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Autore: Helektra    03/07/2012    0 recensioni
...Perché quella era la vendetta che si era concessa: la tortura psicologica, quella portata dal terrore, quella che leva il sonno e che uccide molto più lentamente di un ferro rovente, quella che si infila nei più piccoli spazi tra un pensiero e l’altro e alla fine condiziona tutto l’essere. Una vendetta atroce, senza possibilità di vie di uscita...
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erik si maledisse ancora una volta, mentre si trovava davanti allo specchio della sua camera da letto, tentando di aggiustarsi il nodo della cravatta, come se fosse un boia che sistema il nodo del cappio del condannato, solo che la vittima in quel momento era lui.
Quando aveva ricevuto quella telefonata, due pomeriggi prima, non era riuscito a parlare, ascoltando la voce al telefono che gli diceva solamente che due giorni dopo si sarebbe dovuto presentare alla vecchia casa della sua famiglia, perché si sarebbe tenuta una riunione di tutti i parenti e lui, essendo sempre figlio di Lucan Mc Tavish, era tenuto a partecipare.
Il ragazzo non aveva potuto far altro che accettare, mentre tanti ricordi gli si affacciavano nella mente, soprattutto della piccola sorellina Evelyn e della madre Anne.
La sorellina di appena dieci anni aveva i capelli neri e lisci talmente lunghi che le coprivano la schiena, intensi occhi castani mentre un nasino alla francese e labbra carnose e rosse completavano il volto leggermente arrotondato della bimba. Evelyn, per la sua età, era molto matura tanto che era stata lei a consigliare al fratello maggiore di lasciare la casa. Inoltre era una vera ribelle, tanto che nessuno riusciva a farle fare qualcosa se lei stessa non ne aveva voglia. Ci avevano provato con le buone e con le cattive alcune volte perfino Lucan aveva tentato di convincerla usando quel suo sguardo che avrebbe fatto obbedire chiunque, ma la piccola si era sempre limitata a fissarlo apertamente negli occhi e a rispondere con un secco e definitivo ‘ No ‘ prima di uscire dalla stanza. Anche quando Lucan aveva vietato a chiunque di mettersi in contatto con Erik lei era riuscita a comprare un telefono cellulare da dove tutte le sere chiamava o riceveva le telefonate del fratello maggiore e alcune volte era riuscita perfino a convincere la madre per andare a trovarlo.
Ad Erik mancava molto anche la madre, Anne, con lunghissimi capelli neri e ricci, la carnagione scura e gli occhi di un marrone talmente scuro che si confondeva con il nero della pupilla mentre le labbra erano chiarissime e fine rispetto al resto. La madre era natia dell’Africa, ma poi era stata adottata da una famiglia ricca che non aveva avuto figli e così era diventata l’erede di una grandissima somma di denaro e di molte proprietà che poi erano accresciute quando aveva sposato Lucan Mc Tavish, per amore. Anne sembrava molto simile al cioccolato al latte: era dolce e gentile con chiunque, anche con persone che non aveva mai conosciuto. Erik ricordava gli abbracci della madre capaci di riportargli il sorriso anche se qualche secondo prima avrebbe voluto uccidere qualcuno, per l’esattezza suo padre. Il giovane sorrise al ricordo delle due ragazze che quel giorno avrebbe rivisto, poi prese le chiavi di casa e della macchina, si aggiustò la giacca che si era messo e uscì dalla porta di casa.
 
Nello stesso momento, ma in un luogo diverso, una ragazza si stava osservando allo specchio cercando di sistemare gli ultimi dettagli prima di uscire di casa.
I lunghi capelli castani erano sciolti e le scivolavano lungo la schiena, ma le ciocche davanti erano state raccolte in due treccine che le scorrevano lungo la testa e scendevano fino alla nuca, in modo che non le avrebbero coperto la visuale in caso di un’azione pericolosa.
Indossava un vestito blu scuro aderente lungo il busto mentre la gonna si allargava dopo i fianchi anche se era lunga solo fino al ginocchio, presentava un leggero spacco sul lato destro dove lei aveva legato una fondina dove poter mettere la sua adorata pistola. Un paio di orecchini in oro bianco con una pietra azzurra e un bracciale abbinato nascondevano rispettivamente una cuffia e un microfono con cui avrebbe potuto parlare con il suo stretto collaborato, nonché suo fratello minore che in quel momento stava entrando nella stanza e la stava osservando attraverso lo specchio.
Lei ruotò su se stessa per farsi ammirare, mentre il fratello le sorrideva ammirato.
