa mi scoppiasse da un momento all’altro.

La morte dei genitori, il primo giorno di scuola della figlia Maria, il diploma. E sentivo tutto quello che stava provando la donna come se io fossi lì con lei.
O meglio come se io fossi proprio lei.

Sentii qualcosa che mi sfiorò.
Il dolore si affievolì fino a scomparire, ormai i ricordi erano giunti al termine.
Aprì lentamente le palpebre, qualcuno mi aveva accarezzato.
Dopo poco riuscì ad alzare la testa.
Vidi qualcuno distante qualche passo in piedi davanti a me.
Indossava un lungo abito bianco che ricopriva un corpo diafano e snello.
Cercai di identificare la faccia del misterioso individuo, ma il sole accecante non me lo permise.
Vidi solo un candido sorriso e dei capelli bianchi e lunghi che fluttuavano animati dal vento che li muoveva.

- Perché soffri?-

La voce mi giunse come il suono di campanellini argentei, con immensa purezza.
La domanda un po’ mi scosse.
Rimasi silenziosa per una manciata di secondi con gli occhi fissi sull’individuo, che dalla voce sembrava proprio una donna.
Quella presenza mi rassicurava e allo stesso tempo mi intimoriva.
Molte domande iniziarono a vorticarmi in testa: perché voleva sapere il motivo della mia sofferenza?
Perché s’interessava a me, che ero così taciturna, così introversa, così poco interessante?
Non trovando risposte mi uscì fuori una bella frase, come qualcuno che nasconde le proprie inquietudini dietro parole che servono a stroncare altre più possibili domande incalzanti.

-Non so, tutto il mondo soffre. E’ una cosa normale.-

Continuava a sorridere, era tenace.
Io sentivo che ben presto avrebbe spezzato le mie barriere.
- Sì tutto il mondo soffre. Si soffre dalla forma meno sviluppata a quella più evoluta, sia coscientemente che inconsciamente. Questo è un dato di fatto fra i mille che circolano nel nostro mondo. Se non si soffrisse, non si gioirebbe né potremmo provare altri sentimenti. Perché questa è la vita. Ma la mia domanda non mirava a questo. Tu mi fraintendi. –

Il tono era diverso da quello della domanda.
Con solennità mi intimava a dare una risposta concreta.
In quel momento non trovavo scuse, ma nemmeno qualcosa che potesse minimante soddisfare la sua richiesta.
In fondo nemmeno io sapevo il perché di tutto quello che mi stava accadendo.
Sapevo solo che non era propriamente una cosa normale trovarsi nella mia situazione.
Nella posizione di essere l’unica, apparentemente, a vedere quei cosi.
Il peso di questa consapevolezza era enorme.
Non avevo nemmeno mai avuto confidenti, io.
Generalmente non esprimevo molte parole, perché non sentivo lo spiccato bisogno di entrare in confidenza con qualcuno.
Non avevo né persone a conoscenza di questo mio lato e né tantomeno amici.
Francamente, chi mai avrebbe creduto alle mie parole?
Nessuno.
Quindi rimasi sul basso profilo.

- Non capisco perché tu mi stia chiedendo questo, sono abbastanza confusa.-

-La confusione è una alterazione psichica che causa smarrimento, disturbi nella percezione ed incapacità di pensiero. Se hai formulato frasi fino a pochi attimi fa non sei confusa, perché sennò saresti incapace di farlo. Eventualmente saresti alquanto stupita, perché hai sempre pensato di riuscire a nasconderti dagli occhi delle persone e dai loro giudizi, passando così inosservata. Ma adesso non stiamo parlando di come potresti sentirti se qualcuno che non conosce la tua esistenza ti chiedesse dei tuoi affari e come tu poi avresti potuto rispondere, ti ho fatto una domanda. Non voglio né altre domande né altre risposte ad altre domande. Voglio che tu risponda.-

Adesso, che devo fare?
Nascondermi ancora dietro le mie schiocche convinzioni che se nessuno mi avrebbe notato, sarei stata in pace con me stessa?
No, era inutile mentire.
- Sono diversa dal resto del mondo. Riesco a vedere cose che gli altri non vedono, oppure che non riescono a vedere perché accecati solo dalle proprie convinzioni, dai propri interessi. Poi la gente muore, davanti a me incapace, sempre. E vedo loro. Loro che non sono né umani né esseri di nessun genere. Sono informi. Sono mostri.-

Ecco a questo punto una persona normale avrebbe preso il telefono, composto il numero della più vicina clinica e mi avrebbe guardata con terrore aspettandosi che la pazza maniaca, che li stava davanti, li saltasse alla giugulare.
Ma lui non si mosse, non ebbe nemmeno una reazione.
Il suo cuore non ebbe neanche un sussulto, come se sapesse già tutto.
Almeno per una volta mi sarei risparmiata la solita figura.
Anche se la sua reazione era solo parzialmente rassicurante.
Come faceva a starsene così tranquillo?
Sapeva già tutto?
Se sì, come?

