Ultima
parte in altre quindici (s)comode pagine, oggidì dedicate a
scarlett666.
Buoncompleanno, psychologa!
Ciò
detto, attenzione! Qui Naruto fa almeno dieci
cose-che-nessuno-dovrebbe-mai-fare (non a caso, il
narusasunarudndfnquellaroba lì si trasforma in stalking):
non imitatelo XD
Oh, comunque è una totale cretinata.
Tu
lo conosci Sasuke?
-
parte seconda -
Sotto
il sole delle dieci, Naruto sapeva d'essere un uomo finito.
Lui,
il grande Naruto Uzumaki, quello che voleva scalare l'Everest,
sentiva chiaramente che la sua vita era finita, conclusa, persa,
caput!
Okay,
anche no. Ridimensioniamoci, prima di scadere davvero nel
patetismo spicciolo.
Il
problema era che da Naruto Uzumaki, ventiquattrenne, biondo,
arancione, omosessuale con un Sasuke a dormirgli addosso sul divano,
nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen, il
nostro eroe, insomma, fosse divenuto repentinamente Naruto Uzumaki,
ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale che meritava di
restare solo per sempre perché troppo stupido, stupido, stupido! per
riuscire a guadagnarsi una sana relazione, nuovo fattorino a tempo
indeterminato dell'Ichiraku Ramen, cosa, questa, che lo rendeva
alquanto depresso. Il motivo della depressione, invero, non era tanto
il fatto che Sasuke se ne fosse andato, quanto piuttosto che Sasuke
fosse quello, un Sasuke. Un tizio di nome Sasuke. Solo Sasuke.
Sasuke-e-basta.
«Il
cognome, Naruto! Il cognome, le basi!»
Naruto
riuscì solo a scuotere la testa, sinceramente dispiaciuto e con un
grumo di pizza sullo stomaco da ore, a pesargli dentro come avesse
vita propria. Sakura, implacabile, approfittò del cedimento per
rincarare la dose; sbraitava davanti al bar della facoltà, un tomo
di diagnostica a sventolarle minaccioso tra le dita.
«Il
cognome! Il numero di telefono! Che cavolo, Naruto sei-» e Naruto
lasciò che lei gli ficcasse lo spigolo del volume in fronte,
convinto di meritarsi sia il segno rosso che gli improperi. «Non è
possibile che tu non gli abbia chiesto il numero di telefono! Che tu
non gli abbia dato il tuo, anche a costo di farglielo ingoiare, tu-
tu!»
«Hai
sempre avuto ragione, sono davvero il più grande idiota del pianeta»
annuì, sconsolato.
E
Sakura, che ormai era partita a razzo e l'avrebbe rimproverato per
qualunque cosa, si prese anche la briga di urlargli: «dell'universo,
Naruto, dell'universo!» rischiando di decapitare Ino con il libro.
Lei, appena sopraggiunta non si sa se in cerca di caffè o per le
urla belluine della carissima amica, le sfilò il volume dalle mani
con l'aria di qualcuno avvezzo a scatti d'ira di colleghe isteriche;
poi agguantò una sedia dal tavolo accanto. Se la guadagnò senza
praticamente dover chiedere, solo grazie ad un unico, disarmante
sorriso e un frullare casualmente studiato di ciglia lunghe
sull'azzurro, e si sedette con tutta l'atletica pesantezza di
qualcuno che, begli occhi o meno, è sveglio dalle sei.
«Che
diamine succede?» chiese, poggiando il libro di diagnostica sul
tavolino, lontano dalle grinfie nevrotiche di Sakura.
«Succede
che è un deficiente!» ribatté la bocca altrettanto nevrotica di
Sakura, mentre le mani additavano Naruto. Lui chinò il capo e cacciò
un sospiro.
«È
che eravamo lì e poi abbiamo... Non ho avuto il tempo di...»
«Capisci?
Capisci cosa deve subire il genere umano per colpa di questo
imbecille patentato?» sbottò Sakura, sotto lo sguardo di una perplessa
Ino.
«Non si sa come faccia, voglio dire, a parte che è biondo,
arancione e tutte quelle cose lì... Non si sa! Lo sai come fa, li
attira! Ha una specie di potere messianico o che so io! Lui sta lì,
parla a vanvera, non sa da che parte è girato eppure toh! mezzo
mondo gli dà retta! Converte le masse, adesca i giovani!»
«Ma
quel caffè era corretto?» la interruppe Ino, strabuzzando gli occhi
davanti all'amica prima di voltarsi verso Naruto, in cerca d'aiuto.
Sakura
non parve gradire quell'allusione alla sua sconclusionatezza e
afferrò Ino direttamente per i vestiti, portandosela quasi contro il
naso.
«Sto
dicendo che questo... questo coso improponibile» e Naruto si
disse che alla fine come epiteto non era tra i peggiori che Sakura
gli avesse mai affibbiato; «non si sa come fa, ma riesce a portarsi
a casa Tizi random – guarda caso quelli che piacciono a me, che
guarda caso sono gay!, e adesso dimmi se non ti sembra la
dannata trama di un dannato episodio di Dawson's creek! - e a
farceli rimanere! Capisci?» proseguì, senza attendere alcun segno
da parte di Ino che facesse intuire un'effettiva comprensione di quel
delirio psicotico. «Lui non si limita ad andarci a letto, no, perché
lui è Naruto Uzumaki! Lui costruisce legami, stringe rapporti! E
quindi mi fa stare in ansia per ore perché ha la segreteria inserita
per un giorno intero e non risponde al cellulare-»
«Era
scarico, ho dimenticato di-» cercò di difendersi lui, invano - come
cercare di spegnere un incendio gettandoci sopra un granello di
sabbia alla volta.
«Ma
certo!» divampò infatti nuovamente Sakura, quantomeno liberando Ino
dalla stretta mortale per rivolgersi di nuovo a lui. «Non è questo
il punto, Naruto! Tu ti porti la gente a casa, ci fai sesso per un
giorno intero, mangiate, ordinate pizze, dormite, guardate Slither
– Slither! Si può chiacchierare guardando Slither!
Non è mica Schlinder's list, per gli dei! - e non
riesci a sapere niente di più del suo nome proprio?!»
Nel
silenzio seguente – esteso anche agli altri tavoli ormai in
ammirato ascolto della ragguardevole estensione vocale di Sakura
Haruno –, Naruto boccheggiò per qualche lungo secondo, incapace di
articolare.
Avrebbe
tanto desiderato giustificarsi: lui di Sasuke sapeva principalmente
che si chiamava Sasuke, d'accordo, ma sapeva anche un mucchio d'altre
cose. Che era uno stronzo, che russava ma non voleva ammetterlo – e
se punzecchiato in merito diveniva violento -, che l'arancione
sembrava infastidirlo di primo acchito, ma poi ci si spaparanzava
tranquillamente sopra senza troppo pensarci; sapeva che gli
piacevano i pomodori e che, se affamato, dimenticava senza ritegno
qualsiasi tipo di educazione – della cui mancanza si preoccupava di
rimproverare piuttosto lui -; sapeva che odiava il chiacchiericcio,
sapeva che era dotato di scarso senso dell'umorismo, facilmente
irritabile, inconsapevolmente privo di pudore – lui al
fattorino delle pizze stava andando ad aprire in mutande –,
sgarbato e nel complesso un'emerita testa di cazzo non troppo
vagamente psicolabile. E, pur avendo afferrato tutto questo con una
certa consapevolezza, conscio del fatto che una descrizione simile
avrebbe fatto scappare a gambe levate qualsiasi individuo sano di
mente o quantomeno ringraziare tutti gli dei che il tale in questione
si fosse defilato senza lasciare tracce, Naruto avvertiva con
altrettanta smania l'impressione istintiva, pressante – anche
inquietante, a dire il vero – del va bene lo stesso. Quella
sensazione a metà tra il masochismo e la catarsi, che
ti fa stringere nelle spalle, sospirare tutt'al più, quando la tua
migliore amica dai capelli rosa si approccia a te più spesso coi
pugni che a parole: perché a te va bene lo stesso.