<< Sei bellissima questa sera sorellina. >>
Methin sorrise mentre osservava la figura del fratello che si trovava di fronte a lei. Con i tacchi di circa dieci centimetri arrivava quasi a guardarlo negli occhi e Raphael era alto un metro e ottanta, centimetro più centimetro meno. Era un paio di anni più piccolo di lei, che ne aveva compiuti da poco ventiquattro, ma non lo dimostrava affatto, anzi era lei che sembrava più piccola di fronte a lui. Aveva i capelli lunghi per la moda del momento, tanto che alcune ciocche spesso gli andavano a finire davanti agli occhi. Definirli neri, però, non era dare una vera definizione. Ad essere precisi i suoi capelli era di un nero profondo e cupo come le notti senza Luna di un tempo in cui non c’era ancora l’elettricità e le candele non potevano niente contro il buio. I capelli spesso andavano a coprire leggermente quei suoi bellissimi occhi verdi intensi e profondi, del colore degli smeraldi, capace di fissarti e di scovare ogni minimo segreto della tua anima. La pelle era scura di suo e non frutto di numerose ore passate a prendere il sole perché Raphael non passava moltissimo tempo alla luce, ma quasi tutto il giorno lo trascorreva di fronte ad uno schermo del computer per creare nuovi programmi e nuovi virus. Raphael era infatti un hacker eccezionale in grado di entrare nei siti di tutti i servizi segreti di tutto il mondo, grazie anche al velocissimo computer che avevamo installato in una stanza della casa e che era costato tantissimi soldi che avevamo guadagnato.
Era stato proprio grazie a lui che la giovane era riuscita a procurarsi l’invito di cui avevo bisogno per entrare nella casa lussuosa per la missione e sempre lui era stato in grado di inserire il suo nome falso sulla lista degli ospiti. Nonostante Raphael passasse molto tempo davanti al computer aveva un vista perfetta e una mira altrettanto perfetta: quando ancora era un bambino praticava il tiro con l’arco ed era già un ottimo tiratore e dopo gli insegnamenti e gli allenamenti della loro madre adottiva era in grado di usare perfettamente un fucile da cecchino e di prestare soccorso nei casi di emergenza nelle missioni di Methin.
Come se non bastasse, poi, Madre Natura gli aveva concesso una memoria fotografica e ogni istante della sua vita era oramai un impronta marchiata a fuoco nel suo cervello. Alcune volte, però, la memoria può essere un cattivo bagaglio e si preferirebbe dimenticare soprattutto per chi aveva vissuto esperienze come quelle del ragazzo e di Methin.
Anche se occupava la maggior parte della giornata passandola davanti ad un computer, il ragazzo dedicava parte della propria giornata all’addestramento del corpo e al ripasso delle tecniche di combattimento corpo a corpo, insieme alla sorella maggiore, perché la madre adottiva aveva sempre insegnato loro che ‘ Un buon ladro ha sempre un corpo allenato per affrontare ogni tipo di evenienza. ‘
<< Che ne dici, sono pronta? >>
Il ragazzo la fissò dall’alto verso il basso, controllando ogni minima cosa, perfino le scarpe abbinate al vestito, poi le sue labbra si aprirono in un sorriso malizioso. << Farai svenire qualcuno, questa sera. >>
Methin sorrise, pensando ad Erik, ma sapendo che quella sera non ci sarebbe stato. La ragazza non aveva raccontato al fratello di Erik, altrimenti si sarebbe presa una strigliata e delle domande che avrebbero necessitato delle risposte. Il problema era che neanche la ragazza sapeva cosa le era preso quella sera in discoteca. Sapeva che si sarebbe dovuta allontanare subito dopo che la polizia le aveva fatto quelle domande, invece aveva aspettato che la polizia finisse di interrogare il ragazzo e che poi lui esaminasse il cadavere, osservandolo da lontano e capendo che era un bravo investigatore. Aveva compreso anche che l’aveva vista sparare, visto che si era messo esattamente nella posizione in cui si era trovata lei per lo sparo. Avrebbe dovuto ucciderlo nell’istante in cui si era resa conto che lui l’aveva riconosciuta, invece aveva aspettato, osservandolo da lontano e rimanendo sorpresa quando lui non aveva detto niente alla polizia. Cosa gli era saltato in mente? La ragazza non capiva il modo di comportarsi di quello strano e avvenente da ragazzo bello e a quanto pare anche intelligente, così aveva deciso di parlargli. Aveva aspettato che lui fosse andato a fumare dietro la discoteca, quasi come se la aspettasse, poi si era presentata davanti a lui e aveva risposto alle sue domande come se fosse una ragazzina alle prime armi. E poi lui l’aveva baciata e lei non aveva fatto niente per allontanarsi, anzi si era stretta a lui come se fosse un’adolescente al suo primo bacio. E ancora ricordava quelle sensazioni fantastiche! Ancora pensava a quel bacio, ne sentiva il sapore sulle labbra e il profumo sulla pelle. Sperava di non incontrarlo ancora una volta, soprattutto quando aveva fatto delle ricerche su di lui e aveva scoperto chi era. Si era decisa a lasciarlo perdere, ma in cuor suo sapeva che era impossibile non rivederlo, anzi si immaginava che presto le sarebbe ricomparso davanti agli occhi quando meno se lo sarebbe aspettato.
