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Autore: Redrum    08/01/2007    3 recensioni
L'inizio della fine. L'ultimo atto di Ray Oddname. Scoprite la verità... tutti i tasselli del puzzle combaceranno. Leggere per credere.
Genere: Drammatico, Azione, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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(7)

DEUS EX MACHINA


«Eri come la mia gemella,

e tutto quello che è stato,

era per niente?

Sei forte quando sei con lui?

Colui che ti ha messa sopra tutti noi»


Katatonia, “My Twin”



1.

Dicono che ti passa davanti. Dicono che la vedi tutta. Dicono che devi avere un desiderio, dei pensieri da mostrare apertamente o tenere per te, stretti, prima che lei arrivi. Prima che te la tolga via dal corpo.

Sto tremando. Siamo quasi a metà agosto e sto tremando. Sono a un concerto del mio gruppo preferito, e con me ci sono circa una quindicina di miei amici, ma sto tremando da capo a piedi. Perché so che adesso la mia corsa è finita. La morte non dev'essere poi così male, dopotutto. Ti coglie impreparato, in genere, ma io sapevo che avrei corso rischi non indifferenti questa notte. Una parte della mia mente registra vagamente un pensiero lieve come una farfalla, che mi sussurra che avrei dovuto aspettarmelo, perché era già stato detto. No, non 'detto': era già stato previsto. Ma questo non importa, adesso. Non importa perché c'è una bacchetta magica puntata contro di me, in questo momento. Non importa perché io sono immobile davanti a colui che mi ucciderà, mentre la mia bacchetta è chissà dove, magari in frammenti sul terreno, spezzata dai piedi della folla impazzita. Non importa affatto, perché adesso non ho tempo di pensare a nulla. In teoria dovresti avere degli ultimi pensieri in un occasione come questa, che siano forti, potenti, a loro modo vitali, da stringere saldamente nella testa, quasi come per lasciare una flebile traccia di te in questo mondo, per dimostrare che la tua vita ha avuto un senso, che non sei finito. Che qualcosa di te è rimasto. Io non riesco a pensare. La mia mente è sgombra. È deserta, brulla, spazzata come da un vento costante. Tutto è così inutile, insignificante e microscopico di fronte alla maestosità della morte. Ma c'è qualcosa che non quadra. Qualcosa che non torna, in tutto questo. Io non posso finire. Questa non può essere la mia fine. Così semplice, banale, addirittura ridicola. Siamo sicuri che in realtà non mi aspetti una bella morte eroica e spettacolare, con una frase finale secca, lucida, immortale, come nei film? C'è qualcosa che non quadra. Eppure la morte arriva, e nient'altro resta. La vita, la mia vita, non ha più senso. Non sembra essere nemmeno mai esistita. Dicono che ti passa davanti. Dicono che la vedi tutta. Beh, la volete sapere una cosa? Io non vedo un bel niente. Non sento niente. Solo un vago senso di dispiacere, di tristezza, di nostalgia, quasi di stizzosa delusione. A un tratto però, appena un attimo prima della fine, mi arriva un'emozione fortissima, netta, tagliente ma ben accetta, desiderata e attesa. È lei. La sento dentro di me. Se la mia vita abbia avuto o meno un senso, questo io non lo so. So solo che lei ha avuto un senso. Lei è stata importante, per me. Di questo sono sicuro. Ho solo questa certezza, è l'unica che mi pervade. Poi il mio uccisore apre la bocca e dice qualcosa, e la punta della sua bacchetta vomita un cono di fluida luce verde. La vedo venire dritta verso di me. Mi riempie gli occhi, e io mi aggrappo disperatamente a quell'emozione, cercando di non farmela sfuggire dalle mani come sabbia. Poi la luce mi investe, e io non sento più niente. C'è solo nero. Solo nero.

Dicono che la vedi tutta.




2.

«Ecco, ci siamo», mormora Jack, battendomi il palmo della mano sulle spalle. La strada asfaltata oltre il marciapiede restituisce sprazzi luccicanti della luce aranciata del lampione: ha piovuto, la scorsa notte, e pozze d'acqua ancora si stanno rapprendendo sul terreno al calore estivo che anche la sera non esita a farsi sentire. Siamo quasi sotto al luogo del concerto, infatti si iniziano a sentire i muggiti della folla, che fanno rimbombare il cielo come una grancassa. Le macchine sfrecciano scivolose sulla strada lucida di pioggia, e io mi guardo attorno per controllare se ci siamo tutti. Sto per scendere dallo zoccolo del marciapiede per vedere meglio quando un gufo mi plana sulla spalla frusciando, con una lettera stretta nel becco adunco da rapace. Sal si volta a guardare la superficie bianca della busta, mentre l'uccello svolazza via roteando un paio di volte attorno al lampione. Una grafia curata e obliqua recita: Ray Oddname, London Arena, Limeharbour, Isle of Dogs, E14 9TH. Mittente: J.A.Oddname.

«Cos'è quello, il nome di Julie da sposata con te?», sghignazza Sal artigliandomi la maglietta con le dita.

«Abbassa la voce, scemo», faccio io, e non posso fare a meno di lanciare un'occhiata dietro di me per controllare, ma lei sta chiacchierando con Nick e non si è accorta di nulla. «È mio padre, il nome completo», spiego aprendo un lato della busta con l'indice e lasciando cadere un ricciolo di carta sull'asfalto.

«Che sarebbe?»

«John Atticus Oddname». Sal annuisce e si sistema la maglietta nera dei Metallica dentro i jeans stinti. Steve gli si avvicina, e mi guarda interrogativo.

«Siamo pronti?», chiede.

«Solo un secondo». Apro la lettera e la leggo tutta d'un fiato. Sono solo poche righe, ma mi bastano più del dovuto per farmi un'idea della situazione. Steve calcia con le Roy Rogers sdrucite la strisciolina di carta rimasta sul marciapiede, facendola affondare in una pozzetta d'acqua accumulatasi nelle scanalature dell'asfalto.

«Che succede, Ray? Ci sono guai?»

«No, Steve, non ti preoccupare», rispondo piano scuotendo la testa. «Papà mi tiene aggiornato sulle questioni di famiglia... insomma, mia nonna è malata, e i suoi figli, cioè mio padre, quello di Liam e loro sorella Natalie avranno il patrimonio, ma adesso Natalie ha bisogno di soldi per dei pagamenti della ditta Babbana che dirige, e quindi si sono trovati per mettersi d'accordo se prelevare ognuno la stessa parte per essere pari e non avere litigi inutili»

«Capito», annuisce Sal sbrigativo, mentre Liam si mette accanto al lampione e inizia a prenderlo a calci a ritmo di una canzone dell'album appena uscito dei Prodigy. Devo decisamente smettere di essere così logorroico.

«Ma... tutto a posto laggiù? Non si va?», interviene Julie da dietro, e giuro che non è una frase fatta, ma il cuore sembra saltarmi dentro il collo, tra le corde vocali.

«Tutto a posto, Jules... dammi un attimo», le dico a voce alta, e poi riprendo a bisbigliare a Sal e Steve. «Comunque non c'è nessun problema per adesso, si sono accordati, sembra, è solo che papà è preoccupato per me... per noi... mi contatta per qualsiasi cosa, e a dir la verità non credo che sia l'eredità la cosa che lo preoccupi di più in questi giorni»

«Non sa del concerto, vero?»

«Non lo sa nessuno fuorché noi, ce lo avrebbero impedito», dice saggiamente Jack. «Sanno tutti del pericolo nel mondo, e questo basta e avanza»

«Giusto. Ha ragione a preoccuparsi, altro che soldi», borbotta Liam, e poi riprende, «Change my pitch up/ Smack my bitch up...»

«A proposito, ti saluta Al», gli dico.

«Ciao pa'», fa lui come se gli avessi passato la cornetta del telefono, per poi continuare il suo piccolo show canoro.

«Nella nostra famiglia non è che abbiano mai dato molto valore al denaro, oltretutto», aggiungo sorridendo.

«Già, ti ricordi quando nonno Harry voleva far quella cena coi suoi amici di lavoro?», interviene Ellie eccitata, sventolando la mano per farsi notare.

«Che successe?», vuole sapere Steve.

«Avevano avuto la busta paga ed era da tanto che volevano farla, ma poi all'ultimo tutti tirarono il pacco perché improvvisamente avevano voglia di spenderla in qualcosa di meglio, che in una cena fra amici. Rimase solo mio nonno»

«Stronzi di merda», fa Jack rabbioso. «E allora?»

«Scena: mio nonno prende lo stipendio, lo sventola davanti al naso dei compagni e fa: “ecco cosa ne faccio dei vostri soldi”, prende un accendino e gli da fuoco!»

«Che mito!», esclama Sal, in delirio.

«Il buon vecchio Harry Gordon spaccava davvero il culo a tutti, gente», concludo con un sorriso.

«Gordon? Che è, parente di Luke?»

«Non credo, Sal, a meno che io improvvisamente non sia nato nello Iowa», fa lui allargando le braccia sarcastico.

«Gente, ma cos'è? La serata degli alberi genealogici?», fa Nick all'improvviso. «Sarà il caso di darci una mossa!»

«Okay, siamo a posto», dico, e mi infilo la lettera in tasca. «Dovremo avvicinarci di più all'edificio, e metterci tutti sul retro, magari non dalla parte del Tamigi, sennò ci vedono tutti... Abbiamo passato le ultime settimane ad allenarci con Potter sulla Materializzazione, spero che ci sia servito». Harry si fa largo tra tutti i ragazzi appostati sull'angolo della strada, arrivando accanto a Liam, che, se non si fermasse, probabilmente svellerebbe il lampione a suon di calci.

«Allora aspettiamo che siano entrati tutti, evitiamo la security e ci mettiamo dove non ci sono lampioni», spiega Harry lentamente. «Scegliamo i migliori a Smaterializzarsi, e facciamo gruppi di tre, massimo quattro, in ognuno dei quali ci deve essere almeno uno di quelli scelti, così siamo pressoché sicuri di non sbagliare»

«Pressoché?», fa Ellie preoccupata, ma Jane le fa segno di tacere.

«Allora... abbiamo Hermione, Jack, Steve, Nicholas, Mark, Luke e Jane», prosegue Harry indicando i ragazzi. «Sid, tu e Ron è meglio se vi astenete...»

«Puoi giurarci, Scarry», butto lì io. «Mi conto anch'io, che è già tanto se mi riesce spostarmi di un passo senza perdere pezzi per la via»

«Ah, ah, ah!», gracchia Mark, «come quella volta che ti si è staccato--»

«Io lascerei perdere», lo fermo cercando di rimuovere quel fastidioso ricordo.

«Io non ho mai fatto l'esame, ma ho imparato con Silente», continua Harry. «E tra i rimanenti mi sa che solo Julie sappia Materializzarsi a dovere»

«Se fate la Congiunta con me preparate il costume che come minimo ci si ritrova a Maui, gente», ghigna Sal, che in quanto a concentrazione mentale non era proprio un maestro. Julie, dal canto suo, sembrava poco convinta.

«Meglio se passo, non me la sento, non sono abbastanza preparata»

«È una cosa che va fatta, se non entriamo non riusciamo a combinare nulla»

«Appunto, Harry, ma se non mi riesce rovino tutto...»

«Ti riuscirà, Julie», mormora Ron, e percepisco che in quel momento sia io che Hermione siamo pervasi dal forte desiderio di strozzarlo in modo non indolore. Decido di intervenire.

«Devi farlo», le dico cercando di suonare convincente. «Devi, Julie, per tutti noi, ne abbiamo bisogno. Se lo fai...»

«Cosa fai, le dai un bacio in bocca?», mi sussurra Liam all'orecchio, e mentre gli mollo un cartone nella spalla dico a me stesso che la gente qui sa un po' troppe cose.

«Andiamo, sennò ci facciamo notte qui», dico seccamente, e mi volto verso la strada.



3.

Non sono mai stato un amante del pericolo. Proprio per niente. Non nego però che mi sono trovato più volte in situazioni pericolose in modo quasi imbarazzante, al punto di portarmi a notare che me le sono davvero cercate. Se sorvoliamo le varie sessioni di studio con Sal e Nick (che sono rischiose da un altro punto di vista, soprattutto se si è in vista di un esame di Pozioni), si possono trovare tranquillamente nel mio passato esperienze degne del peggior scavezzacollo, gran parte delle quali vede come protagonisti, oltre a me, i miei adorati cuginetti. Già Jack per conto suo aveva rischiato di morire fulminato a otto anni, età non abbastanza elevata per scorrazzare sulla scopa in retromarcia davanti ai treni in corsa, ma abbastanza fantasiosa da fargli escogitare come passatempo il simpatico Taglio-Del-Cavo-Del-Ferro-Da-Stiro-Con-Le-Forbici, esperimento conclusosi fortunatamente con il provvidenziale scatto del salvavita Babbano installato in casa. Unendo Jack a me – che sono idiota a sufficienza da non obiettare a esperimenti simili – e a Liam, un semplice ragazzo che ama fare parkour sulle rocce appuntite e calarsi da ponti per fare scritte con le bombolette, si ottiene un pericoloso miscuglio dalla stabilità della nitroglicerina, in cui, contrariamente a quanto si possa pensare, i componenti non si placano a vicenda, anzi, si esaltano. Un po' come quella volta che non sapevamo cosa fare, e così abbiamo unito le nostre menti sensazionali e abbiamo convenuto che “poteva essere divertente” fare scritte con la benzina sul pavimento in cotto. Solo dopo che a Liam aveva preso fuoco una mano, che Jack aveva dovuto prendere a calci uno stendino dei panni per spegnere un paio di mutande di suo padre, e che a me era venuto in mente che le scritte infuocate venivano altrettanto bene (e senza effetti collaterali) con una semplice bacchetta magica, abbiamo deciso di lasciar perdere e ci siamo dedicati a cose più salutari, come sciogliere le ranocchie nello spurgatore liquido. Gettando un velo pietoso su Liam che era riuscito, in quella stessa occasione, a bruciarsi le narici inalando vapori di cloro per piscina e Draine-Eze, si può tranquillamente citare la favolosa giornata di pesca subacquea in cui abbiamo catturato e maneggiato una simpatica razza senza sapere che era un esemplare dal veleno mortale che aveva già ucciso un paio di persone in zona; tutto questo per poi passare a Jack che aveva rischiato di farsi spappolare la testa forzando la canna di un fucile da sub difettoso, che era esploso sparando un cilindro di acciaio a un millimetro dal suo orecchio e liberando 12 atmosfere di pressione in un decisecondo. Insomma, avrete capito che al pericolo, alla fin fine, ci sono abituato. Eppure quella sera si trattava di qualcosa di più grosso, di più pericoloso e malefico, anche se ancora intangibile, un po' come un esame che ancora non ti rendi conto di avere vicino. Solo che adesso non c'eravamo solo io e i miei cugini. Eravamo tutti. Eravamo tanti, e, volenti o nolenti, stavamo dirigendoci verso il pericolo, consapevoli di farlo. Stavamo maneggiando la nostra razza. Stavamo tagliando il nostro filo elettrico con le forbici. Stavamo guardando nella canna del fucile.




4.

Sto attraversando la grande strada vicino al London Arena, con tutti i miei amici intorno a me. Raggiungiamo correndo la banchina in cemento, per poi passare sotto alla ferrovia sopraelevata che separa la strada dall'ampia zona parcheggio. Un treno sferraglia e fischia sopra di noi, mentre in silenzio ci addossiamo a un pilastro di ferro e controlliamo la situazione. Ora è visibile la fila di fans incanalati tra due file di transenne sudice di smog, e le loro urla e il loro schiamazzo sono udibili nonostante il suono delle macchine che sfrecciano dietro di noi. Un volantino umido e spiegazzato mi passa davanti, e si adagia sull'asfalto lucido di pioggia: la scritta a caratteri cubitali recita Twist Tour: KoRn, Incubus, Katatonia, Novembre & Slipknot. Alzo lo sguardo quando Mark mi picchia con le dita sulla spalla.

«Allora andiamo?», dice con un mormorio. Annuisco, e mi guardo intorno. Proprio dietro l'angolo, sul lato sinistro dell'edificio, c'è una zona d'ombra abbastanza netta ora che il sole sta calando. La indico a Harry.

«Guarda, possiamo andare là»

«Perfetto. Su, gente, prepariamoci», fa lui. «Mi raccomando, andiamo pochi per volta, e non facciamoci notare. Abbiamo guardato le foto dell'interno, e abbiamo la piantina. I più abili di noi a Smaterializzarsi non dovrebbero avere difficoltà»

«Okay», dice Sal. «Chi va per primo?»

«Allora... Jane. Tu vai con Ellie, Sal, e Liam», inizia Jack.

«Decidi tu i gruppi, merdone?»

«Io come chiunque altro può farlo, Liam. Sennò non ci muoviamo. Poi vanno Hermione con Ryan, Mark e... Weasley»

«Okay!», fa Ron a voce forse un po' troppo alta. Harry si mette a ridere coprendosi la faccia con la mano, ma io rimango impassibile. Intanto Jack continua le divisioni.

«Io vado con Nicholas, che si becca Luke, Sid e Iris», dice a voce bassa ma comprensibile da tutti, anche perché indica le persone mano a mano che le nomina. «Poi Harry... allora tu e Steve portate Ray e Julie, visto che lei non si sente sicura. Vi va bene?», conclude allargando le braccia in modo interrogativo. Io guardo Julie e non posso fare a meno di chiedermi se la disposizione scelta da Jack sia o meno casuale, ma per lo meno io e i miei cugini casinisti siamo separati. Se fosse stato altrimenti, probabilmente il nostro gruppo sarebbe finito nel Triangolo delle Bermude a dar fuoco ai pesci palla con la polvere da sparo.

Il primo gruppo parte in direzione della zona d'ombra, e noi tutti restiamo a guardare i ragazzi mettersi in cerchio, tenendosi per mano. Ci sono lunghi secondi carichi di tensione, poi finalmente li vedo sparire come in un'illusione ottica, e giurerei di aver sentito Sal dire “yeah dude” o qualcosa di simile. Poi è la volta del gruppo di Hermione, che però ha un po' più di problemi a causa di un'apparentemente insormontabile difficoltà per Ron a tenerla per la mano. Una volta Smaterializzati anche tutti quelli del loro gruppo, la zona d'ombra viene invasa dal gruppetto di Jack. Vedo in lontananza Luke lisciarsi la maglietta nera degli Opeth, poco prima che l'oscurità inghiottisca anche loro.

«Tocca a noi», mi dice Harry serio. «Ray, allora... mi raccomando, dobbiamo Materializzarci tutti--»

«Nei bagni, lo so. Tranquillo. Tanto io non so farlo, dovete guidarmi voi»

«Lo so, ma se ci concentriamo tutti andrà meglio... Okay... allora ragazzi, siete pronti?»

«Pronti», annuisce Steve scostandosi i capelli dalla fronte.

«Allora andiamo», dico, e probabilmente sono anche convinto.

«ASPETTA!»

«Che c'è, Harry?»

«Non va bene, ci sono dei poliziotti, laggiù...», mormora allungando il collo e fissando i movimenti circospetti di due agenti in divisa, proprio all'angolo opposto dell'edificio.