-Nessuno è diverso. Infatti non hai dati per dimostrare la tua tesi. Dato di fatto che non esiste il concetto di diverso allora nemmeno quello di unicità è applicabile agli esseri viventi. Perché per quanto scientificamente gli uomini siano combinazioni genetiche apparentemente diverse l’una dall’altra, in realtà si somigliano molto. E poi chi ha mai sostenuto che tu sia una entità diversa, sé stante rispetto al mondo? Tu sei parte del mondo come il mondo fa parte di te, ma questi fatti adesso non sono importanti. Sarà tua premura capirli. Torniamo a quello che hai detto. Stavi parlando di mostri. Anche se non capisco perché tu abbia impiegato il vocabolo “mostro” per quegli esseri. -

Stava cercando di farmi ragionare?

-Bèh, se intendi sostenere che non lo siano quelle masse informi gelatinose con tendenze alquanto sadiche, non so cosa dirti, davvero.-

Il mio umor nero non lo scosse nemmeno un po’.
Non so mi stava un po’ innervosendo il non capire come poteva reagire quell’individuo.
Forse adesso avrei preferito incontrare qualcuno che reagiva come tutti gli altri, si spaventava e scappava.
Ma questo no, era fermo lì, immobile.
Sentivo che mi stava ancora guardando con i suoi occhi, anche se non riuscivo a vederli.
Passarono pochi attimi che volse lo sguardo verso il cielo, come un anziano che parla al giovane di come gira il mondo, con un aria di chi ha ormai chiuso il cuore alle nuove speranze.

-I veri mostri non sono quelli che vedi, ma quelli che non puoi vedere. Non sono entità che prendono la semplice forma di qualcosa diverso dall’ordinario, rendendo più facile l’emarginazione di alcuni soggetti e il accanimento su di essi. Semmai prendono la forma di qualcosa che è facile mescolare tra gli altri, che si possa rendere insospettabile. Tu identifichi mostri quelli che “rubano” la vita altrui, ma non ti rendi conto dell’enorme errore di valutazione che compi. Tu ti fidi di coloro che consideri tuoi simili. Ma non capisci che per primi essi non fanno altro che distruggersi a vicenda per raggiungere i propri scopi. Tu, infatti, non hai capito un bel niente della vita reale. Tu credi di essere diversa, di esserti chiusa agli altri perché ti piace la tua solitudine ostinata. Ma ti sbagli. Sei uguale a tutti gli altri, anche se puoi vederli.-
Stava demolendo tutto ciò che avevo gelosamente costruito per conto mio e considerato la mia unica unicità.
Stava ridendo della mia situazione senza che io potessi muovere un dito per impedirglielo.
Perché incuteva paura.
Perché sembrava sapere di più di quello che diceva.
Continuò, anche perché io faticavo a trovare le parole.
Si voltò di nuovo verso di me.

-Sebbene sia contrario ad avere contatti con voi altri, non posso sottrarmi ai miei doveri. Nessuno può sottrarsi al proprio destino, tantomeno te. Perché non è qualcosa che tu possa piegare a tuo piacimento. Non esiste la casualità, ma solo l’inevitabile. Non ti è stato permesso di vederli senza motivo, anzi tutti gli esseri partecipano al funzionamento del mondo. Perché tutto è una reazione a catena di quello che viene compiuto. Se cerchi delle risposte, posso dartele. Sempre che le tue domande siano consone all’argomento.-

Adesso le domande vorticavano impazienti di uscire.
La mia mente, invece, era una barca in mezzo alla tempesta delle mie sensazioni.
Riuscii a spicciare solo una domanda.

-Ma allora, quale è il mio scopo?-

Silenzio.
Forse si aspettava una domanda più articolata, visto tutti i discorsi aulici che ha fatto.

-Non mi riesci proprio a stupire, tu. Tutti gli altri prima erano proprio come te, non capivano dove si trova l’evidenza. Quando tutti gli elementi sono già stati serviti su un piatto d’argento. Ma non volete ragionare. Non volete sforzarvi di vedere. Eppure non potete opporvi a quello che sta succedendo. Pensate di poter salvare la vita delle persone che vi circondano, di poter impedire che loro non li uccidano. Non avete mai pensato a cosa invece assistete. Non avete mai notato che il vostro, per quanto inutile ad ogni tipo di società, è un ruolo come un altro. E voi dovete svolgerlo. Come un impiegato svolge il proprio lavoro.-

Si zittì un attimo, capiva come mi sentivo.
Perché ero uguale agli altri.
Perché ero banale e non mi distinguevo dalla massa.
In quel momento fece una cosa che mi prese piuttosto alla sprovvista, dato che si sporse verso di me.
Molto probabilmente sotto quella maschera di cera che era la sua faccia, nascondeva un ghigno di compassione.
Compassione che concede il predatore alla preda.
Mi porse la mano.
Pochi secondi dopo la mia mano stringeva la sua, senza che nemmeno io me ne accorgessi.

Fui investita da un turbinio di dati come se fossi sprofondata in una voragine.
Mi scorrevano davanti con una velocità impressionante.
Intanto mi inabissavo dentro a quel mare, che sembrava appartenere ad un cervello di un computer.