Raphael non disse niente mentre la sorellina era presa dai suoi pensieri e si limitò a sorridere e ad osservarla. C’erano sempre state tra loro delle cose che non si erano detti, primo fra tutti quello che avevano passato da bambini. Quando si erano appena conosciuti aveva trovato una sera la ragazza a letto in posizione fetale che piangeva come una bambina di cinque anni. Era la prima volta che aveva ucciso e sapeva come ci si poteva sentire, perciò si era limitato a stringerla al petto e a consolarla senza chiedere spiegazioni e senza fare lo psicologo. Quel giorno erano stati molto più uniti di prima e avevano cominciato a considerarsi fratello e sorella eppure nessuno dei due aveva mai raccontato all’altro i segreti più profondi della loro anima. Questo però non impediva loro di fidarsi della propria famiglia più di chiunque altro tanto che, nonostante i segreti che avevano, sapevano di poter contare sempre l’uno sull’altra.
Raphael guardò l’orologio e sorrise, era in ritardo di cinque minuti ed era ora di cominciare la missione così poggiò una mano sulla spalla della sorella prima di rassicurarla su quanto fosse bella e su quanto fosse già in ritardo.
Methin sorrise, contenta che il fratello l’avesse momentaneamente distolta dai suoi pensieri, lo salutò con un cenno della mano e scese in garage dove dovette abbandonare la sua stupenda moto da corsa nera e prendere una Lamborghini nera e lucida appositamente noleggiata per l’occasione perché, come le aveva sempre insegnato sua madre, ‘Non ci si può presentare ad una riunione di ricchi in taxi. ‘
Sorrise ripensando agli insegnamenti della madre, che le aveva anche salvato la vita, poi accese il motore della macchina e accelerò un attimo per sentire il rombo del motore. Sorrise ancora: adorava la velocità a l’adrenalina. Aspettò che la serranda si alzasse prima di partire a tutto gas in retromarcia, bloccare il freno a mano di colpo e girare il voltante mentre la macchina ruotava su se stessa con uno stridore di freni, prima che la ragazza la lanciasse nuovamente a massima velocità uscendo dalla villetta dove abitavano lei e il fratello e sfrecciando tra le vie della città, dirigendosi verso la missione con un ghigno stampato sul volto.
Rallentò solo quando giunse nei pressi della villa per non attirare troppo l’attenzione. Si fermò di fronte ad un enorme cancello in ferro battuto, con due piccoli leoni seduti su due colonne ai lati del cancello. La guardia all’ingresso le chiese il nome e l’invito da presentare e Methin sfoderò un sorriso timido prima di rispondere: << Sono Lucinda Tail. >>
Poi prese la borsetta dello stesso colore del suo vestito e cominciò a frugare tranquillamente, come se avesse tutto il tempo a disposizione e come se fosse abituate al fatto che la gente attendeva sempre lei.
Tirò fuori un invito di carta resistente e con le scritte d’oro e lo consegnò alla guardia all’ingresso, che lo osservò un secondo, guardò la sua lunga lista e annuì porgendole nuovamente l’invito.
<< E’ un piacere averla a questa serata, signorina Tail. >>
La ragazza sorrise, poi aspettò che l’uomo le aprisse il cancello, prima di accelerare leggermente e di entrare nell’enorme villa. Un parcheggiatore la fermò subito e le sorrise chiedendole se volesse che le parcheggiasse la macchina, ma Methin sorrise timida prima di rifiutare dicendo che si divertiva a parcheggiare. Proseguì dritta fino a che non trovò il posto che le piaceva: abbastanza vicino all’entrata della villa, tra alcune auto simili, eppure non lontanissima dall’entrata della casa in modo che se avesse dovuto scappare avrebbe fatto in tempo a correre.
<< Raphael, sto entrando, disattivo il microfono. >>
<< Ricevuto sorellina. >>
Methin scese dalla macchina e osservò la splendida villa che aveva davanti: piccole fontane si trovavano a distanza uguali, a forma di conchiglie enormi dove vi abitavano tritoni che, con i loro tridenti, fulminavano con lo sguardo chiunque osasse avvicinarsi troppo alle sirene che ridenti giocavano con i delfini che spruzzavano dalla bocca e dallo sfiatatoio fontanelle di acqua, creando giochi sempre diversi insieme alle luci che cambiavano colore. Il giardino era perfettamente tagliato e non mancavano delle siepi perfettamente potate e piccoli cespugli di rose di tutti i colori.
La costruzione della villa, dal canto suo, era semplicemente stupenda. Era enorme con tante finestre una di seguito all’altra e alcuni avevano addirittura un balconcino personale. L’ingresso era costituito da un patio sorretto da tre archi a tutto sesto, con colonne a fusto liscio e capitello corinzio. Tutto sorreggeva un balcone più grande degli altri al primo piano, con una balaustra in marmo bianco composta da piccole colonnine sempre a fusto liscio.