Naruto
ci metteva poco a capire le persone, era il suo dono. Senza sperare
di conoscerlo – per quello è ovvio che ci voglia il tempo che ci
vuole -, quello che aveva capito in ventiquattro ore era che a lui
Sasuke andava bene lo stesso. E se c'era il va bene lo stesso,
a che serviva uno stupido cognome?
«Beh,
se lo vedessi lo riconoscerei» tentò titubante, ritornando alla
triste realtà dei fatti, quella in cui il pianeta Terra è abitato
da sette miliardi di persone che per contattarsi necessitano di
recapiti, dati anagrafici ed altre impoetiche, fastidiose corbellerie
così basse e pratiche da apparire desolanti.
Giusto
a sottolineare che il mondo era un posto irrimediabilmente crudele e
lui solo uno sciocco sognatore, accanto a lui Ino emise un basso
verso di profondo biasimo.
«Fammi
capire» intervenne spiccia, tamburellando nervosa con le dita. «Tu
ti sei portato a casa il Tizio dell'altra sera e lui il giorno dopo
ti ha mollato senza lasciarti alcun recapito?»
«Non
mi ha mollato! Continuava a dire di doversi vedere con un tale
stamattina, sarà dovuto correre via in fretta...» e non servirono
le occhiate mestamente complici scambiate tra Sakura ed Ino a fargli
capire, chiaro e forte, quanto quelle parole sarebbero risultate
patetiche per chiunque, anche per il protagonista di una telenovela
doppiata male.
«Naruto»
cominciò Sakura, dopo avergli poggiato con cautela il palmo sul
pugno che lui teneva chiuso sul tavolo. «Credo che se avesse voluto
rivederti ti avrebbe almeno scritto un biglietto, no?»
Naruto
tentò infruttuosamente di aprire la mascella, poi aggrottò le
sopracciglia e fece per ribattere, subito interrotto da un sospiro di
Ino.
«Sei
stato scaricato, bello mio» gli rese noto lei con grazia,
assestandogli un colpetto lieve sulla spalla. «Mi spiace».
Gli
occhi di Naruto si sgranarono andando dall'una all'altra; abbozzò
una risata.
«No,
ma ehi! Guardate che era vero-» si sforzò, tutto teso a cercare di
recuperare brandelli di conversazione. «Doveva vedere un tale
Orochisuke... Orochiyama...»
E
invece di consigliargli di berci su, distrarsi e archiviare la
faccenda, Sakura e Ino aggrottarono le sopracciglia e si voltarono
l'una verso l'altra esclamando: «Orochimaru?»
Scombussolato,
Naruto annuì.
«Ecco,
sì! Orochimaru. Vedi che me lo ricordavo?» disse, parlando al
tavolo.
«Orochimaru
insegna qui, Naruto. Cioè, non qui qui... Qui nell'ateneo» ragionò
Ino. Gli acchiappò il viso tra le mani tanto velocemente che si udì
un crack di vertebre e uno studente del tavolino alle loro
spalle avvertì che, ehi, se c'era bisogno d'aiuto lui si stava
specializzando in ortopedia.
«Eh?»
le fece Naruto, le guance ancora strette tra i palmi dell'amica, che
però si era voltata verso Sakura.
«Orochimaru,
Orochimaru!» esclamò lei, quasi scocciata dal dover spiegare cose
ovvie. «È una specie di personalità scientifica mondiale. Una roba
tipo... tipo Margherita Hack, ma con più serpenti» spiegò, senza
approfondire. «Si dice sia un po' fuori di testa e che durante i
suoi corsi sia più normale sentirlo blaterare di concetti
pseudofilosofici che di cose pratiche. Comunque è un genio».
«E
dov'è?» domandò Naruto, mostrando ancora una volta le sue grandi
doti di uomo d'azione.
«Beh,
sarà in qualche aula a tenere lezione, suppongo... Non interromperai
una lezione, Naruto!» scattò subito Sakura, senza dargli neppure il
tempo di alzarsi in piedi del tutto – cosa che lui avrebbe fatto
lasciandosi cadere la sedia alle spalle e cominciando a correre lungo i
corridoi di una facoltà a caso per aprire rumorosamente le
porte di aule, uffici, bagni e sgabuzzini e gridarci dentro Sas'ke!
Sas'ke! Sas'ke! come una scimmia urlatrice. Una scimmia urlatrice
vedova e afflitta in cerca dei suoi cuccioli.
Naruto,
le ginocchia mezze tese e il sedere già separato dalla sedia da
diversi centimetri cubi d'aria, emise un breve gemito frustrato.
«E
allora che faccio?»
«Uomini,
e poi siamo noi che facciamo i drammi» sbuffò Ino, impegnata a
rilassarsi contro lo schienale all'unico scopo di sporgersi per
sbirciare Sai, il collega carino della facoltà di psicologia, che se
ne stava seduto su una panchina con un album tra le mani.
Naruto
tornò su Sakura.
«E
quando lo posso vedere, questo Orochimaru?»
«Orario
di ricevimento? Ma pure che lo dovessi trovare che faresti? “Salve,
mi sono portato a letto un suo studente, potrebbe aiutarmi a
rintracciarlo?”» cantilenò, scoraggiata per empatia con
l'espressione sempre più tetra di Naruto. «Oltretutto con ogni
probabilità non avrà la più pallida idea di cosa dovrebbe essere
un Sasuke, visto e considerato che in questo luogo incivile e
disumano gli studenti sono numeri e basta. È già tanto quando un
insegnante riesce ad associare un cognome storpiato ad un viso
confuso tra altri centinai di visi ogni santo giorno, figurati cosa
potresti cavare andando lì a domandare “senta, ma lei lo conosce
Sasuke?”: ti riderà in faccia».
«Dannazione»
sospirò il nostro biondo, eroico eroe tragico – comunque molto
arancione, cosa che ne smorzava catastroficamente la tragicità.
«Vuol dire che seguirò tutti i corsi di biomedicinistica
ingegnosa per tutta la settimana finché non lo beccherò. Dove
sarà la facoltà di biomedicinistica?» e cominciò a
voltarsi da un lato all'altro come fosse convinto di vedersi spuntare
davanti un cartello delucidante o magari proprio un edificio intero.
«Naruto» intervenne Ino perentoria, dopo averlo afferrato per le
spalle.
«Ti-ha-scaricato. Fattene una ragione, non puoi diventare uno
stalker» cercò nuovamente di spiegargli con poca diplomazia, per
evitare fraintendimenti con la ben nota testa dura dell'amico.
«Oltretutto
non puoi infiltrarti a caso a biomedi... sarà ingegneria biomedica,
no scemo?» rincarò Sakura, sbuffando. Si tirò una ciocca rosa
dietro l'orecchio e poi guardò l'orologio. «Noi dobbiamo andare,
Naruto. Vattene a casa e vedi di non far tardi a lavoro, stasera»
aggiunse, severa.
«Oi,
ma sei sicuro che non ti sia sognato tutto?» rise Ino, evidentemente
non molto ansiosa di recarsi a lezione. «Sarebbe una storia
deludente da film deludente!»
Naruto
sgranò gli occhi e per un momento, davvero, si chiese se non se lo
fosse sognato, un Sasuke: insomma, le ultime ventiquattro ore si
reggevano sull'esile trama di un sogno da sbronza o di un raccontino
rosa di bassa lega scritto da un'adolescente cresciuta ad Harmony e
telefilm per teenager. Ma c'erano una casa disordinata, due cartoni
di pizza, due confezioni di ramen vuote e una bruttissima sensazione
di mancanza a comprovare l'effettiva realtà dei fatti, a meno di non
essere diventato sonnambulo - un sonnambulo vivace e con molto
appetito.
Si
ritrovò il pugno di Sakura calato in testa dall'alto: era leggero,
ma Naruto sobbalzò comunque. Lei, in piedi, lo sbirciò dall'alto
premendogli le nocche tra i capelli arruffati.
