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Autore: ellacowgirl in Madame_Butterfly    02/07/2012    2 recensioni
Lei è la professoressa esperta, ma non troppo. Quella rigida che non si fida degli alunni, quella che sa di sapere, quella un po’ stronza..
Lei è la studentessa modello, ma non troppo. Quella sempre solare e disponibile, quella che non sa di eccellere, quella ingenua. La benvoluta da tutti...
Una docente che ha perso troppo nella vita, e cerca di riempirne i vuoti con un’alunna dal cuore troppo generoso, pur convivendo con un passato segreto che la ossessiona, che la perseguita, che le perseguiterà entrambe...
Loro sono l’ombra della notte ed il raggio del sole, il cui incontro non avverrà mai né all’alba né al tramonto.
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Quattro:
La voce del silenzio

 
La prima ora è sempre la peggiore, anche se fa concorrenza all’ultima.
E’ la peggiore perché è costretta ad arrivare presto, come tutti gli insegnanti, ed attendere che quella mandria di adolescenti arrivi, con meno voglia di lei.
O quasi.
 
Si passa la lingua sulle labbra, un gesto lento e gradevole: ancora sente il sapore di quella pelle così dolce e delicata.
Sorride ancora, maliziosa, ironica, divertita: è lì sulla cima delle scale, pronta ad attenderla.
Vuole vedere l’espressione di quella biondina non appena incrocerà il suo sguardo.
Vuole vedere il segno della propria falsa magnanimità impresso su quel collo troppo morbido.
 
La campanella suona, lei è appena appoggiata alla parete di fronte alle scale, le braccia conserte e lo sguardo fisso, indagatore.
Gli alunni entrano, chi più e chi meno svogliatamente ma lei nemmeno sembra vederli, guardarli, quasi come se nessuno di loro potesse minimamente interessarle.
Dopo poco, i primi alunni della 4^B salgono le scale, le rivolgono un saluto educato e d’obbligo, senza fronzoli o accenni di simpatia, anzi: lei ricambia, ma è più un dovere il suo, che un piacere.
 
Quando ecco che la vede, quella chioma bionda lasciata libera di muoversi ad ogni passo.
Quel sorriso già manifesto su di un visto delicato, solare, fin troppo benevolo.
Non appena gli occhi verdi della ragazza incrociano quelli oscuri della donna, Elena accenna ad arrossire, quasi involontariamente, con quell’emotività naturale che sembra contraddistinguerla.
Cerca di portarsi i capelli dorati più vicini al collo, memore della serata precedente e con un passo più rapido termina la scalinata, dirigendosi nella classe.
Una risata contenuta, quella della professoressa, dinnanzi ad un gesto tanto rivelatore.
Si divertirà, eccome.
 
La campanella suona, lei ha la prima ora libera ma è venuta comunque, solo per godersi quella scena.
Abbandona la parete, si avvia dunque verso la sala insegnanti quando ecco che il telefono vibra e così, senza curarsi del divieto di tenerlo acceso, lo apre.
Numero sconosciuto, questo non le piace.
Mille presentimenti, quel volto prima ironico che si fa improvvisamente serio.
Lo sguardo da divertito a profondo, troppo profondo, che scava in ricordi che voleva dimenticare.
 
- Pronto? – 

Una voce che non è più quella sicura della terribile e temuta professoressa di italiano.
 
- Ce ne hai messo di tempo per rispondere. – 

Un brivido le percorre la schiena a quella voce.
Terrore, in quegli occhi prima sicuri e predatori.
 
- Sono a scuola. – 

Risponde semplicemente, la mano quasi trema nel reggere il telefono, mentre si affretta a raggiungere un laboratorio, per allontanarsi, per non essere visibile da nessuno.
Non vuole che la vedano tremare, avere paura.
Non vuole che la vedano mentre gli scheletri chiusi nell’armadio prendono vita.
 
- Hai un nuovo incarico. – 

 
*****

 

-  Due fotocopie, per favore. -
 
Una richiesta gentile, come ogni volta, mentre un paio di fogli vengono appoggiati su di una scrivania in legno.
La bidella dai lineamenti anziani volge il capo verso la ragazza, sorridendole appena.
 
- Ma certo, Elena cara. - 

La bionda ricambia quel sorriso con gentilezza, mentre la donna prende i fogli e le volta le spalle per fare le fotocopie.
La signora Patrizia, detta anche Patty, conosce quella scuola meglio delle proprie tasche, e altrettanto bene gli alunni che la vivono, soprattutto se si trovano spesso a gironzolare per i corridoi per la vari commissioni, non ultima quella dolce ragazza nella quale ognuno sembra riporre la propria fiducia.
 
- Oh, sono finiti i fogli, accidenti… -
- Glieli vado a prendere, signora Patrizia. –

Dice immediatamente la ragazza, avviandosi altrove.
 
- Ma no Elena, posso andarci io! –
- Oh non si preoccupi, farò in fretta, so dove li tiene! – 

Si affretta dunque a risponderle con un sorriso dolce, mentre la figura snella della diciassettenne si avvia rapida per i corridoi.
L’anziana signora sorride debolmente, mentre la osserva allontanarsi.
 