Lungo il vialetto per entrare nella casa ai lati c’erano due leoni enormi, simbolo della famiglia, posizionati come le sfingi, ma di marmo bianco. Il muso era leggermente ruotato verso il viale così che chiunque passasse avesse la sensazione che i leoni lo stessero osservando e che fossero sul punto di attaccarlo. Methin si fermò un secondo ad osservare quei leoni, sorridendo tra se e pensando che fossero davvero fatti bene, con la criniera talmente perfetta che sembrava muoversi alla debole brezza che si era alzata mentre si vedevano i muscoli scolpiti, in tensione, che conferivano ancora di più alla statua la sua verosimiglianza con un animale vero.
Methin sorrise ancora mentre accarezzava una grossa zampa del felino che aveva alla sua sinistra, prima di continuare a camminare e di fermarsi di fronte ad una seconda guardia del corpo che la squadrò un secondo e le chiese nuovamente il nome e l’invito mentre con uno strano congegno verificava che non ci fossero microspie.
‘ Chissà perché, ma ad una festa del genere controllano che le persone non hanno microspie, ma non controllano che nessuno porti un’arma da fuoco. ‘
<< Spero che si diverta questa sera, signorina Tail. >>
<< Credo che mi divertirò moltissimo, mio caro. >> Dopo un sorriso dolce che disarmò completamente la guardia, Methin si apprestò ad entrare nell’enorme sala attraverso una porta composta da due vetrate che era stata spalancata e che era larga quando lei era alta.
Subito la sua vista fu catturata dal soffitto della sala dove stupendi e caldi colori davano vita ad una scena idilliaca in cui vi erano Adamo ed Eva nel paradiso terrestre, circondati da animali e alberi. La scena era rappresentata in modo molto realistico, con la presenza del chiaroscuro che dava profondità al dipinto.
Methin restò semplicemente a bocca aperta: era una ladra a pagamento e le era capitato di vedere delle case di ricchi e di rubare documenti importanti e anche soldi ma non aveva mai e poi mai visto un dipinto così grande e di tale splendore.
‘ Il contorno in oro sarà oro vero? ‘ Ogni cosa in quella casa era semplicemente costosissima e serviva per far capire ai presenti quanto la famiglia fosse ricca e prospera.
‘ Come pensavo il circolo non dà solo fama, ma anche soldi guadagnati con traffici illegali. ‘
Methin camminò lentamente nella sala facendo finta di salutare e di conoscere alcune delle persone che erano presenti e che la salutavano sorridendole con aria gentile. Fortunatamente c’era Raphael che all’orecchio le sussurrava le condizioni della famiglia della persona che aveva davanti in modo che sapesse cosa doveva chiedere e nessuno fino a quel momento si era chiesto chi fosse e sembrava avere sospetti su di lei. All’improvviso Methin sbiancò in volto e si paralizzò tanto che la persona con cui stava parlando in quel momento le chiese se si sentisse male.
<< No… grazie, sto benissimo. >> Sorriso. << Credo di aver avuto solo un giramento di testa. Se vuole scusarmi credo sia meglio che vada a sedermi. >>
<< Vuole che l’accompagno signorina? >>
Lieve scuotimento di testa. << Grazie, ma mi sento già alquanto meglio. >>
Senza dire una parola Methin camminò verso il rinfresco, cercando una sedia, quando in realtà stava seguendo una persona che credeva non avrebbe mai visto in quella sala. Lo osservò mentre salutava una bambina di circa dieci anni e una donna dall’aria dolce come il cioccolato. I biondi capelli erano stati sistemati e indossava un vestito elegante che metteva in risalto i suoi occhi azzurri che in quel momento erano riscaldati dall’amore per la propria famiglia. Erik Mc Tavish stava parlando allegramente con la madre mentre la sorellina gli girava attorno ridendo felice.
‘ Cosa ci fai qui Erik? Tu non avresti dovuto avere nessun contatto con la tua famiglia. Perché invece sei qui? ‘
Con un leggero movimento della mano si sistemò i capelli in modo che il bracciale le si trovasse davanti alla bocca mentre sussurrava a Raphael di fare delle ricerche dettagliate su un certo Erik Mc Tacish e gli chiedeva se avesse avuto contatti telefonici con un numero intestato alla sua famiglia negli ultimi giorni.
Nel frattempo continuava ad osservare la scena che aveva davanti mentre mille domande le percorrevano la mente e nessuna trovava una risposta. La madre sembrò dire qualcosa a bassa voce alla bambina poi quella se ne andò via saltellando allegramente. Lo sguardo di Erik divenne subito freddo e serio e a Methin venne un brivido guardando la sua espressione: l’odio e la rabbia avevano completamente invaso il suo sguardo rendendolo simile ad una belva affamata che ha avvistato la propria preda facendo capire alla ragazza il motivo per cui la sua famiglia aveva come stemma il leone.
