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Autore: Yuki Kushinada    04/07/2012    7 recensioni
[Lambo]: Lambo non aveva mai considerato Tsuna come un Boss, tanto meno come il proprio Boss, quanto più come un fratello maggiore.
Ma c’erano alcune giornate, alcuni momenti, in cui Tsunayoshi Sawada era veramente un Boss, al di là di ciò che a tutti loro piaceva credere.

[Ryohei]: Non serviva sapere quale fosse il peccato che si sentiva sulla coscienza, semplicemente, non stava bene con se stesso. La mafia non faceva stare nessuno bene.
[Takeshi]: Non fu nell’istante in cui il sangue gli schizzò sulla pelle in macchie che avrebbe poi lavato, macchie che sarebbero comunque rimaste, che il panico lo assalì nella consapevolezza di essere diventato un assassino.
[Mukuro & Chrome]: Non era una sceneggiata a beneficio della malavita, era un giuramento che riguardava esclusivamente loro tre.
[Hayato]: Gokudera Hayato, ex Guardiano della Tempesta della Decima generazione della Famiglia Vongola, deglutì a vuoto, ma non rispose. Sollevò la pistola e se la porse alla tempia.
Un Boss e un Guardiano. E una Famiglia che sa essere maledizione e conforto insieme.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lambo, Mukuro Rokudo, Ryohei Sasagawa, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'Autrice: Salve gente. Torno da queste parti <3.
Mi scuso profondissimamente per non aver risposto alle recensioni dell'ultima demente oneshot, ma sono stata così impegnata negli ultimi tempi che non ho più controllo di nulla quasi.
Approfitto dei pochi momenti di libertà per presentarvi questa nuova storia. Il raiting è alto per la tematica, non per qualche scena in particolare.
La storia di per sé nasce allo scopo di portare a termine tre obiettivi.
1) Far cozzare a Tsuna la testa contro la vera mafia, perché se è un Boss non può farne a meno.
2) Ufficialmente Lambo è il più debole (ma su questo avrei *tanto* da ridire) e il più vigliacco. D'altra parte, per tutti quanti loro, Lambo è anche una specie di via di fuga dai problemi della mafia. Una distrazione, magari irritante al momento, ma che rilassa i nervi. Che Lambo non cambi è ciò che vogliono tutti quanti loro, in particolare Tsuna. Ed è un punto evidente nella serie, ma che a me piace sottolineare.
3) Mi andava di scrivere sulla famiglia, intesa come mafia e casa insieme.
Peccato che l'avessi prevista di una pagina e mezzo a stento. Hanno iniziato a fare di testa loro strada facendo.




 

 

 

 

 

 

 

Vongola Decimo

~ Lambo ~

 

 

 

 

 

 

Lambo non aveva mai considerato Tsuna come un Boss, tanto meno come il proprio Boss, quanto più come un fratello maggiore. Qualcuno su cui poteva sempre contare, e che sapeva ascoltare. Qualcuno che non gli avrebbe mai voltato le spalle, per quanto potesse farlo arrabbiare.

Senza dubbio, poi, Tsuna aveva un mucchio di difetti. Era ancora troppo buono, troppo innocente per il mondo della mafia.

Vederlo in quel ruolo, per Lambo era più che altro una fatica. Chiamarlo Vongola, dargli del voi al posto del tu, era un favore che Tsuna non aveva mai chiesto. Era più un modo per accontentare Gokudera, in effetti, e non sentirlo sbraitare sul rispetto, sulla gerarchia e tutte quelle altre fantasia che lo coglievano di tanto in tanto. Un sacrificio per il quieto vivere, non che gli uscisse naturale.

Ma c’erano alcune giornate, alcuni momenti, in cui Tsunayoshi Sawada era veramente un Boss, al di là di ciò che a tutti loro piaceva credere.

Erano quei momenti in cui suo fratello non era più Tsuna, ma il temuto e rispettato Decimo dei Vongola. Quelli in cui farlo arrabbiare, era una pessima mossa, e trovarsi nel posto sbagliato, al momento sbagliato, non era affatto conveniente.

Fu nell’istante esatto in cui varcò la porta del suo studio, che Lambo capì che quel giorno avrebbe fatto meglio a darsi per malato.

In realtà, era una soluzione geniale: Tsuna lo mandava a chiamare, lui si dava per più morto che vivo e Tsuna si dimenticava di tutti i suoi problemi per correre a controllare se davvero era moribondo.