«Siamo solo ragazzi, dai... facciamo gli indifferenti», fa Julie sbrigativa. «Dai, andiamo»

La vedo entrare nel parcheggio, e io, Harry e Steve la seguiamo. Facciamo il giro lungo, circumnavigando una fila di macchine posteggiate alla luce di una serie di lampioni curvi come avvoltoi. Adesso la zona d'ombra è a circa una trentina di passi da noi. Guardo oltre il tettuccio di una station-wagon azzurra e vedo che i due poliziotti stanno chiacchierando, senza prestarci la minima attenzione. Harry sembra aver notato la stessa cosa, perché mi fa un cenno rassicurante e sollevato con la testa. Proseguiamo verso l'angolo sinistro, e percorriamo una striscia di asfalto tra due file ravvicinate di automobili. A stento arranco dietro a Julie, che cammina spedita. Vedo l'orlo dei jeans chiari arrotolato sulle scarpe da ginnastica, e la maglietta color ribes frusciante sulla schiena diritta. Sono quasi completamente stregato dal movimento ipnotico delle sue spalle, e dei capelli castani che sfiorano il collo. A un tratto sbuchiamo all'aperto a dieci metri dalla zona d'ombra, lasciandoci dietro le file d'auto. Julie accelera il passo, e in quel momento scorgo da destra con la coda dell'occhio un'auto bianca sfrecciare a marcia indietro verso un posto libero, proprio in direzione di lei. Julie non se ne accorge, e io provo l'emozione più tagliente mai esistita: provo paura. Anzi, non è paura, è autentico terrore. Non posso perderla. Puntandomi con la suola delle Adidas sull'asfalto spicco un salto in avanti e afferro Julie per le spalle, tirandola verso di me. Mentre la macchina le passa davanti sfiorandole le mani tese ho il tempo di percepire il dolce peso del suo corpo contro il mio petto, e un'ondata del suo profumo sprigionarsi dalla nuca inclinata, prima che il mio sguardo noti qualcos'altro. Sto guardando il guidatore, ora. Lo fisso come se fosse uno spettro, e lascio andare Julie.

«Grazie, Ray», sussurra lei. Io non rispondo, perché sto continuando a guardare il conducente, attraverso il finestrino aperto. È quasi calvo, indossa una camicia grigio-azzurra di flanella a mezze maniche e ho la sgradevole sensazione di averlo già visto da qualche parte. Si volta verso di me, e con disgusto noto che è impegnato a chiacchierare a un telefono portatile. Mi guarda negli occhi, interrompe la conversazione, e con la faccia più a schiaffi che si possa immaginare dice: «Salve, ragazzi». Io rimango allibito, e sono pervaso da una rabbia incontrollabile. Per di più non riesco a liberarmi da quella spiacevole sensazione di deja vu. Non sono nemmeno capace di ribattere alle sue parole, e tutto quello che riesco a gracchiare è: «Salve?!». L'uomo mi ignora, si passa la cornetta all'orecchio destro e riprende a parlare al telefono. A quel punto la mia rabbia ha raggiunto il livello critico, e sento che non sono più capace di controllare le mie azioni. Apro la bocca e sento le mie parole come se stessi parlando in playback.

«Potevo perderla, pezzo di stronzo!», urlo. Percepisco lo sguardo di Julie sul mio volto, ma continuo a guardare davanti a me. «Potevo perderla!», ripeto a voce ancora più alta.

«R-Ray...», mormora Julie sfiorandomi il braccio con una mano.

«Mi hai sentito?» L'uomo si volta senza smettere di parlare nella cornetta. Mi lancia uno sguardo sorpreso da sopra il telefono cellulare.

«Scusa, tesoro, c'è un idiota che mi offende», dice in tono dolce e orrendo allo stesso tempo. Chiudo il pugno facendo affondare le unghie nel palmo, e stringo le dita quasi come se fossero i denti di una tagliola. È in quel momento che il mio braccio scatta come un pupazzo a molla, e con un cazzotto colpisco il telefono spaccandoglielo sulla tempia. Il display si frantuma e sento i pezzetti di vetro incidermi la pelle sulle nocche. Le dita mi bruciano dove la carne si è sbucciata sulle prime falangi. L'uomo geme e apre la mano, e ciò che rimane del cellulare rimbalza sul bordo del finestrino per poi cadere sull'asfalto davanti ai miei piedi. La guancia del conducente è completamente imbrattata di sangue, che cola dall'orecchio colpito. Per l'urto gli ho sfondato un timpano. Colpisco l'uomo una seconda volta, e i frammenti del display mi affondano nella carne, ma non m'importa. L'uomo si accascia sul sedile di fianco, sorretto dalla cintura di sicurezza come un burattino rotto. Il motore della macchina continua a borbottare. Solo allora sento Harry che mi chiama.

«Ray, cosa diavolo fai?!», mi sibila nell'orecchio. «Andiamo, prima che la polizia ci veda!». Mi trascina per la maglietta rossa della U.C.L.A., portandomi dietro la vecchia automobile del tizio, il tubo di scappamento ondeggiante. Julie e Steve ci seguono, preoccupati. Raggiungiamo la zona d'ombra dietro il London Arena senza fiatare, e ci mettiamo in cerchio. «Forza su, veloci! Concentriamoci!», fa Steve in tono apprensivo, prendendo la mano di Harry.

«Andiamo!»

«Oddio, ci hanno visto!», geme Julie guardandosi indietro.

«I poliziotti, cazzo!»

«Non importa, Ray!», mi dice Harry in un soffio. «Prendi la mano di Julie! Prendila, ho detto!»

«Stanno arrivando! Stanno venendo qua!»

«Julie, per l'amor di Dio, dammi la mano!», urlo.

«Aspetta!», fa lei, e afferra la bacchetta, puntandola dietro di sé. «Petrificus Totalus!», pronuncia a voce alta, senza nemmeno guardare, ma io sento distintamente due corpi che piombano a terra. Poi Julie mi prende la mano nella sua, e all'improvviso sento come se fossi calato a testa in giù in un pozzo strettissimo. Mi sento premere da ogni lato, e la sensazione è soffocante. Stringo i denti e chiudo gli occhi, ma non lascio la mano di Julie.

5.

Quando riapro le palpebre, vedo solo bianco. Per un po' sono seriamente convinto di avere qualche problema agli occhi, come una specie di cataratta. Forse mi sono Smaterializzato male, penso terrorizzato. Forse ho perso i bulbi oculari. Me li sono lasciati dietro. La mia mente ormai sconvolta corre rapida a un'immagine dei miei occhi roteanti sull'asfalto dietro il London Arena. Muovo le braccia davanti a me e mi rendo conto di essere sdraiato a faccia in giù, con le gambe unite e leggermente piegate. Punto le palme delle mani contro il terreno per issarmi. Sbatto le palpebre e capisco che i miei occhi ci sono ancora. Stavo fissando il candido pavimento piastrellato dei bagni dell'edificio. Una volta in piedi mi osservo riflesso nell'ampio specchio alla mia sinistra. Ogni cosa è al suo posto. Tiro un sospiro di sollievo, facendo correre la mano sull'inguine, che non si sa mai abbia perso per la strada qualcosa di essenziale. Poi mi rendo conto che non sono solo. In fondo alla stanza, piegato contro il muro, c'è Nick, che si sta ancora riprendendo. Dietro di me si sta stiracchiando Mark, insieme con Steve e Harry. Stanno tutti bene, a quanto pare. Da un cubicolo alla mia destra spunta il volto scombussolato di Luke.

«Tutto okay?»

«Non c'è male. Non credo che mi ci abituerò mai, a questa cosa», dico, e mi ficco le mani nelle tasche. Nick si issa in piedi e sbatte la testa contro l'asciugatore automatico, che inizia a ronzare soffiando aria calda.

«Ma è possibile?!», sbotta lui, le mani alla fronte, cercando di sovrastare il rumore.

«Si può sapere che cavolo ti è preso?»

«Cosa?», fa Nick sconcertato.

«Dico a lui», ribatte Harry indicandomi. «Perché diavolo ti sei messo a far casino?». Mi guardo la mano destra, su cui luccicano piccoli taglietti asimmetrici in rimarginazione. Ci sono ancora frammenti del display inifitti sottopelle. Alzo la testa e vedo che tutti i presenti mi stanno fissando. Io non spiccico parola. Poi Steve apre la bocca.

«I poliziotti ci hanno visto...»

«Non è vero, Julie li ha fermati senza farsi vedere!», ribatto.

«...ti hanno visto mentre lo picchiavi», prosegue Steve calmo.

«Picchiava chi

«Ma se è successo in un attimo! Loro ci seguivano perché hanno visto che andavamo là dietro!», dico tutto d'un fiato, stringendo i pugni.

«Che ha fatto Julie?!», fa sconvolto Nick, guardando Mark, che scuote la testa e alza le spalle.

«Li ha pietrificati, non se ne sono nemmeno accorti, quando si rialzeranno non sapranno dire che cosa sia successo...»

«Ma troveranno quel tipo con la faccia maciullata!», urlò Harry senza riuscire a contenersi. «E quello ti ha visto, ci ha visti, racconterà tutto, dannazione!». Cala il silenzio. Io scuoto la testa, sconsolato. Poi torno a guardare Harry negli occhi.

«Tra poco non avrà più importanza se abbiamo dei poliziotti alle calcagna. Avranno altro a cui pensare», dico lentamente. «Qua rischieremo la morte tutti quanti, e per quello che mi riguarda quell'imbecille se l'è meritato!... Potevo... lei poteva... Poteva essere ferita, poteva anche morire! E a lui non importava niente... se l'è meritato», ripeto. Nessuno fiata, ma vedo Mark, Nicholas e Luke che annuiscono in silenzio. Anche Steve sembra d'accordo. Harry invece mi sta guardando con un misto di sorpresa e tristezza, e non capisco il perché.

«Dove sono gli altri?», chiedo per cambiare discorso. «Li avete visti? Non dovrebbero essere lontani»

«Qua ci siamo solo noi», fa Mark guardandosi intorno preoccupato.

«Forza, usciamo, dobbiamo riunirci», propongo, cercando di non pensare che per qualcuno di noi la Materializzazione possa anche essere andata male. Socchiudo la massiccia porta a soffietto e mi affaccio su un corridoio, guardando alla mia sinistra. Non c'è ancora nessuno lì intorno, e dentro di me sono grato al fatto che le file all'entrata siano così lunghe. Le persone già in platea da questa mattina se lo segano, di venire fin quassù a pisciare, penso, e soffoco una risatina isterica. Davanti a me c'è una vetrata semioscurata, che prosegue lungo tutto il corridoio, il quale circonda l'arena centrale. Mi volto a destra e con un tuffo al cuore scorgo alcuni di noi in fondo al corridoio, dietro un distributore automatico di bibite. Vedo Ron, Sid, Jane e Ellie, tutti e quattro abbastanza intontiti, ma apparentemente sani e salvi. Mia cugina mi fa un cenno col capo, la mano tesa in avanti a significare che è tutto a posto, oppure che sta per vomitare, non saprei quale delle due. Nick, Luke e Mark mi raggiungono e si guardano intorno dopo aver salutato i nostri amici. Mi avvicino a loro e do una pacca sulla spalla a Sid, coi capelli spettinati e lo sguardo mezzo vacuo. Tra l'Ascendio e la Materializzazione ne ha passate anche troppe, in questi giorni. Ron si avvicina a me come per dirmi qualcosa, ma io lo ignoro.

«Ehi, guardate, c'è Iris!», fa Mark sottovoce. Iris Trench sbuca dalla parte opposta del corridoio, seguita a ruota da Julie ed Hermione. Ci salutano cautamente e si avvicinano. Julie mi guarda per un attimo con un'espressione indecifrabile, poi distoglie lo sguardo. Le ferite sulla mano sembrano farmi più male, ora.

«State tutte bene?», chiede Nick apprensivo, appoggiando la mano sulla spalla di Hermione.

«Sì, tutto okay»

«Ma che diavolo è successo? Perché ci siamo sparsi così, se eravamo a gruppi?!», chiede Iris.

«Ah, non chiederlo a me, io sono quello che si è Materializzato con la faccia sul pedale per l'acqua calda», borbotta Mark allargando le mani.

«Shh», fa Steve col dito davanti al naso. Delle ragazzine vestite tutte dark sono appena spuntate in fondo al corridoio. Tra schiamazzi e risatine defluiscono nel bagno femminile, richiudendo la porta a stantuffo dietro di loro.

«Cerchiamo di non dare troppo nell'occhio, ragazzi», ci dice in un bisbiglio Ron, mentre un coretto improvviso di gridolini seguito dallo spalancarsi della porta e dall'uscita a rotta di collo di tre dei nostri ci avverte che Liam, Jack e Ryan si sono Materializzati nel bagno sbagliato.

«Salve, gente!», fa Liam ammiccando a me con la testa ricciuta.

«Ganzo, un distributore!», esulta Jack. «Vai, si mangia!»

«Sono solo bibite»

«NO!»

«Ebbene sì»

«È uguale, si beve», ribatte Jack facendo spallucce e tirando fuori il portafoglio. «No! Ho solo soldi magici!»

«Usa la bacchetta», propone Ryan.

«Neanche per idea! Non dobbiamo farci scoprire!», abbaia Harry. «Qualcuno gli presti i soldi sennò mi muore disidratato». Mi sposto davanti alla macchinetta e a malincuore scruto nel mio portafoglio, estraendone degli spiccioli.

«50 pence? Che ladri!», esclamo lanciando un'occhiata al cartellino di plascica sopra la fessura per le monetine. Jack agguanta il malloppo e provvede ad abbeverarsi. Guardo al contenuto restante del mio borsellino e spero con tutto il cuore che non gli venga fame. A un tratto, dentro di me sento che c'è qualcosa che non quadra, ma non so cosa.

«Dai, ragazzi, non mettiamoci nei guai! Dobbiamo comportarci normalmente», fa Hermione lievemente preoccupata. La guardo negli occhi senza vederla, mentre cerco di decifrare quella strana sensazione..

«Sono a un concerto metal, io faccio casino!», sbronciola Jack ghermendo una lattina di Minute Maid all'arancia e facendo saltare il sigillo con un sibilo. «Questo è comportarsi normalmente!»

«Okay, okay, d'accordo, ma vediamo di non distruggere tutto!»

«Ma che cazzo, divertiamoci, no? Già che ho pagato per entrare...»

«Tu non hai pagato per entrare, Sid!», osservo, senza riuscire a liberarmi da quella sensazione.

«Cazzo, sì! Materializzarsi per me è un prezzo bastardo», spiega concitato. «Eppoi mi stavo calando nella parte»

«È vero, però, non dobbiamo agitarci troppo... Ricordatevi che non siamo qui per stancarci, dobbiamo essere vigili»

«Uffa, dài, ora non ci si può nemmeno lasciar andare un po'?»

«Senti, Ryan, qua tra poco ci sarà un casino che nemmeno ti immagini! Se hai intenzione di--»

«Silenzio!», sbotto a voce alta, e tutti si zittiscono. Improvvisamente ho realizzato qual'è il problema. Mi guardo intorno e vedo solo sguardi interrogativi. Apro la bocca. «Ragazzi... dov'è Sal?»

Gli occhi dei presenti si sgranano quasi contemporaneamente, e l'effetto sarebbe divertente se non fosse maledettamente grottesco. Subito le pupille saettano qua e là, e vedo tutti agitarsi, allungando il collo oltre la vetrata, da cui è visibile l'arena centrale che inizia a gremirsi di persone. Mi guardo attorno, e per la prima volta mi rendo conto che il pavimento sta tremando a intervalli regolari: giù di sotto i tecnici stanno facendo il soundcheck della batteria, e ad ogni colpo di grancassa mi risuona il torace e sento pizzicarmi le suole delle scarpe.

«Dove diavolo è andato?»

«Non era con noi!», esclama Ron, come per mettere le mani avanti.

«Qualcuno l'ha visto arrivare? Qualcuno era con lui?», chiedo disperato. Ci mancava anche di perdersi a un concerto metal, e poi eravamo a posto.

«Noi eravamo nel suo gruppo, ma poi non lo abbiamo più visto», spiega Ellie tirandosi l'orlo della maglietta sull'ombelico scoperto. Guarda Jane, che annuisce.

«Cazzo... Non sarà mica finito davvero alle Hawaii come aveva detto?»

«Spero con tutto il cuore di no, Ryan»

«Ma è impossibile, la Materializzazione era Congiunta, non può distaccarsi dagli altri»

«Noi ci siamo separati tutti, e all'interno dei gruppi!», interviene rabbiosa Iris. «Come te lo spieghi, questo?»

«Shh! Silenzio, parlate a voce bassa!», dico in un soffio, e nella mia mente inizia a farsi strada un'idea bislacca ma abbastanza plausibile. Sono totalmente perso nei miei pensieri, quando Jack mi distrae.

«Ragazzi, non ci posso credere», mormora dandomi un colpetto sul fianco. «Lo vedo, è lassù!»

«Lassù dove?», chiedo voltandomi e seguendo il suo sguardo.

«Eccolo, eccolo!», fa Liam, e inizia a correre verso la sua destra, oltre il distributore. «Porca cazza, doveva essere proprio concentrato! Come diavolo c'è finito, lì?!»

«Non ne ho la più pallida idea», mento spudoratamente, poiché so benissimo che il motivo per cui Sal Gascoyne si è Materializzato nel corridoio dalla parte opposta del London Arena è lo stesso per cui tutti coloro che si sono Smaterializzati con e dopo di lui sono stati separati e spediti in luoghi sparsi. Percorriamo tutto il corridoio circondante lo spiazzo del concerto, che rimane alla nostra sinistra, oltre i doppi vetri bluastri, una ventina di metri più sotto. Sento i nostri passi scalpiccianti sul pavimento mischiarsi ai tonfi del rullante che provengono dal palco. Incrociamo un altro gruppetto di ragazzi, un po' più grandi di noi, tutti con magliette nere su cui risaltano nomi di gruppi musicali. Poi sbuchiamo in un corridoio esattamente speculare a quello dove ci trovavamo noi poco prima. Un gemito di Jack conferma il fatto che non c'è alcun distributore automatico, ma io non me ne curo. Scorgo Sal in fondo, stordito, che si guarda attorno come se avesse perso la memoria. Lo chiamo e gli corro incontro, seguito a ruota da tutti; lui si volta verso di me e mi fa un cenno con la testa. Noto che accanto a lui, contro il muro, sta una specie di coperchio metallico, come una grata tutta contorta. «Ma dove cazzo eravate finiti?», brontola Sal spettinandosi i ciuffi biondi con una manata.

«Dove eri finito tu!?», ribatte Mark. «Non ti trovavamo, sei finito nel posto sbagliato»

«Maui era un po' più lontana», aggiunge Sid, ma Steve gli fa cenno di tacere.

«Meno male che non ti sei Materializzato in un posto più complicato», gli dice. «Poteva andare peggio, ti abbiamo trovato quasi subito, per fortuna»

«Ma io non ero finito nel corridoio, e nemmeno nel bagno!», esclama Sal, e tutti si zittiscono per ascoltarlo. «Mi sono trovato in una specie di posto tutto nero e stretto... sono riuscito a venirne fuori... ho scalciato e mi sono agitato, e alla fine sono caduto... Gente, non chiedetemi come, ma mi sono Materializzato nel condotto di areazione qui sopra!». Indica con la testa il soffitto, e tutti vediamo uno stretto passaggio quasi rettangolare, un nero buco che sale verso l'alto, e da cui fuoriesce una lieve brezza. Jack fischia sottovoce.

«Sal, solo a te possono succedere queste cose!», sghignazza, e lui alza le spalle. Noto che mi sta fissando, e io annuisco. Entrambi abbiamo capito: è per via di quella collana. Ha come scombinato tutti i Passaggi di Materializzazione, facendoci disperdere, e lui è quello che ne ha risentito di più. Immagino la stia tenendo in tasca, perché al collo non la vedo. Se l'avesse indossata, probabilmente sarebbe finito più lontano. Molto più lontano.