Sentì qualcuno tirarle leggermente la gonna e quando si girò trovò due profondi occhi scurissimi che la fissavano.
<< Sei innamorata del mio fratellone? >> Methin si bloccò, non sapendo cosa fare: se avesse detto di si allora molto probabilmente la piccolina l’avrebbe riferito al fratello, fornendogli anche una sua descrizione e permettendo ad Erik di riconoscerla. Se avesse detto di no avrebbe destato troppi sospetti.
<< Si, sono innamorata di lui, ma vedi lui non lo deve sapere altrimenti potrei perderlo per sempre. >>
<< Non farai del male a nessuno oggi, vero? >> Methin sgranò gli occhi alle parole della piccola, mentre lei continuava a parlare. << Ti ho notata prima, sai? Hai negli occhi l’odio e la rabbia, la vendetta, tranne adesso che stai guardando me e quando guardavi il fratellone. >>
Quella bimba era davvero perspicace. Come faceva a distinguere i sentimenti che si agitavano nei suoi occhi anche quando nessun altro alla cena era riuscito a capire chi fosse e perché fosse davvero in quel posto?
<< No, oggi non farò del male a nessuno. >>
La bimba annuì, seria in volto, prima di andarsene, senza aver detto l’ultima cosa. << Il fratellone sta andando da papà. Lo trovi alla fine del corridoio a destra, se riesci a passare. >> Guardandola un’ultima volta negli occhi la bimba la sconcertò sempre di più. << Non fargli troppo male, ok? >>
Methin annuì bianca in volto e senza parole mentre la piccola se ne andava via per la sua strada, poi come una macchina si alzò sapendo quello che doveva fare e dicendo a Raphael che era il momento. Appena le guardie si allontanarono dall’ingresso del corridoio la ragazza seguì silenziosamente Erik che era appena entrato nello studio del padre, si avvicinò alla porta per osservarli e magari ascoltare la loro conversazione.
Methin rimase sconcertata per quanto i due si assomigliavano fisicamente nonostante la differenza di età: come Erik anche Lucan Mc Tavish era un uomo alto e piantato, dal fisico snello e asciutto con alcuni muscoli frutto di un allenamento quotidiano.
I capelli biondi, però, erano radi e leggermente più chiari rispetto a quelli del figlio mentre le rughe attorno agli occhi e agli angoli della bocca gli conferivano un’aria ancora più seria e severa di quanto Methin ricordasse.
Ma erano gli occhi quelli che Methin non avrebbe mai potuto scordare. A differenza di Erik, che li aveva color del cielo in estate o del mare profondo, quelli del padre erano di un azzurro chiarissimo, freddi come il ghiaccio che nascondevano un’anima fredda e calcolatrice. Methin si ricordava perfettamente quegli occhi che la scrutavano da capo a piedi, con fare calcolatore e provando a pensare a quanto avrebbe fruttato. Si ricordava ancora perfettamente il brivido di paura che aveva provato quando, ancora bambina, si era ritrovata di fronte a quello sguardo. Adesso lei era cresciuta e quello che provava non era più paura ma rabbia, una rabbia profonda dovuta alla conoscenza. Conoscenza delle terribili azioni di quell’uomo che era padre e che era stato in grado di accarezzare i suoi figli, dare loro la buona notte con le stesse mani con cui aveva compiuto atti disumani. La ragazza avrebbe tanto farla finita lì, ucciderlo in quell’istante davanti ad Erik e dirgli quali orribili azioni era stato in grado di compiere l’uomo che un tempo aveva chiamato ‘Padre’, ma non poteva, lo sapeva anche lei, altrimenti avrebbe perduto per sempre l’opportunità di entrare nel Circolo e di uccidere tutte le persone che ne facevano parte perché persone così non meritavano di vivere ma meritavano solo una morte dolorosa e atroce.
L’uomo si sedette dietro ad una scrivania ricolma di fogli e di documenti ed Erik lo imitò e lo fissò tranquillamente anche se la posa rigida delle spalle e della schiena tradivano la sua agitazione. Quando il padre cominciò a parlare il ragazzo non mostrò la minima reazione corporale.
<< Ti voglio ingaggiare per indagare sulla Morte. >>
<< Voglio ventimila euro, indipendentemente dal risultato delle indagini. >>
L’uomo sembrò sorpreso,poi sorrise e chiese al figlio perché non avesse chiesto spiegazioni e in quel momento fu il turno di Erik di sorridere compiaciuto. Il suo fu più un ghigno che un sorriso vero prima che la sua voce riempisse la sala.