«Vai
a casa, Naruto, dammi retta. E non ti deprimere, ti chiamo più
tardi».
E
lui, il nostro povero, irragionevolmente depresso eroe arancione,
annuì, lasciando che Sakura lo salutasse con un sorriso un po'
triste e Ino sventolasse la mano comunque pimpante, prima di
raccogliere la borsa da terra e augurargli buona giornata.
Naruto
osservò la sua coda ondeggiante seguire il caschetto rosa di Sakura,
finché le due non furono sparite nell'edificio della facoltà,
dietro le porte a vetri.
Sospirò
pesantemente, frustrato.
«Sono
una stupida teenager» mugolò, la fronte spalmata contro il piano
del tavolo. E si sentì terribilmente solo al mondo.
Era
una stupida teenager, assodato, ma c'era da ammettere che il mondo in
questo senso non lo aiutava; non si spiegava altrimenti il fatto di
star intrattenendo una conversazione del genere con Sai.
«Non
conosco bene la facoltà di Ingegneria, Naruto kun, ma sono certo che
recarci in segreteria potrebbe essere un intelligente primo passo per
le ricerche».
Ora,
Naruto, si diceva, era un boccalone abituato a fidarsi della gente a
pelle – questo per riassumere in soldoni concetti già espressi
ampiamente nel paragrafo precedente – e non si era posto il minimo
problema quando, del tutto spontaneamente, Sai gli si era avvicinato
con la mandritta tesa e un sorriso plastico e vagamente inquietante
spalmato in viso, in una buona imitazione di qualcuno con dei
problemi – una paresi facciale, ad esempio.
Quello che aveva messo
il nostro eroe un po' sulla difensiva era più che altro il fatto che
poi il ragazzo, con trasporto degno del personaggio ausiliario di un
film Disney, spiegatogli di non aver potuto fare a meno di ascoltare
la sua triste storia, si era offerto di aiutarlo nella difficile
impresa di ritrovare Sas'kekun – pronunciando il nome con lo
stesso tono che si adotterebbe, nel caso, per le parole “portafogli”
o “borsetta”.
Per
spiegare tutto quell'interesse era infine partito con una
dissertazione - in tono piano e cadenzato da accademico novantenne -
su come gli esseri umani si dovrebbero aiutare vicendevolmente al
fine di perseguire un'ideale di vita collettiva che consenta a tutti
di raggiungere un paritario stato di benessere. Naruto di socialismo
utopistico ne capiva assai poco, così come effettivamente Sai
stesso, e si era perso piuttosto a fissarlo stralunato riuscendo solo
a constatare - in uno slancio paranoide che a mente fresca l'aveva
poi seriamente impensierito - quanto quel Sai, con i suoi capelli
neri e il viso pallido, somigliasse irrimediabilmente a Sasuke.
«Ma
Sasuke è più attraente» concluse a voce alta, proprio mentre Sai
lo rendeva edotto in maniera confusionaria sul pensiero di
tale Charles Fourier, incurante del fatto che il nostro distratto
eroe non avesse espresso alcun desiderio in tal senso.
Sai,
gliene sia reso merito, non si scompose: semplicemente sorrise di
nuovo e domandò «davvero?», senza apparire minimamente scalfito da
quello che poteva tranquillamente essere considerato un insulto –
anche se magari aveva capito che l'oggetto della conversazione fosse
ancora Fourier.
Naruto,
stordito, trasse un respiro profondo e prese la situazione in mano.
«Quello
che intendo è-»
«Dobbiamo
trovare Sasuke kun, certamente» conciliò l'altro, pronto, per poi
cominciare di testa sua a precederlo a passi sicuri lungo il viale,
la borsa in spalla e il suo album sotto il braccio. Naruto, che non
conosceva per nulla il posto, fatte salve alcune sporadiche visite a
Sakura, gli si accodò con qualche esitazione, approfittando per
spiarsi in giro in cerca di una nuca coperta da irsuti capelli neri –
sarebbe stato un bel colpo di culo.
«Prima
di tutto, Naruto kun, hai idea dell'età precisa di Sasuke kun? Se
così fosse, sebbene con un ampio margine di errore, potremmo provare
ad isolare un elenco di insegnamenti che potrebbe stare frequentando
in questo momento, con particolare attenzione per quelli tenuti da
Orochimaru sama».
Naruto,
perso a guardare tutta quella mandria di gente che, attorno a lui,
pareva invece avere una precisa idea di dove recarsi – la cosa lo
fece sentire un po' sperduto -, gli rivolse un'occhiata totalmente
vacua.
«Oh,
ahn. Beh, non so... la mia età?»
«E
tu quanti anni hai, Naruto kun?»
«Ventiquattro...
ma beh, poteva averne tranquillamente anche di meno, o di più o...
Diciamo tra, boh, tra i venti e i venticinque?»
Sai
sorrise di un sorriso accondiscendente.
«Se
il tuo pene è piccolo come il tuo cervello, Naruto kun, non vedo
perché Sasuke kun dovrebbe desiderare di farsi trovare da te».
Naruto
dilatò gli occhi all'inverosimile; stava già per tirargli un
cazzotto, senza dimenticare di sbraitare «io ti ammazzo!» a
tonsille spiegate, ma Sai, un passo indietro e l'espressione
perfettamente sorridente e composta, gli bloccò il pugno con un
indice.
«D'accordo,
cambiamo approccio metodologico» proferì, calmissimo.
«Ma
quale approccio e approccio, io ti approccio a pugni!»
«Non
sarebbe vantaggioso picchiare qualcuno che sta cercando di aiutarti,
Naruto kun, anche questo non farebbe che avvalorare la tesi della tua
scarsa intelligen-»
Naruto
gli assestò una capocciata e lo spedì direttamente a terra.
Ma
era troppo buono, Jiraiya glielo diceva sempre: una persona normale
Sai l'avrebbe lasciato agonizzare sulla strada e magari gli avrebbe
anche tirato qualche insulto pesante. Non l'avrebbe certo trascinato
su una panchina per farlo rinvenire.
«Potremmo
tentare con un identikit» aveva proposto l'insopportabile, una volta
ripresosi. Sulla fronte spiccava un bel bernoccolo gonfio –
modestamente Naruto sapeva di possedere una testa particolarmente
dura. Non a caso sulla sua, di fronte, era rimasto solo un vago alone
arrossato.
Accomodato
al suo fianco con un cipiglio ancora offeso, il nostro eroe dal
cranio infrangibile osservò Sai che, metodico, sfogliava il suo
album – zeppo di schizzi a china e confuse composizioni di pastelli
– in cerca di un foglio pulito, la penna già in mano.
«Coraggio»
concluse, una volta posizionato il blocco sulle sue gambe
accavallate, la punta della biro pronta e il sorriso plastico
perfettamente ripristinato. «Prova a descrivermi Sasuke kun. Sarà
più facile che qualcuno lo riconosca, in questo modo».
«Oh,
ma è un'idea stramitica!» si ritrovò ad esclamare Naruto, una
volta realizzate le conseguenze del piano: con un ritratto, sarebbe
stato molto più semplice. Esaltato e gonfio di nuove speranze, già
si vedeva tappezzare l'università di volantini – per poi arrivare
ai cartoni del latte come il più bieco fan dei Blur.
La
faccenda si rivelò meno semplice del previsto: la prima versione di
Sasuke somigliava più ad un pokèmon – colpa dell'incapacità di
Naruto nel descrivere capelli come quelli -; la seconda era troppo
simile a Sai stesso e troppo sorridente – terribile, completamente
out of charachter – e solo con la terza erano infine giunti ad una
soddisfacente versione di Sasuke, ma dopo una montagna di cartocci ai
loro piedi, una biro caduta nell'impresa e terra bruciata di
qualsiasi passante che, dinanzi alla foga descrittiva di Naruto - con
annessi gesticolii tanto ampi e teatrali quanto scarsamente
esplicativi –, si era defilato in un brusio seriamente
indispettito.