«Sentite, ragazzi, meno male che ci siamo trovati», fa Steve. «Direi di iniziare a scendere giù, con calma»

«Okay... Mi raccomando, non separiamoci»

«Va bene, gente», annuisce Harry. «Andiamo»

Ritorniamo indietro al punto di partenza, oltrepassiamo il distributore di bibite, cui Jack lancia un'occhiata strappalacrime di nostalgia, e raggiungiamo l'angolo da cui sono uscite quelle ragazzine poco prima. Svoltiamo e ci troviamo di fronte una porta tagliafuoco con due aperture sulle ante, due vetri spessi intessuti da una trama a rete. Oltre le finestrelle è visibile una rampa di scale in discesa, accanto a cui una striscia di luce gialla fuoriesce dalla porta aperta di un ascensore. Nick si fa avanti e spinge il maniglione antipanico. Con uno sbuffo la porta si spalanca; la parte inferiore striscia sul pavimento lucido. Defluiamo all'esterno, e Liam prepotentemente spinge con una spallata l'anta rimasta chiusa, mandandola a sbattere contro un cestino di metallo.

«Attento!»

«LIAM! Ma sei scemo?»

«Ops», mormora lui raddrizzando il cestino. La superficie cromata riflette in modo buffissimo la sua faccia concentrata, mentre con un cazzotto incastra a forza il posacenere nell'incavo superiore. Un sacco di mozziconi di sigaretta e cartacce di merendine sono sparse sul pavimento, ma Liam se ne libera calciandoli contro il battiscopa. Hermione non sembra contenta, Harry invece è palesemente teso; io, d'altra parte, sono troppo impegnato a tirare uno scappellotto a quel casinista per curarmi di altro, mentre Jack sembra unicamente interessato a scoprire da dove provengano quegli involucri di snack al caramello.

«Meno male che non dovevamo far casino, eh?», commenta Nick.

«Sentite, eh, che ci devo fare...»

«Quell'altro che va a finire nei tubi dell'aria condizionata, te che demolisci l'edificio...», lo rimprovera Jane scuotendo la testa. «Ci manca altro che tu vada a fare arrampicata sui pali di sostegno delle luci di scena, e siamo a cavallo». Tutti ridono, ma a me improvvisamente viene in mente cosa significava quel deja vu, come mai avevo avuto quella sensazione, lì fuori, nel parcheggio. Capisco dove ho già visto l'uomo che ho picchiato. Era il tizio Babbano seduto sull'Audi a mangiarsi un panino, vicino agli scogli su cui ci arrampicavamo io e Liam. Gli avevamo persino chiesto l'ora. Certo che il mondo è piccolo, penso, colto da un brivido, e mi avvicino alla tromba delle scale.

«Dobbiamo andare a piedi, in ascensore non ce la faremo, siamo troppi», dico rivolto agli altri, «e questo significherebbe perdere tempo e separarci di nuovo in gruppi»

«Senza contare che se Ryan scoreggia è la fine»

«Vero anche quello», commento con un sorriso.

«Allora dài, gambe in spalla», intima Steve. I ragazzi annuiscono e cominciano a scendere le scale. Mentre mi passa accanto, noto per la seconda volta che Ron pare volersi avvicinare per dirmi qualcosa, ma continuo imperterrito a distogliere lo sguardo. Non chiedetemi perché, ma godo nel trattarlo così, anche se non ha colpa di niente. Sapete, non ha colpa nessuno se lui e Julie si sono baciati. Non è colpa nemmeno di lei. Infatti io non odio Ron. Odio solo me stesso, e trattarlo male sapendo che non se lo merita è l'unico morboso modo che ho per scaricare il mio malessere. Potrei persino iniziare a trattare da schifo Julie, ma non credo di poterci riuscire. Lo potrei fare, ma so che dopo ci rimarrei troppo male. Sono un debole, dico a me stesso, sconsolato. Sono un debole e un fallito, e se non divento stronzo non combinerò mai un cazzo, nella vita. Mi rendo conto che ho la testa troppo piena, è stracolma di problemi e di casini vari. Non ne posso più, porcomondo, basta. Troppe cose mi ronzano in testa, è come avere le zanzare attorno, ne scacci una e ne arrivano altre dieci. Così adesso. Troppe cose nascoste, gente che ho già visto e non so dove, sensazioni che non mi so spiegare, Julie che non so cosa diavolo abbia fatto quest'estate, Ron che mi vuole dire chissà cosa, ma a me non me ne frega niente, niente! Voglio che finisca... voglio smettere con questa storia, voglio smettere questo schifo, basta coi Mangiamorte, basta con tutto, ogni cosa mi fa stanchezza, ogni cosa pesa il triplo adesso... Voglio che questa notte finisca, voglio tornare come prima. Voglio che finisca presto.

È Harry, stavolta, a distogliermi dai miei pensieri. Mi si affianca mentre scendiamo le scale e mi trattiene con una mano sulla spalla. Lascia scorrere gli altri avanti, e rimane con me sul pianerottolo, poi mi fa cenno di accodarmi ai ragazzi, restando a distanza.

«Che succede, James?»

«Mi chiami col secondo nome?!», fa Harry incredulo.

«Mi piace variare», butto lì. «Allora, volevi dirmi qualcosa? Nel bagno, prima, mi hai guardato in un modo stranissimo quando parlavo del casino nel parcheggio... Cos'è, un'altra ramanzina?»

«No...»

«Oppure c'entra perché parlavo di Julie? Riguarda Ron?», aggiungo, spossato. «Okay, okay, non lo tratto più male, il tuo amico...»

«Non si tratta nemmeno di questo... Perché, cos'ha fatto Ron con Julie?», chiede. «A te piace Julie?»

«Ah, non lo sai». È più una constatazione, che una domanda. Harry scuote la testa, colto di sorpresa. «Beata ignoranza», borbotto, colto da un'ispirazione poetica. Lui sorride di sbieco, come un bambino che non ha capito bene una barzelletta ma ride ugualmente per non fare una figuraccia con l'amico. Ormai siamo quasi vicini al piano terra, e il rumore ritmico del soudcheck risuona sempre più forte e cacofonico tra le pareti, misto alle voci del pubblico pagante e di un'altra musica in sottofondo. Faccio scorrere il palmo sul corrimano di ferro, e guardo interrogativamente Harry.

«Allora, c'è qualcosa che volevi dirmi?», chiedo. Lui pare sforzarsi tantissimo per trovare una risposta, e sembra soppesare attentamente le parole, un po' come un chimico che dosa gli ingredienti per una pozione esplosiva.

«Ti avranno detto... Saprai senz'altro, per pettegolezzi e dicerie varie... Del fatto che un anno circa fa, ho avuto sogni su... varie cose, che avvenivano in quel momento preciso...»

«Sì, ricordo... Non che io ci abbia mai creduto più di tanto, abbi pazienza...

«Non importa», fa lui, alzando le spalle. «È più che normale»

«Poi ci fu anche il fatto degli svenimenti, no? A lezione di... cos'era? Insomma dài, di Merdium»

«La Cooman?»

«Esatto, quella. La medium-Merdium»

«Sì, successe anche lì, ed erano sogni reali... vedevo eventi contemporanei, come se mi spostassi da un luogo all'altro...»

«Come un narratore onnisciente», aggiungo, sfruttando la mia Interminabile-Raccolta-Di-Similitudini-Sul-Mondo-Del-Cinema. Harry annuisce, ma sembra molto preoccupato e triste.

«Il fatto è...», inizia, «...io... insomma, ho fatto un altro di questi sogni. Solo che... non era il presente, ma il futuro. Una settimana e mezzo fa, ho visto la fine di questa battaglia...la fine di questa notte... Io... ho assistito alla morte di uno di noi», conclude, ma io ho già afferrato il succo della questione.

«Ero io, vero?», chiedo, senza scompormi troppo. Harry guarda in basso, sempre scendendo le scale accanto a me; sta in silenzio per qualche secondo. Poi annuisce. «Senti», faccio, mettendogli una mano sulla spalla. «Mi fa piacere che tu ti preoccupi per me, e capisco che tu me lo dica anche perché sai che non ti considererei un pazzo... Ma io non sono preoccupato... Stanotte è un pericolo per noi tutti, e quello era solo un sogno»

«Ma... i miei sogni si sono sempre rivelati essere... insomma, quello che vedevo stava veramente succedendo», mormora Harry, un po' contrariato, ma anche chiaramente in pensiero. Io lo guardo negli occhi, e in quel momento mi sembra impossibile di star parlando con il ragazzo che per più di una volta è sfuggito al mago più temibile di tutti i tempi.

«Ma quei sogni mostravano il presente, non il futuro, l'hai detto tu stesso... potrebbe essere un semplice incubo», osservo, arcuando le sopracciaglia. Oramai abbiamo raggiunto gli altri ragazzi, che si sono ammucchiati davanti a una porta ignifuga grande il doppio della prima, chiusa sotto un cartello lucido che reca in stampatello la parola “ARENA.

«Ray...», bisbiglia Harry per non farsi sentire da tutti. «Ho sognato la tua morte... era reale, era tremenda...». Nel frattempo Luke ha appoggiato il palmo della mano contro la maniglia rossa, e si è voltato verso di noi, guardandoci interrogativamente.

«Allora, siamo pronti? Entriamo?», sta chiedendo, col volto teso in un'espressione di seria lucidità. Attorno a noi scorrazzano fans in fibrillazione, diretti verso il punto di ristoro alla nostra sinistra o verso lo stand delle magliette e dei gadget dalla parte opposta. Il chiasso del pubblico misto al suono stridente di chitarre, oltre la porta, è ovattato dal suo massiccio spessore. Io sposto lo sguardo su Harry, e gli sorrido.

«Tranquillo», gli dico sottovoce. «Mi hai allungato la vita». Poi torno a guardare Luke, la cui mano ha iniziato a spingere verso in avanti la spranga orizzontale antipanico che serra la porta. «Okay. Facciamolo», confermo. Lui fa scattare la serratura. Le ante si dischiudono come fauci, e il muggito della folla ci inghiotte.

Ci siamo dentro.


6.

«Tutte le volte in cui mi sentivo

come se non finisse mai,

era per te.

E tutte le volte che ho assaggiato

ciò che mai avrei potuto avere

era da te.

Ogni volta che ho strillato le mie intenzioni

piene di orgoglio,

ho sprecato più tempo di chiunque»


Staind, “Outside”



Strano quanta gente riesca a contenere questo dannato posto. Strano che esistano così tante persone nel mondo. Ancor più strano è il fatto che la maggior parte di queste sia completamente fuori di testa, e che questa parte sia confinata tra le mura dell'edificio in cui mi trovo adesso. No, mi correggo, non è strano. È preoccupante. L'effetto che provo una volta penetrato all'interno della bolgia – sì, non c'è altro termine per definire una cosa del genere – è simile ad essere investiti da una enorme folata di fiato caldo, come se ci fossimo appena appostati davanti al muso di un drago dormiente. C'è odore di sudore misto a deodorante che aleggia nell'aria calda, una specie di pesante cappa di calura dovuta all'agitazione del pubblico esposto ai potenti riflettori che affettano il buio dell'arena. Noto che molti dei presenti sono addossati a una specie di palco minore, dove stanno già suonando gli Incubus. Una parte del mio cervello registra che la canzone è New Skin, poiché riesco a percepire il ritmo tribale del bongo che il cantante tiene stretto in grembo. La gente lì davanti è, se possibile, ancora più impazzita di quella che si trova nel resto dell'arena. Mentre mi guardo attorno, raddrizzandomi gli occhiali sul naso sudato, i miei amici mi stanno accanto, e vedo che molti di loro stanno tenendo la mano nella tasca dei pantaloni, stretta sul manico delle rispettive bacchette. Osservo di sottecchi Sal, il cui sguardo teso in una smorfia tradisce il suo conflitto interiore tra il Momento Serietà e il Momento Pogo. Mi avvicino a lui.

«Nervoso?», gli chiedo, cercando di farmi udire al di sopra del riff del ritornello della canzone.

«Insomma»

«Bello scherzetto, ti ha combinato, quella merda», sghignazzo indicando la catenina della collana che gli pende dalla tasca sinistra dei jeans.

«Sì, ecco, appunto, vaffanculo, se lo sapevo pagavo il biglietto», borbotta lui, ma si vede che gli occhi gli stanno sorridendo. Mi viene in mente una cosa.

«Non mi hai mai raccontato veramente che ti è successo laggiù in Galles», inizio, inclinando la testa fino a portare la mia bocca a poche decine di centimetri dal suo orecchio. «Avevi detto che avevi perso la bacchetta, e allora che cos'hai usato finora?»

«Me ne ha trovata una Ellie... nella soffitta, a Godric's Hollow. Meglio così», aggiunge, «perché la mia non ho idea di come fare per riprendermela»

«Già, se esiste ancora, una casa, a Godric's Hollow. Il tiglio che hai affettato a quest'ora sarà piombato sul tetto»

«No, l'ho riparato», risponde Sal. «E ti dirò, non si vede quasi niente. Con le riparazioni questo pendaglio funziona bene... Quindi, teoricamente, se io ti taglio il pisello, tu non te la devi prendere, perché tanto te lo posso riappiccicare»

«Teoricamente», ripeto, e sorrido. Sal ride a sua volta, poi abbassa la testa e si gratta la coda dell'occhio.

«Julie?», chiede, sollevando il capo di scatto.

«Sta lì»

«Non ci hai più parlato»

«Ci mancherebbe», mormoro. «Mettiti nei suoi panni. Le romperei le palle. È un problema mio, non suo»

«Non te lo meriti», fa Sal scuotendo la testa. «Davvero, Ray, non ti meriti una cosa del genere»

«Può darsi»

«No, è certo.»

«Ma dài, me la sono cercata», ribatto, strattonando nervosamente l'orlo della mia T-shirt. «Sono io che continuo ad andarle dietro»

«Beh... l'amore è come Dio», dice Sal semplicemente. «Esiste solo se ci credi»

«Io ci credo. Quindi immagino che quello che provo non sia una stronzata»

«Ti sei risposto da solo»

«Buon per me... Amare costa, piangere è gratis», borbotto, calciando una lattina di Pepsi. Sto per fare il bis con un fermaglio per capelli spezzato rimasto a raccogliere polvere sul pavimento, quando da lontano sento una voce che mi chiama.

«Ray! Raaaay! RAY!», strilla contenta una voce di ragazza. Alzo lo sguardo verso la folla e vedo una vecchia conoscenza correre verso di me a braccia spalancate.

«Guarda un po'! Eka!», esclamo, non proprio sorpreso di trovarla in un luogo simile. Lei in pratica mi salta addosso, avvinghiandosi con le gambe attorno ai miei fianchi e stringendomi le spalle in un abbraccio. Non posso fare a meno di pensare che questa non è esattamente la situazione giusta per concludere un dialogo come quello appena avuto con Sal. Le do un bacio sulla guancia, e la sua pelle è talmente bianca da sembrare neve. Giuro che non lo faccio apposta, ma per sostenerla, la mia mano scivola sotto le sue natiche, e scorgo Sal lanciarmi uno sguardo che, se non complicità, esprime spasso assoluto. Eccheccazzo, non si può nemmeno salutare un'amica? Decido che è meglio non destare sospetti, così la lascio scivolare giù finché con le punte delle All Star non ha toccato il pavimento. La osservo. Come al solito ha un altro di quelle paia di pantaloncini pericolosamente corti, e un top aderente di colore rigorosamente nero. Le palpebre sono lievemente tinte con un'ombreggiatura viola degna di una celebrità del muto anni '20, e il braccio destro è fasciato da una sorta di rete a maglie larghe.

«Ti vedo molto fetish, stasera!», le dico cercando di suonare interessato, ma sto pensando a tutt'altro.

«Hai visto? Wow, Ray! Era tantissimo che non ci si vedeva! Ma che ci fai qui?», mi fa tutta contenta.

«Ehm... hai visto? Siamo tutti...»

«Forse è meglio se ti spiego, Eka», interviene Sal provvidenzialmente, ma lei sembra non sentirlo.

«Ma lo sai», inizia, dandomi un colpetto amichevole sul petto, «prima, appena hanno iniziato gli Incubus...»

«Eka, ti dobbiamo dire una cosa...»

«Aspetta, aspetta, allora, dicevo... ballavo sotto il palco tutta contenta...»

«Eka, sei ubriaca?», chiedo, improvvisamente preoccupato.

«Ho bevuto un pochino, dai, ma ormai l'effetto è svanito», fa lei, agitando la mano davanti a sé con fare noncurante. Io e Sal ci lanciamo un'occhiata di puro terrore. «E stavamo dicendo... ah sì! A un certo punto mi vola addosso un punkettone lercio e la sua gamba mi si impiglia nelle cinghie dei pantaloncini, sta sdraiato e si divincola tipo coglione e io a strillare: “stai fermo cazzone, fammi liberare la tua cazzo di gamba”, non so se ti immagini la scena...», dice, e scoppia a ridere come una pazza.

«Purtroppo sì», mormoro, ormai arreso all'evidenza.

«... poi si è presentato un mio ex che con una scusa mi ha lasciato per un'altra... “ti sei fatta figa, eh”, mi dice, e io gli rido in faccia e gli faccio: “peccato che con me non ci verrai mai più”... ah ah! È stato a sbavarmi dietro tutta la sera!»

«Ma io ti stimo troppo!», interviene Sid, che come al solito non appena entra in gioco un elemento femminile in più non esita ad intromettersi in qualsiasi conversazione.

«Scusa eh, se è uno stronzo...»

«Hai fatto bene!», esclama Ellie, e io mi chiedo perché diavolo ci stiamo invischiando tutti in questa sgradevole discussione. Tento di fermare quella matta patentata.

«Poi ... questa è la meglio senti qua, Ray!», prosegue Eka interrompendomi, mulinando in aria la mano, ed io inizio seriamente a preoccuparmi del suo tasso alcolico. «Ballavo attaccata tipo alla ringhiera... raccontavo ad Eric della mia litigata con la Lebenson, hai presente, che c'eri anche tu, Ray ... insomma, ero ubriaca persa e sempre contenta come una Pasqua...»

«Eka, tu sei tuttora ubriaca persa», cerca di farle notare Sal. «E noi dobbiamo assolutamente dirti una cosa... Non siamo qui per il concerto»

«Che succede?», domanda Hermione, e dietro di me sento Ryan dirgli di lasciar perdere. Gli altri di noi sono rimasti a guardarsi intorno, e solo alcuni si sono accorti della presenza di Eka, che nel frattempo sta continuando la sua storia, come una nonna rivolta ai nipoti accanto al camino. Certo, non esattamente come si esprimerebbe un'anziana signora.

«...ad un certo punto, uno che non conosco mi piglia per la mano, ma avrà tipo quarant'anni, insomma un vecchio, come per farsi seguire da me... io tolgo la mano e penso: “cazzo vuole, questo?”... lui mi riprende la mano e mi trascina via, allora lo mando affanculo e gli mollo un pugno sulla guancia, e lui se ne va via!»

«Sì, Eka, fantastico, abbiamo capito», taglio corto io, «Ma adesso dobbiamo spiegarti una cosa...». Gli Incubus hanno attaccato con Nebula, e gli squittii di DJ Lyfe sono come piantati nelle mie orecchie.

«Che problema c'è?», chiede Eka, in tono scettico. «Non suonano i Korn?». Sal scuote la testa lentamente.