<< Quando mi hai chiamato sapevo che c’era qualcosa sotto, così ho svolto le mie indagini. Buffo che la Morte abbia ucciso dolo i tuoi amici d’affari vero? Ed è ancora più buffo che anche loro prima di morire abbiano chiamato degli investigatori privati, non credi? >> Il ragazzo non la smetteva di sorridere, come se la cosa lo divertisse immensamente mentre poggiava i gomiti sulla scrivania senza curarsi dei fogli che stropicciava.
<< Quando ho capito le motivazioni per cui mi avevi chiamato ho compreso anche una seconda cosa: la polizia non sa niente, ecco il motivo degli investigatori privati. Ma anche loro non hanno scoperto niente. Sono la tua ultima risorsa. >>
Per la prima volte Methin riuscì a distinguere qualche emozione che si agitava negli occhi di Lucan. Per quanto il suo volto si mantenne inespressivo i suoi occhi si erano riempiti di un calore nuovo, strano su quel viso. Era forse orgoglio? Orgoglio e amore per un figlio che aveva rinunciato a tutto pur di seguire la propria strada e che si era dimostrato un ottimo investigatore ed osservatore sin dall’inizio?
Quell’uomo che tanto tempo prima aveva pensato essere solo un contenitore di freddi calcoli matematici adesso rivelava dei sentimenti, un cuore forse, ma questo non cambiava le cose. Le colpe di cui si era macchiato erano troppo orribili per riuscire a scalfire il cuore di Methin, che era diventato freddo come il ghiaccio, congelato da una vendetta fredda e spietata che avrebbe consumato fino all’osso tutti i colpevoli. Perché ogni persona che era coinvolta, in quel momento sapeva che prima o poi sarebbe arrivata la sua ora, senza sapere però quando. Il freddo della paura avrebbe tolto loro il sonno e la vita lentamente, molto prima dell’arrivo della Morte che avrebbe posto fine alle loro torture. Perché quella era la vendetta che si era concessa: la tortura psicologica, quella portata dal terrore, quella che leva il sonno e che uccide molto più lentamente di un ferro rovente, quella che si infila nei più piccoli spazi tra un pensiero e l’altro e alla fine condiziona tutto l’essere. Una vendetta atroce, senza possibilità di vie di uscita.
Nel frattempo che quei sentimenti accrescevano l’odio ma anche la pregustazione della ragazza, Lucan Mc Tavish aveva preso un assegno da dentro un cassetto e l’aveva firmato per poi darlo al ragazzo di fronte a lui che lo prese e lo mise in tasca.
<< Avrò bisogno dei documenti della polizia e degli investigatori precedenti. Potrei sempre trovare qualcosa che loro non hanno visto. >> Si voltò senza più dire una parola, ma il padre lo fermò.
<< Figliolo io… >>
<< No. Hai perso la tua opportunità Lucan. Non sono più tuo figlio, non lo sono più da quando sono uscito da quella porta dieci anni fa. Porto ancora il tuo nome e il tuo sangue scorre nelle mie vene ma non sono più tuo figlio. Non chiamarmi mai più così. >> Detto questo il ragazzo uscì dalla porta dello studio del padre, mentre l’uomo fissava quella schiena dritta e orgogliosa che si allontanava provando al contempo rimpianto e orgoglio per quel figlio e per se stesso. ‘ L’ho tenuto lontano da tutto questo. L’ho tenuto lontano da te. ‘
Si accese un sigaro e sorrise nella solitudine più totale.
 
Quando il ragazzo era uscito dallo studio del padre, dopo aver pronunciato finalmente quelle parole, si era sentito più leggero.
Stava per tornare dalle due donne della sua vita quando notò un guizzo azzurro alla fine del corridoio dal quale era entrato. Si concentrò sulla figura di una ragazza che si era fermata e che lo stava osservando. Il vestito blu risaltava la cascata di capelli castani che scendevano lungo la schiena, poi la pelle pallida quando la ragazza si voltò per fissarlo e rimase sconcertato nell’incontrare un paio di occhi color dell’oro. La Morte lo guardò con un sorriso di sbieco su quelle dolci labbra carnose poi si allontanò dal corridoio, certa che il ragazzo l’avrebbe seguita.
 
Camminava per la sala con passo spedito senza voltarsi perché tanto sapeva che il ragazzo la stava seguendo. Si stava dirigendo verso un terrazzo dietro la casa, al primo piano, perché era l’unico luogo che non era sorvegliato dalle telecamere e perché nessuno sarebbe andati a disturbarli lì.
Mentre camminava Methin si chiedeva perché si stesse comportando in quel modo: Erik la stordiva, non la faceva agire come avrebbe dovuto, ma in modi che non si sarebbe mai aspettata. Si era ripetuta tante di quelle volte che avrebbe dovuto farla finita che avrebbe dovuto andarsene e non farsi rivedere più da lui! Invece eccola lì, a camminare lungo una sala sapendo che lui non l’avrebbe persa di vista e sapendo che aveva commesso un altro errore.
