Ok…sono una brutta persona.
Innanzitutto
perché è passato tipo un anno
dall’ultimo aggiornamento. In secondo luogo
perché,
già sentendomi in colpa per non aver aggiornato per
così tanto tempo mi ero
ripromessa di scrivere fino al capitolo 25 e poi di postare un capitolo
a
settimana con cadenza costante…Al momento devo scrivere il
capitolo 19 (cosa
che comincerò a fare da Luglio) ma domani ho un esame e un
altro poi giovedì e
sono così depressa che mi son detta “dai ne posto
giusto uno così se lasciano
qualche commentino mi tiro su di morale!” E quindi eccolo
qua! u.u
16. SOLO UNA SETTIMANA
Partire fu strano, lo
ammetto. Era sempre stato uno dei miei sogni segreti quello di partire
e non
voltarmi mai più indietro. Beh, non proprio un
sogno…un piccolo desiderio. Quel
tipo di pensieri che ti attraversa la mente una volte, due volte.
Cominci ad
accarezzarlo, a conservarlo, a volte arrivi addirittura a fantasticarci
sopra.
Non era esattamente quello
che stavo facendo però, era molto diverso. Non me ne stavo
andando, mi stavo
allontanando e la cosa si era dimostrata molto più difficile
di quanto avessi
mai pensato e naturalmente la più grande differenza tra la
realtà e quel mio
piccolo sogno era che non la smettevo di guardarmi alla spalle. Lo
facevo in
continuazione. A volte addirittura mi fermavo e restavo a osservare le
montagne
dietro Nacom. Continuai a farlo finché montagne e villaggio
non furono
diventate troppo lontane, dopodiché il viaggio
proseguì senza intoppi.
Giunsi a Dolnam dopo diverse
ore e da lì presi il treno per Junon.
Il viaggio fu abbastanza
lungo e principalmente noioso: a un certo punto mi addormentai e
arrivai alla
stazione la mattina dopo.
Mi ero aspettata molte più
persone. Dopotutto Junon era diventata la capitale del continente!
Invece dal
treno scendemmo solo io e altre sei persone. Due erano una coppietta,
uno era
sicuramente un impiegato o un uomo d’affari visto il rigido
completo grigio.
Furono gli altri tre passeggeri a incuriosirmi e dopo essermi seduta
sopra al
bagaglio, in attesa che mio fratello venisse a prendermi, cominciai a
osservarli. Erano due giovani ragazzi e una ragazza. A prima vista non
sembravano avere niente di strano: avevano i capelli neri,
probabilmente
avevano solo due o tre anni più di me e vestivano
normalmente. Sul polso si
erano tatuati tutti e tre lo stesso identico tatuaggio. Da lontano non
riuscivo
a vedere bene i dettagli ma assomigliavano a un angelo. Restammo tutti
e
quattro in stazione per una buona mezzora poi una donna li venne a
prendere.
Strinse loro la mano, e in quel momento vidi che anche lei aveva lo
stesso tatuaggio
a forma di angelo, e li condusse via.
Quando mi passarono vicino
cercai di vedere meglio quegli strani tatuaggi ma riuscii solo a
scorgere due
lettere che prima non avevo notato. La prima non riuscii a vederla,
poteva
essere una “i” o una “l” forse,
mentre la seconda era una P.
Passarono altri quindici
minuti, durante i quali cambiai posizione sul bagaglio, mi stiracchiai
e
cominciai a camminarci intorno, terribilmente annoiata. Poi finalmente
vidi
Shin che si avvicinava alla stazione a passo veloce, non correndo ma
quasi, e
balzai in piedi aspettando che mi raggiungesse: ero restia ad
abbandonare il
bagaglio. Mi avevano fatto tutti terrorismo riguardo ai furti in treno
e in
stazione.
Shin mi raggiunse pochi
secondi dopo e mi abbracciò. – La mia sorellina
– disse sorridente. – Hai
viaggiato bene?
- Ho dormito tutto il tempo!
- Beata te –
sospirò
afferrando la mia valigia e facendomi segno di seguirlo. – Io
non ci sono mai
riuscito.
Questo fu il mio arrivo a
Junon. Come uscii dalla stazione dimenticai dei tre ragazzi con
l’angelo
tatuato e la sensazione di stranezza che mi avevano percepito.
Così iniziò il
mio soggiorno a Junon.
Non successe nulla di
straordinario durante la settimana che passai con mio fratello. Mi
portò in
giro per la città, mangiammo ogni schifezza che ci passava
davanti e restammo
svegli fino a tardi, cosa che per me rappresentava una specie di atto
di
estrema ribellione viste le abitudini di casa.
