Capitolo III:
“Convocazione”
Era l’ora di pranzo, tutta la famiglia era seduta a tavola e mangiavano in silenzio.
In paese giravano voci sempre più insistenti sullo scontro imminente tra i due daimyo e il padre di Mariko, Noburo, aveva rispolverato l’armatura e ne aveva fatta fare una per Goemon.
Come sempre, il padre avrebbe combattuto in prima linea, fronteggiando i nemici più terribili.
- Sai, Mariko.
Aveva cominciato il padre, il giorno che aveva iniziato ad insegnarle l’arte della spada.
- Non c’è gloria nel morire mentre si è in ritirata, né morire dopo essere stati catturati. Il massimo onore è morire proteggendo il proprio daimyo, uccidendo più nemici possibili. Quando invece si è catturati o non si è portata a termine una richiesta, è ancora possibile morire con onore facendo seppuku, se il signore te lo permette.
Aveva concluso il padre.
Erano seduti sotto il ciliegio, in giardino, faceva caldo per essere primavera.
- E come si fa seppuku?
- Te lo insegnerò, tutti i samurai devono saperlo fare.
- Perché il padrone è tanto importante?
- Perché ci dà terre e finanziamenti, perché è più saggio di noi e dipendiamo da lui. Per questo esiste un disonore ancora più grande degli altri: diventare ronin.
Il padre pronunciò la parola “ronin” con disgusto, come se lasciasse uno spiacevole sapore in bocca.
- Che cos’è?
Domandò preoccupata Mariko.
- E’ un samurai senza terra né padrone. Si diventa ronin se il padrone ti sottrae il feudo per punizione o se il tuo signore viene ucciso con tutta la discendenza e non hai più qualcuno da proteggere e che ti protegga. Devi vagare in giro per il Paese sostentandoti come mercenario o brigante; è la peggior condanna per un samurai.
Finì, scuotendo la testa.
Qualcuno bussò alla porta, e tornò alla realtà. Noburo appoggiò le bacchette e tese le orecchie ad ascoltare, nessuno mosse un muscolo.
Sentirono Kiri aprire la porta e una voce profonda parlare con calma, dopo alcuni attimi Kiri aprì la porta della loro stanza.
- Nobile Noburo, un funzionario del daimyo chiede di voi.
- Arrivo subito, fallo accomodare nella terza stanza e prepara del cha.
- Sì, signore.
Il padre ringraziò per il pranzo e si inchinò, poi uscì dalla stanza sotto lo sguardo di tutti.
- Continuate a mangiare voi due, io vado ad aiutare Kiri.
La madre si alzò e uscì dalla stanza.
Mariko e Goemon si guardarono un momento, nessuno dei due aveva il coraggio di mangiare.
- Credi sia per la guerra?
Chiese Goemon, lievemente preoccupato.
- Credo di sì…
Sentirono le voci provenire dalla terza stanza, la più grande della casa.
- Andrai a combattere?
- Sì, per l’onore della famiglia e del nostro daimyo.
- Vorrei venire anch’io.
- Tu devi proteggere la mamma.
- Lo so, ma vorrei esservi più utile.
Goemon sorrise alla sorella minore.
- Ma tu sarai d’aiuto.
Le diede un buffetto e riprese a mangiare.
Mariko attese per un’ora, ma le sembrò un’eternità, poi il padre annunciò che tre giorni dopo, lui e Goemon sarebbero partiti verso il confine del territorio.
- Mariko!
Il padre la svegliò, ancora non era sorta l’alba.
- Sì?
- Ho un regalo per te.
Il padre le porse un fagotto lungo, lo prese in mano e Mariko subito capì.
- Posso?
- Certo, bambina mia.
Con le mani tremanti, Mariko aprì il fagotto e scorse una katana, la cui tsuba, ovvero la guardia, era decorata abilmente.
- Era di mia sorella, è morta proteggendo l’onore della famiglia.
Spiegò il padre.
Mariko sorrise e ringraziò di cuore.
- La userò per proteggere il nostro onore.
- Lo spero, piccola mia.
All’alba il padre e il fratello partirono, Mariko dovette trattenere le lacrime.
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Note: Il "cha" è il tè giapponese