Uscì nel terrazzo e respirò l’aria fresca della sera, aprendo le braccia e chiudendo gli occhi per godersi quell’aria serale e quando Erik la raggiunse lei se ne accorse prima ancora che lui cominciasse a parlare, prima ancora che i suoi passi risuonassero in quel silenzio soprannaturale: lei poteva avvertire il peso del suo sguardo, poteva sapere quando lui entrava nella sua stessa stanza e questo la spaventava perché non le era mai successo con nessuno.
<< Methin sei… sei davvero tu? >>
La ragazza sorrise anche se era di spalle e non poteva essere vista. << E chi altro potrebbe essere? >>
Il ragazzo si mosse lentamente facendo un passo alla volta e con una pausa di qualche secondo tra un movimento di piede e l’altro come se si trovasse di fronte ad una cerbiatta spaventata che avrebbe potuto scappare ad ogni minimo passo falso. Però Methin non era una cerbiatta e si girò per osservarlo attentamente senza paura e senza muoversi di un millimetro. Lo trovava davvero un ragazzo stupendo: i capelli erano pettinati e ordinati e faceva davvero un’ottima figura con quel vestito elegante anche se l’orecchino d’acciaio che portava all’orecchio stonava un po’ con il suo aspetto da nobile.
Improvvisamente le tornò nella mente il ricordo vivido del loro bacio, di come le sue labbra avessero preso vita e di quel calore che aveva sentito espandersi in lei mentre Erik la abbracciava durante. Le era mancato molto quel calore nei giorni seguenti e spesso si era ritrovata a toccarsi le labbra con la punta delle dita come se volesse ricordare il tocco del ragazzo di fronte a lei. Quando si accorse che ancora una volta stava ripetendo lo stesso gesto, si costrinse a portare le mani lungo i fianchi e a chiuderle a pugno.
Erik nel frattempo era giunto di fronte a lei e le accarezzò lievemente il lato del volto dalla tempia fino al mento, poi fino alle spalle e di nuovo su, un paio di volte. A quella dolce carezza Methin chiuse gli occhi mentre la pelle diveniva bollente sotto il tocco leggero del ragazzo, che aveva portato la mano dietro la nuca di lei e che adesso la stava attraendo verso di se senza che lei facesse niente per reagire. La baciò, di nuovo, prima dolcemente, un solo sfiorare di labbra poi più intensamente, facendo riprendere vita a Methin che sentì che la piccola fiamma che prima le si era accesa dentro in quel momento esplodeva riempiendola di calore, un calore a cui non sapeva dare un nome e che la travolgeva come un fiume in piena. Immerse le dita nei suoi capelli, come aveva fatto la volta precedente sentendo tra i suoi polpastrelli quelle ciocche bionde e morbide, mentre lo attraeva verso di se. Il tempo si fermò o forse accelerò, Methin non seppe dirlo, seppe solo che quando Erik si allontanò da lei entrambi avevano il respiro affannoso.
<< Sei qui per uccidere mio padre? >>
Cosa avrebbe potuto rispondere la ragazza a quella domanda? Anche se quella volta non si era intrufolata alla festa per un omicidio, presto o tardi avrebbe dovuto uccidere il padre del ragazzo di fronte a lei perché il ricordo in lei era troppo vivido per essere cancellato, i suoi occhi che la osservavano le erano rimasti impressi nella mente e niente avrebbe potuto impedirle di compiere la sua vendetta non solo per se stessa, ma anche per Raphael e per altre persone che avevano perso la vita e l’infanzia e che non erano riuscite a scappare.
<< Mi fermeresti? >> Quella era l’unica cosa che le era venuta in mente: non avrebbe potuto rispondere alla domanda anche perché lui non avrebbe capito e lei non avrebbe voluto spiegare la sua storia.
Methin immaginava che il padre gli avesse chiesto di investigare perché sapeva che avrebbe trovato tutte le risposte da solo e solo allora avrebbe potuto decidere di per se cosa fare e da che parte stare. Aveva visto l’orgoglio che brillava negli occhi dell’uomo mentre guardava suo figlio tanto simile a lui nell’aspetto eppure tanto differente nell’animo e si era molto meravigliata quando aveva visto l’affetto e il rimpianto che riempivano lo sguardo di Lucan: aveva sempre pensato che un uomo così crudele non potesse provare amore per la propria famiglia e per il proprio figlio, né tantomeno rimpianto. Perché quando Erik si era girato, poco prima che Methin abbandonasse la sua postazione alla porta, lei aveva visto una smorfia di dolore e di rimpianto e rammarico che aveva preso possesso del volto del padre,deformando il suo viso altrimenti serio e austero.
Ma rimpianto per cosa? La risposta di Erik la lasciò stupefatta e la mente le si svuotò.