Tuttavia ci sono un paio di
episodi che farei meglio a raccontare.
Due giorni dopo il mio
arrivo Shin decise di portarmi alla fiera annuale che Junon organizzava
in
onore delle Weapon. Era un’antica tradizione legata al
risveglio di non so
quali creature mistiche che si erano levate dai cannoni un sacco di
tempo
prima. Shin me l’aveva spiegata molto meglio ma non ci avevo
capito quasi
niente.
Queste fiere erano
abbastanza diverse da quelle che organizzavamo a Nacom. Qui
c’era cibo, immensi
stand che vendevano alcolici, dolciumi e ninnoli vari, così
come succedeva a
Nacom a parte la parentesi degli alcolici, ma in più
c’erano le giostre e
c’erano delle baracchette dove si poteva giocare e vincere
dei premi. Quella
sera tornai a casa con un enorme behemoth di peluche; a pensarci la
cosa era un
po’ inquietante visto l’ultimo piacevolissimo
incontro che avevo avuto col
mostro…questo però aveva degli occhi grandissimi
e le ciglione e a conti fatti
assomigliava più a un cucciolo di chocobo che a un mostro
assetato di sangue e
morte. Quel peluche lo conservo ancora adesso.
Tornammo alla fiera anche il
giorno dopo. C’era ancora più gente, immagino
perché fosse la serata dedicata
ai fuochi d’artificio.
Era stato bello passare di
nuovo la giornata con Shin. Averlo tutto per me per così
tanto tempo mi
sembrava incredibile, dopotutto venivamo da una famiglia con sette
figli.
A pranzo avevamo mangiato a
casa, cucinando insieme. Parlando del più e del meno.
- Quella cosa non pericolosa
che facevi – disse con un tono di voce volutamente casuale
– continui a farla?
Lo guardai in silenzio,
sbattendo ripetutamente le palpebre, sorpresa. Non sapevo cosa
rispondere.
Prima di partire Shin mi aveva domandato cosa facessi nei boschi
“da sola”.
Quella volta non gli avevo voluto rispondere e lui aveva lasciato
stare.
Avevo avuto modo di pensare
alla risposta che gli avevo dato quella volta, una vaga rassicurazione
di non
fare nulla di pericoloso. Quello che avevo finito per chiedermi
più avanti,
senza ancora aver trovato una soluzione, era perché non gli
avevo voluto
parlare di Safer. Cosa c’era di male perché
dovessi tenerlo nascosto? Credo che
una piccola parte di me fosse gelosa di lui, non volevo dividerlo con
nessuno
dal momento che nemmeno lui sembrava interessato a conoscere altre
persone.
So che non è questo il vero
motivo e lo sapevo anche allora. La verità è che
avevo percepito qualcosa in
Safer, qualcosa di pericoloso, aveva la stessa aura degli animali
feroci che
sono stati addomesticati. Non sai mai quando potrebbero rivoltartisi
contro. Lo
sapevo. La verità non è che avevo paura di
condividerlo con il mondo, la verità
è che avevo paura che se l’avessi condiviso con il
mondo, l’avrei perso per
sempre.
Dopo aver mugolato una vaga
risposta affermativa, rimasi in silenzio per diversi minuti. Intrecciai
le mani
tra di loro, poi le sciolsi, poi le riallacciai. Ero combattuta.
Abbassai lo
sguardo, all’improvviso trovavo le venature nel legno del
tavolo estremamente
interessanti e cominciai a parlare.
Gli raccontai come avevo
trovato quest’uomo ferito, di come l’avevo curato e
di come, infine, avevo
cominciato a passarci del tempo insieme.
Shin rimase in silenzio, non
mosse nemmeno un muscolo finché non finii di parlare. Allora
spostò una sedia e
si sedette di fronte a me, dall’altra parte del tavolo.
- Yuri… -
sospirò,
mortalmente serio. – Ma come diavolo ti è venuto
in mente? – il suo tono di
voce rimase calmo e controllato.
Mi corrucciai. –
Io…
- No, ascoltami un secondo –
mi interruppe. – Un uomo adulto, uno sconosciuto, per di
più un mercenario da
quanto mi hai raccontato.
Sospirò e
allontanò la sedia
dal tavolo, alzandosi di nuovo in piedi. Cominciò a
camminare avanti e indietro
per la stanza. – Non sto dicendo che avresti dovuto lasciarlo
là. Non sto
dicendo questo. Ma una volta appurato che non era morto o in procinto
di farlo
avresti dovuto venire a cercare aiuto al villaggio. Si può
sapere cosa ti è
saltato in mente? Avrebbe potuto ucciderti o peggio! Sei una bambina,
per
l’amore del cielo.