«Molto peggio», mormora, e mi meraviglio che lei riesca a udirlo. «Mangiamorte». Eka sgrana gli occhi, e improvvisamente ogni traccia di velatura dovuta all'alcool sembra svanire. Sal inizia a raccontare a bassa voce, e devo seguire il labiale per stargli dietro. Niente che io non sappia già, comunque. Mentre riassume gli ultimi eventi a Eka (spero che trascuri certi particolari imbarazzanti) mi giro a controllare che cosa stanno facendo gli altri. Harry mi getta un fugace sguardo d'intesa, e io glielo restituisco. Steve sembra sulle spine, come se non sia in grado di sopportare ulteriormente la tensione dell'attesa. Il boato del pubblico cresce proprio quando Sal ha concluso, e io capisco che l'esibizione del primo gruppo è terminata. Vedo Eka annuire e portare la mano alla tasca posteriore degli shorts, da cui spunta l'estremità della sua esile bacchetta. Una voce baritonale mi fa sollevare la testa.

«Beccati lo stronzone al Twist Tour!», risuona tra la folla. «Gascoyne!»

«Noo! Grande!», esclama Sal incredulo. Eric Howe se ne sta dritto davanti a noi, e si sta facendo strada tra i presenti. I lunghi capelli castani sono sciolti sulle spalle, dalle cuffie simili a paraorecchi fuoriesce il più inascoltabile powergrind mai suonato, e la T-Shirt nera con scritto “TERROR” sembra provocare la reazione voluta in un gruppetto di ragazzine sui quindici anni, le stesse che ho visto entrare nel bagno poco fa.

«Come va, Eric?», gli domando sorridendo, e non riesco a non chiedermi come mai insiste a portare quell'enorme paio di cuffie anche a un concerto.

«Sto male porca puttana... Troppo vinoooo!», si lamenta lui, alzando gli occhi al cielo. Io mi metto a ridacchiare.

«Ah-ha! Hai trincato, eh? Di' la verità, quanti bicchieri?»

«Bicchieri? Ma chi li beve, i bicchieri... Ho bevuto due litri di vino a stomaco vuoto»

«Complimenti!»

«Allora, Eric!», gli fa Sal dandogli una pacca sulla spalla. «Sei pronto per questo concerto?»

«Certo... Son sempre pronto», borbotta lui, e per un paio di secondi ho il terrore che stia per vomitare. Poi alza la testa come se avesse avuto un'illuminazione. «Ah! Ma lo sai che fuori c'era una pischella che doveva cagare, e quelli della security le dicevano che se usciva dalla fila non poteva rientrare più, e questa non sapeva come fare, e allora ti giuro ha cagato per terra davanti a tutti!!»

«Ma dài!», fa Eka, stizzita.

«Ecco la stronzata»

«No, te non hai capito, questa ha mollato una merda di otto chili accanto alla fila, e io me la stavo troppo a spisciare dalle risate! Ed era pure carina!»

«La merda?»

«No, idiota, la pischella!», ribatte Eric, e poi si blocca ad osservare me e Sal. Nota per la prima volta che ci sono tutti gli altri dietro di noi. Li saluta con un cenno, e poi si avvicina a Sal. «Ma che succede, oh? State aspettando qualcosa?». Lui si volta a guardare Harry, che nel frattempo si è avvicinato.

«Pensaci tu», gli dice. «Io ho parlato anche troppo»

«Dài, ragazzi, scegliamoci un posto dove metterci in osservazione», propone Jack. «Non possiamo starcene qui a discorrere come dei bimbetti»

«Ma Eric non sa--»

«Glielo spieghiamo mentre andiamo, Harry», interviene Hermione in tono pratico. «Jack ha ragione, dobbiamo trovare un posto vicino al palco, o comunque nei pressi... e mi sa che dovremo dividerci, per controllare più aree»

«Ma che dici? E come comunichiamo? No, no... restiamo uniti... basta che non ci mischiamo al pogo», fa Liam, e percepisco Sal accanto a me sbuffare deluso. Non posso fare a meno di soffocare una risatina, solo che non c'è niente da ridere. Non c'è proprio un cazzo, da ridere.

Mentre sul palco più grande salgono i Katatonia, le luci iniziano ad abbassarsi sensibilmente, e tutti noi ci spostiamo in avanti, seguendo il consiglio di Liam: costeggiamo la folla pressata contro il palco, restando al di là di una fila provvidenziale di transenne. Il gruppo attacca con Murder, ed è il delirio. Scorgo Harry che tenta di spiegare a uno sconcertato Eric Howe tutta la situazione, cercando di elevare la sua voce al di sopra delle misurate pulsazioni della grancassa. Mi sembra quasi di sentirle provenire dalla mia cassa toracica, invece che dagli enormi impianti di amplificazione ai lati del palcoscenico. Percepisco la tensione di tutti allentarsi lievemente, e scorgo i miei compagni lasciarsi un po' andare alla musica. Jack appare molto interessato ai giri di basso, che segue ad orecchio muovendo le dita delle mani a vuoto e annuendo compiaciuto; Ryan invece non perde d'occhio un minuto le poderose rullate del batterista, mentre persino le ragazze cominciano a ondeggiare la testa a ritmo. Io adoro questi accordi, dannazione. Osservo oltre le transenne, cercando di scorgere segni sospetti tra la folla, ma vedo solo fan imbizzarriti che fanno headbanging a tutta randa. Ci sono addirittura un paio di persone che mi sembra di conoscere. Stringo il manico della bacchetta sotto la T-shirt. Mi chiedo cosa accadrà quando suoneranno i Korn: ci sarà l'attacco? Da dove? E come? Non riesco a immaginare che da un momento all'altro questo concerto possa diventare un incubo per tutti noi. Un incubo. Mi viene in mente il sogno di Harry, ma scaccio subito quel pensiero come una mosca particolarmente fastidiosa. Intanto il cantante inizia a fare growl tremendi mentre la chitarra geme in sottofondo. Poi la strofa iniziale riprende, e il giro di chitarra e basso è netto e scolpito dai precisi colpi di batteria. È troppo triste questa canzone... Perché diavolo devo collegare ogni canzone triste a quello? Ma ecco che il gruppo sfuma la canzone in quella successiva, che è ancora più triste, e stavolta il cantante si aggancia melodicamente con la voce all'andamento della musica. Ryan mi si avvicina, alto e grosso come sempre, mi agguanta una spalla e mi urla nell'orecchio: «La batteria di Murder la saprei fare anch'io, è una cazzata». Jack interviene, e seriosamente afferma che le cose più semplici a volte sono le più geniali, e Ryan si zittisce di fronte a tanta vena poetica.

«Ray», fa mio cugino, avvicinandosi accanto a me. «Li hai visti? Ci sono anche loro»

«Chi?», domando, ma so già la risposta.

«Simon De La Mare e Daniel Cruicshanks»

«Sì li ho visti lì nel pogo... ma erano troppo presi per accorgersi di noi», dico sorridendo. Cavolo, questa canzone è davvero più triste di quella di prima.

«Siamo proprio tutti, eh, Ray?»

«Già», mormoro, forse rivolgendomi più a me stesso. «Siamo tutti».

«Peccato che non siamo in più»

«Harry ha detto che i suoi ex-compagni dell'ES non si sono fatti sentire», gli ricordo.

«Poi mancano Freddie e Christopher», prosegue Jack, aggrottando le sopracciglia. «Cazzo, son venuti a trovarci a Godric's Hollow una volta sola e poi se ne sono tornati all'appartamento a Londra. Ci sarebbero stati utili, stanotte». Annuisco e mi volto a guardare tutti gli altri. Sotto l'apparente disinvoltura, noto essere più che visibile una sottile ma persistente patina di tensione che increspa i loro volti. Non oso immaginare la mia espressione. A un tratto vedo Ron che mi fissa e fa come per avvicinarsi. No, cazzo, lui no... Che rottura di palle...

«Oddname», mi fa sottovoce.

«Io ho un nome», rispondo in modo forse un po' troppo brusco, ma non me ne curo più di tanto.

«Sì, s-scusa... volevo dire... Ray», si corregge, e si avvicina ancora. Mioddio, ma che cazzo vuole, questo?

«Sì?»

«Volevo dirti... una cosa...», mi dice all'orecchio, e sento che la voce gli manca un po'. «...Riguardo a... quella volta...» Oh, Cristoddio. «... nel capanno degli attrezzi...» Oh, Cristoddio. «... Con J-Julie.»

«Si può sapere che diavolo vuoi, da me, Weasley?», sbotto di colpo. «Vuoi i miei complimenti? Vi siete baciati, okay... vuoi le mie congratulazioni? Bene, allora, congratulazioni, Rosso Malpelo. Siamo primi a parimerito. Non ti resta che fartela e sei a posto, pensa un po', ti porti a casa la favolosa Coppa degli Stronzi, placcata in gemme preziose, e una pannocchia di mais dorata, unita a una speciale targhetta in argento forgiata da me, con incisa la scritta 'REGALINO DALLO IOWA - QUESTA PIANTATELA IN CULO, WEASLEY'... che ne dici, è abbastanza chiaro, per te?», spiattello tutto d'un fiato. Non ho idea da dove venga fuori tutta questa frase delirante, ma mi congratulo con me stesso per il cinismo. Ron sta zitto per quella che sembra un'eternità, poi solleva lo sguardo.

«Non ci siamo baciati», mi dice lentamente.

«Ma che cazzo dici...», ribatto. «Sarà stata lei a farlo per prima, sai che cambiamento»

«No, Ray... Lei voleva baciarmi, credo... ma non lo ha fatto... si è fermata poco prima»

«Perché sono entrato in scena io!», faccio di colpo, allargando le braccia. Ron non si scompone. Continua a scuotere la testa, e questo mi dà sui nervi.

«Ray... Ho visto che si avvicinava, ma poi si è fermata da sola... Dopo sei entrato tu...», scandisce come se facesse lo spelling a un vecchietto. Poi aggiunge: «A te piace, vero?»

«Sì», borbotto, alzando gli occhi lucidi al cielo.

«E lei lo sa, vero?»

«», ripeto, e digrigno i denti.

«Allora si è fermata perché ha pensato a te», conclude Ron. «Si è resa conto che ti avrebbe fatto star male. Lo ha fatto per te»

«Tu... Tu... l'avresti baciata?», gli chiedo, balbettando. Inizio a sentirmi male sul serio. Che cazzo di discussione mi sono messo a fare, porca miseria?

«Non lo so... forse no... forse sì... ecco di questo puoi accusarmi, ma solo me, non Julie. Sono io che non mi sarei fermato, forse»

«Ma a te... piace qualcuna?», domando.

«Strano che non te ne sia accorto», fa lui, gli occhi improvvisamente sorridenti. Mi domando cosa cazzo ci sia di tanto divertente. Io mi sento male. «Ormai è evidente... ma no, non è Julie». Deduco che la conversazione è conclusa. I Katatonia attaccano con l'ultima canzone, e io sento il cervello girarmi come un frullato tra le tempie. Questo è decisamente troppo. Osservo Julie, che sta chiacchierando con Ellie. Mia cugina incontra i miei occhi e mi saluta. Julie si volta e mi lancia un'altra occhiata di quelle ermetiche, tristi e sorridenti al tempo stesso. Mi sento male. Afferro l'orlo del colletto di Jack. «Ho bisogno di un po' d'aria», balbetto, e lui annuisce.

«Vengo con te»

Ci spostiamo ancora più al lato del palco, dove il chitarrista e il bassista stanno facendo jamming per concludere la loro performance, e ci teniamo lontani dalla folla, in una delle poche aree rimaste sgombre.

«Tutto bene, Ray?»

«Certo», rispondo, prendendo fiato a grandi boccate, come un'orca arenata sulla spiaggia. «Tutta questa gente... uff, c'è caldissimo, credo di aver avuto un calo di pressione»

«È stranormale», mi tranquillizza mio cugino. «Figo 'sto concerto, eh?»

«Già, figo... sei teso?»

«Insomma», fa lui lentamente. «Ho un po' paura, ma cerco di non pensarci. Non voglio distrarmi troppo, ma nemmeno sprecare energie a preoccuparmi senza un motivo concreto»

«Giusto. Quando sarà il momento, agiremo»

«Andrà tutto bene, Ray»

«Sì», annuisco. «Lo spero». Mi volto e non credo ai miei occhi. Ho appena riconosciuto una persona che non vedevo da anni. È un ragazzo mingherlino, vestito in modo assurdo e con una maschera bianca in una mano. Do un colpetto sulla spalla a Jack.

«Che c'è?»

«Guarda! Laggiù... Con la tuta... Non può essere lui, vero?», faccio, esaltato, mentre il tizio si infila la maschera.

«Che cavolo ci fa vestito così?», sbotta Jack sorpreso seguendo con lo sguardo il mio indice puntato in avanti.

«Ma che ne so...», borbotto sorridendo. «Era dalle elementari che non lo vedevamo più!»

«Chiamalo, dài!»

«Ok...», mormoro. Metto le mani a conca attorno alla bocca e urlo: «JORDISON!». Il ragazzo si gira, e i lunghi capelli neri ondeggiano sulle spalle ricurve. Due occhi spauriti ci guardano da dietro i fori circolari della maschera kabuki inespressiva.

«Nathan, ti ricordi di noi?», sbraita Jack nel casino della musica. «Huxley... Oddname... Le scuole elementari a Des Moines... ti chiamavano Joey». Il ragazzo si blocca, preso alla sprovvista.

«Classe '79, quattro anni meno di te...», azzardo io, «Sidney Wilson era tuo amico, era in classe con noi... Ripeté un anno...». All'improvviso il ragazzo si smuove e si dà una pacca sulla fronte.

«Oh, cazzo, ragazzi! Mi ricordo... Che ci fate qui?!», esclama venendoci incontro e stringendoci la mano.

«Che ci fai tu, qui! Noi ci siamo trasferiti, non stiamo più ad Axetown»

«Città merdosa, avete fatto bene... Io suono, ragazzi!»

«Noooo! Che cazzo spari, Jo?», dico io.

«Qui? Ora?», fa Jack incredulo, gli occhi strabuzzati.

«Siamo gli Slipknot! Facciamo da spalla ai Korn, tre canzoni, non è una figata da paura?», sghignazza Joey, la voce ovattata dalla maschera.

«Non ci credo, dài! Che mito! Che suoni?»

«Batteria... siamo in nove... c'è anche Wilson, lui fa il deejay... e poi... no, ma non li conoscete, son tutti più grandi di voi»

«Accidenti», sospira Jack. «Mi sarebbe piaciuto, suonare qui...»

«Suonate anche tu e Ray?», ci chiede Joey interessato, e io annuisco. «Che genere fate?»

«Overgrunge», risponde Jack.

«Figo. Cioè, tra grunge e crossover? Sembra interessante... Dài, in bocca al lupo, gente, noi suoniamo ora, preparatevi a quando suoniamo Eeyore che spacca di brutto!»

«Joey, aspetta!», interviene Jack trattenendolo per la tuta.

«Che c'è?». Restano alcuni secondi in silenzio, e io mi chiedo cosa mai possa dire mio cugino a un Babbano in una circostanza simile. Jack si gratta la tempia nervosamente con la punta delle dita, poi si decide a parlare. «State con gli occhi aperti stasera... mi sa che qui la gente è in vena di risse»

«Pazienza, ragazzi, noi ci aggregheremo!», fa Joey ridendo dietro la maschera, ma Jack lo interrompe.

«Intendo risse gravi. Molto gravi», dice calmo, e Joey annuisce.

«Okay. Lo dirò agli altri. State tranquilli. Beh, io vado», aggiunge, accennando col pollice al boato del pubblico dietro di lui. «I mitici Kacatroia hanno finito, tocca alla Confraternita del Nodo Scorsoio... Ed è qui che entro in scena io... Ci vediamo, ragazzi!», conclude allegro, e si allontana insieme ad altri grossi ceffi vestiti con una tuta rossa come la sua. Assurdo. Ma maledettamente figo.

Pochi minuti dopo i componenti degli Slipknot si dispongono sul palcoscenico. Sono veramente tanti, e quelle maschere che indossano incutono più timore delle magliette di Eric Howe. Il cantante ha una specie di sacco di cuoio in testa da cui fuoriescono dei rasta. La bocca è un taglio di sbieco, come una ferita, e gli occhi due fori circolari. Sembra la versione allucinata di una maschera di Halloween da fantasma. Attaccano a suonare, ed è come essere catapultati in una fonderia o qualcosa di simile. I suoni sono più che metallici, i due percussionisti pestano come ossessi su barili di birra e il doppio pedale di Joey pare una mitragliatrice. Mentalmente mi complimento con lui, e scorgo la faccia sconvolta di Ryan, che credo lascerà perdere la batteria per dedicarsi a cose meno complicate come il bird-watching. Mi unisco a Sal, che ormai ha gettato alle ortiche ogni precauzione e, mollata da parte la T-shirt, si è messo a pogare nel bel mezzo della bolgia a torso nudo. Cade a terra, e io lo acciuffo poco prima che stia per essere calpestato da un tizio grossissimo. Luke sta saltellando lì vicino, Eric Howe sembra annoiato, ma Eka in compenso è scatenata al massimo. Ecco dove avevo sentito dire degli Slipknot. Me li aveva nominati lei, in tenda, alla Coppa del Mondo. Aggiornata, la ragazza. Ellie, Jane ed Hermione sono sconcertate, e lo stesso si può dire di gran parte degli altri presenti. Nick, assiduo ascoltatore di trance, ha le palme piantate nelle orecchie come se un serial killer gli stesse per estrarre i timpani con un Black&Decker mandato al contrario. Jack invece salta come un matto, e io, vista la faccia preoccupata di Harry, vorrei ricordargli che non bisognerebbe spomparsi subito, tuttavia Jack mi anticipa e, sempre ballonzolando come un canguro, sghignazza tutto felice:

«Ray, hai sentito il bassista? Ha un Warwick 4 corde, e l'ha droppato, senti che suono bestiale!!!»

«Sì lo sento, Jack, ma calmati... Non ti stancare... già io sono stanco morto adesso, per via della Materializz--»

«Sì, sì, okay... tanto io sono una belva, mi sto divertendo da morire, se quegli stronzi attaccano mentre mi diverto sono anche più arrabbiato e pericoloso... Fidati, vi servo così». Decido di lasciar perdere, e mi metto a pogare insieme a Sal e Luke. Tanto, stanco per stanco.

Quando arriva Eeyore, come predetto da Joey, l'azione si fa davvero intensa, e davanti al palco non c'è un corpo fermo. Il cantante lancia tre o quattro bottigliette di acqua Evian alle file davanti, che se le passano e iniziano a spruzzarle in aria. Sal è completamente lucido di sudore, e decisamente elettrizzato. Io ho i capelli praticamente ridotti peggio di quando mi sveglio, tutti scompigliati e dritti sul cranio. Scorgo tra la folla Daniel Cruicshanks che si agita come un forsennato insieme alla sua ragazza, e gli faccio un cenno, ma lui non se ne accorge. Mi nota invece Simon, anche lui con la compagna, e mi sorride complice. Gli indico con la mano la mia tasca con la bacchetta che spunta. Lui allunga il collo, mi fissa e annuisce. Grande Simon. Mentre cerco di distanziarmi il più possibile dal pogo più letale, giurerei addirittura di aver visto Michael Shadwell, silenzioso e immobile dall'altra parte dell'arena, poco prima che un gruppo di giovani sui trent'anni mi ostruisse la visuale. Siamo proprio tutti, eh?A un tratto, mentre sono completamente preso da fare powertwist con quello che i miei capelli non proprio da metallaro riescono a permettermi, mi si avvicina Nick, solo che non ha più le mani sulle orecchie. Mi sta guardando preoccupato, e noto in lontananza, dietro di lui, anche Ellie e Jane fissarmi con apprensione. Lo guardo interrogativamente, aggrottando le sopracciglia, non esattamente interessato a quello che mi sta per dire, anche perché gli Slipknot stanno suonando un bridge veramente da sballo. Non riesco a sentire nulla, e nemmeno dal labiale capisco cosa mi sta dicendo. Mi chino a raccogliere la bacchetta di Sal, rotolata accanto a me durante i suoi saltelli a ritmo, lo raggiungo e gliela porgo. Lui mi ringrazia, se la rimette in tasca e torna a pogare con Luke. Due secondi dopo la bacchetta è di nuovo in terra, e decido di tenerla io.

