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Autore: Bittersteel    26/06/2012    1 recensioni
OneShot | Romantico, Introspettivo
Un mugolio d’assenso. La abbracciò, la osservò guardare la luna piena. Il profilo risaltava, affilato, pallido. Non prendeva il sole da molto tempo, non le piaceva il mare - la sabbia le si appiccicava addosso. Le passò un braccio attorno alle spalle ossute, attirandola con rudezza sul suo petto. Lei rispose appoggiando la testa sullo sterno, non distogliendo gli occhi dal cielo. In quel punto il cielo era blu, la Via Lattea prometteva di bagnarli di polvere di stelle, tanto evidente risultava la sua brillantezza nel buio.
– Dove credi che sia la seconda stella a destra?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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A Luciano, che somiglia tanto a Lou, e forse è lui,
a me, che sono come sono e sono così pazza da scriverlo,
a noi, che siamo una scommessa, una speranza, un peccato.
 

 
 

La Luna e la Lupa
 

 

So che la notte non è come il giorno: che tutte le cose sono diverse,
che le cose della notte non si possono spiegare nel giorno
perché allora non esistono,
e la notte può essere un momento terribile per la gente sola
quando la loro solitudine è incominciata.
Addio alle Armi, E. Hemingway.

 
 
– Tu credi che staremo assieme per sempre?
Il vento giocava tra le fronde, qualche animale vagava tra i cespugli. Al limite tra il cielo e gli alberi  il chiarore di un incendio prossimo a essere domato.
– Io…
 – No, non rispondere, – c’era comprensione nel tono di lei. – Era una domanda stupida.
Lui non rispose; riusciva a riconoscere nella durezza della voce il fattore off, come lo avevano chiamato: il fattore che troncava la discussione, e inevitabilmente rendeva la sua ragazza fredda come ghiaccio.
Il vento si era alzato, portava umidità sulla pelle nuda, intirizzita.
– Hai la pelle d’oca.

Un mugolio d’assenso. La abbracciò, la osservò guardare la luna piena. Il profilo risaltava, affilato, pallido. Non prendeva il sole da molto tempo, non le piaceva il mare - la sabbia le si appiccicava addosso.  Le passò un braccio attorno alle spalle ossute, attirandola con rudezza sul suo petto. Lei rispose appoggiando la testa sullo sterno, non distogliendo gli occhi dal cielo. In quel punto il cielo era blu, la Via Lattea prometteva di bagnarli di polvere di stelle, tanto evidente risultava la sua brillantezza nel buio.
 – Dove credi che sia la seconda stella a destra?
– A destra di cosa?
– La seconda stella a destra. Quella verso cui voli, e poi dritto fino al mattino…
– Bennato?
– No, Peter Pan. Peter volava, proprio come dice quella canzone. E arrivava nell’Isola che Non C’è. E lottava con Capitan Uncino insieme ai Bimbi Sperduti. E non cresceva mai.
– Non penso sia una buona idea non crescere. Ci sono cose che non puoi fare, da bambino.
La baciò sulle  labbra, carezzandole il seno.
 – Se fossi cresciuta non ti avrei mai fatto quella domanda. Tu mi avresti risposto, se fossi rimasto bambino.
Era arrabbiata con sé stessa, l’aveva capito. Aveva commesso un errore, si era avvicinata troppo. Si era sentita respinta. Adesso toccava a lui non sbagliare: Irene era come un lupo: selvatica, diffidente, ringhiante. Riusciva a saltarti alla gola e distruggerti.  Scappava per leccarsi le ferite e non abbandonava un membro del branco ferito - quando di branco ne aveva ancora uno. Sognava lupi a volte. E cavalli neri come la notte. Aveva confessato di voler scrivere un racconto, dove sarebbero comparsi sia i lupi che i cavalli, una di quelle rare volte dove, con la mente illanguidita dall’amore, confessava una piccola parte di sé stessa.
Decise di rimanere in silenzio, e ascoltare i rumori notturni.

– Mi vuoi bene?
– Ti amo.
– Ma non mi vuoi bene.
Avvertì una leggera traccia di spavento, un tremito inconscio nei polsi.
– Ti amo, è di più che volerti bene!
– Non è così.
Rabbia. Il lupo. La luna piena. Ricordò qualche film dove improvvisamente un lupo mannaro saltava fuori dal sottobosco e uccideva chiunque incontrasse sul suo cammino. Non che l’avesse davvero visto: era lei la fonte di queste immagini.
– Non è così. Non è di più. Quando vuoi bene a qualcuno, qualsiasi cosa succeda gli starai sempre vicino. Gli offrirai una spalla su cui piangere, una coperta per dormire, una parola per consolarla.
– E io non  ti offro tutto questo?
Era toccato a lui, adesso, provare rabbia, stordimento per parole che non riusciva a capire.
– Sì, ma non sarà per sempre. E lo so che niente è per sempre, nemmeno noi. Ma un bel giorno noi ci sveglieremo e andremo ognuno per la sua strada. Ci saremo amati, ma non riusciremo a volerci bene.
C’era qualcosa che stonava in quella frase, eppure sembrava essere giusta, una verità da ricordare ai posteri, qualcosa che avresti potuto trovare scritto in un libro. Irene a volte parlava come la carta stampata, citava libri in continuazione, e lui non sapeva riconoscerne nemmeno uno. Eppure non riusciva mai a spiegarsi: si lanciava in voli pindarici, in complicati giri di parole - alla ricerca della parola giusta, peraltro – e ti faceva perdere in concetti semplicissimi.
– Hai paura che non resterà niente di noi, in altre parole.
Lei sospirò, per un attimo distolse gli occhi dal cielo e incontrò il suo sguardo, – Sì.