Naruto
guardò il risultato della fatica quasi commosso, ed era così
somigliante che a Sai fu naturalmente perdonato il suo essere un
individuo tanto decentrato quanto indelicato.
«Adesso
non resta che trovare Orochimaru sama e sperare che ricordi la sua
faccia, Naruto kun».
Lui
annuì, senza distogliere le pupille da quelle si Sasuke, che lo
squadravano dal foglio.
«Io,
davvero-»
«Non
cercare di ringraziarmi, Naruto kun, è un dovere morale venire in
soccorso dei meno fortunati» lo interruppe Sai, compreso.
«Meno
fortunati?»
«Sì,
tutte le minoranze, siano esse in base etnica, religiosa o sessuale,
meritano l'impegno di ciascuno affinché possano godere di pari
diritti e possibilità di esprimere a pieno le loro potenzialità di
cittadini» spiegò, sempre col sorriso di qualcuno che stesse
ripetendo qualcosa con una certa convinzione ma senza averne compreso
a pieno i significati pratici. «Oltretutto, è ancora più naturale
porsi in aiuto dei disagiati, persone che per minorazioni fisiche o,
come nel tuo caso, mentali non siano in grado di-»
«Non
concludere la frase se non vuoi farti dare un pugno, prima stavi
andando quasi bene» gli ringhiò Naruto, aspro. Sai parve cogliere
l'antifona, perché tacque, senza però privare il mondo del suo
irritante sorriso. Il nostro eroe rimase a guardarlo per qualche
momento, stralunato – i matti tutti a lui, eh -, ma infine giunse
alla conclusione che, per quanto strano, Sai lo stava davvero
aiutando in maniera del tutto disinteressata e gli doveva
gratitudine.
«Allora,
beh» riprese, la mano a grattare la nuca. «Dove possiamo trovare
questo Orochimaru?»
Sai
annuì tutto da solo, prima di alzarsi in piedi con ammirevole
decisione.
«Potremmo
provare nel suo ufficio» spiegò, indicando poi un edificio di cui
si intravedeva a stento il tetto basso; un baraccone piuttosto brutto
e spigoloso, dall'aria imponente. Naruto corrugò le sopracciglia,
interrogativo, in attesa che l'altro riprendesse a spiegare.
«Quella
è la facoltà di ingegneria, Naruto kun» disse infatti lui, quando
Naruto si fu alzato in piedi a sua volta. «Orochimaru sama è una
personalità, sono sicuro che basterà domandare in giro.
Inoltre, potremmo farci dare i suoi orari di ricevimento o, in
alternativa, scoprire se sta tenendo qualche lezione in questo
momento o quale lezione abbia tenuto al mattino».
Naruto
studiò il tetto del casermone come avesse intenzione di scalarlo a
mani nude.
«D'accordo»
concluse, deciso. «Questo Orochimaru avrà pane per i suoi denti!»
Sai,
alle sue spalle, si limitò a sorridere beato.
La
facoltà di Ingegneria era l'enorme, perverso parto d'una mente
votata al complesso. Non si spiegava altrimenti la presenza di un
simile calvario di corridoi avviluppati come spire, ampi ma bassi,
opprimenti; le porte si susseguivano una uguale all'altra a distanze
cadenzate, in un ansiogeno deja vù di legno-muro-legno-muro per
metri e metri. Probabilmente là sotto qualcuno c'era morto, perduto
per sempre negli inesplorati meandri della struttura – e
probabilmente si trattava, se non dello stesso architetto, almeno del
geometra.
«Naruto
kun, credi che Sasuke kun ti stia aspettando nudo alla fine di questo
corridoio?»
La
suola consunta della scarpa di Naruto slittò sul pavimento
sdrucciolevole con uno stridore d'oca scannata e il nostro arancione,
frettoloso eroe andò magistralmente a schiantarsi faccia a terra in
scivolata.
«Sai!»
berciò, il fiato mozzo e le mani sul pavimento freddo. Dietro di
lui: una scia nera di gomma, il busto di un insegnante affacciatosi
dall'aula – probabilmente per assicurarsi che nessuno avesse
cominciato a sgozzare animali da cortile in corridoio - e Sai, ritto
come un fuso e sorridente ad intollerabili livelli di
insopportabilità.
«Scusa
Naruto kun, è che mi pareva l'unica motivazione atta a giustificare
la tua fretta di percorrere corridoi che non conosci minimamente».
Naruto,
senza forze, appoggiò la fronte contro il pavimento e si abbandonò
ad un sospiro affranto: davvero, non era sicuro che Sai lo stesse
aiutando. Tutti gli indizi dicevano che era così, ma quella voglia
irrefrenabile di sbattergli la faccia contro un letto per fachiri gli
suggeriva il contrario in modo sempre più veemente a partire da
quando gli aveva rivolto parola per la prima volta, e si trattava
solo d'una mezz'ora prima.
«Coraggio
Naruto kun, non è bene stare stesi nel mezzo di un corridoio» si
avvicinò Sai, e da quell'angolazione – l'angolazione del nostro
eroe, quella d'una rana spiaccicata al suolo dalle ruote di un tir,
sguardo vivace compreso – il suo sorrisetto del cazzo sembrava
quasi addolcito dalla gentilezza. Naruto sospirò e si lasciò
aiutare a riacquistare la posizione eretta, peccato che poi Sai
decise di trascinarlo arbitrariamente seduto lì accanto al muro,
sotto una bacheca di sughero ingombra di annunci e circolari.
«Si
può sapere perché sei così gentile, Sai?» gli domandò infine
Naruto, dopo che lui fu arrivato ad offrirgli dell'acqua,
dopo averne cacciata dalla sua borsa gonfia di libri. «È anche un
po' inquietante, a pensarci».
Lui
parve vagamente sorpreso – evidentemente non si ritrovava nella
definizione di “inquietante -, ma ci passò sopra con notevole
diplomazia.
«Trovo
affascinanti le relazioni sociali, Naruto kun» spiegò, con la
lentezza di chi fosse impegnato a ricercare le parole giuste. «Non
avevo mai analizzato da vicino le caratteristiche di un rapporto
omosessuale, la cosa mi incuriosisce. Anche dopo essermi documentato
riguardo le dinamiche anatomiche, le implicazioni psicologiche
all'interno di una coppia mi restano alquanto oscure, anche se sempre
più studi...»
«Tu
sei tutto scemo» sbottò Naruto ridacchiando, la nuca contro il
muro. «Insomma, è lo stesso no?» tentò: se quello che voleva era
una spiegazione in cambio del suo aiuto, beh, lui non ci perdeva
niente. «Si fanno le cose che fanno le persone che stanno insieme:
parlare, mangiare, far sesso, uscire... Poi tipo se ci si fa le
smancerie o cose del genere dipende dalle persone, come in tutte le
coppie, no?» si ingarbugliò un po', perché in effetti non è che
fosse particolarmente ferrato sull'argomento coppie, lui.
Sai
parve ponderare attentamente quella risposta raffazzonata, neanche
fosse tentato di prendere appunti.
«Smancerie.
Le smancerie sono variabili in relazione all'individualità,
d'accordo» memorizzò, compreso.
«Senti,
non è che devi prendere quello che dico come verità rivelate,
eh...»
«Non
preoccuparti, Naruto kun, so che sei stupido: mi occuperò più tardi
di verificare opportunamente quanto dici mediante la comparazione con
studi accreditati o-»
Strangolare
Sai sbraitando minacce di morte in un corridoio universitario si
sarebbe potuta rivelare una mossa alquanto azzardata ma,
fortunatamente, proprio in quel momento una porta si aprì riversando
in corridoio un folto gruppetto di studenti che coprì il chiasso con
chiacchiericcio e rumore di passi. Sai, le mani di Naruto ancora
saldamente ancorate al suo collo in una riuscita emulazione dei
metodi educativi di Homer Simpson, emise dei versi strozzati, gli
occhi puntati dietro la nuca del suo aggressore. Quello,
l'aggressore, si voltò senza curarsi di staccare le falangi dalla
sua trachea, lo sguardo interrogativo a passare in rassegna la
nutrita schiera di futuri ingegneri che sciamava via dall'aula.