«Quel deficiente la perde come nulla», urlo, e la mia voce suona oppressa dal clangore delle percussioni.

«Cazzo hai detto?», sbraita Nick, tendendo l'orecchio dopo aver fissato la bacchetta nella mia mano.

«HO DETTO CHE SE NON LA TENGO IO, SAL LA PERDERÀ DI NUOVO!»

«OKAY! Capito!», risponde a voce alta lui, e poi cerca di catturare di nuovo la mia attenzione. «Ray! Ray!»

«Dimmi!»

«C'è un problema...», fa Nick, ma mi perdo il resto delle parole nel boato del pubblico e negli scream del cantante.

«COSA?!»

«HO DETTO CHE C'È UN PROBLEMA!!!», abbaia a voce altissima. «CAPITO?»

«SÌ, HO SENTITO, NICK!», grido in risposta, e uno spruzzo d'acqua mi centra nell'occhio. «MA CHE SUCCEDE?»

«DEVI VENIRE SUBITO!»

«MA VUOI SPIEGARMI CHE DIAVOLO È SUCCESSO?...», ululo, al culmine del nervosismo, tergendomi le gocce dal sopracciglio. Nick dice qualcosa, una parola sola, nel momento esatto in cui Joey colpisce il crash e il ride contemporaneamente, e la sua voce si perde nel frastuono. Non sono sicuro di aver capito bene, ma un dubbio inizia a muoversi nel mio intestino come una tenia.

«C-Che hai detto, Nick?», chiedo ora che il frastuono è lievemente calato.

«Julie!», grida lui.

«Che succede?», esclamo. Ora sì che sono preoccupato. Dannazione.

«Si è sentita male... credo sia svenuta! Devi venire, Ray...»

«Ma porca puttana, ci mancava anche questa! Come cavolo è successo?»

«Non lo so, un calo di pressione», azzarda Nick facendo spallucce. «Mi è caduta accanto, cazzo!»

«Porca miseria», impreco, e sbatto la bacchetta di Sal nel palmo di Nick. «Tienila tu, e dalla a quel coglione quando ha finito di farsi ammazzare... Dov'è Julie, ora?», chiedo, soffiando aria dai polmoni come il comignolo di una locomotiva.

«Credo che Hermione l'abbia portata in bagno, qui al piano terra»

«Okay, vado da lei», dico, passando accanto a Jane e Ellie. «Voi restate qui, torno subito»

«Vai, Ray, sbrigati... I 'Knot hanno quasi finito, mancano i Novembre e poi ci siamo...», mi dice Liam apprensivo. Non me lo faccio ripetere due volte. Con lo sguardo cerco il portone tagliafuoco che porta alla sala interna, spingo da parte un paio di persone che non conosco e afferro la maniglia con prepotenza, spalancando l'anta. Quando entro e corro verso destra riesco ancora a udire mio cugino che grida «Vai, vai, Ray! Corri!». Poi la porta si richiude dietro di me, e l'unico rumore sono le mie scarpe da ginnastica che schiaffeggiano le piastrelle bianche del pavimento, piccoli suoni ritmici riecheggianti nel corridoio deserto.

Raggiungo una biforcazione e seguo dei cartelli che indicano la direzione delle toilettes. Prendo un corridoio secondario a sinistra e poi mi infilo di nuovo a destra. In fondo vedo due porte a stantuffo di colore azzurro stinto, una contrassegnata con una 'M' e l'altra con una 'W'. Mi getto sulla seconda, chiudo le dita sulla maniglia e faccio scattare la serratura, senza preoccuparmi di bussare. Hermione è davanti a una fila di lavandini, china accanto a Julie, che si sta sciacquando il viso con l'acqua fresca. Sul largo specchio di fronte a loro sono visibili piccoli spruzzi rappresi in goccioline, che lentamente stanno colando verso il basso. Hermione si volta facendo roteare la lunga chioma ricciuta, e mi fa un cenno di saluto con gli occhi. Poi avvicina la bocca all'orecchio di Julie, che continua a tenere la testa bassa, con le mani premute sull'orlo del lavandino, e le sussurra qualcosa. Lei annuisce.

«Che è successo?», chiedo sottovoce a Hermione, mentre lei mi si avvicina. Dietro di me percepisco la porta a stantuffo richiudersi con uno scatto, e dalla finestrella semiaperta riesco ad udire i primi accordi suonati dal gruppo successivo. Hermione pare tranquilla.

«Niente di che, Ray... è solo svenuta per un attimo... ha perso conoscenza»

«Ah... il caldo... tutte le persone accalcate...»

«Esatto... niente di cui preoccuparsi», dice con calma Hermione. «Gli altri?»

«Sono tutti là fuori...»

«Manca un gruppo e poi ci sono i Korn... Sarà il momento, Ray, dobbiamo andare... Julie non so se se la sente, forse dovrebbe stare qui al sicuro... Noi è meglio se ci muoviamo, cerchiamo un posto per Julie--»

«Tu vai», mormoro ad Hermione. «Resto con lei un attimo»

«Ma è... tutto a posto?»

«Tutto a posto, Hermione», ripeto lentamente. «Va' pure. Io resto». Lei mi osserva con sguardo calcolatore ma sorridente al tempo stesso, poi apre la porta ed esce. Quando lo scatto metallico della serratura si fa sentire, mi rendo conto di quanto silenzio ci sia in quella stanza.

Julie solleva la punta del piede dal pedale e l'acqua smette di scrosciare. Lo scarico accoglie l'ultimo vortice con un breve gorgoglio di protesta, mentre lei alza lo sguardo verso di me. Mi sorride con un'espressione carica di stanchezza; è pallida ma sembra star bene: sulle guance iniziano a formarsi piccoli cerchi rosei. Inclina la testa e fissa il rubinetto cromato. Io compio un paio di passi incerti nella sua direzione, osservandola mentre i capelli castani le scivolano in avanti dalle spalle e le ricadono a coprirle il volto. All'improvviso mi rendo conto di essere solo con lei e di non avere la più pallida idea di cosa dirle. Decido per un approccio standard.

«Come ti senti, Julie?», mormoro. Ottima mossa, Ray'O. Lei sospira e stringe le dita paffute sul bordo del lavandino, per poi appoggiarle sul piano in granito su cui esso è incassato. I braccialetti variopinti sono intrisi d'acqua, e in breve tempo una piccola serie di goccioline si è formata sotto il suo polso. Vedo Julie socchiudere lentamente le palpebre e poi riaprirle; le sue iridi ambrate mi ammiccano da dietro le ciocche di capelli. Dio, quanto la amo. Dischiude le labbra in un sorriso spossato.

«Sto bene», sospira, rassegnata. «Non è niente». Bene, perché io mi sento male. Malissimo. «Tu come stai?»

Ecco, appunto.

«Insomma... Ho avuto un mancamento anch'io, prima», butto lì.

«Ah...», sussurra lei, guardandomi attraverso lo specchio. «Eh, hai visto, succede...» Ma che diavolo di conversazione sto facendo, perdio?!

«Te la senti?», le chiedo. «Manca poco». Gli accordi di una non meglio identificata canzone dei Novembre mi accarezzano le orecchie, passando dalla finestrella semiabbassata in alto, nell'angolo.

«Non lo so... Ma credo che verrò... Devo farlo, per tutti noi», dice, e mi guarda. Io la adoro ogni attimo che passa.

«Già». Non so che diavolo dire. Lancio un'occhiata di sbieco al mio riflesso nello specchio, e mi trovo brutto e stupido, con quegli occhiali squadrati, quei capelli mezzi castani e mezzi biondi, tutti fuori posto, quelle mani così sottili e ingombranti, innestate come condor ingobbiti su quegli orribili polsi deboli e ossuti. Mi chiedo come lei faccia a non odiarmi. Come posso pretenderle di piacerle? Di esserle mai piaciuto? Sono un egocentrico schifoso, e vorrei uccidermi per questo. Lei si solleva e si mette dritta in piedi. Mi fissa il fianco.

«Me la presti?». Per un attimo credo si riferisca alla bacchetta, poi mi rendo conto di avere una bottiglietta d'acqua che mi sporge dalla tasca dei jeans e che non ricordavo di aver fregato. Dannato pogo. La estraggo e la porgo a Julie. Intanto i Novembre hanno iniziato a suonare Croma, ed è bellissima.

«Grazie, Ray», mormora, e svitato il tappo, beve a brevi sorsate. Sono completamente travolto dalla evocativa forza della dolce melodia indefinita delle chitarre: fisso gli occhi chiusi di Julie, e le sue umide labbra, incurvate sul bordo del collo della bottiglia. Mi viene da piangere. Tanto. In qualche modo a me sconosciuto riesco a sopprimere una lacrima affacciatasi prematuramente alla palpebra destra, ma non so quanto potrò resistere ancora. Amare costa, piangere è gratis. Julie si stacca dalla bottiglietta, si versa un po' d'acqua sul palmo della mano e poi si bagna i capelli, pettinandoli all'indietro.

«Ho caldissimo», dice ridendo, e, dopo aver sollevato la bottiglia, si lascia scrosciare il contenuto che resta direttamente sul capo chino. La frangia le ricade sugli occhi separata in corte ciocche lucide d'acqua, e riesco a vederle le ciglia imperlate di piccole goccioline. Julie, tu non hai idea...

«Mi... mi dispiace per quello che è successo fuori», borbotto, nemmeno sicuro di cosa ho detto esattamente.

«Non preoccuparti», dice lei tranquilla. «Mi hai difesa, e io ti ringrazio per averlo fatto». Sì, Julie, ma non è precisamente per solidarietà verso il prossimo che l'ho fatto... «Sei stato impulsivo, è vero», prosegue, «e mi hai fatto pietrificare due poliziotti, anche... ma l'hai fatto per il mio bene, no?». Io ti amo, Julie! Ti amo, dannazione! «Giusto, Ray?»

«G-Giusto», balbetto, appoggiando non proprio delicatamente la fronte sudata sulle piastrelle del muro. Io sto male. Espiro rumorosamente con un soffio tremolante, e Julie mi fissa.

«Tutto okay?». Come no. Stacco la testa dalla parete. Ahia. Mi sono fatto pure male. Fisso dritto davanti a me, puntando gli occhi nelle scanalature tra le mattonelle. Poi lo dico.

«Perché?», chiedo sottovoce, stringendo forte le palpebre. «Perché, Julie?». Oddio, lo sto facendo. Fermati, Ray.

«C-come?», fa lei, colta alla sprovvista.

«Perché è dovuto succedere? Perché lo ignori? Perché ti comporti come se non fosse successo?». Non mi sono fermato. Lo sapevo. Julie stavolta assume un'espressione diversa, triste forse, ma comunque accompagnata da uno strano sorriso nervoso e tirato.

«Ray...», sussurra, appoggiando la mano sul piano in granito e inclinando la testa di lato. «N-non voglio che tu stia male per colpa mia... Ci manca anche che... che tu soffra più di quanto non ti faccia già soffrire tutto questo...». Dio, come vorrei aver avuto più tempo. «Lo faccio per te. So che suona strano e ingiusto... Ma è così». Anzi, vorrei essermi mosso prima, aver agito prima... Ma i coglioni come me rovinano sempre tutto. Fanculo, Ray Oddname. Fai schifo.

«Sì, vabbé, ho afferrato», borbotto, e di nuovo mi viene da piangere. «Rompo anche troppo il cazzo», concludo, la voce che mi trema, e distolgo lo sguardo dal suo. Julie aggrotta le sopracciglia.

«Ray, non fare così...», implora, e sembra davvero sincera. «Già sto male e mi sento in colpa per conto mio, manca solo che tu soffra ulteriormente... Sono io che ho sbagliato, se vuoi trattarmi con astio sei libero di farlo, me lo meriterei e basta». Non ci riuscirei, Julie, e lo sai benissimo. I Novembre intanto stanno portando al culmine il melanconico tema di Croma, e credo di non poter più reprimere le lacrime. Ecco che ne arriva una. La lascio uscire, e lei mi scorre sulla guancia, rotolando libera sotto il mento. Benvenuta nel mondo, piccola. Non ho più la forza di parlare, né di pensare.

«Julie...», bisbiglio, e l'occhio sinistro mi si vela. Strizzo le palpebre e una seconda lacrima stavolta si stacca dall'orlo e precipita in caduta libera fino ad atterrare accanto alla punta delle Adidas. Percepisco Julie muoversi appena accanto a me.

«Ray... tu stai piangendo», mormora incredula. Ed eccone un'altra!, penso non proprio allegramente quando una nuova goccia corre a far compagnia alla precedente. Decido di sdrammatizzare. Sì, dài, Ray, sdrammatizza!

«Forse è la tua immaginazione», biascico appena. E questo lo chiami sdrammatizzare? Lei non demorde.

«Ray, per favore, non piangere...»

«Ci riuscissi», faccio io, appoggiandomi col fianco alla parete e dando le spalle a Julie.

«Ti prego...»

«Non ci riesco». Che roba. «Giuro che non ci riesco»

«Ray...», sussurra lei dietro di me; mi sfiora la spalla con la punta delle dita e sposta la testa di lato per guardarmi, ma io mi volto verso il muro. «Ray, davvero, non fare così». È più interessante di quanto uno pensi. E divertente, anche. Qualcuno ha scritto su una piastrella “CERCO DONNA VOGLIOSA”, e qualcun'altro ha trovato simpatico aggiungervi “CHIEDI A TUA MADRE”. È incredibile quanti talenti comici sprecati siano sparsi nel mondo. Tiro su col naso, ma le lacrime persistono. Amare costa, piangere è gratis. Julie si sposta di lato, affacciandosi col volto per scrutarmi.

«Ray... Guarda che se piangi tu poi piango anch'io...». Oh, sì, penso, in un raptus di follia. Te ne prego, piccola, facciamolo. Piangiamo insieme. Sembra divertente.

«Non riesco a smettere», tartaglio, e forse non mi riferisco solo alle lacrime. Julie mi stringe la spalla.

«Ray», ripete. Solo questo. Il mio nome, in un sussurro, come vento fra le spighe. All'improvviso tutto quanto, la sua voce, la sua presenza, i suoi occhi tristi che mi osservano, il calore della sua mano sulla mia pelle, il suo profumo di fragola, tutto si fonde dentro di me, intrecciandosi agli accordi in minore della canzone come in un filamento di DNA. Provo tutte le sensazioni possibili, affetto, dolore, rimorso, rabbia verso me, in un unico momento, e sento che ho una voglia tremenda e disarmante di amarla, di stringerla, di averla, proprio qui, in questo posto, in questo preciso istante.

Quando mi volto di scatto e le appoggio le labbra sulla guancia calda, non mi rendo nemmeno conto di cosa sto facendo. Chiudo gli occhi e sento solo lei, solo lei. Non si muove. Sposto la bocca, e il mio naso sfiora il suo. La bacio sulle labbra, solo un bacio. Sento il suo respiro intrecciarsi al mio, mentre defluisce dalla sua bocca socchiusa.

«Ray...»

«Mi dispiace, Julie...», sospiro, e giuro che non riesco a smettere di baciarla. Poso le labbra sulle sue ancora una volta, e poi di nuovo. «Mi dispiace, mi dispiace...», ripeto come in un monito, e inizio a singhiozzare e a baciarla contemporaneamente.

«Ti prego...», sussurra lei in un soffio.

«Mi dispiace tanto, Julie...», continuo a balbettare, la voce rotta dal pianto. «... qualsiasi cosa ti abbia fatto, qualsiasi torto, mi dispiace, Julie, mi dispiace di essere arrivato tardi, mi dispiace da morire...»

«Ray, per favore, non--»

«Mi dispiace così tanto, tu non hai idea di quanto io ti ami, tu non...»

«Sì che lo so... Lo so, Ray...», bisbiglia accanto al mio orecchio, e tutto in quella stanza è un unico bisbiglio. Ogni cosa è sottovoce, anche la musica che si arriccia come fumo dalla finestra. La mia mano sale fino ai suoi capelli ancora umidi. Le accarezzo la nuca e le mie dita le scorrono sul collo, su ogni piccola vertebra. La bacio di nuovo, e piango ancora più forte. Sento che anche lei inizia a singhiozzare, prima impercettibilmente, poi a brevi scosse di tremiti. La abbraccio ancora di più. Amare costa, piangere è gratis.

«Ray...»

«Julie...»

«Dispiace anche a me...»

«Lo so», mormoro. Faccio scorrere la mano sulla sua schiena ricurva e sento le sue scapole muoversi mentre lei mi appoggia entrambi i polsi sulle spalle. Avvicino le labbra alle sue.

«Ti prego, Ray...», singhiozza Julie. La bacio, e lei mi bacia, e le nostre lacrime si mischiano. Sento le sue ciglia rigarmi la pelle dello zigomo di pianto salato.

«Julie...», ripeto, ed è l'ultima cosa che le dico. Abbasso la testa e piego le gambe. Le appoggio le labbra sull'incavo del collo, sotto il mento, sul petto, poi scendo passando tra i seni, lascio scorrere il volto sulla sua maglietta viola scuro, e una scriscia di lacrime incerta e ondulata appare sul tessuto. Mi inginocchio a terra. Intreccio le dita nelle sue, e appoggio la fronte sul suo caldo ventre scoperto. Io amo Julie Ann Adams, e non sono mai stato più sicuro di me stesso in tutta la vita. Questa è la sola cosa che sento. Non mi accorgo nemmeno che la musica fuori è cambiata. Non sento nemmeno che le urla eccitate del pubblico si sono mutate in grida isteriche e caotiche. Poi, un boato innaturale e improvviso mi squarcia le orecchie, propagandosi con un muggito basso e scricchiolante per tutto l'edificio. Questo è scosso dall'interno, come un razzo in fase di decollo. Alcune porte dei cubicoli si spalancano sbatacchiando. Io e Julie ci stacchiamo, ma non estraiamo subito le bacchette. Restiamo lì, come animali spauriti, per alcuni secondi. Come ranocchie prima di essere fatte sciogliere nell'acido. Poi, finalmente, entrambi ci guardiamo senza parlare. È iniziato.

7.

La prima cosa che vedo una volta rientrato nell'arena è fumo. Tanto. Denso. Impenetrabile. Soffocante. Le urla sono fortissime e sparse, provengono da ogni angolo. Le lenti degli occhiali mi schermano da una nuvola di polvere che mi viene incontro. Mi faccio scudo col braccio sinistro, con l'altro estraggo la bacchetta e la accendo, puntandola in avanti. Non vedo niente. In sottofondo sento il ronzio monotono degli amplificatori, e un fischiante suono di feedback mi trapana le tempie. Tendo l'orecchio, per cercare di distinguere voci conosciute, ma invano. Julie è dietro di me, tesa e silenziosa. Sento gemiti ovunque. Macchie di luce abbagliante appaiono sul terreno, a una ventina di metri davanti a me, e le narici catturano un odore sgradevole. Mi avvicino, e le suole delle scarpe macinano calcinacci e intonaco polverizzato. Gocce d'acqua mi sferzano il volto. Sento delle voci ergersi improvvisamente dalla coltre di fumo. Molte implorano aiuto. Scricchiolii e ruvidi cigolii di mattoni su mattoni si accavallano in un sinistro mormorio. Corro verso la fonte di luce, che si rivela essere una serie di riflettori, agganciati a un traliccio contorto sul pavimento come una carcassa. La nuvola si dirada, e con orrore vedo un ammasso di corpi imprigionati sotto le sbarre di acciaio. Mi meraviglierei se qualcuno fosse vivo. Sono cinque o sei ragazzi. Uno ha il torace aperto, sfondato dal sostegno dei riflettori. Vedo le costole spezzate e conficcate nei polmoni scoperti, e un conato di vomito mi sopraffà. Mi accorgo di avere appoggiato un piede in una pozza di sangue scuro. Lo sposto di scatto, e lascio una scia sbaffata sul pavimento cosparso di polvere. Il ragazzo accanto a lui è ridotto ancora peggio. Una gamba è schiacciata da una pesante trave metallica, e in pratica è esplosa sotto il suo peso. Fasci di muscoli sono sparsi come trecce di capelli accanto alla scarpa; il volto con un ghigno distorto emerge illuminato da una luce di scena che gli è piombata in piena fronte. Vedo il cranio aperto come una zucca di Halloween, e il cervello che sfrigola esposto al calore del riflettore. Ancora altre voci, distinguibili tra le urla della folla, oltre la cortina di fumo grigio.

«Ma che cazzo succede?». Questo è Eric Howe, mi ci gioco le palle. Odo uno scalpiccio rapido dietro di me, poi un'altro proveniente dal senso opposto. Una nuova voce si fa udire.

«Il tetto, cazzo!»

«Qualcuno mi aiuti, per l'amor di Dio!», geme una voce sconosciuta di donna.

«Merda, quello è morto, Cristo Santo!»

«Levati di lì, Liam!». Altre gocce mi colpiscono il capo. Alzo lo sguardo, e mi rendo conto che manca gran parte del soffitto. Un grosso squarcio è aperto sul tetto, e al di là, un nero cielo stellato lascia cadere una fitta pioggerellina.

«Ma che sta succedendo, qui?!»

«Sono i terroristi?», grida un'altra voce di ragazzino a me ignota. Questa frase risveglia qualcosa nella mia memoria, ma non ci faccio caso. Un forte scoppio rimbomba alla mia destra, lontano, in fondo all'arena. Grida di terrore e sorpresa echeggiano come in una cattedrale, e il cuore mi martella al triplo della velocità. Apro la bocca.

«Ragazzi, sono io, dove siete?», urlo al fumo davanti a me. Quelle dannate luci di scena sono talmente forti da impedirmi di vedere a dieci centimetri di distanza. Eppoi quell'odore. Dio, che schifo. Mi allontano, spostandomi di lato.

«Cuginozzo! Sei tu?», fa Jack. «Siamo qui! Davanti a te!»

«Ci sono dei cadaveri, davanti a me, cristoddio!», abbaio disperato. «State tutti bene?»

«Siamo quasi tutti... Julie?»

«Con me», rispondo, dopo aver lanciato un'occhiata alle mie spalle. «Dov'è Sal?»

«Sono qui, Ray», borbotta una voce dietro di me.

«Hanno fatto saltare il soffitto, porca puttana!», esclama Eric.

«Jane? Dov'è Jane? Ellie?»

«Stanno con me!», fa Liam, e nella nebbiolina polverosa vedo luccicare il suo orecchino, una decina di metri più avanti. «Cazzo!»

«Che succede?»

«Altri morti!»

«Liam! Ti vedo, sono qui!», grido, agitando la bacchetta illuminata. Mio cugino spunta insieme a Jack spingendo di lato la coltre di fumo. Entrambi si bloccano davanti ai cadaveri maciullati.

«Oh, Dio Santo!», sento Ellie gemere.

«Chiudete gli occhi, non guardate!»

«Cazzo...»

«Non guardate, accidenti!», sbraita Jack, mulinando la bacchetta per aria. «Quegli stronzi sono ancora qui intorno, li avete visti? Ray? Sal...»

«No, merda, non ho visto niente, io...», sbotto arrabbiato e mi guardo intorno. La pioggia mi sta inzuppando la maglietta, e sento gocce d'acqua scorrermi sulla schiena.

«Nemmeno io»

«Che schifo porcocaneeee!!!»

«Ragazzi! Siamo qui!»

«Hermione!»

«Niente di rotto?», chiede Harry preoccupato, venendomi incontro. È pallidissimo e la sua cicatrice sulla fronte risalta rossastra come se fosse stata ripassata con la tempera. Ron, Hermione e Nick sono con lui.

«Tutto okay... Ron!», faccio dando un colpo sulla spalla al ragazzo. «Va tutto bene?»

«C-credo di sì»

«Weasley, tu ci servi... Hai portato quello che ti ho detto?», gli chiede Sal e lui annuisce, mostrando un fagotto che tiene tipo marsupio sotto la T-shirt.

«MORSMORDRE!»

«Eh, no, cazzo, non di nuovo!», impreca Liam. «LUMOS MAXIMA!», esclama, puntando la bacchetta verso l'alto. La platea è invasa di luce, e per un istante vedo più sangue sparso in terra di quanto non ne voglia vedere. Tutto questo prima che una figura appostata dietro una cassa spia, sul palco, lanci una maledizione. Un fiotto di luce arancione spezza di netto la bacchetta di Liam, e il pollice gli prende fuoco.

«Cazzo, cazzo, cazzoooo!», inizia ad urlare, agitando la mano per aria.

«Aguamenti!», pronuncia Hermione, estinguendo la fiamma con un getto d'acqua limpida che le sgorga dalla bacchetta magica.

«Chi diavolo era, quello?»

«Oh, merda, amico, ti ho fatto male?», prorompe una voce colpevole alla mia sinistra. Il fumo si dirada un po', e non credo ai miei occhi. Jonathan Davis, cantante dei Korn, vestito come al solito col kilt scozzese, salta giù dalla piattaforma del palco, ghermendo una bacchetta magica viola.

«Io non ci posso credere», mormora Sal.

«Gente, credevo fosse un Mangiamerda, non volevo...», si scusa. «Non credevo ci fossero altri maghi, stasera...»

«Non credevamo che tu fossi un mago, JD!», ribatto io, non proprio nel pieno delle mie facoltà mentali, al momento. «Cosa c'è, di nuovo, adesso? Head e Munky lavorano alla Gringott?»

«No, sono l'unico mago in una band di Babbani... Ganzo, eh?»

«Una sega», bronciola Nick. «Adesso che si fa?»

«Dove sono finiti tutti?», geme Hermione. «Il pubblico, la gente, dov'è?»

«Sono tutti sparsi, temo», scuote la testa JD. «Gli altri musicisti sono nascosti nei camerini. Finocchi.»

«AVADA KEDAVRA!», ruggisce una voce di uomo in lontananza, e un lampo verde scoppia per un attimo in fondo alla sala. Mi do una manata sulle lenti imperlate di pioggia.

«Meglio... porca miseria...», si lamenta Nick. Scorgo Sal mutare radicalmente espressione. Il suo volto esprime una rabbia mai vista prima.

«Questo è lui. Lo sento...»

«Chi?»

«Quello che mi ha fatto nero in Galles»

«Che sta succedendo?», interviene un ragazzino Babbano, avvicinandosi. Porta una maglietta con su scritto “BRAVE MURDER DAY” e accanto a lui sta una donna sui trent'anni, con una gamba dei jeans lacerata e intrisa di sangue rappreso.

«Casini, piccolo, grossi casini», ringhia Sal. «Weasley!»

«Eccomi!»

«Dallo a me»

«Cosa?!»

«Il cappello dei tuoi fratelli, dallo a me!». Ron srotola il famoso fagotto e ne estrae un cappello a punta color merda. Sal lo afferra e si rivolge a me.

«Evoca un sacco, Ray»

«Ma che cazzo dici?», sbotto, aggrottando le sopracciglia.

«Fallo, maledizione! Fa' come ti dico!», ribatte lui rabbioso. «Fa' quell'incantesimo che hai inventato!»

«Il Sacco Infinito, Ray!», interviene sbrigativo Jack. Punto la bacchetta per aria.

«Okay... Non ridete...», mormoro. Non so nemmeno come ho fatto a scoprire quella formula. Cazzeggiavo con mio cugino, una sera, e volevo Evocare una bella gnocca, ma la mia carenza in latino me la fece pagare. Agito la bacchetta e scandisco: «Vagina Appareo!». Una sacca di cuoio abbastanza spessa e consistente compare improvvisamente con uno sbuffo di fumo azzurro, e piomba a terra con un tonfo sordo. Lo raccolgo perplesso. Nick mi sta guardando con due occhi grossi come vassoi. «Non vuol dire quello che pensi tu, significa “fodera”...», gli spiego, e lui sghignazza scuotendo la testa. Sal intanto sta puntando la sua bacchetta sul cappello che Ron gli ha dato.

«È abbastanza protettivo?», gli chiede.

«Credo di sì...», borbotta lui incerto. «Fred e George l'hanno potenziato...»

«Ma come ha fatto?!», esclama il bambino Babbano sgranando gli occhioni e fissandomi come se fossi il Messia. La donna accanto a lui mi sta fissando ugualmente sconcertata. Decido di non mentire.

«Magia», rispondo. Beccati questa, Houdini. Scorgo altri non-maghi affacciarsi dalla nuvola di fumo e polvere, ormai quasi completamente svanita, e osservarci a bocca spalancata. Un'esplosione rimbomba, accompagnata da un lampo di luce rossa. Subito un'altro scoppio si fa udire, dalla parte opposta. Sono sparsi ovunque, questi bastardi.

«Cazzo, ma quello è Jonathan Davis!», esclama un Babbano coi capelli radi e un mucchio di piercing.

«Bingo», fa lui. Sal intanto sta chiudendo gli occhi, per concentrarsi. La punta della sua bacchetta sfiora la stoffa del cappello. So che sta per fare un incantesimo potentissimo, e so che in gran parte riuscirà a farlo grazie a un piccolo aiuto esterno che gli fa capolino dalla tasca sotto forma di collana.

«Multiplico!», esclama Sal sollevando la bacchetta verso il cielo, e per la seconda volta nella mia vita sento quell'oppressivo suono grave e prolungato. C'è un'esplosione ovattata, e circa un migliaio di cappelli identici a quello di Ron vengono scagliati in aria. «Immobilus!», urla Sal, e i cappelli smettono di roteare, restando sospesi a una decina di metri sopra di noi. Dai meandri dell'arena risuona uno scoppio potentissimo. I Babbani presenti sono scossi dalla sorpresa, e si guardano alle spalle prima di tornare a fissare Sal.

«Muoviti, amico...», gli intima JD. Sal passa subito all'azione.

«COMPULSUM!», urla, e guida con la bacchetta il nugolo di cappelli a punta, trascinandoli verso di me. Capisco al volo, e apro il grosso sacco. I cappelli sgorgano all'interno, uno dopo l'altro. Richiudo il sacco magicamente leggero e non ingombrante e lo porgo a Sal.

«Piccolo...», fa lui al bambino. «Prendi un cappello e mettitelo in testa, e non ti accadrà niente, se Dio vuole... Tieni il sacco che ti da il mio amico Ray, qui, e cerca più persone che puoi... persone che non fanno magie... dai un cappello a chiunque. Vi servirà»

«Come avete fatto?», ripete il ragazzino, gli occhi luccicanti, tenendo in mano il cappello di Ron.

«Giuro che se ne usciamo te lo spiego», gli dico, e lui annuisce. «Ma mettitelo in testa, quello»

«Mia zia sta male... ha una gamba ferita»

«Emendo», mormora Sal, puntando distrattamente la bacchetta contro il polpaccio della donna. Lei sgrana gli occhi.

«È... è guarito! Dio ti benedica!», esclama stringendo le mani di Sal.

«Magari, signora... Magari», mormora lui tristemente, e il ragazzino e la donna si allontanano portando la sacca di cuoio e distribuendo cappelli ai presenti. Un rombo cupo come di slavina all'improvviso si srotola dal soffitto, e numerosi calcinacci piovono sul pavimento come grandine letale, frantumandosi.

«ANDATEVENE TUTTI DI QUI!», urlo come un ossesso, spingendo via chiunque mi trovo davanti. «VIA, VIA! CROLLA TUTTO!». Mi sposto di lato proprio mentre un grosso masso cubico di cemento piomba accanto a me. Finisco addosso a Jack, e sento Sal cadere malamente a terra, mentre schegge di intonaco mi fischiano accanto.

«Cristo!», sento Eric imprecare. «Oddio, Eka, no! Dove sei?»

«Aiuto...», geme una voce. «Ahi... mi ha colpito qualcosa in testa... fa male...»

«Eka sta' ferma, non è nulla di grave», la tranquillizza Eric, e il suono della sua voce mi giunge da pochi metri di distanza. C'è fumo ovunque, come all'inizio, e ho la bocca impastata di polvere. Sbatto ripetutamente le palpebre e mi passo una mano tra i capelli. Mi guardo intorno. Non vedo più Julie, né Nick, né Liam. Anche JD è sparito. A poche spanne da me si erge un colossale ammasso di macerie di cemento e spranghe di ferro contorte come zampe di insetti. Sono loro che ci hanno separati. Mi alzo in piedi facendo perno sulla spalla forte di Jack. Harry è disteso in terra dietro di me.

«Se davvero c'è quello schifoso di Dudley dietro tutto questo, gliela faccio pagare cara», lo sento borbottare, con la voce tremante di rabbia. Dov'è Julie? Dov'è Luke? Non l'ho più visto da quando sono uscito dall'arena... E Simon? Daniel? Dove sono tutti?

«Cazzo, cazzo, cazzo...», impreco, setacciando il pavimento intorno a me con la bacchetta. Raggiungo Eric Howe, inginocchiato accanto a Eka. Lei si tiene la mano sulla fronte, massaggiandosi la tempia imbrattata di sangue. I capelli neri sono umidi di pioggia.

«Ray! Stai bene?»

«Sì, tu?»

«Una merda», risponde. «Quel cazzo di soffitto mi è atterrato in testa, dimmi te se non--»

«Che succede?», chiedo, apprensivo. Eka si è bloccata. Scatta all'improvviso, puntando il dito dietro di me.

«È lui! È lui, Ray!», bisbiglia in un sibilo. «L'uomo che non conoscevo, quello che mi voleva trascinare via, prima, quando avevo bevuto... L'ho colpito e se n'è andato! È lui, è quello lassù, ne sono sicura!». Giro su me stesso come una trottola malfunzionante e seguo la traiettoria del suo indice. C'è un uomo sui quarant'anni, su in alto, oltre la vetrata, nel corridoio al terzo piano, quello dei distributori automatici. Ne vedo solo la curva silhouette. Poi un'ennesima esplosione di luce verde illumina per pochi attimi l'arena, e l'uomo si volta. Non può essere...

Uno strillo fortissimo echeggia tra le pareti dell'edificio, e un secondo lampo verdastro invade l'arena. Sento qualcosa cadere accanto a me, e punto la bacchetta verso il basso. È il sacco dei cappelli. Oh, no. No. No, cazzo, no! Dall'orlo lacerato sbuca il tessuto marrone di centinaia di copricapi ammucchiati. Ti avevo detto di metterlo, dannazione! Reprimo un grido di rabbia, e un'altra deflagrazione simile a una granata mi fa sussultare. Mi metto a correre, e le suole gommate delle Superstar slittano sul pavimento lucido di pioggia. Scorgo Julie in lontananza, alla mia destra, cercare di evitare le esplosioni, le mani premute sulle orecchie. Vorrei raggiungerla, ma Jack mi arranca al fianco, sbuffando di fatica. Ha il volto grigio di polvere, e un sopracciglio è inciso da un taglio sottile.

«Ray, è un casino, porca troia!», mi latra nell'orecchio.

«Lo so, maledizione! Perché il Ministero non si fa vivo?»

«Devono aver messo una specie di scudo attorno all'edificio... Ma che diavolo ne so-- ATTENTO, RAY!», grida di colpo, e io mi abbasso mentre una maledizione sfreccia a pochi palmi dal mio collo, finendo contro il palcoscenico. Un Mangiamorte con il volto coperto da una maschera da teschio salta in avanti, la bacchetta spiegata.

«AVAD--»

«EH NO, MERDOSO!», impreca Jack, e punta a sua volta la bacchetta contro l'uomo, «EVERTE STATIM!». La fattura colpisce il Mangiamorte nello sterno, e gli fa compiere un salto mortale di sbieco, mandandolo a urtare contro una fila di transenne. La maschera gli si sfila, e la testa gli ricade di lato.

«Corri, Ray, corri! Andiamo dagli altri, dobbiamo spostarci!», mi intima Jack, dandomi dei colpetti sulla schiena. «Dov'è Sal? SAL!», grido.

«Eccomi, siamo qui!», borbotta la sua voce in risposta. Sposto lo sguardo a sinistra e lo vedo insieme a Hermione.

«Forza, dobbiamo ritrovare tutti!», grugnisce Jack.

«E i Babbani?», chiedo disperato. Non posso fare a meno di pensare a quel povero ragazzino e a sua zia.

«Aiuteremo quelli che ne avranno bisogno», dice Sal, sollevando una mano. Le dita forti stringono il sacco dei cappelli magici. Grande Gascoyne. Jack solleva la bacchetta in aria.

«Non fate luce, o ci scopriranno, quei pezzi di merda!», sibila. «Dobbiamo beccarli!»

«Ragazzi, non dobbiamo far del male a nessuno...», implora Hermione, aggrappandosi alle mie spalle e strattonandomi come se dipendesse tutto da me.

«Se quelli si avvicinano abbastanza, io li ammazzo», proferisce Jack. Sal gli dà una pacca amichevole sul bicipite.

«Questo è lo spirito, coso», esclama con un sorriso amaro, e tutti insieme ci mettiamo a correre, passando accanto al Mangiamorte tramortito. Guardo il suo volto coperto di sangue, e i suoi occhi obliqui chiusi.

«I miei omaggi, Kyra», dico sarcastico, facendo il saluto militare. Lei si muove impercettibilmente, poi torna ferma, ma ormai l'abbiamo oltrepassata. L'oscurità ora è completa, e nessuno di noi accende le bacchette. Ci affidiamo ai sensi e proseguiamo.

«Dov'è Ron?»

«Non lo so, Hermione, giuro... Era con me, prima»

«L'ho visto, c'ero anch'io...», geme lei. «Non sarà-- AAAAARGH!». Una coppia di Mangiamorte ci stringe da due fuochi, sbucando dal nulla. Uno dei due è massiccio e alto, l'altro sembra più agile e veloce. Puntiamo le bacchette gli uni contro gli altri nello stesso istante.

«CRUCIO!», ruggisce il Mangiamorte più grosso, e Sal è sbalzato all'indietro. Cade a terra, contorcendosi tra gemiti di puro dolore. Il sacco coi cappelli viene scagliato via chissà dove.

«STUPEFICIUM!», urlo io, e un cordone di luce scarlatta fende l'aria come un pugnale, finendo dritto dentro il cappuccio dell'altro Mangiamorte. Lui getta un grido e si porta la mano all'orecchio. Il cappuccio cade, ma la maschera ferrata rimane sul volto, sorretta da una cinghia di cuoio. Per terra cade qualcosa, e solo dopo aver visto le mani del Mangiamorte esile investite da uno sgorgare misto di sangue e liquido giallognolo mi rendo conto di avergli appena portato via un orecchio. Sal si solleva tremante, mentre Hermione schiva per un pelo una maledizione del tipo grosso e si rialza in piedi, distendendo la bacchetta.