- Che Dio ti benedica, cara Elena. – 

Perché sa che quella gentilezza, quella bontà d’animo sono qualcosa di raro.
Perché sa che nessun alunno vorrebbe mai recarsi in quel vecchio laboratorio solo per risparmiare della fatica ad un’anziana bidella.
Nessun alunno, tranne la ragazza dagli occhi color della vita, che per gli altri darebbe anche l’anima.

 
 
*****

 
Il suo passo è aggraziato, posato, come se non fosse né troppo lungo, né troppo corto.
Una libellula che si libra senza catene, senza restrizioni: libera dai rancori, libera dall’oscurità, libera di danzare.
Ha attraversato un paio di corridoi, gli occhi verdi che osservano quell’ambiente ora vuoto, quella calma così serena e velata dal silenzio.
 
Poi il suono di un vetro rotto, di qualcosa che si rompe.
La sua attenzione si fa più viva, lo sguardo che avanza sino alla porta del laboratorio di chimica, lasciata sempre socchiusa: a terra c’è qualche vetro ed un cellulare aperto in due.
Resta un attimo perplessa nel vedere quegli oggetti, ma quando alza il capo è già troppo tardi: gli occhi freddi e quasi minacciosi della professoressa sono puntati su di lei, quasi non appartenessero ad un essere umano.
 
Possibile che fra tutte le persone presenti nella scuola , proprio quella studentessa dovesse vederla in un simile stato?
Stringe i pugni, il volto sottile che si irrigidisce, la rabbia che aumenta nonostante lo fosse già qualche attimo prima.
 
Elena non sbatte nemmeno le palpebre, gli occhi verdi che osservano la figura di quella che non le sembra più la sua professoressa di italiano, ma un qualche incubo creato da troppi rancori ed odi.
Una luminosità che infastidisce, quella della ragazza, che si presenta ancora troppo pura per un’anima dannata.
 
- Mi scusi… - 

Dice flebilmente, un sussurro sincero e dispiaciuto, quasi come si sentisse in colpa per averla vista in quelle condizioni…
Per averla vista in quell’attimo di debolezza, perché la paura ed i rancori non sono altro che questo.
Si allontana immediatamente, sfiorando appena la porta come a volerla chiudere, per evitare che la professoressa possa avere altre visite indesiderate: un gesto forse troppo premuroso, il suo, verso una donna che per il momento ha solo cercato di farle del male.
O di sfogare una rabbia repressa, probabilmente.
 
Cammina rapida per il corridoio, lo sguardo leggermente abbassato ed un dolore velato per ciò che ha visto.
Sta per portarsi una mano al petto, per calmarne i battiti, quando questa viene afferrata con un gesto rapido e quasi aggressivo, mentre la ragazza viene sbattuta contro il muro.
 
Di nuovo quegli occhi freddi e minacciosi, di nuovo quello sguardo che sembra volerla trapassare, indebolire, ma tuttavia non ferire…
Trattiene il respiro, Elena, eppure sul suo volto ingenuo non v’è timore dinnanzi ad un dolore sommesso.
 
- Tu non hai visto nulla… - 

Un tono di ghiaccio, aggressivo, che non sembra ammettere repliche: nessuno deve vederla in quel modo, nessuno deve anche lontanamente pensare che una donna come lei abbia qualche punto debole, uno scheletro nell’armadio.
Ma Elena, di quei punti deboli, non ha paura, nonostante l’ingenuità e la benevolenza che porta nel cuore.
Perché certe debolezze, apparenti, in realtà celano una forza inaudita, che sa spaccare anche le barriere più dure e radicate.
Che sa andare oltre quelle velate finzioni.
Che sa andare oltre il rancore che si può portare verso chi ha fatto solo del male.
 
Con un gesto delicato, la ragazza cinge il polso della professoressa, della mano che la sta tenendo inchiodata al muro: una presa dolce, quella di Elena, appena percettibile eppure presente.
Uno sguardo tranquillo e quasi sereno, occhi che non trasmettono paura dinnanzi a quello sguardo feroce: comprensione, ecco cosa traspare da quel volto quasi angelico.
La donna resta colpita da quella calma innata mentre la presa sulla ragazza si allenta, fin quando la mano di Elena allontana lentamente quella dell’insegnante, tanto che questa per un motivo anche a lei ignoto non reagisce.
 
- Non deve temere nulla, da me, professoressa. – 

Accenna ad un sorriso, labbra rosee che si aprono appena, che trasmettono una premura incompresa.
Che la disarmano, completamente.
 
Non sa più come comportarsi, la rabbia e l’aggressività di prima vengono completamente sedate da quel gesto che, oltre alla premura, è semplicemente umano.
Continuano ad osservarsi, quando l’alunna si allontana dalla professoressa con un passo tranquillo, quasi come non fosse accaduto nulla, quasi come se quella donna non avesse ancora una volta cercato di aggredirla.
Perché lei non riesce a portare rancore verso una persona che soffre tanto da distruggersi.
 
Gli occhi neri ed ora un attimo spaesati seguono quella figura snella mentre entra nel laboratorio, alla ricerca dei fogli per fotocopie.
Perché non l’ha fermata?
Perché l’ha lasciata andare?
Perché non l’ha intimidita, minacciata?
Perché quegli occhi così dolci e quel fare così comprensivo sono stati in grado di disarmarla?
 
La campanella che annuncia la seconda ora suona, e ciò le impedisce di continuare a pensare…
E poi, ha un nuovo incarico.
 
  
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