Si voltò per abbracciarlo, gli cercò la bocca, gli intrufolò la lingua fin quasi in gola, spingendolo sulla coperta, salendo a cavalcioni su di lui; lo trovò pronto. Gli salì a cavalcioni, premendo con le mani sul petto, disperandosi in una muta preghiera per averlo, subito. Lo cavalcò furiosa, in maniera del tutto incontrollata. Vennero entrambi nello stesso momento, poi lei pianse.
Anche questa volta, lui preferì rimanere in silenzio, ascoltando le lacrime infrangersi contro la pelle sudata del petto. Le carezzò la testa, le baciò la fronte.

– Sai, quando dicevo che avrei voluto farlo almeno tre volte stasera, non intendevo in questo modo!
Finalmente udì quel suono brusco, tutto di gola, che contraddistingueva quella risata da tutte le altre, e poi un buffo scusa a metà tra un singhiozzo e una risata. La coccolò ancora un poco, facendo scivolare i polpastrelli callosi tra una vertebra e l’altra.
– Direi che è ora di rivestirci. C’è umidità.
Lei annuì, e si spostò, cercando i vestiti: mutande, pantaloni, reggiseno, maglietta, maglietta, boxer, pantaloni.
– Quando imparerò a mettere un vestito, – imprecò Irene, – Almeno non dovrei saltellare da un piede all’altro per tentare di rimettere i pantaloni. Almeno non ci sarebbe stato bisogno di togliermi tutto, e mostrare le mia grazie a conigli, serpenti, pipistrelli e uccelli in genere.
La guardò ironico, e poi rispose, guardandola intensamente, – Ti spoglierò comunque. Faremo sempre l’amore nudi.
– Da che parte stai, gli umani o le zanzare?

Se l’abbracciò stretta, sollevandola fino  a che le sue lunghe gambe gli circondarono la vita, baciandole ogni centimetro di pelle che riusciva a raggiungere. Finirono di nuovo a terra, sulla coperta, a guardare il cielo.
– Ti rendi conto che abbiamo fatto l’amore come i conigli? Sotto gli alberi, con le macchine che passano a tipo cento metri di distanza?
– Sì. – disse lui, – Dobbiamo rifarlo. L’ho sempre voluto fare!
E lei rispose con quello sguardo che li rendeva complici, due bambini a mettersi d’accordo per la prossima marachella. Gli baciò le labbra e gli disse per l’ennesima volta che era morbido e caldo.
– Certo, come una coperta.
– Esatto! Io adoro le coperte! Mi tengono al caldo quando non ci sei tu, a dormire con me.
Un altro bacio, un’altra carezza, un altro abbraccio.
– Forse è ora che io torni a casa.
– Perché?
– Forse perché si è fatto tardi, e non posso certo dire a mio padre che sono stata con te a sentir trombare i conigli!
– Non sia mai!

Raccolsero la coperta, i cellulari, le sigarette. Andarono verso la strada, attenti a nascondersi quando i fari delle automobili si avvicinavano. Davanti il cancello si fermarono. Lui la guardò, la pelle pallida che sembrava risplendere di luce propria.

– La domanda che mi hai fatto prima…
Non gli diede il tempo di finire. Gli occhi fiammeggiavano, era sicuro che avesse le guance rosse.
– Non lo dire. Se le dici ad alta voce, le cose belle non succedono.
Se l’abbracciò stretta, si chiese dove trovava queste parole. Le baciò un’altra volta la fronte, e si rese conto che era entrato in campo di nuovo il fattore off. Sorrise alla luna.
– Andiamo, lupacchiotta. Ti riporto a casa.

Era una lupa solitaria, una lupa strana. I lupi fanno branco, gli aveva detto una volta: quando l’inverno si avvicina il lupo solitario perisce, mentre il branco sopravvive. Aveva perso il branco, si ostinava a star da sola, quando tutto quello che voleva era una speranza. Ma questo, lei, non lo avrebbe mai ammesso.

La speranza è peccato, Lou.

– Andiamo.
 
 
Note:
Non lo disse ad alta voce perché sapeva che a dirle, le cose belle non succedonoe
E’ stupido non sperare, pensò. E credo che sia peccato– E. Hemingway, Il Vecchio e il Mare.
quando l’inverno si avvicina il lupo solitario perisce, mentre il branco sopravvive - G. R. R. Martin, Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.
Questo non è un racconto, non è una storia. Sembra davvero una speranza, forse lo è, forse quel vecchio aveva ragione. Forse sono solo parole.
 
 
 
 

   
 
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