Se avesse scoperto che era una finta, gli avrebbe gridato dietro per tre ore e mezza, ma quanto meno si sarebbe sfogato. Se fosse stato malato davvero, avrebbe mobilitato tutti i medici della magione perché si prendessero cura di lui e avrebbe sbollito la rabbia nell’istante stesso in cui lo vedeva stare meglio.

Lambo pensò con una qual certa ironia che la sua morte, presunta o vera che fosse, aveva un qual certo effetto balsamico sui nervi del don di una delle più potenti famiglie mafiose al mondo.

Forse era per questo che le incursioni del piccolo sé gli facevano così tanto piacere. Magari poteva sperare che la sua versione di cinque anni scegliesse quell’esatto istante di premere il grilletto del bazooka dei dieci anni.

Conoscendosi, avrebbe messo a soqquadro tutto lo studio, prima di rischiare la morte in qualche modo stupido, per sua stessa mano. Da piccolo aveva strani modi di divertirsi.

Tirò un sospiro, augurandosi di vedere una nuvola rosa circondarlo. Quando niente del genere accadde, decise di farsi avanti. Sia mai che lo facesse arrabbiare ancora di più.

“Mi avete fatto chiamare, Vongola?” chiese avvicinandosi alla scrivania in legno pregiato, con fare svagato. Come se non avesse notato il tic all’occhio, il fremito delle narici, le labbra serrate, le dita incrociate, le spalle rigide e lo sguardo duro.

Rivolgersi a Tsuna in quel modo non gli era affatto naturale, ma era la scelta migliore quando Tsuna era di quell’umore.

Mh.” Annuì semplicemente il don. “E’ per la tua prossima missione. Ho deciso che non ci vai. Manderò Ryohei al tuo posto.”

Non aggiunse una spiegazione, semplicemente rimase in attesa. Quasi a sfidare il più giovane ad una qualunque reazione.

E in effetti, in qualsiasi altro momento questa non sarebbe mancata, che fosse essa di gioia per lo scampato pericolo o di rabbia per quella che avrebbe potuto interpretare per una mancanza di fiducia.

In quell’istante, però, l’idea di contraddirlo non lo sfiorava nemmeno.

“Va bene” rispose soltanto.

Tsuna rilassò appena un attimo il collo. Poi prese in mano tutte le scartoffie che occupavano la scrivania, pretendendo di ricominciare a lavorare.

Era un congedo più o meno esplicito. E se Lambo fosse stato anche solo vagamente furbo, avrebbe imboccato la via d’uscita senza troppe parole. Ma Lambo non era che una versione appena più matura di quel bambino che non faceva altro che ammazzarsi con le sue stesse mani.

Ed è per questo che invece rimase a guardare quel suo fratello che fingeva di leggere e intanto si lasciava caricare di rabbia crescente.

Sapeva esattamente cosa era accaduto. Lambo e i divieti non erano mai andati d’accordo, per cui aveva letto tutti i rapporti di famiglia, anche quelli che Tsuna gli aveva vietato anche solo di prendere in mano.

E, d'altronde, sapeva che la scelta di sostituirlo con Ryohei, tra tutti gli altri guardiani, non era casuale.

Tsuna aveva ereditato gli ideali di Giotto, Vongola Primo, ancor prima di accettare la guida della famiglia. Lo scopo della Famiglia era proteggere, non distruggere. Nessuno di loro avrebbe mai minacciato un più debole, nessuno di loro avrebbe fatto uso della propria forza per il proprio tornaconto. Il Cielo che li guidava sapeva essere inflessibile quando qualcuno trasgrediva a quelle leggi.

Ma la priorità assoluta della Famiglia era la Famiglia stessa. E in nome di essa, anche l’illecito era permesso.

Se Tsunayoshi avesse avuto possibilità di decisione, il sangue non sarebbe mai stato versato. Ma anche il Boss dei Vongola non poteva decidere del proprio destino. Quando l’unica scelta possibile era stata quella della vita dei suoi Guardiani o quella dei suoi nemici, non aveva esitato a mettere da parte paure e dubbi per proteggere la propria famiglia.

Il brutto era stato dopo.

Tsuna non era il tipo di Boss che poteva uccidere e dimenticarsene. Piuttosto quel sangue gli era rimasto impresso nella mente per giorni, nonostante Reborn gli avesse più volte spiegato a suon di calci che, se era per il bene della famiglia, ogni scelta era quella giusta.

Tsuna aveva ucciso. Aveva sofferto, era stato male, aveva pianto, vomitato, aveva pensato di lasciare la famiglia, forse anche di ammazzarsi. Finché non aveva semplicemente realizzato che non poteva abbandonare i suoi guardiani: lui era il Cielo che li guidava, da soli né la tempesta, né la pioggia, né il sole, il fulmine, la nebbia o la nuvola avrebbero avuto senso di esistere.

Non poteva essere così egoista da abbandonarli, non ne aveva il diritto, quando ciascuno di loro era pronto a dare la propria vita per lui.

Così Tsuna era andato avanti, accettando che per la propria famiglia tutto era lecito, anche giocarsi l’anima con il Diavolo. Non che il Decimo credesse in un’altra vita o cos’altro. Piuttosto, sapeva che alle sue azioni un giorno sarebbe conseguita una punizione. Sapeva di meritarsela e la desiderava, a patto che la sua famiglia non ne pagasse le spese.

Ma, intanto, era disposto a tutto pur di difendere la famiglia. A difenderla dal marcio che la mafia si portava dietro. Accettava le missioni peggiori per se stesso, purché sapesse che le loro mani erano pulite.

Si era fatto volontariamente del male nel proseguire quella decisione, perché era molto più semplice lasciare il lavoro sporco a qualcun altro. Ma Tsuna, essendo il Boss che era – il migliore cui Lambo riuscisse a pensare – non avrebbe mai accettato che uno dei suoi Guardiani portasse quel peso, se poteva impedirlo.

Tuttavia, quella era stata una lotta contro il tempo, e l’ironia è che il tempo vince sempre.

Perché Hibari non aveva mai avuto troppi scrupoli verso il suo prossimo, e quando qualche colpo si era rivelato più duro del previsto, non si era fatto poi tanti rimorsi di coscienza. Nessuno aveva detto a quei perdenti di provocarlo e mettersi sulla sua strada, erano andati a cercarsela.

Gokudera era il suo braccio destro, il più fedele tra i suoi uomini, ma anche il più ligio alle leggi della mafia, la mafia vera. Quella mafia che non era un gioco, quella che Giotto non voleva e che Tsuna cercava puntualmente di cambiare. Così se qualcosa o qualcuno minacciava il suo Boss, Gokudera lo distruggeva senza pietà, con la furia tipica della Tempesta che rappresentava.

Mukuro d’altro canto, semmai avesse avuto grandi ideali, li aveva smarriti strada facendo quando ancora era nella culla. Aveva ucciso prima ancora di diventare un Guardiano, aveva continuato a farlo anche dopo. Semplicemente, non si fermava davanti a nulla quando voleva qualcosa.

Yamamoto, al contrario, non poteva ritenere possibile un concetto come la morte, visto il carattere che aveva. Eppure, Takeshi era anche un killer di natura. Naturalmente portato per quel mestiere, quasi fosse il suo stesso sangue a reclamare quel ruolo. E quando la situazione si era fatta critica, allora la morte era venuta con la naturalezza tipica che può accompagnare solo un sicario e la quieta coscienza che sia lui, che Reborn, erano perfettamente consapevoli che un giorno una cosa del genere sarebbe accaduta.

Il Boss dei Vongola era un assassino. I suoi guardiani erano assassini. Ma ogni uomo che cadeva sotto il nome della propria Famiglia, per Tsuna rappresentava una sconfitta.

E di fronte ad ogni sconfitta, Tsuna perdeva un po’ della sua spensieratezza e della sua innocenza.

Solo Lambo e Ryohei non si erano mai sporcati le mani con la vita altrui. Ryohei perché non poteva, essendo lui il Guardiano del Sole, il guardiano della vita; Lambo perché era il più giovane e perché Tsuna si era assicurato non prendesse mai parte a nessuna missione troppo pericolosa.

Quando poi qualcosa finiva nel verso sbagliato, Lambo non poteva partecipare a nessuna missione in assoluto, anche se questa significava andare a comprare il latte al supermercato all’angolo.

Tra loro era il più piccolo e per Tsuna era come un fratello da crescere. Non lo avrebbe esposto al pericolo se poteva evitarlo e non avrebbe accettato che anche sulla sua di coscienza vi fosse il peso che ricadeva sulla loro.

Lambo non sapeva come il Decimo avrebbe reagito, se un giorno fosse tornato nel suo ufficio e lo avesse avvertito che qualcosa era andato storto nella sua missione e che anche lui aveva ucciso.

La sola idea bastava a spaventarlo, in realtà.

D’altronde, non era un’esperienza che aveva voglia di provare, quella di rendersi responsabile della morte di qualcuno. Ed era proprio per quello che, se anche capiva la rabbia che faceva fremere tutti i muscoli di Tsuna, non poteva condividerla.

Perché mentre quell’uomo che era un amico, e un fratello, più che un Boss, recriminava un gesto cui era stato costretto, Lambo sapeva che se lo aveva fatto era stato solo per salvare la vita di uno dei suoi guardiani, o al più per sollevarli dalla responsabilità di effettuare uno di loro quel gesto empio.

Tsuna non era un assassino, agli occhi del Guardiano del Fulmine, ma un uomo d’onore che pur di difendere la sua Famiglia, era disposto a tutto, anche a marcire dentro, se necessario. Perché il rimorso era un morbo e quelle poche volte che era accaduto, Tsuna ne aveva sofferto come nessuno di loro avrebbe fatto per un estraneo.

Fu per questo che Lambo, anziché decidere di andarsene, aggirò la scrivania, si inginocchiò ai piedi di quel suo fratello che si era sempre preso cura di lui, gli afferrò la mano destra e ne baciò l’anello, mentre quello lo guardava a dir poco stranito.

Quell’anello era il simbolo dei Vongola, il simbolo di tutto quanti loro. E quello un segno di rispetto verso un Boss che non avrebbe mai tradito, verso l’uomo che li aveva amati al punto da sacrificare sé stesso, per loro.

“Grazie” mormorò soltanto, con le labbra ancora a contatto di quel gioiello che portava incisa la scritta di Vongola Famiglia.

E quella era la parola di troppo, quella che avrebbe dovuto risparmiarsi, quella che sapeva avrebbe fatto traboccare il vaso, ma che non poteva tenersi per sé, perché Tsuna non poteva conoscere solo la propria versione dei fatti.

Il Decimo dei Vongola scattò in piedi, teso come una corda di violino. Era frustrato, arrabbiato, nervoso e assolutamente incapace di capire cosa diavolo ci fosse da essere grati nel fatto che avesse eliminato il Boss di una famiglia rivale che aveva scoperto gli indirizzi di alcuni affiliati Vongola e li aveva fatti assassinare, e che aveva preso di mira le ragazze, quando lui aveva tentato di risolvere la questione in maniera più pacifica.

Tsuna era consapevole del proprio ruolo, sapeva che quel bastardo se lo meritava, sapeva che non poteva fare altrimenti per il bene della famiglia, ma sapeva anche che non c’era niente di cui andar fieri, se non era riuscito ad uscirne fuori in altri modi. Ad impedire che la questione avesse inizio sin dal principio, a salvare la vita ad uomini che avevano abbracciato la sua causa e quella di chi lo aveva preceduto.

Era forse da ringraziare per questo? Perché aveva ucciso e perché non aveva protetto la sua famiglia come avrebbe dovuto?

La rabbia che montava dentro gli rimbombava nelle orecchie pulsando sangue a ritmo spietato, ed era un’emicrania latente, e il bisogno di urlare che bruciava nella gola. Probabilmente neanche si accorse della Fiamma del Coraggio di Morire che lo illuminava.

Quando la luce arancio gli illuminò in sfumature crepuscolari il volto, Lambo realizzò di aver sbagliato alla grande.

Chiuse gli occhi e chinò il capo, aspettandosi uno schiaffo almeno. Avrebbe potuto scansarsi o darsi alla fuga, ma non voleva contraddire quell’uomo che era un fratello, non un Boss, e poi quando Tsuna era in quel modo faceva troppa paura per tentare qualche mossa stupida. Qualche altra, almeno.

E nell’ansia dell’attesa si chiese se non sarebbe stato proprio l’anello che aveva baciato a lasciargli il segno sul volto.

Tuttavia, quando non successe niente per un minuto almeno, alzò nuovamente gli occhi e si stupì quasi di vedere la figura dell’altro tremante di frustrazione e rabbia, i pugni serrati, ma gli occhi distolti, arrossati.

“Esci dallo studio, Lambo” scandì lentamente il Decimo.

E Lambo, entrambi gli occhi spalancati, rimase di sasso per un istante a quelle parole. Perché Tsuna non se la sarebbe presa contro di lui, ma contro se stesso. E il bisogno di stargli vicino, come Tsuna lo era sempre stato per lui, era forte, ma capiva anche che l’altro in quel momento aveva bisogno di restare da solo.

Uscì dall’ufficio senza un ulteriore commento e si chiuse la porta alle spalle, ma non senza un ultimo sguardo verso l’uomo che ora sostava lungo la grande vetrata, le braccia rigide lungo i fianchi.

 

 

 

Yo, Lambo!” Yamamoto, dopo aver bussato e aperto senza aspettare risposta – il che era abbastanza frustrante, considerato che aveva anche una ragazza – fece capolino dalla porta della sua stanza. “Tsuna vuole vederti.”

Lambo tirò un sospiro di sollievo, sentendosi incredibilmente più leggero, quando il Guardiano della Pioggia uscì.

Non sapeva neanche di essere tanto teso. E mentre camminava verso lo studio di Tsuna realizzò che erano tre giorni che aveva evitato quella strada.

Ma il fatto che Tsuna avesse chiesto a Yamamoto di andarlo a chiamare era un bene, significava che la sua era una richiesta, non un ordine. Avrebbe potuto inventare a Takeshi qualche balla per cui non poteva assolutamente muoversi – benché stesse leggendo comodamente svaccato sul letto, quando Yamamoto era entrato in camera sua – e Tsuna non avrebbe insistito.

Solitamente, quando reclamava la sua cieca obbedienza mandava Gokudera ad avvertirlo. E il Guardiano della Tempesta aveva uno strano concetto di avviso, per non parlare dei tempi con cui pretendeva che ogni ordine del Decimo fosse portato a termine.

Lambo, che almeno in quello era migliore degli altri guardiani, bussò e attese finché non gli fu dato il permesso di entrare.

“Mi avete fatto chiamare, Vongola?” domandò, con una curiosa sensazione di deja-vu.

Tsuna era nervoso, ma era un nervosismo tipico dei suoi. Più come se fosse prossimo all’infarto. Raccattava tutto alla bell’e meglio facendosi a mezza voce un elenco confuso di quello che gli mancava, o che doveva fare, o non lo capiva.

Ma per ansioso che potesse essere, i movimenti erano fluidi, le spalle rilassate, i suoi occhi calmi e tranquilli.

Ehm… Vongola?” Riprovò.

“Ah, eccoti, Lambo.” Alzò la testa mentre sfogliava carte su carte. “Ti va di venire con me in missione? Devo andare a Roma e consegnare alcuni documenti al Boss della famiglia Beccio, ma preferisco farlo di persona. Se solo li trovassi. Vieni? Però fai le valigie in fretta che siamo in ritardo. Ahh… Ma dove diavolo sono?”

Il fatto che avesse dato per scontato il suo consenso non gli diede fastidio, anzi era vagamente divertente vedere il temuto Boss dei Vongola controllare se i documenti si fossero nascosti sotto il calendario da tavolo.

“Quanti giorni staremmo via?”

Mh. Due? Tre? O tutta la vita se quei benedetti documenti non escono fuori, perché altrimenti Reborn mi ammazza.”

Lambo per sicurezza decise che si sarebbe portato dietro mezzo armadio. Tanto, se conosceva Tsuna e il proprio stomaco, sarebbe riuscito a trascinarlo in tutte le gelaterie di Roma, e solo quello richiedeva cinque giorni buoni. Poi qualche souvenir ci scappava sempre, e quelli erano altri due giorni. Finiva sempre così quando andavano insieme da qualche parte. Lambo sospettava che lo invitasse ogni volta che aveva bisogno di staccare la spina.

E a lui faceva solo piacere.

“Vado a preparare le mie valigie” annunciò, mentre lo vedeva lanciarsi disperato sotto la scrivania, nella cieca convinzione che da qualche parte quei maledetti fogli dovevano pur esserci.

“Ah, Lambo” Lo fermò il Boss sulla porta, sbucando da sotto la scrivania. Il naso che affacciava a malapena sul piano in legno.

Lambo pensò che se avesse scattato una foto in quel momento, avrebbe avuto un’arma di ricatto a vita.

Dimmi… Cioè, ditemi.”

“Grazie. E scusa.”

Lambo dubitava seriamente che l’altro gli dovesse ringraziamenti o altro, né gli servivano. Però Tsuna si era ripreso e questa era la cosa importante. Certo, sapeva che la ferita era rimasta e che se ne sarebbero aggiunte altre. Ma Tsuna faceva tutto per il bene della propria famiglia, anche tornare a sorridere pur non avendone la voglia.

E il Guardiano sapeva che un giorno anche lui sarebbe stato disposto ad uccidere e a morire per un uomo che ti chiedeva scusa da sotto una scrivania. Magari la foto doveva scattarla sul serio e inviarla a Gokudera, così giusto per fargli venire un infarto.

“Vongola, secondo cassetto. In mezzo agli ultimi modelli che vi ha dato Giannini.”

Il Decimo dei Vongola inarcò un sopracciglio, ma sfogliò lo stesso tra i prototipi di nuovi armi e supporti. Quando trovò il fascicolo per poco non gli venne un infarto.

“Tu lo sapevi” affermò.

Nah, ho tirato ad indovinare.”

Lambo!”

“Sì, sì, mi sbrigo, non vi farò attendere troppo, Vongola” annuì, furbo.

Un’altra cosa che Tsuna non gradiva più di tanto era il suo continuo andare a sbirciare in tutta la sua documentazione. Se avesse saputo che tutta significava veramente tutta, lo avrebbe strigliato per giorni.

Ma d’altronde, sapeva anche benissimo che Lambo avrebbe sgraffignato di tutto dal frigo bar dell’albergo e che si sarebbe arrabbiato, in quella vacanza a Roma, eppure aveva deciso di portarlo con sé lo stesso.

Lambo fece il più presto possibile, salutò I-Pin con un bacio, e salì sulla macchina che lo avrebbe accompagnato all’aeroporto.

Tsuna, al suo fianco, guardava il cielo dal finestrino, distratto in pensieri che non trapelavano dal volto tranquillo. Non rilassato, ma tranquillo. Più che di una vacanza, Tsuna aveva bisogno di star lontano dal mondo della mafia per almeno qualche giorno, di essere davvero suo fratello e basta, di non avere sulle spalle la responsabilità di tutte quelle persone.

“Vongola” lo chiamò.

“Non c’è Gokudera, Lambo” rispose Tsuna, con tono più serio di quello desiderato.

Lambo si stravaccò sul sedile. La testa appoggiata sulle gambe dell’uomo al suo fianco, le gambe piegate contro il finestrino opposto.

Se c’era Gokudera era morto, ad esempio.

“Sì, ma Vongola suona più figo” annuì, mentre Tsuna si chiedeva se non lo stesse prendendo in giro.

Tsuna,” riprese il Guardiano “se tu mi chiedessi di fare qualcosa, e io pensassi che quella cosa è sbagliata, io…” si interruppe, cercando di figurarsi per bene la scena.

“La faresti?”

“No, scapperei via frignando o cercherei una scusa convincente” chiarì in un attacco di sincerità immotivato che fece sghignazzare il Decimo. “Però ci proverei, anche solo di nascosto. Perché so che qualunque decisione tu prendi è per il bene della famiglia. Per il nostro bene. Questa è la fiducia che abbiamo in te. Questo è perché abbiamo scelto di seguirti. Anche se non sei tagliato per fare il Boss.”

“Cosa?” urlò quasi, vagamente stizzito.

Lambo annuì stravaccandosi meglio. “Ti manca la risata da cattivo. Ce l’hanno tutti i boss, ce l’ha persino Mukuro, per non parlare di Byakuran. Sai quando uno ride e a te viene voglia di scappare? Quando ridi tu la gente si diverte. Non proprio il tipo di cosa che ti mette paura.”

“E perché dovreste avere paura di me?”        

“Tranquillo, non ne abbiamo. Noi siamo troppo anarchici per fare sul serio i mafiosi.”

“Non inizierai a pensare anche tu che è tutto un gioco, spero!”

“L’importante è che stiamo tutti bene e che siamo felici, no? Beh, lo siamo. Anche se non sempre è facile” aggiunse infine.

Tsuna guardò il ragazzo che si svaccava meglio cercando di stare comodo a scapito suo e delle sue gambe. Lambo era il più debole e vigliacco dei suoi guardiani, ma anche il più innocente. E quello che purtroppo era privo di filtro tra cervello e bocca.

Ma proprio per questo, se Lambo sosteneva che la sua famiglia era felice, poteva fidarsi che quella era le verità. E tornando a guardare il cielo che rappresentava, pensò che per quella famiglia avrebbe ucciso ancora, se fosse stato necessario.

Perché era un dolore che straziava l’anima, non avere altra alternativa. E lui lo aveva sempre detto che non era tagliato per fare il Boss. Ma se quella in rischio era la sua famiglia, allora era disposto ad essere il Decimo dei Vongola che tutti si aspettavano, quello che Giotto aveva accettato come erede, quello che avrebbe lottato a costo della vita.

Chiuse gli occhi e si rilassò, pensando solo a godersi quella breve vacanza.

  
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