«Quello
è Kabuto san, Naruto kun» soffiò la voce di Sai, affaticata sotto
la sua stretta ferrea.
Naruto
seguì l'indice puntato, perplesso, e si pentì quasi subito d'aver
messo di strangolare l'idiota, dato che quello non perse occasione di
fargli presente che: «quando il saggio indica la luna, lo stolto
guarda il dito».
«Che
cavolo sarebbe un Kabuto san?» domandò, incurante della tosse
asfittica dell'altro, impegnato com'era a stirare il collo per
sbirciare dentro l'aula: un giovanotto con gli occhiali tondi stava
pulendo la lavagna con un cancellino polveroso, solingo.
«Quello
è un Kabuto san» si riprese Sai, la voce solo un po' roca. «È
l'assistente di Orochimaru sama, sicuramente lui saprà dov'è».
Naruto
sgranò gli occhi, estasiato: Kabuto san! Sempre viva Kabuto san, e
viva Sai, soprattutto!
«Tu
come diavolo...»
«Ho
studiato l'organigramma di tutte le facoltà dell'ateneo, per
comprendere le dinamiche che...» ed estrasse un libriccino zeppo di
schemi e – ben più inquietante – fotografie con relative
didascalie di quello che doveva essere l'intero corpo docenti. Ma
a Naruto non ebbe il tempo di preoccuparsene: era già schizzato in
piedi come una raganella schizofrenica,
le energie di colpo ripristinate, neanche fosse stato sottoposto ad
un qualche genere di power up da video game. Sgomitò tra gli ultimi
studenti che si erano attardati davanti alla porta e si fiondò in
aula sbraitando «Kabuto saaaan!» come un indemoniato.
La prima
conseguenza del suo insano gesto fu quella di richiamare l'attenzione
del suddetto Kabuto san, e questo fu certamente positivo. Peccato
che, subito dopo, Naruto inciampò sulla borsa di questi, una
valigetta assai professionale parcheggiata in terra, tra cattedra e
lavagna: il risultato fu un discutibile tuffo carpiato del nostro
atletico eroe. In ogni caso, simile prodezza ginnica non avrebbe avuto
alcuna altra conseguenza di
uno sbilenco atterraggio qualche metro più in là, se non che,
proprio qualche metro più in là, c'era Kabuto: l'impatto si portò
via una sedia e il cancellino ebbe l'accortezza di cadere proprio in
testa a Sai, accorso sul posto con rapidità.
Il ragazzo seguì con distacco il rimbalzo dell'oggetto, che impattava
al suolo
con un tonfo fumoso di gesso, e non mutò espressione, perfettamente
composto. Scorse lo sguardo sulla schiena di Naruto, spalmato addosso
ad un Kabuto privo di sensi e notevolmente ammaccato e attese che lui
si voltasse di qualche grado, sconcertato dal suo stesso irruente
gesto.
«Non
credo ci fosse bisogno di placcarlo, Naruto kun» sentenziò, saputo.
E
se non fosse stato nel serio pericolo di ricevere già una denuncia
per aggressione, Naruto gli avrebbe volentieri rotto una sedia in
testa.
Naruto
Uzumaki non era una persona violenta, tutt'altro. Poteva essere un
tantinello
irruente, spesso non sapeva dosare la forza e se provocato era facile
a venire alle mani... D'accordo, Naruto Uzumaki era una persona
violenta, ma non cattiva, ecco. Se non provocato, era praticamente
impossibile che il suo cervello venisse attraversato da pensieri di
natura distruttiva – di solito era attraversato da placidi pensieri
mangerecci e altri impulsi cerebrali assolutamente innocui. In quel
momento però, quello stesso pacifico cervello era impostato sul
pericoloso comando “Sas'ke! Sas'ke! Sas'ke!”, che a quanto pare
aveva il terrificante potere di interrompere tutti i collegamenti
sinaptici adibiti al controllo delle pulsioni e risvegliare invece la
secrezione intensiva di sostanze quantomeno nocive: non si spiegava
altrimenti il motivo per cui, nonostante Kabuto fosse chiaramente se
non del tutto incosciente, almeno in stato confusionale, il nostro
normalmente
benevolo eroe l'avesse afferrato per il colletto gridando che aveva
assoluta, impellente necessità di incontrare Orochimaru, perché –
aveva aggiunto nella foga – doveva decidere se spaccare la faccia a
Sasuke, magari strangolarlo con un filo del telefono – sembrava un
contrappasso azzeccato – o sbatterlo su un letto e farci l'amore
per i due mesi seguenti mentre guardavano film stupidi e intingevano
pomodori nel brodo del ramen.
Comprensibilmente,
questo elenco di propositi deliranti berciati da un ventiquattrenne
fanciullo non esattamente esile a cavalcioni sul corpo esanime d'un
poveraccio atterrato da lui stesso, aveva attratto un bel po' di
studenti e persino qualche docente delle aule accanto.
Il
risultato era stata un'attesa fuori da un'infermeria e la seria
minaccia di una denuncia, sedata momentaneamente solo grazie a Sai,
che testimoniò a favore di Naruto e contro la borsa che l'aveva
fatto inciampare – per la parte delle urla belluine, aveva scrollato le
spalle e manifestato l'intenzione di appellarsi all'insanità mentale in
sede di giudizio.
Quando
finalmente la concitazione si era ridotta, Naruto aveva già avuto il
tempo di chiedere scusa ventidue volte ad un Kabuto supino, prima
incosciente, poi seriamente dolorante, infine chiaramente incazzato.
«Le
ho già chiesto scusa molte volte» ribadì il nostro mortificato
eroe un quarto d'ora dopo, tenace. Nonostante le ottime credenziali
– occhi blu e la faccia d'un ragazzone che, invece di ucciderle, le
mosche le accompagna fuori dalla porta -, ciò che Naruto ottenne da
Kabuto furono solo occhiatacce e improperi, non tanto per le chiappe e
la nuca e la schiena lese, quanto per via degli occhiali: si erano
tragicamente sfracellati nella caduta. Il fatto che Sai avesse
aggiunto, in un sorriso: «fortunatamente a sfracellarsi non è stata
la sua testa», non aveva aiutato la disposizione d'animo
dell'assistente.
«Per
favore, voglio solo sapere dov'è Orochimaru! Poi prometto che se vi
va mi faccio arrestare!» proseguì però Naruto, inarrestabile ai
limiti della stoltezza, e che l'affermazione fosse stupidamente
illogica non aveva importanza; Sai del resto era troppo impegnato a
prendere appunti – sotto il titolo di “gesti eclatanti compiuti
per rinsaldare legami perduti”, qualunque cosa volesse dire nel suo
cervello bruciato – per preoccuparsi di far uscire il suo degno
compare d'avventure dalla modalità stalking compulsivo.
In
un ultimo afflato di speranza e senza curarsi del fatto che la mano
di Kabuto fosse ormai scivolata vicino ad un bisturi con chiari
intenti omicidi, Naruto riuscì anche a cacciare fuori il ritratto di
Sasuke e spalmarglielo praticamente sul naso: peccato che, con le
loro sette diottrie in meno, le pupille di Kabuto fossero totalmente
inette. In compenso, essere nuovamente molestato dal biondo
aggressore causò nel giovane ingegnere la definitiva crisi isterica
che si concluse con Sai che tirava via Naruto dalla traiettoria di un
bisturi, un'infermiera urlante e l'assoluta opposizione di Kabuto a
rivelare qualunque informazione su Orochimaru, fosse anche
semplicemente il suo numero di scarpe, perché non avrebbe mai messo
il suo maestro nelle mani di due schizzati chiaramente usciti da un
ospedale psichiatrico con chissà quali terribili intenti – magari
vivisezionare Orochimaru e mettere il suo geniale cervello in
formaldeide, per i posteri.
Infine,
sotto la minaccia di avvisare il vicino comando di polizia se in futuro si fossero azzardati a rimettere piede in facoltà, i nostri eroi si erano
decisi a levare le tende.
Naruto
aveva ubbidito a malincuore, con Sai a trascinarlo via per le spalle,
il sorriso cortesissimo da gelare il sangue usato come deterrente per
chiunque volesse avvicinarsi; infine si era rassegnato a farsi
condurre fuori dall'edificio, sotto il sole di mezzogiorno.
«Sono
molto dispiaciuto per la tua perdita, Naruto kun» tentò di
consolarlo da voce di Sai dopo un po', quando ormai si erano lasciati
alle spalle quella trappola architettonica della facoltà di
Ingegneria, che comunque incombeva imponente come una Morte Nera con
la sua ombra netta.
Naruto
storse il naso, distogliendo lo sguardo per portarlo sulla strada,
verso gli altri edifici – la facoltà di medicina salutava alta e
chiara contro il cielo fin troppo terso per il suo umore cupo.
«Mica
è morto, Sasuke» borbottò imbronciato, le mani nelle tasche e i
piedi a strusciare in terra mogi.
«Oh,
non ha importanza. Se non lo vedrai mai più è come se fosse morto,
no?»
«Davvero
Sai, secondo me hai scelto la facoltà sbagliata: non sei proprio
portato».
«Perché
dici così?»
Alla
fine, Sai insistette per offrirgli il pranzo e lasciargli persino il
numero di telefono, intontendolo di ciarle su come fosse produttivo
cercare di costruire una rete di rapporti sociali da mantenere viva
mediante momenti d'aggregazione – il pranzo, appunto – e
l'utilizzo della tecnologia delle comunicazioni, strumento che aveva
modificato il mondo della sociologia in modi che Naruto preferì
ascoltare solo distrattamente, molto preso dal masticare il suo
panino – solenne nostalgia quando i suoi denti incontrarono un
cetriolino.
Tornò
a casa senza fermarsi a cercare Sakura – ne aveva abbastanza di
infruttuose ricerche in edifici astrusi – e una volta lì, non si
sentì minimamente in vena di pulizie. Degnò i cartoni vuoti della
pizza di un'occhiata afflitta e tirò dritto in camera; ai due tonfi
mollicci delle scarpe lanciate alla rinfusa, seguì il cigolio delle
molle vecchie sotto il suo peso stanco e, con la faccia affondata nel
materasso, il nostro mogio eroe si sentì di nuovo la teenager più
stupida dell'universo tutto.
Oggettivamente,
non ne era uscito bene. Non gli era mai capitato di prendersela
tanto: insomma, aveva incontrato un tizio, ci aveva fatto del sesso
notevole e poi quello se n'era andato, tutto qui: mica da costruirci
chissà quale film.
E
però Naruto Uzumaki, ventiquattrenne, biondo, arancione,
omosessuale mollato random da uno stronzo random, nuovo fattorino a
tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen, non riusciva a
ripigliarsi. Non aveva buttato il ritratto di Sasuke, tanto per dirne
una: non l'aveva incorniciato e, anzi, in un impeto di rabbia l'aveva
anche accartocciato, ma ecco, era comunque rimasto lì, lanciato a
rimbalzare secco contro il muro e stanziatosi in un angolo,
silenzioso e triste.
Persino l'entusiasmo per la prima sera di lavoro non era riuscito a
tirarlo del tutto su,
neanche quando gli amici gli avevano fatto una sorpresa facendosi
recapitare l'ordine più abbondante direttamente a casa di Kiba –
aveva preferito non far loro sapere che aver dovuto consegnare sei
porzioni di ramen bollente dall'altra parte della città gli sarebbe
costato più in benzina che altro, ma erano così entusiasti e
amavano tanto la sua maglietta giallo evidenziatore col logo del
locale, che Naruto non
aveva avuto cuore di farglielo sapere.
Di
ritorno a casa, sul tardi, fare quei sette, consueti piani di scale
gli era parso lunghissimo e infinitamente noioso e, come se non
bastasse, era riuscito anche ad incontrare la vecchia Chiyo che,
annunciata dallo strusciare minaccioso delle solite ciabatte – ma
che diavolo ci faceva in giro a mezzanotte passata, poi? - gli aveva
brontolato «questa sera il vicinato potrà dormire o hai nuovamente
intenzione di darti alla sodomia fino a notte fonda? Ai miei
tempi...»
E
lì, Naruto, contrariamente alle proprie abitudini - in fondo la
vecchina era pedante e un po' rompicoglioni, ma non particolarmente
dannosa, inoltre aveva una certa ragione dalla sua riguardo gli
schiamazzi e lui cercava d'essere comunque sempre cordiale – era
stato sul punto di risponderle seriamente piccato. Solo che lei
l'aveva preceduto: squadratolo da capo a piedi, aveva sbuffato con
aria saggia e «Ti ha mollato, eh? Il mondo è pieno di idioti,
ragazzo, presto ne troverai un altro» aveva sentenziato, lasciandolo
così di stucco che, quando poi si era ritirata oltre il battente
della porta – senza però smettere di borbottare riguardo quanto i
giovani fossero chiaramente lenti di comprendonio, oltre che dei
patetici pivelli che non sapevano niente della vita – Naruto era
ancora immobile sul pianerottolo, le chiavi in mano e la bocca a fare
da rifugio per i moscerini.
Seriamente,
si era poi detto con decisione, dopo essersi chiuso la porta alle
spalle: non esisteva di stare così giù da doversi far consolare
dalla vecchia Chiyo. Si stava veramente scadendo nel patetico, e
tutto per un Sasuke. Un solo misero, stupido, maledetto stronzo di un
Sasuke qualunque.
Ne
trovava a frotte, di stronzi! La mamma degli stronzi è sempre
incinta, non a caso. Aveva ragione la vecchia: se proprio voleva uno
stronzo, se ne sarebbe cercato un altro, tutto qui. Mica da perderci
il buon umore.
«Io
sono Naruto Uzumaki, e scalerò l'Everest! Fanculo ai Sasuke!»
Lo
specchio del bagno gli rimandò il riflesso spettinato di un
fattorino di ramen istantaneo che era stato mollato poco più di
dodici ore prima. Non esattamente un'immagine idillica da pubblicità
dei cereali per la prima colazione.
Ciabattò
scocciato in cucina, dove ancora giaceva la sua sporcizia – colture
batteriche prosperavano tra televisione e divano. Lo stesso su cui si
buttò a peso morto, riuscendo anche a spostarlo di qualche
centimetro in un fracasso che, al solito, attivò il cane al piano di
sotto. Quell'animale necessitava seriamente di un tranquillante per
rinoceronti o di una lunga, lunga vacanza.
Infine
il nostro mogio eroe si rassegnò a se stesso: sapeva d'essere
stupido, così come sapeva che a prendere a cuore una cosa
simile avrebbe finito solo per farsi male, ma niente. O seguiva la
sua indole o doveva mettersi a litigare anche coi suoi organi
interni, oltre che con tutto il condominio, e lui non era portato per
i dissidi interiori da poeta maledetto, quella roba cervellotica da
persone profonde era meglio lasciarla a ragazze come Sakura. Lui era
uno stupido: glielo ripetevano dalla più tenera età, faceva parte
di lui e se essere stupidi significava seguire fino in fondo la via
che in quel momento gli pareva giusta allora va bene, probabilmente
lo era. Il più grande stupido del mondo. Il più grande stupido del
mondo che teneva tra le mani un ritratto scartocciato, rugoso e
sbaffato, uno stupido con il cervello saturo alla disperata ricerca di
un piano d'azione che
gli consentisse di frugare l'elenco degli iscritti alla facoltà di
ingegnomedicologia – quella roba lì.
Stava
quasi per chiamare Sai – non si sa se per masochismo o che altro -,
convinto comunque che lo psicopatico l'avrebbe aiutato anche se gli
avesse proposto qualcosa di illegale, tutto in nome dei suoi
complicati studi sociologici, ma quando già aveva scorso la rubrica
fino alla C di Coglione – appena sotto Cagnaccio, che corrispondeva
al cellulare di Kiba – si bloccò col pollice sul tasto verde,
preda d'un improvviso sgomento.
Poteva
essere una panzana, realizzò, come una scossa elettrica. Qualcosa di
molliccio si coagulò sul fondo del suo stomaco, a pesare di rabbia e
frustrazione contro la sua schiena, incassata nel divano cedevole.
Poteva
essere una palla, che ne sapeva? Magari Sasuke neanche si chiamava
Sasuke, magari era uno spostato sessuomane che si divertiva a
cambiare amante ogni sera e raccontava ad ognuno una storia diversa –
quell'Orochibutomaru era una personalità ben nota, no? Gliel'aveva
detto anche Sakura: lo Stronzo doveva essersi inventato una palla
pseudocredibile così, per farlo fesso. Effettivamente aveva pensato
che la facoltà di Ingegnerobiomedicamentosità fosse una roba
troppo assurda per esistere... Ah, no, okay, quella esisteva. Ma
restava comunque troppo assurda e...
«Che
palle!» rantolò, sprofondando ancora di più nell'imbottitura. Il
cellulare scivolò dalla sua mano e si sfracellò a terra, con
estremo disappunto del cagnetto idrofobo residente al sesto piano.
Un
mese dopo l'incresciosa avventura, il nostro eroe da Naruto Uzumaki,
ventiquattrenne biondo, arancione, omosessuale alla ricerca
dell'anima gemella, allegro e disoccupato, si era stanziato
morbidamente nella definizione di Naruto Uzumaki ventiquattrenne
biondo, arancione, omosessuale un po' sfiduciato nell'amore,
nonostante tutto allegro e ormai collaudato fattorino a tempo
indeterminato dell'Ichiraku ramen. Non era per nulla una brutta
vita, faceva duemila cose come al solito, sempre rumoreggiando molto,
e lo scorso fine settimana era anche riuscito a convincere il buon
vecchio Jiraiya, il suo pimpante padrino cinquantenne, a svagarsi con
lui in montagna. Nella fattispecie “svagarsi” nel vocabolario
narutesco significava “salire a picco su metri e metri di
parete verticale”, ma l'uomo, avvezzo al rischioso hobby del
figlioccio, l'aveva presa con filosofia.
Stare
con Jiraiya aveva quasi definitivamente rinfrancato l'arancioso
spirito del nostro eroe, che era quindi ritornato in città più vitale e attivo - come il bifidus, sì -, pronto a rituffarsi negli intrighi da telenovela
tessuti attorno a Ino dall'abile mente votata al romanticismo che
risiedeva nella scatola cranica di Sakura Haruno. I nuovi sviluppi
della vicenda comprendevano la comparsa di Sai, che aveva preso a
frequentare la congrega per via dei suoi studi sociologici – così
diceva lui. I risultati di questo nuovo sodalizio erano stati: farsi
odiare
enormemente da Sakura, venire giornalmente alle mani con Naruto e
finire tra le grinfie amorevoli di Ino, che gli
ronzava attorno apparentemente indecisa lei stessa su come muoversi
con un tipo tanto assurdo.
Quel dì Sakura aveva appena finito di esporre nuovamente il problema –
il
problema si chiamava quel pigro cialtrone di Shikamaru finirà per
farsela sfuggire! -, per poi perdersi a parlare del futuro con voce
mogia. Naruto ascoltò paziente e anche vagamente divertito tutta la
consueta trafila di propositi futuri: la sua migliore amica aveva un
piano dettagliato che
comprendeva lei e l'eterno amore – era fiduciosa che prima o poi
le sarebbe piovuto in testa - e una brillante carriera di cardiologa,
Naruto possibilmente accasato con un
brav'uomo di sani principi morali, Ino felicemente sposata con
Shikamaru, Chouji ammogliato con una ragazza bravissima, buonissima,
purissima e levissima e quindi probabilmente inesistente – non era
Chouji ad essere esigente, erano gli amici ad esigere che fosse
ripagato della sua santità con altrettanta santità - e Kiba e
Hinata circondati da un branco di cuccioli, sia umani che canidi, a
completare il quadro. E quindi ecco, spiegò seccata e diretta nella
cornetta del cellulare –
facile immaginarla mentre tamburellava col dorso della penna sulla
copertina di un manuale -, Sai stava scombussolando il suo schema –
eh, che ansia!
Prima
di sentirla esplodere come un coreografico fuoco d'artificio rosa,
Naruto si affrettò a tranquillizzarla: secondo lui l'unica donna che
Sai avesse mai conosciuto intimamente doveva essere sua mamma il
momento della nascita, per il resto del tempo probabilmente era
vissuto in una boccia di pesci rossi o in una capsula criogenica - e
questo spiegava anche il suo colorito praticamente cianotico.
«Basta
solo aspettare che Shikamaru si dia una mossa» concluse Naruto,
mentre cercava di rimettere in moto il catorcio che gli si era appena
spento su una salita appena più ripida; «Shikamaru si dà sempre
una mossa prima o poi. Abbi fede». Ed era vero, eh: Ino per ora
sembrava troppo persa tra gli studi e una comprensibile voglia di
divertirsi per accorgersi che l'uomo della sua vita stava dietro di
lei come una saggia, intelligentissima ombra paziente da quando i due
erano ancora in grembo a due madri in travaglio nella stessa corsia
d'ospedale, ma Shikamaru era un paziente stratega, e prima o poi le
cose si sarebbero assestate da sole.
Ecco:
ciarlare con Sakura aveva sempre la sua bellezza, peccato che dover
contemporaneamente evitare un incidente stradale, salvare tre
porzioni di ramen bollente dal suicidio sull'asfalto e risparmiarsi
possibilmente una multa succhiastipendio – anche perché non è che
il suo stipendio fosse questo gran capitale – rendesse l'attività
meno distensiva del consueto.
«Adesso
devo proprio andare, eh» salutò nella cornetta ammaccata,
lanciandole un in bocca al lupo per l'esame mentre imboccava una
curva a gomito. Parcheggiò in derapata – in realtà semplicemente
sbandò, urlando come una donnicciola quando per poco non si schiantò
contro un idrante – e Sakura a quel punto dovette ritenere che era
giunto il momento di attaccare, piuttosto che quello di mettersi a
rantolare di disperazione per l'esame imminente. Salutò
raccomandandosi di guidare piano e Naruto non le rispose male solo
perché stava cercando di sopravvivere e perché, beh, era Sakura.
Fosse stato Kiba avrebbe rimesso in moto il trabiccolo e sarebbe
andato direttamente a casa sua a fargli ingoiare l'olio del motore
per mezzo d'un imbuto.
Comunque,
alla fine il nostro eroe arancione raggiunse illeso il marciapiede, il
ramen ben impacchettato nella destra e sotto il naso il
foglietto dell'ordinazione, da recapitare a tale Hozuki Suigetsu al
civico ventitré.
Sul
citofono c'erano un bel po' di nomi, ma nessun Hozuki, così Naruto
si rassegnò a schiacciare l'unico pulsante privo di targhetta
leggibile, molto seccato con i soliti clienti approssimativi che
tendevano a fargli perdere inutilmente tempo. La sua stizza salì
notevolmente quando la risposta, solo dopo la terza scampanellata,
arrivò piuttosto seccata da una voce rude e piana. Il nostro
normalmente cordialissimo eroe fu degnato solo di un monosillabico
«sì» senza inflessione interrogativa e ci volle tutta la sua buona
volontà per non rispondere in maniera scortese. Dopotutto, il
cliente ha sempre ragione e perdere il lavoro per così poco era
fuori discussione, così il fattorino ingoiò un grumo di irritazione e
rispose:
«il ramen che hai ordinato», arrogandosi come risarcimento solo il
diritto di un informale tu.