<< Ci proverei credo. Fa pur sempre parte della mia famiglia, ma non credo che tu lo uccideresti se non ti avesse fatto qualcosa di sbagliato. Aiutami a scoprire cosa c’è tra te e mio padre. >>
Non poteva dirglielo, Methin lo sapeva. Non avrebbe mai potuto rivelargli la verità in quel modo, altrimenti non gli avrebbe creduto. Le persone credevano sempre ai fatti, dimostrati e concreti, scritti con l’inchiostro con carta e penna e non credevano quasi mai alle persone che avevano accanto, per quanto potessero fidarsi di loro. Erik neanche la conosceva davvero, non le avrebbe mai creduto e il dubbio si sarebbe insinuato nella mente dell’investigatore, impedendogli di vedere la verità, di scorgerla e capirl, perciò si limitò a scuotere la testa e ad allontanarlo.
<< Non posso. Adesso vattene, devo lavorare. >> Il tono le era uscito più amaro di quanto volesse: per la prima volta in vita sua voleva dire qualcosa della sua vita ad un estraneo, voleva confidare il suo passato, le sue paure ed i suoi orrori e invece non poteva farlo altrimenti lo avrebbe perso per sempre.
<< Potrei aiutarti o proteggerti! >> Una strana risata proruppe dalle labbra della ragazza mentre lo osservava. Sapeva di aver ferito l’orgoglio maschile di Erik ma non avrebbe potuto fare altro: nessuno in quegli anni l’aveva mai protetta. Sua madre l’aveva salvata, era vero, ma le aveva subito insegnato a proteggersi da sola e da allora non aveva avuto più bisogno di un vero e proprio scudo su cui fare affidamento: c’era Raphael, vero, ma lui era un compagno, un collega che l’aiutava con i mezzi informatici e che si appostava nei palazzi accanto a dove lei agiva solo per precauzione ma su cui alla non aveva mai pensato di poter contare più di tanto nelle missioni: lui era il cervello, lei il braccio per l’azione. Methin lo fissò un attimo prima che un ghigno le si stampasse sul volto, prima che attaccasse come un serpente, senza che Erik potesse fare niente per proteggersi.
Con un passo avanti la ragazza portò avanti il braccio sinistro, con il palmo verso l’altro, colpendo sotto il mento di Erik che per cercare di tenersi in equilibrio fece qualche passo indietro, sbilanciato e agitando le braccia in aria. Prima che si potesse riprendere Methin fece un secondo passo, mettendo il corpo lateralmente poi unì la mano destra chiusa a pugno con il palmo sinistro e diede una gomitata nello stomaco di Erik che a quel punto, senza fiato e senza equilibrio cadde a terra e si ritrovò a guardare le stelle mentre l’aria entrava nei suoi polmoni.
Si tastò la mandibola per vedere se con quel colpo Methin gli avesse rotto qualcosa, ma evidentemente si era trattenuta perché il dolore stava rapidamente scemando e nel giro di poco tempo riuscì nuovamente ad alzarsi a sedere. Quando la vide si spaventò perché la ragazza stava in piedi sulla balaustra, con le braccia spalancate, reggendo in mano le scarpe con i tacchi che pochi secondi dopo lasciò cadere a terra. Il ragazzo fu atterrito quando Methin fece un passo indietro lasciandosi cadere nel vuoto, così si alzò di colpo, appoggiandosi alla balaustra per vedere se l’assassina si fosse rotta qualcosa e tirò un sospiro di sollievo quando la vide aggrappata ad un’asta a cui avrebbe dovuto essere legata una bandiera con lo stemma di famiglia. L’assassina si dondolò tre o quattro volte per prendere lo slancio poi lasciò la presa e compì una capovolta in aria con il corpo teso, mentre il movimento le attaccava la gonna del vestito al corpo. Dopo un volo di meno di due metri la ragazza atterrò, piegando le gambe e poggiando le mani a terra poi si alzò, si infilò le scarpe mentre Erik la fissava allibito e infine lo osservò dal basso, con un ghigno stampato sulle labbra. Lei portò due dita della mano sinistra sulla fronte e compì il saluto militare poi se ne andò nuovamente dentro casa a compiere la sua missione.
Erik era appoggiato alla balaustra dello stesso balcone, a pensare, quando notò una Lamborghini nera allontanarsi dalla casa. Pochi secondi dopo un suono perforante e continuo, segno di un avvenuto furto, riempì il silenzio della notte. 




Note dell'autrice:
Salve ragazzi! Questo capitolo è stato molto riflessivo e c'è stata poca azione, lo ammetto, ma credo che mi sia servito per il continuo. Mi dispiace di averci messo così tanto tempo per pubblicare questo capitolo e spero che continuerete a leggere e che non vi abbia annoiato troppo.
Spero d pubblicare un nuovo capitolo il prima possibile! 
A presto!!!
 - Hel -
  
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