- Shin! – esclamai sbattendo
le mani sul tavolo e alzandomi in piedi a mia volta. –
Innanzitutto ho
diciannove anni, quasi venti, e non credo sia necessario specificare
che non
sono più una bambina da molto tempo. Secondo, non ti ho
raccontato questa
storia in cambio di consigli paternalistici da parte tua né
da parte di nessun
altro. Sono grande abbastanza per decidere da sola, contrariamente a
quanto
sembra pensi tutto il resto del mondo. – A
parte Safer, pensai tra me e me. - Ho agito come ho agito
perché mi è
sembrata la cosa giusta da fare. Ora, puoi essere felice per me, puoi
far finta
che non ti abbia raccontato niente di niente oppure puoi
riaccompagnarmi in
stazione.
Feci un giro del tavolo per
cercare di calmarmi e poi tornai a sedermi. In tutto questo, Shin
rimase in
silenzio. L’avevo spiazzato, lo vedevo. Per quanto fosse il
migliore dei miei
fratelli e mi volesse bene, purtroppo era inevitabile che alcuni tratti
della
nostra tradizione avessero attecchito in lui…anche se non ne
era consapevole.
Ma ci volevamo bene, e lo perdonavo.
Mi osservava, creandosi
un’immagine di me completamente diversa. Ero cambiata,
nemmeno io me ne ero
accorta fino a quel momento. Safer mi aveva cambiata. Non erano solo
gli
allenamenti, le lezioni…o il trovarmi in pericolo di vita,
se è per questo. Era
la sua stessa vicinanza. Mi aveva fatto evolvere e credo che anche Shin
in quel
momento l’avesse capito. Capì quanto bene mi
faceva, e avrebbe continuato a
farmi, la vicinanza di quell’uomo meraviglioso.
- Hai ragione – disse alla
fine. Si passò una mano nei capelli. Era di nuovo rilassato,
più sereno. – Sono
felice per te. Quando tornerò a Nacom me lo farai conoscere,
d’accordo?
Gli sorrisi. Gli andai
incontro e ci abbracciammo. – D’accordo.
Ad ogni modo, la cosa più
strana e più importante, anche se ancora non lo sapevo,
accadde durante il mio
ultimo giorno di permanenza. Mancavano ancora diverse ore prima che il
mio
treno partisse e avevo supplicato Shin di portarmi di nuovo alla fiera,
così
avevamo lasciato i miei bagagli al sicuro in stazione e avevamo
raggiunto la
via della fiera.
Notai subito che qualcosa
non andava, ancora prima che lo facesse Shin. Sul momento pensai che
fosse
qualcosa di strano nell’aria, adesso so che
l’addestramento con Safer mi aveva
permesso di sviluppare sensi più sviluppati. Non sto
parlando dei cinque sensi
naturalmente, ma di quelli che si attivavano imparando a usare la
magia.
- Cos’è quella
folla? –
domandò Shin indicando davanti a sé. Io stavo
già guardando in quella
direzione. Qualcosa mi aveva fatto venire la pelle d’oca.
- Andiamo a vedere. – Mi
prese per un braccio trascinandomi dietro di sé. Avrei
voluto dirgli di no, che
non era il caso di immischiarci ma non riuscivo a trovare una
giustificazione
plausibile neppure con me stessa.
Non mi piacque quello che
vidi e non piacque nemmeno a Shin che velocemente mi
riafferrò e mi trascinò
via. Ero riuscita a vedere la scena solo per pochi secondi, ma era
bastato.
C’erano i tre ragazzi che avevo visto in stazione quando ero
arrivata, la donna
che era venuta a prenderli e altri due. Erano tutti vestiti di rosso,
con delle
specie di tuniche con il cappuccio. I tre della stazione stavano
picchiando due
ragazzi mentre gli altri tre guardavano. La gente restava a guardare.
Perché
non faceva niente? Cosa mai potevano aver fatto di male quei ragazzi?
Cercai di tornare indietro
per capire, per aiutarli, ma la presa di Shin sul mio braccio era
ferrea e non
mi avrebbe lasciata andare per nessuna ragione.
- Shin! Si può sapere che
ti
prende?
Quando finalmente fummo
abbastanza lontani, Shin acconsentì di fermarsi. –
Lascia stare – mi disse.