«INCARCERAMUS!», grida, ma lui si fa scudo con un altro incantesimo. Il tipo magro si volta verso di me.

«AVA--»

«HO DETTO NO!», ringhia Jack. «FLAGRO!», pronuncia ad alta voce, e un getto di fiamme molto simile a quello delle nostre scritte con la benzina investe il fiotto di luce verde della maledizione scagliata dal Mangiamorte, deviandolo verso l'alto. Colpisce quel che resta del soffitto, e una gragnuola di frammenti di cemento piove a terra vicino a noi, accanto a un basso elettrico Ibanez finito lì chissà come, con il cavo strappato a metà ancora collegato al jack. Hermione si copre il volto con le mani, mentre Sal punta la bacchetta contro il tipo muscoloso.

«EVERTE STATIM!», muggisce, il volto livido di rabbia. Il suono prodotto dalla sua fattura è amplificato in modo assordante dal potere della collana, e il Mangiamorte viene investito in pieno volto dall'incantesimo. Viene sollevato di peso da terra, turbinando in aria per circa dieci metri di altezza. Sal sposta la bacchetta di lato, e trascina il corpo dell'aggressore sempre a mezz'aria, facendolo sbattere duramente contro il vetro del terzo piano. Sulla superficie semioscurata appare uno schizzo di sangue, la maschera si spezza in due e cade a terra insieme al Mangiamorte. Lo schianto è attutito da una catasta di corpi che preferisco non guardare. Sal si avvicina a lui a grandi passi rabbiosi, la bacchetta sempre in pugno. Un grido mi fa voltare la testa di colpo, e sento i nervi del collo schioccarmi dolorosamente. Il tipo esile ha approfittato del momento di distrazione per afferrare alle spalle Hermione, e adesso le tiene la bacchetta puntata sulla schiena. Lei ha le mani sollevate e tremanti.

«Molla la bacchetta, ragazzina!», ansima quello. «Mollala, ho detto!». Hermione dischiude le dita, e la bacchetta rimbalza a terra. Io stringo la mia e la indirizzo contro il Mangiamorte.

«Ray, no...», grida lei.

«Se vuoi colpire me, colpirai anche la tua ragazza», cantilena l'aggressore, ridacchiando come un pazzo. Anche da qui vedo saliva colargli dalla estremità inferiore della maschera, e la massa putrescente di carne bruciata dove prima era il suo orecchio. Stringo il manico della bacchetta ancora più forte, mentre il Mangiamorte si pone esattamente in linea con la testa di Hermione, nascondendosi dietro di essa.

«Non è la mia ragazza», mormoro, e sento Jack muoversi dietro di me. Odo uno strusciare e una vibrazione metallica vagamente familiare.

«Ah, no? Peccato... è così sensuale», gracchia il Mangiamorte eccitato. Il suo compagno, tramortito, si sta riprendendo, lo sento tossire. Spero che Sal lo tenga d'occhio.

«Non la toccare, o te ne pentirai», dico lentamente, e fisso Hermione, il volto accartocciato in una smorfia di orrore e disgusto. Non abbasso la bacchetta, continuo a fissare lei intensamente, cercando di dialogarvi con gli occhi. La vedo. Sta annuendo.

«Può darsi... ma può darsi anche di no», esclama l'aggressore, e un fiotto viscido di bava gli spruzza dalla bocca della maschera. Jack adesso mi sta dietro, ansante, in attesa. Rock 'n' roll, baby.

«Io guardo in basso. Lei guarda in basso...», dico a voce alta, in tono teatrale, indicando prima me e poi Hermione. Il Mangiamorte drizza il capo, sorpreso, senza spiccicare parola. «... Tu. Mi raccomando. Guarda in basso»

«È un trucchetto vecchissimo, e non ci cascherò così!», ribatte lui con voce rauca. Io alzo le spalle e abbasso la bacchetta.

«Peggio per te», mormoro, e mi getto a faccia in giù. Il Mangiamorte resta basito, la bacchetta puntata in avanti. Hermione si butta in terra a sua volta, e lui spara una maledizione, che la manca per un soffio, sollevandole le punte dei capelli ricciuti. Accade tutto in pochi attimi. Io e Hermione ci troviamo distesi sul pavimento sporco, i visi a pochi centimetri l'uno dall'altro. Il fiotto di luce verde scagliato dalla bacchetta dell'aggressore passa sopra di noi, diretto verso Jack. Lui si sposta di lato, brandendo in mano il basso Ibanez che giaceva a terra fino a poco prima. La maledizione colpisce il pickup e rimbalza di sghembo. La corda di sol si schianta di netto, arricciandosi con un rumore schioccante. Jack solleva il basso come una mazza da cricket, e colpisce il Mangiamorte in piena faccia una, due, tre volte. La maschera gli si divide in pezzi e cade a terra con un rumore come di cocci rotti, e il volto massacrato viene travolto da sotto in su da un quarto colpo, che gli spezza la mascella. La corda gli taglia a metà un bulbo oculare, e vedo sangue e umor vitreo sprizzare in aria come da una pistola ad acqua difettosa. Il quinto colpo lo fa stramazzare a terra, e Jack getta lo strumento ammaccato di lato con un clangore cacofonico. Mi alzo in piedi e fisso l'aggressore.

«Avevo detto “guarda in basso”?.... oh, perdonami, errore mio. Volevo dire “guarda il basso”»

Non faccio in tempo nemmeno ad essere minimamente inorridito dal mio pessimo senso dell'umorismo, che come sempre salta fuori nelle peggiori situazioni, quando sento la voce dell'altro Mangiamorte echeggiare in lontananza.

«Avrei dovuto capirlo che me l'avevi fregata, tu, Gascoyne...», sta bisbigliando a Sal, ma tutti noi riusciamo ad udirlo. «Sei solo un povero fesso incapace, hai bisogno di quella per essere un mago potente...»

«Ray, ma di cosa sta parlando?», mi chiede Jack, ma io lo ignoro. Sal è tremante di rabbia repressa, e respira buttando aria dal naso come un toro impazzito.

«Perché, tu? Mi pare che tu l'abbia usata finché ti è parso, contro di me...», ribatte puntando la bacchetta contro il Mangiamorte. «... Invece di batterti come si deve... Stronzo!». Il tipo muscoloso prorompe in una risata rauca.

«Fai pena, Gascoyne... Non avresti nemmeno le palle di lasciare quella roba per confrontarti con me»

«Tu fai pena... Perché non sapresti fare a botte come i Babbani nemmeno se ti pagassero fior di miliardi», sbotta Sal, la bacchetta roteante come un frullino. Calmati, dannazione.

«Tu sei solo un perdente sfigato in cerca di guai...», lo provoca il Mangiamorte con voce odiosamente cantilenante. Sal lo fissa carico d'odio. «...e i guai li trovi... sempre»

«Che cazzo vuol dire, questo, eh?», urla. «CHE CAZZO VUOL DIRE!?». Lui si prende tutto il tempo che vuole prima di rispondere. Sembra pregustarsi l'effetto delle sue parole. Poi apre la bocca.

«Vuol dire...», scandisce lentamente, e ogni parola trabocca disprezzo e cattiveria. «...che tu, come al solito, ci rimetterai», dice, e Sal comincia a respirare sempre più rumorosamente. Sal, cazzo, sta' calmo, amico mio. «Vuol dire che stasera lo prenderai nel culo, come fai sempre... non ti è bastata la lezione, Gascoyne?»

«PARLA! VAI AVANTI!», gli intima Sal, spruzzando saliva dalla rabbia. «TU DI' SOLO UNA CAZZO DI PAROLA, PEZZO DI MERDA! DILLA E SEI MORTO, LO GIURO SU DIO!»

«Lo hai già preso nel culo, non è vero, Gascoyne?», canticchia il Mangiamorte con voce volutamente irritante. Sal sta tremando violentemente, la vena in rilievo sulla tempia. «Dovresi aver capito, ormai, come va il mondo... Perché tu lo hai preso nel culo, e io ormai me la sbatto da mesi, e me la godo, oh, sì... me la godo da morir--»

«SECTUMSEMPRA!», ruggisce Sal, e dalla bacchetta viene sparata a velocità assurda una raggiera verdognola, che si attorciglia su se stessa prima di colpire il Mangiamorte con violenza. Sia lui che Sal vengono scagliati indietro. Il fragore della maledizione è intollerabile, e tutto l'edificio è scosso da un tremito. Chiudo gli occhi di scatto, ma non prima di aver intravisto il corpo del Mangiamorte venire dilaniato a mezz'aria come da un machete. È come se una lama affilata male avesse attraversato in obliquo il torace, slabbrandolo in due parti separate. Il busto rotea per aria e sbatte violentemente contro la parete, inondandola di sangue e intestini. Le gambe piombano a terra scoordinatamente, e una scarpa nera rotola a terra accanto ai piedi di Sal. Oh cazzo oh cazzo oh cazzo oh cazzo!

«SAL, CHE DIAVOLO TI SALTA IN TESTA?!», grido senza riuscire a trattenermi. Lui mi guarda e scuote il capo, con l'espressione più stanca e devastata che io abbia mai visto finora.

«Oh, mio Dio», geme Hermione portandosi le mani alla bocca. Volta la testa di scatto e vomita sul pavimento ricoperto di cemento in polvere. In quel momento sento altre grida sovrapporsi una all'altra, mentre una decina di esplosioni consecutive innaffiano di colori variopinti l'aria fumosa, facendo lampeggiare le gocce di pioggia in caduta dal cielo come sotto una luce stroboscopica. Sembra la macabra replica di uno spettacolo di fuochi d'artificio. Mi copro la testa con le mani, i capelli incollati alla fronte, e seguito dai miei compagni costeggio la zona delle deflagrazioni, evitando inorridito cadaveri su cadaveri. Stringo gli occhi e grido di rabbia.

Ma perché non finisce?

Sento un rumore di passi di corsa, e vedo Liam, Julie, Nick e Mark passarmi vicino, nella nebbia fumosa. Li seguo, e così fanno gli altri.

«Ray, vieni, dobbiamo andarcene!», mi fa Liam.

«Perché non arriva nessuno?», piange Hermione disperata.

«Non lo so, cazzo, non lo so...», ripete ininterrottamente Jack. «Nick! Dove andiamo?!»

«Ovunque, basta che sia al sicuro!», risponde lui urlando.

«Ma qua stanno morendo tutti, Cristo! Tutti!», sbercio, sopraffatto dal terrore e dal disgusto. «Che cazzo facciamo?»

«Ray, è andato tutto da schifo, corri, porca miseria!»

«Dobbiamo ritrovare tutti gli altri!», esclama Mark, sempre correndo a perdifiato. A un tratto vedo una cosa che mi lascia di stucco. Michael Shadwell, che non avevo più visto dall'inizio del concerto – e che anche allora dubitavo fosse realmente lui – ci supera di corsa, urlando in un crescendo di rancore. Sembra fuori di testa.

«Cosa?...»

«Michael?», esclama Mark, incredulo, e rallenta.

«Oh, cazzo!», sbotta Sal di fianco a me, e io giuro che non capisco come mai. Mentre Mark e gli altri rallentano, mi volto, e mi accorgo che Sal sta cambiando direzione, mettendosi alla mia destra. Corre più forte di tutti, senza guardarsi indietro, i capelli unti e sporchi di polvere tutti arruffati. Evidentemente non si accorge che Julie si è fermata davanti a lui, così le finisce addosso, urtandola.

«Sal!», fa lei.

«Scusami, Julie...», mormora, e con una mano si toglie una macchia di sangue e sudore dalla fronte. Michael intanto ci ha distanziato, e non lo vediamo più. Scorgo solo una nuvola di fumo davanti a noi, resa perlacea da una fonte di luce incerta posta parecchi metri più in alto. Deve essere uno dei pochi riflettori rimasti in vita. Tutto è in silenzio, adesso. Poi sento di nuovo Michael urlare. Un getto di luce verde fiammeggia brevemente davanti a noi, e il corpo di Michael viene sbalzato all'indietro, fuori dalla nebbia, di fronte ai nostri piedi. Gli occhi sono spalancati, la bocca è piegata in una smorfia, la pelle è pallida e immobile... È morto. Julie trattiene il respiro.

«NO!», urlo, strizzando gli occhi. «NO!», ripeto, e mi lancio in avanti. Era mio amico, cazzo, era mio amico, non mi importa se ci eravamo divisi, era mio amico!

«RAY!», sento Jack urlare dietro di me, ma ormai sono immerso nel fumo. Tutto intorno a me è luce lattiginosa e omogenea, una cappa impenetrabile di polvere sospesa. Le grida e i richiami dei miei amici mi seguono. Poi sbuco all'aperto. È il fondo dell'arena. Un unico traliccio ammaccato sostiene una schiera di riflettori mezzi squassati, i bulbi rotti, le luci fioche e intermittenti che gettano un'alone giallognolo sul pavimento una tempo pulito e curato. Non ho il tempo materiale di rendermi conto di cosa stia succedendo. Qualcosa viene verso di me. È rosso e brillante, e mi colpisce la mano destra, facendomi saltar via la bacchetta dalle dita. La sento fischiare lievemente mentre compie una parabola in aria, dietro di me, per atterrare lontana con un ticchettio sommesso. Sento delle urla in lontananza. Poi mi rendo conto che c'è una persona, nell'ombra, ai piedi del traliccio. Non l'avevo vista perché le luci, seppur fioche, mi avevano catturato lo sguardo e annebbiato la vista. La sagoma lontana, dritta davanti a me, si muove lievemente. Io resto a guardarla, trattenendo il respiro. A un tratto sento le voci dei miei amici dietro di me, e numerosi passi schioccano sul pavimento come nacchere, facendo scricchiolare i sassolini sparsi ovunque.

«Ray!», ripete Jack, ed è allora che la persona solleva la bacchetta, puntandola dritta verso di me.

La verità mi piomba addosso come un'incudine. Inizio a tremare. Sono disarmato. Sono finito. Ma c'è qualcosa che non va. Non posso finire. Non così.

Il resto lo sapete.






(c'è qualcosa che non quadra)







«AVADA KEDAVRA!», urla l'uomo, e la luce verde mi corre incontro, investendomi come un'ondata in un oceano in tempesta. Mi rendo conto di essere scagliato in aria, all'indietro, come un burattino. Sento vagamente Sal urlare il mio nome. Non vedo più niente. La mia schiena colpisce il terreno, ma non sento dolore. Devo essere morto. È così che ci si sente. Non si prova più nulla. Però. Sembra divertente. E allora perché sto ancora pensando?

(c'è qualcosa che non quadra)

Ho le orecchie ovattate, e non vedo assolutamente niente. Tutto davanti a me è nero. Anzi no. Mi sto sbagliando. Ci sono dei puntini bianchi, ogni tanto, sparsi nel nero. Stelle, Ray? Esatto. Stelle. Stelle?!

(c'è qualcosa che)

Sto fissando il cielo notturno attraverso lo squarcio nel soffitto del London Arena, ecco cosa sto facendo.

(non quadra)

Ma non sono morto? No, amico. Non sei morto. Ma mi ha ucciso! Quell'uomo mi ha ucciso, mi ha scagliato l'Anatema Che Uccide, mi ha colpito!

(c'è qualcosa che non quadra)

Lo so. So cosa c'è che non quadra. Me ne ricordo ora. L'uomo nell'ombra non mi ha colpito. Mi ha preso di striscio. Perché lui teneva la bacchetta male. La teneva spostata. Spostata? Sì, esattamente. Ecco cosa non quadrava. Spostata? Spostata, Ray? Appoggio le mani a terra. Adesso inizio a sentirci, dalle orecchie. Si stanno riempiendo di rumori risuonanti, come all'interno di una conchiglia quando senti il mare. Mi sollevo, mettendomi seduto, e compiendo uno sforzo non indifferente con gli addominali. Mi guardo attorno, e vedo solo Jack, le mani nei capelli, una lacrima silenziosa che gli percorre il volto. Piego le gambe e mi alzo in piedi. Davanti a me i riflettori continuano a friggere, e le luci scoppiettano scoordinatamente. Sbatto le palpebre. Tutto sembra rallentato, come se stesse avvenendo sott'acqua. (o in un incubo)

Faccio scorrere lo sguardo ai piedi del traliccio. La figura è ancora lì, oscurata nell'ombra ellissoidale. Percepisco il suo sguardo pesante sui miei occhi. Compio un passo in avanti, e lo stesso fa lui. Uscendo dall'oscurità. Uscendo allo scoperto. Vedo il suo volto. Vedo i suoi occhi. Vedo il suo ghigno trionfante. Non alza la bacchetta

(spostata, Ray?)

la tiene abbassata, in attesa. È lui. Devon Barkley. Il bastardo. Lo stupratore di Becky. Colui che ha ucciso Michael, desideroso di vendicare sua sorella. È lui.

(spostata?...)

Devon Barkley. Non Dudley. È lui, il famoso Big D. Quello di cui parlava Sal. Non è possibile. C'era anche lui, in Galles. Anche lui. Sempre lui. Ci siamo incontrati di nuovo, come aveva promesso. Come aveva promesso. Un dubbio lacerante mi invade le membra, paralizzandomi il cervello.

(...oppure mirata altrove?)

Mi volto lentamente, e solo allora mi giungono all'orecchio le lacrime dei presenti. Mark, Jane, Nick, Luke... Sono tutti. Sono tutti quanti qui. E tutti quanti guardano un corpo disteso a terra, dietro di me. Le braccia e le gambe sono protese in una posa ingiusta, innaturale, come in una statua abbandonata prematuramente dal suo scultore. La luce dei riflettori è debole e fioca, e sfrigola quasi a intermittenza, ma è sufficiente perché io riconosca il corpo, e le forme, e il viso, e i capelli, della persona che meno di tutte avrei voluto vedere lì, morta e fredda, scaraventata sul pavimento. Solo allora realizzo. Ha avuto la sua vendetta. Come aveva promesso. Come aveva promesso.

Il mondo mi crolla addosso, e dalla bocca emetto un buffo suono a metà tra un colpo di tosse e un singhiozzo. Corro verso il cadavere di Julie, e gli occhi mi si inondano di lacrime. Urlo come non ho mai fatto in vita mia, e la voce mi esce distorta e modulata dal pianto. Mentre mi butto accanto a lei e il suo viso scompare dietro il velo che mi oscura gli occhi, stringo le palpebre e grido senza fermarmi.

«No, no, no, no, no, no, no, no, no, no, NO, NO!», mi esce dalle labbra in un crescendo di rabbia e orrore. Mi inginocchio e le tiro su il busto. La testa dondola inerte, penzolando all'indietro. La sostengo con la mano e le cingo le spalle immobili e rigide. Non faccio nemmeno caso a Jack, che sta puntando la sua bacchetta contro Devon.

«TI UCCIDO! TI AMMAZZO, BRUTTO PEZZO DI MERDA! SEI MORTO, LO CAPISCI? MORTO!», lo sento urlare come un ossesso, e io piango ancora di più. Bacio le labbra fredde di Julie, bagnandole le guance di lacrime. Avrei voluto dirle così tante cose.

«Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, ti amo, Julie, io ti amo, ti amo, ti amo...», ripeto singhiozzando, come in una ninnananna tragica. Devon se la sta ridendo, e io lo detesto per questo, ma amo Julie, e questo sentimento è così forte al confronto...

«Metti giù quella bacchetta, ciccione!», esclama lui rivolto a Jack.

«Ripetilo e giuro che ti spacco la testa!», sento mio cugino ringhiare, come un cane idrofobo. «TI SQUARTO CON LE MIE MANI, LO GIURO!»

