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Autore: Katsura    23/06/2012    4 recensioni
"Ogni tanto dobbiamo diffidare delle cose vecchie, i precedenti possessori potrebbero non gradire..."
Dedicata al mio pianoforte.
Genere: Drammatico, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
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Note dell’autrice: Questa è una storia/delirio nata mentre ragionavo sul mio vecchio pianoforte, siate clementi xD Spero vi piaccia!
Buona lettura,
Katsura.
 
Ciò che molti definiscono “cose vecchie” io le definisco “d’epoca”. Ho una passione per le cose che c’erano già prima che io nascessi, vent’anni fa, mi piace che gli oggetti abbiano una storia da raccontarmi, quindi non compro nulla che non abbia almeno trent’anni. La mia ossessione per il “vecchio” è comune a mia madre, infatti ha speso una vera fortuna per arredare la nostra casa con mobili dell’Ottocento. Ogni volta che li vedo cado in una specie di trance, mi sembra quasi di rivivere le vite delle dame che precedentemente ponevano i loro abiti pomposi e sfarzosi dove io getto le mie T-shirt…
***
Quello era il gran giorno, finalmente dopo due anni di lavori estivi avevo i soldi necessari per comprare un’auto, la mia prima auto. Ero eccitatissima! Volevo prendere un’auto d’epoca, pensavo a una semplice Fiat 500, le adoro! Speravo solo di trovarla. Scesi dall’auto, mio padre aveva voluto accompagnarmi con la sua 127, anche lui era ossesso come me e mia madre. Decisi di dare un’occhiata in giro mentre lui si rivolgeva al venditore.
Camminavo e camminavo, c’erano un sacco di auto lì, da semplici Opel a stupende Mercedes, ma nemmeno l’ombra di quello che stavo cercando.
Camminai ancora.
Eccola, era lì, gialla, sorridente, allegra, pronta per essere comprata. Me ne innamorai, dov’era mio padre? Volevo mostrargliela! Stava venendo con il venditore, quindi iniziai a puntare la Cinquecento con il dito. Sembrava averla vista.
“Sono felice che le piaccia, signorina” disse il venditore.
“Non mi piace, la adoro! Quanti anni ha?”
“È del ’57, perfettamente funzionante, rimessa a nuovo l’anno scorso” spiega, aggiungendo altri dettagli che non ricordo perché ero troppo impegnata a guardare il giallo sgargiante dell’auto.
“La prendo.” Dissi decisa.
Ma non sapevo che quella fu la mia condanna a morte.
***
Non ho voluto guidare l’auto per una settimana, avevo paura di contaminare la sua bellezza, è così lucida e pulita, sembra quasi prendere vita, una dama in un abito giallo che mi guarda con aria altezzosa e di superiorità. Le ho dato anche un nome, Cristina.
Finalmente mi sono decisa, stasera vado a ballare e voglio andarci con lei. Sono anche vestita e truccata di giallo, ho l’ossessione anche per i colori. Prendo le chiavi.
Aperto lo sportello, mi siedo comodamente al posto guida. Il sedile, di pelle bianca, è talmente comodo che mi sembra di essere sprofondata in una nuvola. Chiudo la portiera, ma sento uno scatto, lo scatto della chiusura centralizzata. Non gli do importanza, sto cambiando le scarpe per poter guidare, i tacchi sono scomodi.
Mentre mi sistemo il trucco ho l’impressione di vedere nello specchietto retrovisore un’ombra. Assurdità! Stasera sto proprio lavorando di fantasia… Dov’è la mia borsa…? Ah è qui dietro. Aspetta, ma come ci è finita?
Mentre prendo la borsa due mani ossute e fredde afferrano il mio collo, trascinandolo verso il sedile passeggero. Non è un’allucinazione, è troppo reale, mi manca l’aria. Ora sono semidistesa su quel qualcosa che mi ha afferrata, le sue mani allentano la presa attorno al collo, se ne staccano, ma una afferra la mia vita e l’altra la mia testa, la tiene ferma e inizia a mordermi il collo. Non lo sta mordendo, lo sta strappando a morsi e lo sta masticando. Sento il dolore di ogni singolo morso, di ogni singolo pezzo di carne che viene strappato a forza da me. Mi inizia a girare la testa, mi fischiano le orecchie, ma quella mano sulla mia fronte è talmente fredda da impedirmi di svenire.
L’essere smette di mordermi il collo e inizia a strappare morsi dal braccio, sempre masticando la mia carne. Agonia. Cerco con quelle poche forze che mi restano di raggiungere lo sportello, ma ricordo che è scattata la chiusura, merda. Sono in trappola, sento che l’essere sta divorando le mie dita, una alla volta, strappandole lentamente dalla mia carne. Non ho forza di gridare, la voce mi si strozza in gola mentre questa cosa mi sta sbranando viva. Sento le gambe calde e non ci metto tanto per capire che quel calore è il mio sangue. I miei occhi sono spalancati, sono terrorizzata, raccolgo un po’ di coraggio per girare la testa quanto basta per vedere cos’è quell’essere, mi giro, ma non vedo nulla, tranne un alone nero.
Una cosa di forma umanoide, composta solo da stracci e nebbia neri, mi tiene ferma e mi sta sbranando. Le uniche cose che si distinguono in quel nero, oltre al mio sangue, sono i denti gialli e aguzzi, come quelli di un orso, e gli occhi, gialli anch’essi, gialli come la Cinquecento che mi teneva in trappola.
Terrore.
La cosa mi sta divorando, sicuramente mi ha scoperto le ossa del braccio; io muoio dissanguata, muoio di paura, muoio di orrore, muoio e basta. Il buio mi avvolge, vedo solo il bianco screziato di rosso dei sedili della mia macchina, anzi, della mia trappola. Muoio mentre la cosa mi divora, muoio forse non per sempre, e sarò maledetta, sento che farò la fine della cosa, infestare, vestita di giallo, questa macchina gialla, per divorare tutti coloro che verranno dopo di me.
Muoio…
   
 
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