- Lascia stare? – ripetei. -
Stavano picchiando a sangue dei ragazzi che non avevano fatto niente,
ne sono
sicura. Perché dovrei lasciar stare? Anzi, perché
tutti lasciano stare?
Shin mi rivolse uno sguardo
duro, severo. – Ma chi vuoi aiutare, che non riesci nemmeno a
difendere te stessa?
Arrossii: era vero.
- Spiegami almeno chi sono.
- Quelli sono il Progetto
Jenova.
- Jenova? – lo guardai
sbalordita. Quel nome aveva qualcosa di terribilmente familiare.
- E’ una specie di setta
–
era contrariato, glielo leggevo in viso. – Per quel che ho
capito è molto
antica…sono dei fanatici o comunque qualcosa di molto
simile. Hai presente
Sephiroth, vero?
Annuii. Tutti sapevano chi
era Sephiroth. E se anche così non fosse stato, ci aveva
pensato Seimei a farmi
una testa così a riguardo ben più di una volta.
- In sostanza credono che
Sephiroth sia destinato a tornare a camminare sulla terra –
fece sprezzante.
Allargando le mani davanti alla faccia come se mi stesse raccontando
una storia
di fantasmi. – Dicono addirittura che è
già successo e che ne hanno le prove.
Una cosa del genere. So che hanno il loro quartier generale a Cosmo
Canyon.
Altro non so. Quello che posso dirti è che sono dei bulli.
Hanno pregiudizi
verso gli albini, solo perché pare che Sephiroth fosse un
albino.
Lo ascoltavo in silenzio,
rapita. Non avevo mai sentito di una cosa del genere. Distrattamente,
mi
domandai se anche Seimei ne era a conoscenza.
- Sai perché stavano
picchiando quei ragazzi? – mi chiese quasi ringhiando.
Scossi la testa.
- Perché avevano i capelli
troppo chiari. Capisci che tipo di persone sono? E nessuno osa fare
niente
perché vengono pure addestrati in quel fottuto Cosmo Canyon.
Imparano a
combattere corpo a corpo, a distanza e qualcuno mormora che venga
insegnato
loro anche l’uso della magia!
Sbattei ripetutamente le
palpebre. Non avevo mai sentito Shin esprimersi in quel modo. Inoltre
il
discorso sull’addestramento del Progetto Jenova mi puzzava
troppo e non sapevo
nemmeno il perché.
Shin sospirò,
scrollò le
spalle. – Vieni, ti accompagno in stazione. Non ha senso
tornare là a questo
punto.
Lo seguii docilmente.
Qualcosa dentro di me era infastidito. Questa faccenda del Progetto
Jenova…c’era qualcosa che non riuscivo proprio a
digerire. La mia curiosità
congenita mi spingeva a scoprirne qualcosa di più. Ma dovevo
tornare a
casa…casa!
Mi illuminai tutta. Tornare
a casa! Tornare da Safer!
Arrossii al suo solo
pensiero. Al pensiero di cosa era successo tra di noi
l’ultima volta che ci
eravamo visti. Mi poggiai una mano sulla guancia. Ero bollente, potevo
sentire
il sangue che mi arrossava tutta la faccia.
Anche Shin lo notò e
sorrise. – Sei contenta di tornare a casa?
E incredibilmente. Contro
ogni previsione, era così. Sì. –
Sì. Non sto più nella pelle.
Per il
capitolo 17
(che si intitola “Tornare a casa” ed è
già stato scritto) ci sarà da aspettare
ancora un pochino anche se credo che entro la fine di luglio
sarò riuscita ad
arrivare al sospirato capitolo 25 quindi posterò con cadenza
settimanale (o
bisettimanale, a seconda degli impegni). Spero che vi sia piaciuto
questo
capitolo dopo tanto tempo…
Un super
ringraziamento a giulia (mi dispiace so che mi hai ricordato cento
volte qual è
il tuo nickname su EFP ma non riesco assolutamente a ricordarmelo!!) e
onewingedangel
che mi fanno da pre-reader! Oltre che alla mia dolce Macci che di
questa storia
non gliene potrebbe fregare di meno eppure continua ad ascoltare tutte
le mie
paturnie e le mie elucubrazioni! <3
Nel mentre
ho anche
fatto una specie di fan art su Sephi e Yuri…magari vi metto
il link all’immagine
col capitolo 17 o col 18 (che ci sta ed è più a
tema!)
Un bacione e
tutti
quelli che ancora si ricordano di questa mia storiella anche se io sono
così
negligente nell’aggiornare! Vi adoro tutti! *_*
Aya
p.s.
incrociate le
dita per me domani!! D: