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Autore: OnlyTheGoodDieYoung    07/07/2012    2 recensioni
[La storia partecipa al "Contest del Cioccolato" di SpencerTita]
Tre momenti importanti nella vita di Remus in cui, per una volta, viene tralasciato il suo piccolo problema peloso.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: I Malandrini, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Di domande, confessioni e baci al cioccolato.
 


15 maggio 1968, Casa Lupin, ore 3.45 p.m.

 

Corrucciato, un bambino attraversava lentamente il viottolo in ghiaia che portava alla casetta isolata, quella situata al limitare della foresta.
In paese si vociferava che fosse abitata da persone strambe, diverse, solitarie. Si erano trasferiti lì circa sei mesi prima a causa di un incidente che, così diceva il pettegolezzo che le comari si scambiavano sottovoce ogni qualvolta posavano gli occhi verso la collinetta, riguardava il piccolo bimbetto, quello sempre così educato e pacato. Era lui quello che frequentava il paese maggiormente, solo poche volte accompagnato dalla madre.
Erano entrambi mingherlini e parevano sempre lì lì per svenire. Per questa ragione i paesani avevano raggiunto la quasi totale certezza che, in realtà, erano solo troppo poveri per potersi permettere cibo a sufficienza.
Remus osservò rammaricato i pantaloni stracciati sulle ginocchia e macchiati di fango e quasi gli venne da piangere al pensiero di averli rovinati. Strinse i pugnetti magri e spinse delicatamente la porta d’entrata, di legno chiaro, che cigolò acutamente, come a volergli dare il benvenuto in casa. Richiuse l’uscio dietro di sé, attento come sempre a non fare rumore, e posò lo sguardo sull’attaccapanni. S’intristì al pensiero del padre che era partito senza nemmeno salutarlo. Sospirò, facendosi forza, e salì silenziosamente le scale, dirigendosi in camera sua e ignorando la voce dolce della madre che lo chiamava premurosa.
Lasciò la porticina della sua cameretta aperta e si sedette sul letto, posando i gomiti alle ginocchia e appoggiando il mento sui pugni ancora chiusi. E si mise a riflettere.
Fu così che Audrey Lupin lo trovò, dopo non aver avuto risposta ai suoi numerosi richiami ed essersi precipitata ad assicurarsi che il figlio, già debilitato a causa delle sue condizioni, stesse bene. La donna si asciugò le mani ancora bagnate sul grembiule rosa pallido e inclinò leggermente la testa di lato, guardando il figlio amorevolmente preoccupata.
Remus si accorse della sua presenza solo quando percepì il materasso abbassarsi, sotto il peso della madre, e una lieve e delicata carezza sulla nuca.
Lentamente voltò la testolina e la fissò muto per qualche secondo.
“Mamma, che cosa vuol dire gay?”
L’innocenza e l’ingenuità con cui questa domanda era stata posta disarmò la donna, che si lasciò scappare un’espressione di pura sorpresa sul viso scavato. Poi sorrise gentilmente e accarezzò nuovamente a capelli biondo sabbia del bimbo.
“Beh, Remus, è quando un uomo prova… Quando un uomo si innamora di un altro uomo, oppure quando una donna si innamora di un’altra donna” spiegò, osservandolo teneramente mentre sul visino segnato dai tagli si disegnava un’espressione dubbiosa.
“Ed è un cosa brutta?” chiese, sentendosi subito in colpa di aver anche solo pensato di offrire il suo ultimo cioccolatino a quel bambino che aveva incontrato giù nella valle.
Il sorriso della donna si addolcì maggiormente e si avvicinò per posare un bacino sulla fronte del figlio “Amare non è mai una cosa brutta, Remus. Non importa quello che dice la gente, mi hai capito? L’amore è l’amore, tesoro” rispose con sincerità, mentre gli occhi iniziavano a farsi lucidi. Sorrise nel vedere l’espressione di Remus farsi più rilassata. “Ora vieni a fare merenda. Hai voglia di pane e cioccolato, mentre leggiamo un libro?”
Remus annuì felice. “Possiamo leggere quello della principessa e del mostro, mamma?” domandò, correndo verso la cucina senza aspettare la madre, che lo seguì con lo sguardo sussurrando un ‘’ affettuoso.

 

*

 

15 luglio 1974, Potter Manor, ore 4.50 a.m.

 

Voltato su un fianco, guardava la porta chiusa, coperta per metà dalla figura non poco imponente di Peter che si alzava e si abbassava alternativamente. Sorrise divertito quando l’amico emise un verso acuto simile ad uno squittio, ricordando con piacere quello stesso pomeriggio, durante il quale i suoi amici, i suoi migliori amici, avevano studiato le prime pagine del libro ‘De Animago, pars I’, sgraffignato dalla biblioteca immensa della famiglia Potter.
La signora Potter li aveva gentilmente invitati a dormire e tutti loro erano stati ben felici di poter accettare, Remus specialmente, abituato com’era a trascorrere l’estate a casa relegato.
D’altra parte, la luna piena era ancora lontana e non voleva mostrarsi maleducato.
Quindi erano tutti lì, in camera di James, che, caspiterina!, era davvero enorme. Lui, Peter e Sirius si erano accomodati su materassi disposti sul pavimento e James, nonostante all’inizio si fosse opposto strenuamente, sostenendo che si sarebbe comportato da ospite impeccabile, era stato costretto da tutti gli altri a dormire nel suo letto senza fare tante storie.
Remus sospirò, maledicendo il caldo che non lo faceva dormire e invidiando Peter, che invece pareva immerso completamente nel mondo dei  sogni.
Il rumore di una motosega gli fece intuire che anche Sirius non doveva aver trovato alcun problema ad abbracciare Morfeo. Scosse la testa, ora sì che non avrebbe davvero dormito!
Decise di girarsi per poter colpire Sirius in testa con il cuscino, ma in quel momento smise di russare. Con un sospiro di sollievo adagiò la testa sul guanciale soffice, posando lo sguardo sul volto addormentato dell’amico.
Era bello.
Non figo, come le ragazze del quinto avevano iniziato a dire, no, bello.
Ignorò il rumore che provenne dalle parti del letto di James e si ritrovò a sorridere mentre studiava ogni più piccolo dettaglio, ogni più piccolo difetto ed ogni più piccolo pregio sul viso addormentato di Sirius. Niente ghigni, niente sorrisi smagliati e sbruffoni, niente espressioni da duro. Solo Sirius.
Con i capelli leggermente troppo lunghi che gli ricadevano sulla fronte e sugli occhi. Gli occhi era l’unica cosa per cui rimpiangeva che Sirius fosse addormentato. Non era per il colore, glaciale e tipico di famiglia, era per la forma. Avevano una forma tutta loro, particolare. Non grandi come quelli di James, né piccoli come quelli di Peter. A prima vista potevano sembrare occhi completamente normali, forse leggermente a mandorla, ma non per lui. Li amava, e non ne sapeva la ragione.
Arrossì, sorprendendosi, anche dopo tutto quel tempo, di pensare certe cose riguardo uno dei suoi migliori amici. Ma non c’era più nulla da fare, ormai. Ormai ne era quasi praticamente consapevole. Non aveva ancora deciso di ammetterlo a se stesso per paura di poter diventare ancora più mostro di quanto già non fosse. Non importava quello che gli diceva la madre, così come la gente non era pronta, non era abbastanza aperta mentalmente, per accettare un lupo mannaro, così non lo era nemmeno ad accettare due uomini a braccetto per la strada, che magari si scambiano anche smancerie!
Un altro sospiro e poi non resistette più. Allungò la mano e gli accarezzò lievemente, facendo attenzione a non svegliarlo, i capelli scuri e un lembo di guancia, piegando l’angolo sinistro della bocca all’insù.
Non si era accorto che due occhi, circondati da occhiali neri, lo stavano osservando interessati.
James Potter non riusciva a dormire e quando aveva sentito quel suono, simile al verso di un drago in calore, provenne dal naso del suo migliore amico, si voltò con l’intento di saltargli addosso. Senza occhiali, notò che anche la figura accanto a Sirius si era girata, ma che aveva poggiato la testa sul cuscino. Curioso, afferrò le lenti dal comodino accanto al suo letto e li inforcò, scoprendo un nuovo mondo, pieno di forme definite e contorni nitidi.
Silenzioso, pensò di intavolare una conversazione con Remus, che vide essere sveglio, ma qualcosa, negli occhi ambrati e stanchi dell’amico, lo fecero desistere. Si limitò quindi ad osservare. Dopo poco, tuttavia, la scena gli parve talmente intima da sentirsi a disagio, e così non resistette più. “Remus”
La mano del quattordicenne scattò come se avesse toccato una fiamma e lui deglutì, colto in flagrante. “James” emise con un filo di voce, imbarazzato a morte “Sei sveglio. Non me ne ero accorto! Non riesci a dormire?” domandò, sperando di poter deviare i pensieri dell’amico.
“Remus, hai voglia di una cioccolata?”
 
Arrivati di soppiatto nell’enorme e maestosa sala da pranzo del Manor, i due giovani presero posto al lungo tavolo di mogano scuro e presto un elfo rugoso e panciuto li raggiunse, abbozzando un inchino ad entrambi. Poi i suoi occhioni gialli si spostarono verso James.
“Ehi, Glas, ci puoi portare due cioccolate calde?” sussurrò il ragazzo, con un sorrisetto malandrino stampato in faccia.
Remus, sconcertato, guardò l’amico per qualche secondo, poi si decise a parlare. “James, cioccolate calde a metà luglio?” domandò, attirando l’attenzione dell’amico e dell’elfo, che immediatamente voltò la testa verso il padroncino, in attesa di nuovi ordini.
James picchiettò due volte l’indice sul mento, pensieroso, poi le labbra si distesero nuovamente in un ghigno peperino. “Hai ragione, Rem! Glas, porta due tazze di gelato, ricoperto di cioccolata calda!” ordinò in tono amichevole.
La creaturina fece per avviarsi, ma successivamente, incerto, si voltò e abbassò umilmente il testone. “Padroncino Potter, se posso permettermi, che gusto di gelato preferirebbero i signorini?”
“Cioccolato” rispose James con ovvietà, osservando poi l’elfo lasciare la stanza.
Un silenzio imbarazzante cadde tra i due amici, ma ben presto l’esuberanza e la schiettezza di James ebbero la meglio sulla riservatezza e il disagio di Remus.
“Remus, ti piace Sirius?”
Le gote fanciullesche di Remus si imporporarono in tempo record, e la gola divenne secca in un attimo. Il giovane cercò in poco tempo mille scuse per giustificare l’atto di poco prima, ma sapeva che, in fondo in fondo, James non era stupido.
Sospirò e guardò l’amico, che sembrava esser riuscito ad racimolare il tatto necessario per tacere. “Non lo so” confessò, abbassando lo sguardo e trovando improvvisamente interessanti gli intarsi chiari che spiccavano sul color cupo del tavolo.
James parve rifletterci un attimo. “Non sai se ti piace Sirius, o non sai se ti piace Sirius?”
La mente confusa di Remus non riuscì ad elaborare completamente la domanda dell’amico, quindi si ritrovò a guardarlo con espressione perplessa.
L’occhialuto quattordicenne arricciò le labbra e, evidentemente in difficoltà, riformulò il quesito. “Voglio dire, non sai se ti piace Sirius, in quanto Sirius, o non sai se ti piace Sirius, in quanto… Ehm, ragazzo?”
Remus ci pensò.
Dopo quello che parve un secolo, rispose.
“Non sono sicuro che mi piaccia Sirius, in quanto ragazzo… Insomma, non sono del tutto certo che mi piacciano i ragazzi. Io… Io credo… Io… Io penso che la risposta alla primissima domanda sia ‘’, in entrambi i sensi, ma non ne sono ancora del tutto certo”
Le guance e le orecchie sembravano andare a fuoco, tanto che, James ne era quasi certo, se ci si fosse avvicinati leggermente di più, si sarebbero benissimo potute notare le sfumature gialle e arancioni, tipiche della fiamma viva.
James annuì silenzioso, osservando Remus, il suo amico sempre pacato e distaccato, preso dal panico e dalla vergogna. Quindi sorrise.
“Beh, devo ammettere che non me ne intendo molto, però ritengo che Sirius sia un bel ragazzo. Quindi non è così strano che ti piaccia!” disse, accogliendo con un urlo soffocato l’elfo e il vassoio che lo accompagnava.
Remus lo osservò, piacevolmente sbalordito, mentre l’amico gli passava la coppetta e il cucchiaino. Tutto si sarebbe aspettato, proprio tutto, tranne una risposta del genere.
Assaporò la dolcezza del cioccolato, lasciando che i muscoli, prima tesi come corde di violino, si rilassassero, pensando che, , James sarebbe sempre riuscito a stupirlo.

 

*

 

15 ottobre 1977 , Sala Comune e Dormitori Maschili Gryffindor, ore 9.00 p.m.

 
 

“REMUS!”
L’urlo che squarciò il chiacchiericcio abituale della sala comune di Gryffindor seguì quella che James Potter decantò come ‘una delle scene più divertenti di sempre’. Non per niente era, infatti, scoppiato a ridere sguaiatamente, attirando su di sé e i suoi amici sguardi straniti e incuriositi.
Stravaccato sul divanetto accanto a Peter, stava tranquillamente alternando occhiate attente verso una studentessa dai capelli rossi, intenta a terminare un complicato tema di Incantesimi, ad altre disinteressate al migliore amico, elegantemente adagiato sulla poltrona davanti a loro, che trangugiava una barretta di cioccolato, l’ultima rimasta dopo la razzia ai danni Mielandia. Non poté tuttavia sfuggirgli il fatto che si stesse di soppiatto avvicinando al canino compare Remus, con, stampato sul volto lievemente sfigurato dalle cicatrici, un sorrisino che non prometteva nulla di buono.
In procinto di degustare gli ultimi quattro rettangoletti di delizioso cioccolato, Sirius non si era accorto della presenza di Remus che, giunto dietro il giovane Black, aveva senza difficoltà afferrato quel pezzo di paradiso, pochi secondi prima che venisse ingurgitato dal proprietario. Proprietario che aveva avvertito la mancanza di qualcosa solo quando addentò l’aria.
“REMUS!”
Sirius scattò in piedi furente e si voltò per incontrare due occhi ambrati, illuminati da un non so che di malandrino, e labbra che sorridevano beffarde, la dolce vittoria stretta tra le mani.
Uno sguardo omicida non riuscì ad intimorire Remus, cosa che Sirius aveva sperato ardentemente, quindi optò per una gentile richiesta in tono diplomatico.
“Remus, potresti cortesemente rendermi il mio cioccolato?”
“No” fu la secca risposta che ottenne dal licantropo. Idee, non consone ad un membro dell’antichissima e nobilissima casata dei Black, su come cancellare quel dannato sorrisino dalla bocca di Remus ribollirono nella mente di Sirius, ma lui non lo diede a vedere.
“Remus, il cioccolato, ora!” il tono perentorio fu smorzato dal ghigno pericolosamente maligno che deformò le labbra del giovane.
“No” asserì convinto Remus, spostando l’oggetto della contesa nella mano destra e leccandosi velocemente le dita di quella sinistra, imbrattata a causa del calore che aveva fatto sciogliere quella delizia marrone. “Tu hai finito la mia, ora io finirò la tua” spiegò, allargando il sorriso e riuscendo con un balzo a schivare l’avversario che, poco delicatamente, gli si era gettato addosso subito dopo. Corse fino a raggiungere il retro del divanetto su cui, con occhi ridenti, James e Peter assistevano alla scena. Appoggiò i gomiti alla testata del mobile, foderato di stoffa rossa, e aspettò paziente che Sirius si rialzasse.
Sirius sbuffò contrariato ma divertito alla vista dello sguardo combattivo dell’amico e si posizionò davanti a lui dall’altro capo del divanetto, poggiando le mani sui fianchi.
“Remus, sei davvero sicuro di volerlo fare? La sai che alla fine li vinco io questi giochi” esplicò, con la cadenza di una mamma che spiega al suo pargoletto che non riuscirà mai ad entrare ad Hogwarts prima degli undici anni, neanche se si alza in punta di piedi durante l’annuale misurazione dell’altezza.
Dopo l’alzata di spalle di Remus, iniziò un inseguimento dove non vennero risparmiati né i malcapitati Gryffindor di passaggio, né le povere poltrone, che cadevano rovinosamente a terra sotto le pedate dei due diciassettenni.
Il resto dei Malandrini, alias James e Peter, osservavano tutto sorpresi, svagati e anche leggermente intimoriti.
“James, sbaglio o non è lo stesso Remus che mi corregge i compiti e che ci sgrida quando facciamo gli scherzi?” domandò Peter con aria infantile.
“Il cioccolato gli dà alla testa” fu la sussurrata sentenza di James, fuoriuscita proprio mentre i due amici imboccarono la strada dei dormitori.
Dopo aver salito velocemente le scale a due a due, Remus, stupito delle proprie capacità di resistenza, ma ormai stremato, giunse nella camera e si gettò immediatamente sul letto a pancia in su, nascondendo la mano contenente il cioccolato, molto sciolto, sotto la schiena.
Non fece in tempo a inspirare, che Sirius si fiondò su di lui, immobilizzandogli i fianchi con le ginocchia e appoggiando le mani ai lati della sua testa. Lo fissò dall’alto ghignando.
“Sei in trappola, Moony. Ora, il cioccolato!”
Remus ringraziò Willy Wonka e tutti gli Oompa-Loompa perché il rossore, che si sparse sulle sue gote a causa di tale vicinanza, poteva essere attribuito all’estenuante corsa appena intrapresa. Trovò la forza, nonostante tutto l’imbarazzo e la strana gioia che gli provocava quel contatto, di negare nuovamente.
“Oh, avanti Remus! Dai, sono buono, facciamo a metà!” propose Sirius, osservando rapito i tratti così familiari dell’amico.
“Non è giusto, Sirius. Tu non hai fatto a metà con me quando ti sei ingozzato con la mia cioccolata!” rispose, aggrottando le sopracciglia e arricciando le labbra in un broncio che l’altro trovò adorabile.
“Tu non me lo hai chiesto!” si giustificò Sirius, corrucciandosi a sua volta.
Il sopracciglio sinistro di Remus scattò immediatamente in alto. “Già, perché non c’ero!” rispose, stringendo con più forza il cioccolato in mano. “Devi per forza stare in questa posizione, Sirius?”
“Sì, finché non ti decidi. O metà, o tutto a me!” ghignò il giovane purosangue, soddisfatto per la vittoria.
Remus sbuffò e alzò gli occhi al cielo. “Bene, vada per metà” acconsentì, tirando fuori il martoriato pezzo di cioccolata, che divise prontamente in due. Ne porse una metà a Sirius, che la inghiottì, sorridendo felice. Anche Remus, suo malgrado, fu costretto a sorridere mentre la sua dolce passione scivolava inesorabile verso lo stomaco.
Sirius lo osservò, mentre Remus lo fissava a sua volta in attesa che lo liberasse. Si leccò le labbra e ghignò.
“Sai, ho come l’impressione che la tua metà fosse più buona!” esclamò, fintamente contrariato.
“Beh, peggio per t-”
Sirius aveva bloccato Remus annullando la distanza che li separava e unendo le sue labbra a quelle del licantropo, che, dal canto suo, aveva sgranato per qualche secondo gli occhi, per poi richiuderli, decidendo di godersi il momento.
Sirius si staccò poco dopo e Remus sostenne fermo il suo sguardo serio, nonostante dubbi e domande stavano lentamente logorando ogni sua singola cellula. Poi il diciassettenne fanciullo dagli occhi di ghiaccio sorrise dolcemente.
“Me lo ha detto James” spiegò, ma leggendo ancora più perplessità negli occhi di Remus si accinse a continuare. “Me lo ha detto quando gli ho rivelato di avere una cotta per uno dei miei migliori amici. In realtà prima è sbiancato, poi quando ho pronunciato il tuo nome ha tirato un sospiro di sollievo e me lo ha detto… Cioè mi ha detto che… Insomma, che ti piaccio anche io… Che ti piacevo…” stranamente impacciato e insicuro, il giovane Black sperò con tutto il cuore che i sentimenti di Remus in tre anni non fossero cambiati.
Lupin alzò la schiena appoggiandosi sui gomiti e serrò per una frazione di secondo la mascella, prima di parlare. “Mi stai prendendo in giro, Sirius?”
Lui scosse la testa e in un attimo le loro labbra combaciarono di nuovo, in un bacio al sapor di cioccolato.








 


NdA: Ehm ehm, salve... *scuote timidamente la mano*
Questa storia partecipa al "Contest del Cioccolato" di SpencerTita.
E' la mia primissima Wolfstar; il tema del contest è talmente stuzzicante che non ho resistito... ^-^
Ammetto che il finale non è dei più originali, specialmente l'ultima frase, ma, tra tutti, credetemi, era il meno peggio!
Vi ringrazio se siete arrivati fin qui e vi confesso che una recensione non mi farebbe per nulla schifo! :D


Callie.

  
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