Poi mollai la presa.
Le lacrime scendevano calde sulle mie guance senza che io potessi fermarle.
Avevo visto persone che come cercavano risposte.
Che avevano visto quello che non erano riuscite a capire.
Che come me non avevano capito il loro posto nel mondo.
Le loro facce, le loro emozioni, mi avevano attraversato dentro.
E finalmente come me avevano capito che senso avevano anche le loro visioni.

-Capito finalmente? E adesso rispondimi: ora che hai capito che posto hai nel mondo, ora che non puoi più negare l’evidenza, dimmi, perché soffri?-

Adesso tutto da confuso si era fatto chiaro, come se in fondo a me stessa l’avessi sempre saputo.

-Ti sbagli io non sto soffrendo, sto solo facendo il mio dovere.-

Da quella maschera sembrò accennare un sorriso compiaciuto.

-Bene, altro da chiedermi prima che me ne vada?-

Feci la domanda ancora più banale di quella precedente.
Ma tanto non ero già stata classificata tale?

-Dimmi chi sei in realtà.-

Non si stupì neanche stavolta, dimostrai che la sua ipotesi sulla mia scarsa originalità era vera.

-Diciamo che voi altri potete considerarmi come il vostro datore di lavoro.-

Dopo questa frase fuggì, allo stesso modo in cui si era presentato.
Il nostro colloquio era durato poco più di un paio d’ore, ma sembrava fossero passati secoli.
Con me si era semplicemente divertito.
Non gliene fregava niente in verità della mia condizione.
Adesso non potevo più indugiare.
Anche perché non ne avevo nemmeno più un motivo.
Mi diressi nella direzione in cui mi ricordavo di aver lasciato il corpo della donna morta e cercai qualcosa per trasportarla.
Quando si tocca il fondo non resta che risalire, anche perché sono fatti che ci rendono più maturi.
Io ho finalmente accettato me stessa, perché ho smesso di pensarmi come una cosa a sé stante dal resto del mondo.
Ho smesso di cercare una risposta, perché l’ho finalmente trovata.
E non m’interessa di averne molte altre per continuare a vivere perché so quale è il mio posto.
Un posto che nessuno mi potrà togliere in questa vita.

Seppellii la donna all’ombra di bell’albero, poi recitai due parole veloci per commemorarla.
Infine per bellezza un po’ di fiori su quella tomba sguarnita.
Non ero triste per lei, perché non bisogna essere tristi per i morti.
Sennò creiamo una visione distorta della persona, dimenticandoci come esse erano in vita: gioiose e spensierate.

Loro e la nostra specie avevano convissuto per molti secoli.
Da quelli eravamo considerati alla stregua di una fonte di sostentamento perenne.
La quantità di vittime non aveva mai raggiunto picchi estremamente alti dato che il loro numero è nettamente inferiore a quello degli uomini.
Approfittavano delle grandi guerre e delle epidemie per cibarsi.
Oppure che qualcuno come me li vedesse.
Perché sennò le informazioni sarebbero andate perdute.
Le persone come me sono come strumenti in mano a questi, che ci utilizzano come raccogli informazioni.
I morti invece sono come immondizia, sono ignorati e dimenticati.
Spetta a me registrare e seppellire i corpi da qualche parte.
Nessuno li reclama perché con la loro scomparsa, scompare nella mente della gente l’immagine di quelle.

Mi lascio cadere nel letto di casa mia.
Infondo è stata una giornata pesante, anche se adesso non ci saranno più incubi ad assillarmi.
Chiudo gli occhi.
E’ così magnificamente buio.







Svegliati. Svegliati. Svegliati.
Dobbiamo andare, svegliati.

E’ lì davanti a me con quella sua maschera sadica che mi guarda.
E mi invita ad alzarmi.
Lo fisso nelle sue due cavità che porta al posto degli occhi.

-Arrivo.

Registrare informazioni è il mio dovere.







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NdA: Questa storia è stata una delle mie prime creazioni insieme a 'Evie'.
Sebbene non voglia con questo commento influenzare la possibile critica, vorrei fare un piccolo punto su quello che ho scritto.
Le mie idee su come è la visione di questo mondo e su alcune teorie, non sono cose che voglio ritrattare.
Sono solo punti di vista, che possono differire da persona a persona, per carità, non ho detto che tutti la devono pensare in questo modo.
La visione finalistica della vita umana non è però una concezione che sposo totalmente.
Ritengo infatti che l'uomo deve scegliersi il proprio destino in base alle azioni che compie.
Non perché qualcuno o qualcosa lo possa determinare.
Ma questa è solo una mia modesta opinione, su fatti e cose che sono fuori dalla mia esperienza, quindi non vorrei essere nemmeno accusata di blasfemia o di accanimento verso i credenti o quant'altro.
Chiunque è libero di pensarla come più ritiene giusto, punto.

Infine per qualsiasi errore di grammatica o battitura ricordo che non è assolutamente intenzionale.
Non sono una dei tanti killer della lingua italiana.
Detto questo, spero che la mia lettura sia piaciuta.

L'Autrice

   
 
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