«...ti amo, ti amo, ti amo, Julie...», continuo a mormorarle, soffiandole nell'orecchio come se questo riuscisse a rimediare, cingendola con le braccia come per proteggerla dall'odio che aleggia intorno a noi. «... io ti amo, ti amo...»

«SEI UN FIGLIO DI PUTTANA, BARKLEY!»

«Mettila giù, stronzetto», gli intima Devon. Jack annuisce, gli occhi lucidi di pazzia.

«Okay, la metto giù...», dice, gongolando. Lo vedo abbassare la bacchetta magica, puntandola verso il pavimento.

«Così va meglio, grasson--»

«ASCENDIO!», muggisce Jack tutt'a un tratto, e subito viene scagliato in aria come se avesse un reattore sotto le scarpe da tennis. «Caramba, testadimerda!», sghignazza fuori di sé, mentre il suo corpo compie un salto a tre metri d'altezza. Devon rimane colto alla sprovvista, e Jack lo colpisce al mento con la suola delle Nike, facendolo ribaltare sul pavimento con uno schianto. Stringo gli occhi e abbraccio Julie convulsamente. Avrei voluto dirle così tante cose. Avrei voluto dirle quanto mi stava a cuore, quanto l'amavo e quanto l'avevo amata, quanto avrei voluto poter tornare indietro e ricominciare tutto daccapo, quanto affetto provavo per lei, quanto significava per me, quanto avrei voluto fare l'amore con lei, quanto avevo pianto per lei, per i suoi occhi, per poter rivedere il suo viso ancora una volta.

Jack atterra sul pavimento con uno schiocco delle suole gommate, e colpisce Devon al volto col pugno ancora chiuso sul manico della bacchetta. Gli sbatte la testa sul terreno, e a ogni colpo lo vedo cospargersi di limpide chiazze di sangue. Sento Devon gemere e urlare, finché Jack non lo colpisce con un cazzotto in piena bocca, sfondandogli entrambe le arcate dentarie e spezzando di netto la propria bacchetta che ancora tiene stretta fra le dita. Lui, chissà come, trova la forza di calciare via Jack con uno scatto delle gambe, urtandogli i testicoli. Mio cugino rotola a terra, tenendosi le parti offese con una mano. Vedo Devon sollevarsi in piedi con fatica. Passa al setaccio il terreno e, trovata la sua bacchetta, la fa saettare verso di me, guardandomi con gli occhi iniettati di sangue.

«Certo», grugnisce, e per chissà quale depravata ragione la sua voce suona allegra, «che fra tutti voi cugini siete aggressivi davvero, eh, Oddname? Sono così anche i tuoi amichetti? Tra poco scopriremo se sanno battersi sul serio... siete sopravvissuti, per ora», aggiunge, rivolgendosi ai ragazzi dietro di me. Ha avuto la sua vendetta. Come aveva promesso. Ha avuto anche i suoi informatori, dunque? Il tipo con l'Audi col cellulare, qui fuori, allora era uno dei suoi... ci controllava... l'aveva mandato lui... è così che ha scoperto tutto di noi... di me... così ha scoperto il mio punto debole, ha scoperto che amavo Julie... oppure l'ha scoperto guardando me e Liam fare arrampicata e sfogarci ognuno dei suoi problemi... oppure c'era qualcuno, quel giorno, vicino alla rimessa, quando credevo che Ron e Julie si fossero baciati... forse c'era qualcuno che ci osservava, per poi riferire a Devon. Quel rumore che ho sentito tra i cespugli, prima che Steve e Sal arrivassero in motocicletta... forse era lui, questo qualcuno. O forse era quel tipo che mi sta sempre dietro, da quando mi ha incontrato, da quando ci ha incontrati, a me, a Mark, a Jack, Sal e Liam... lo stesso che ha sempre mentito, nascondendoci di essere ricattato da dei Mangiamorte... lo stesso che, stasera, sentendo Eka parlare di me e Kyra, l'ha presa da parte per farsi dire dov'ero... lo stesso che ho visto dietro il vetro al terzo piano... Jonathan Galsworthy, figlio del vecchio e rimbambito Pete, Addison Street 4198... proprio accanto a dove stanno Christopher e Freddie... e loro non si sono fatti vedere stasera, esattamente come diceva Jack... forse sono prigionieri, adesso... forse sono già morti... o forse, penso, nell'ultimo rantolo di lucidità che mi rimane, sopraffatta com'è da tutti questi pensieri, forse adesso non importa più. Niente ha più importanza.

Devon alza la bacchetta magica, preparandosi a colpire. Accade un una frazione di secondo. Jack si scaglia su di lui, lo sbatte di nuovo in terra e lo immobilizza con l'avambraccio sinistro.

«Lei non ti amava, Oddname!», latra Devon, in un lampo di follia, il volto vermiglio per la pressione del polso di mio cugino sulla sua gola. «Rassegnati!», grida, e la sua voce ringhiosa rimbomba tra le pareti ricurve dell'arena. Jack alza il pugno che regge la bacchetta spezzata, e guarda Devon negli occhi. Quando cala il braccio di scatto, affondandogli l'estremità scheggiata tra le corde vocali, io strizzo le palpebre, e sento solo uno sgradevole suono viscido e scricchiolante. Il corpo di Julie mi pesa tra le braccia ormai deboli, e io mi lascio trasportare verso il basso, mentre ricade giù, distendendosi sul terreno. Singhiozzo un paio di volte, stremato, conscio di aver probabilmente esaurito per sempre ogni energia, ogni forza, ogni lacrima, ogni briciolo di sanità mentale. Tengo gli occhi chiusi. Il profumo del collo e dei capelli di Julie aleggia ancora attorno alle mie narici, e io inspiro profondamente, aggrappandomi a quell'unica traccia di bontà rimasta in quella che è la mia vita. Serro più forte le mie braccia attorno al busto di Julie, facendolo ruotare lievemente. Poi sento qualcosa. Un rumore metallico. Un tintinnio come di monetine. Ma non sono monetine. Il cuore mi batte fortissimo, adesso. Apro gli occhi e vedo qualcosa luccicare, vicino alla tasca dei jeans di Julie. È da lì che è caduto, questo qualcosa. Sembra un serpentello brillante, una strisciolina luminosa al bagliore dei riflettori. Una frase mi balza in testa, come se non avessi mai avuto altro, in mente. Non so che poteri abbia. Le labbra mi si increspano in un sorriso incerto, stemperato da una grandissima voglia di piangere. Sollevo il corpo tenero e dolce di Julie, e la collana con un pendaglio a forma di croce viene completamente illuminata dalle luci traballanti dell'edificio, sinuosa catenina metallica ammiccante nella semioscurità fumosa. È questo che ha fatto Sal, quando ha urtato Julie. Aveva capito. Prima di me. Ora sorrido, e sollevo la testa, il mento appoggiato alla spalla di Julie. Vedo Sal, dritto davanti a me, un po' discosto dagli altri. La sua espressione non è più triste, ma sollevata. Ha avuto la sua redenzione. Come si meritava. E l'ha fatto aiutandomi. È per questo che esistono gli amici, no? Gli sorrido, e lui fa altrettanto, muovendo su e giù la testa lentamente, in un complice segno di assenso. Poi, mentre stringo a me il corpo rigido di Julie, sento come un guizzo di muscoli, e vedo la sua mano morbida muoversi impercettibilmente. Percepisco il suo respiro. Lo sento dentro di me. Il suo petto si alza e si abbassa contro il mio. È in quel momento che tutto il carico di emozioni e sensazioni mi esplode nel torace, e così, con il volto premuto contro la spalla di lei, stringo forte la collana di Sal,

(non so che poteri abbia)

chiudo gli occhi, il cuore di Julie che pulsa teneramente accanto al mio, e scoppio in lacrime per quella che in questa notte è l'ultima, infinita, dolcissima volta.



Amare costa, piangere è gratis.






FINE.



___________________________________________________


::E anche questa è finita. E con ciò credo proprio di aver concluso. Quando ho iniziato a scrivere queste fiction non avevo idea di dove sarei andato a finire, e francamente non credevo di poter creare una serie così intricata (e questo non è per tirarmela, ma solo per dire che in effetti l’insieme delle 7 fiction su Ray Oddname è una storia unica abbastanza incatricchiata per certe cose, a cominciare dal numero forse eccessivo di personaggi e dagli intrecci alla LOST). Comunque, so che essendo uno dei pochi maschi a pubblicare storie in questo sito non produco il genere di storie che piace a voi ragazze, e me ne scuso. Non ho postato questa serie volgare, violenta, cruda, cupa, disturbata e chi più ne ha più ne metta, per farvi uno spregio... Riconosco che il mio modo di vedere certe cose è diverso, forse troppo, da quello in cui le vedete-sognate-scrivete voi. Il mio modo di scrivere forse è troppo dettagliato, forse vuole essere troppo cinematografico, visivo, senza riuscirci molto, magari. Il mio modo di pensare l’amore forse dista dalla visione che ne avete voi, ma questo è semplicemente ciò che provo io, non una finzione. Io scrivo ciò che sento, e questo mi basta per sapere di non star fingendo. Detto questo, passerò ai ringraziamenti di tutti i miei personaggi, perché sinceramente se lo meritano. Tutti quanti.

RINGRAZIO:

  • Innanzitutto SAL, per essermi stato vicino nella creazione di tutte queste storie, e per avermi sempre sostenuto in questa “catarsi letteraria”, anche con la sua creazione di una fiction sua, esattamente la n° 5bis, che sarà postata qui tra breve, e sarà tutta dal suo punto di vista. Lo ringrazio tantissimo per avermi guidato, favorito e consigliato in ogni cosa. Non solo per le fiction. Thanks, dude.

  • Un grossissimo ringraziamento a JACK detto jKnife, nonché mio cugino bassista, per essere stato sempre uno dei primi critici (in positivo) di tutte le storie, e per avermi convinto a continuare minacciandomi di morte in caso avessi smesso di scrivere. Non so come reagirà sapendo che questa è l’ultima fiction, ma tant’è. Dovevo concludere. Avrò bisogno di altre catarsi, ma Ray Oddname dovrà fermarsi, almeno per un po’. Chissà che non inizi poi a scrivere brevi “storie di Ray”, sulla sua infanzia... Magari posso convincere Jack a scrivere fiction dal suo punto di vista, come ho fatto con Sal. Chissà. Grazie mille comunque per tutto quanto, perché non è da tutti sopportare i miei deliri di scrittore... Grazie per avermi fatto tutti i complimenti che mi hai fatto, con lo stesso tono sincero e spassionato di quando mi dici che una canzone nuova che ho composto è migliore di quella prima. Sei un vero amico, davvero. Grazie. Hey, yossel!

  • Anche a ELLIE, per avermi prestato il suo portatile per scrivere “L’Alba Nera” d’estate e questi ringraziamenti a capodanno. Grazie per il sostegno e per l’ispirazione. Sei la meglio e meno male che ci sei anche tu!

  • Grazie a ERIC HOWE, per avermi raccontato tutte quelle storie lituane assurde, più le avventure di vita come la storia del concerto dei Korn con la ragazza incontinente in fila per entrare. Grazie per le tue uscite alla Germano Mosconi durante gli esami di storia moderna, mi hai fatto spisciare! Ma ghe ooooh!?

  • Anche a EKA, per avermi permesso (?) di inserirla nelle fiction, e per avermi deliziato con le sue storielle. Ma quand’è che fai il featuring con noi?!?

  • Al mitico Dr.SEB, non presente nelle storie ma assiduo recensore (o Re Censore hahaha!). Grazie x i tuoi consigli e per il sostegno, sei veramente il massimo... Ho usato una tua frase storica, spero tu non mi uccida! Silencio. No ay banda.

  • Grazie a NICK, per i suoi amichevoli consigli su un po’ di tutto, chiamiamole lezioni di vita... Occhio al 25 gennaio! Bughedessantima...

  • Grazie ad ARI, anch’essa non presente nelle storie, ma che sarebbe stata un elemento bestiale... Ti prometto che troverò il modo di rendere giustizia alla tua fantastica personalità e al tuo meraviglioso carattere. Grazie per i consigli e per avermi ascoltato. Dài, sembra divertente!

  • Al grande MARK, per essermi stato d’ispirazione per la storia di Helen e per essermi stato vicino sempre... Sei veramente un grande, ricordatelo!

  • Grazie a IRIS, per tutto quanto! Non ho mentito, sono veramente felice di averti conosciuta, e mi sei sempre di aiuto e sostegno. Cavolo, mi sto ripetendo in modo assurdo in queste recensioni, ma mi mancano le parole giuste, temo...! EnneCiEsse...

  • Grazie a SIMON e DANIEL, altri due miti che sono davvero contento di aver conosciuto all’università! Purtroppo non ho trovato il modo di darvi una parte decente, ma vi ho solo inseriti ogni tanto... Comunque rimanete dei grandi! A presto, e grazie

  • Grazie a SID per avermi offerto un ottimo spunto per il suo personaggio, nonostante non sia molto approfondito... Temo sia molto vicino al Tod di Scrubs, ma comunque... e grazie a RYAN per tutto... Continua così che dobbiamo continuare a suonare.... Evvai con la Yamaha!!!

  • A LUKE per la sua grande amicizia e per avermi supportato in tutti i progetti deliranti durante le ore di lezione, tra palindromi, storie alla Elio E Le Storie Tese e fumetti assurdi. I Conflitto spaccano! Andate su www.myspace.com/conflitto

  • A FRED e CHRIS, personaggi di secondissimo piano, ma per cui ho scelto un modo di elevarli a un significato più importante per la storia... Grazie a FRED per suonare con noi, mi raccomando!

  • Grazie a LEO per essermi sempre a fianco, mi dispiace non averti conosciuto prima, altrimenti ti avrei inserito di sicuro... E’ incredibile quante cose abbiamo in comune io e te. Stammi bene, e vediamo di fare il rave a casa tua dopo l’esame di cinema italiano. Fottiti, mezzo di perda, e W il grungeeeeeeee!

  • Grazie a JANE per la sua pazienza quest’estate e per essersi confidata con me (dopo che io ho fatto altrettanto)... grande cuginozza! Baci baci!

  • Anche a STEVE, un amico che davvero, per dirla alla Sal, “gasa” per la sua calma e la suo silenzio prezioso e mai imbarazzante....personaggio interessante ma (ahimé) da me poco sfruttato. Perdonami, ma ho fatto quello che ho potuto gestendo così tanti personaggi... farà di meglio Sal con la sua 5bis, che attendo con ansia. Hey, duuuuude!

  • Grazie al mitico LIAM, mio cugino-fratello-fotocopia in versione Lato Oscuro, per le interminabili chiacchierate notturne a bordo piscina, i grandi consigli, i suoi insegnamenti di arrampicata sportiva sulle rocce senza imbracature (!) e la sua amicizia... A presto!

  • Grazie anche a MICHAEL, nonostante i nostri rapporti siano tuttora sfrangiati, per essermi stato amico fino ad ora, ed avermi sopportato in tutti questi anni.

  • So che non dovrei ringraziare BECKY, ma d’altra parte ero io quello che ci era fissato, e la merdata l’ho fatta io un anno fa esatto... Me la sono cercata. Comunque grazie per essermi stata a sentire per quei 3-4 secondi in tutta la mia vita in cui non eri presa dalla tua, di vita. Non sai di essere l’unico personaggio nelle mie fiction ad essere violentato, né sai di essere un personaggio delle mie fiction. Anzi, a dir la verità non sai nemmeno che io scrivo fiction, né che cosa siano delle fiction. Insomma, non sai un cazzo. Cavoli tuoi.

  • Altra persona da non ringraziare. KYRA ESTELLA LEBENSON, sei in assoluto la PIU’ che abbia mai incontrato in vita mia. Sei la più intrigante, attraente, misteriosa, cattiva, perfida, stronza, menefreghista, spietata ragazza che abbia mai avuto vicina. Ma, alla luce di tutto, non sei nemmeno lontanamente importante dal punto di vista sentimentale. Sei stata solo un’ossessione, una malattia mentale, un disturbo psicologico. Ciò non toglie che tu sia un personaggio dannatamente arrapante. Non so come tu faccia a tenere dentro di te tanta merda, ma complimenti per esserci riuscita fino ad ora senza esplodere. Grazie per aver ispirato per lo meno tre canzoni del nostro primo album (mio, di Jack, Ryan e Fred). O forse dovrei ringraziare me stesso. Allora non resta nient’altro. Spero tu sia soddisfatta.

  • Grazie a J.K.Rowling per avermi ispirato, e spero non si arrabbi per il mio uso dei suoi personaggi.

  • Grazie a Stephen King per avermi intrigato col suo modo di scrivere (alla fine prevalso sullo stile alla McEwan!)...

  • Grazie a Shyamalan per avermi insegnato a mantenere la suspence e dare colpi di scena... spero di essere riuscito nell’intento, o maestro! Ti stimo moltissimo, qualsiasi cosa tu faccia.

  • E infine, come lasciarti da parte? Un ringraziamento enorme va senza dubbio a te, JULIE. Mi hai dato tantissimo, forse più di quanto tu possa immaginare... o forse lo sai. Le mie fiction ti hanno fatto ridere, sorridere, ti hanno urtata, ti hanno colpita, ti hanno lasciata perplessa, soddisfatta e spesso sconvolta. So che per te è difficile parlarne, e so di essere noioso e annoiante. So anche di essermi espresso, sfogato, confidato con te, soprattutto con quest’ultima storia. Vorrei averti vicina, per lasciarmi andare e parlare, ma so che non posso, o comunque per te è complicato e noioso starmi a sentire. Con queste fiction ho mostrato tutto di me, forse troppo, forse troppo poco, forse bene, forse in modo contorto, non so. So che ti limiterai, come hai sempre fatto – giustamente, forse – a dare un giudizio estetico alle cose che scrivo, ma so, o meglio, spero che tu sappia che, oltre a sentir narrare una storia, quando leggi una fiction delle mie è come se io ti fossi accanto e mi stessi aprendo con te nel modo in cui non riesco a fare quando siamo faccia a faccia senza rischiare di scoppiare a piangere. Lo so, sono patetico. Dannazione, non ci voleva... Non è il luogo adatto per dirti tutto quello che ti devo dire. Meglio confinarlo all’interno delle cornici delle storie, meglio non rendersi troppo vulnerabili. Ma ogni singola cosa che ho scritto era sentita, era vera, era reale. Giuro che non ci ho mai marciato sopra, giuro che non sono mai andato sopra le righe, giuro che non ho mai mentito. Non lo farei mai. Non a una come te. Ho così tanto da dirti, e nemmeno scrivendolo nelle mie storie riuscirei a terminare.

    Ma tu questo lo sai già, non è vero?

    Mi dispiace che sia dovuta andare così.

    Ma è successo.

Dannazione.




    • E poi un abbraccio e un ringraziamento speciale, unico, nuovo, dolce. Vero. Sentito.

      A te, mio gioiello. Mio angelo. Mio sostegno. Mia salvezza.

      La mia nuova porta, aperta per me.

        Grazie,

        Ray.






___________________



Grazie di tutto, a tutti quanti.

Forse questo sarà il mio congedo da EFP. Forse mi rivedrete, quando avrò qualche cosa degna di essere raccontata. Vi ho già detto che la serie di Ray è ora completa, ma questo non vuol dire che sia tutto finito. Purtroppo immaginare e scrivere è una cosa che mi viene naturale... Sono una persona emotiva, sensibile... Le mie canzoni lo sono. Così come le mie storie... Potete accusarmi di essere monotono, se volete. D’altra parte, certe persone sono destinate a soffrire. Per questo i Red Sox non vinceranno mai le World Series.

Ci vediamo in un’altra vita, gente.

R.


  
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