Fu
ripagato da una sorta di sibilo scocciato e dai toni soavi di una
voce femminile che gridava – probabilmente da un'altra stanza –
una cosa sullo stampo del «lurida pozza, se è per te va' a
rispondere tu, non mandarci gli altri!» col tono d'una educatrice
per l'infanzia particolarmente piccata: al successivo rumore secco
che gli fece strizzare gli occhi, Naruto comprese che “gli altri”
- alias il mister simpatia addetto al citofono – gli aveva appena
sbattuto la cornetta in faccia. Stava per riscampanellare - il
dito già contro i pulsante, deciso ad attaccar briga e salire anche
solo
per rovesciare quel ramen in testa a Suigetsu Hozuki, chiunque egli
fosse -, quando l'apparecchio gracchiò di nuovo, quasi con timidezza.
«Siamo
al terzo piano, la prego di scusarci».
Il
nostro eroe, che era una persona di buon cuore – un cuore arancione
amante di tutte le creature – si addolcì di colpo: quel vocione
pacato, appena distorto dal citofono, raccontava una storia di pazienza
infinita – facile
crederlo, considerate le voci degli altri inquilini. Così,
ristabilita un poco di fiducia nella cortesia del genere umano,
Naruto si avviò oltre il poltrone, in un tramestio di ciotole e
scatolame.
Il
palazzo era vecchio e piuttosto inquietante, nella penombra di una
luce fioca. Le scale si inerpicavano ripide e strette, tutte tese
verso l'alto - cosa piuttosto sensata per una scala, ma in quel caso
pareva che per salire i gradini servisse un serio studio sul piano
inclinato e Naruto di piani inclinati non ne aveva mai voluto sapere
niente. Fortunatamente c'era l'ascensore o come minimo sarebbe
stato necessario tornare a casa a prendere l'attrezzatura per
arrampicare.
«Oh,
non bloccarti, per piacere» lo supplicò Naruto, quando a metà del
secondo piano le luci ebbero un fremito, ad accompagnare un sinistro
grattare di lamiere.
Non
appena le porte si aprirono, trasse un sospiro asmatico da fanciulla
in difficoltà, compensando poi con più virile scatto da maratoneta nel
momento stesso in cui poté fiondarsi fuori, del tutto incurante del
brodo sballottato – e in discesa avrebbe preso le infide scale,
altroché.
«Visto?
Sei salvo!» ragliò rivoltò alla confezione di ramen da asporto,
dentro cui stavano le ciotole impilate ordinatamente da Teuchi in
persona.
«Ma
che fai, parli da solo col ramen? Bell'animale strano che sei».
Le
sopracciglia di Naruto si aggrottarono del tutto spontaneamente
quando il suo collo ancora non s'era voltato; lo fece un attimo dopo,
portandosi dietro l'opportuna espressione un po' perplessa un po'
incazzosa, che però si sciolse all'istante non appena gli occhi
incontrarono la figura incorniciata dalla porta aperta. Lì sotto, un
po' in ombra per via della luce proveniente dall'interno della casa,
alle sue spalle, stava Suigetsu Hozuki. Suigetsu Hozuki che era un
tizio assurdo coi capelli azzurri, col sorriso da squalo e lo sguardo
da pazzo; un tizio assurdo che Naruto aveva già visto.
«Saaasuke,
tu mangi?» si intromise la voce acuta della ragazza, portandosi
dietro la ragazza stessa, occhiali dalla montatura spessa e capelli
rossi compresi nel pacchetto. Si affacciò quasi buttando a terra il
coinquilino, l'amico, il tizio, chiunque fosse per lei Suigetsu
Hozuki, sempre che quello fosse Suigetsu Hozuki. E lo era, perché
poi spuntò anche la testa altissima di un tizio altissimo - lo
stesso tizio altissimo che- sì, insomma, quello. Quello del succo di
frutta – e fu appellato con un lagnoso «Juugo, ce l'hai da
cambiare?» da Suigetsu Hozuki in persona. E il nostro perspicace
eroe spalancò la bocca, illuminandosi dall'interno ancor prima che
quello, Juugo, rispondesse in modo alquanto incoerente con «Sasuke
ha detto di dirvi “morite”. Credo significhi che non cenerà con noi».
Al
che, al diavolo Suigetsu Hozuki che cercava di mettergli una
banconota in mano e di ritirare il suo sacrosanto ramen, quello era
tutto ciò che Naruto aveva bisogno di sentire per far scattare il
suo personalissimo blitz.
Fare
irruzione in un appartamento privato è illegale. Fare irruzione in
un appartamento privato urlando «bastardooooo!» e buttando
all'aria Suigetsu Hozuki con una spinta è criminale, specie se poi,
non contento, utilizzi uno scatolone pieno di ramen bollente a mo' di
ariete per sfondare la difesa di Juugo e catapultarti in un corridoio
non tuo di una casa non tua mentre una Karin strepita che «Devi solo
provare ad avvicinarti, sono cintura nera di karate!» –
affermazione poco credibile urlata brandendo un portaombrelli a mo'
di clava.
Il
nostro eroe non era un criminale, ma pareva che, da quando Sasuke gli
era capitato tra i piedi, fosse stato propenso a darsi al terrorismo
e alle aggressioni con una facilità che sarebbe risultata come
minimo preoccupante se analizzata da Sai, per esempio, e che invece
era scivolata felice nello scomparto “cose che vanno fatte perché
il tuo corpo lo decide da solo” - un ampio loft nel cervello,
proprio accanto allo sgabuzzino in cui era rimasto intrappolato il
buonsenso, un dì che il nostro eroe non sapeva ancora parlare e già
si produceva in immani cazzate: quella che si dice la predisposizione
genetica.
In
ogni caso, anche quando Karin aveva già tirato fuori il cellulare
per contattare la polizia, i carabinieri e l'esercito – come stava
sbraitando alquanto infervorata – Naruto non si era fermato:
seguendo il suo istinto animale, o forse solo perché non è che il
posto fosse così grande, aveva sfondato una porta con un calcio
diretto dato con tutta la sua forza, proprio come nei telefilm con
l'FBI che butta giù usci randomici senza neanche mezzo mandato di
perquisizione o simili. Ovviamente, si trattava di una di quelle cose
che, appunto, succedono solo nei film: l'unico motivo per cui la
porta effettivamente cedette contro il piede di Naruto, sbilanciando
lui direttamente dentro la stanza, fu che l'occupante avesse scelto
quel momento esatto per aprirla, tra l'altro ringhiando «volete
stare zitti?» col tono d'uno che fosse stato interrotto mentre era
ad un passo dallo scoprire il vaccino contro il cancro.
Sasuke
non aveva scoperto un bel niente, a dirla tutta: aveva solo aperto la
porta ed era rimasto lì, con una faccia da vampiro appena emerso da
una cripta, ed effettivamente quella stanza ombrosa, lunga e stretta,
somigliava un po' ad una bara. Sasuke invece, agli occhi di Naruto,
somigliava a qualcuno che a breve ne avrebbe avuto bisogno, di una
bara. E di un catafalco e di un officiante al rito funebre o, nel
migliore dei casi – suo buon cuore permettendo –, almeno di un
bravo ortopedico. Il pensiero omicida fu fugace, comunque, perché il
nostro eroe era troppo preso dalla catartica sensazione delle sue
nocche che impattavano contro la faccia di Sasuke, tutte le energie
concentrate nel pugno e nelle corde vocali che gridavano «tuuuu!»,
in un'ammonizione ancestrale di rivalsa per tutti gli amanti
abbandonati di tutto l'universo di tutti i tempi, o qualcosa di epico
su questa linea.
Naruto
ricominciò a respirare solo una volta constatato di non aver
effettivamente ucciso Sasuke: gli era semplicemente caduto sopra per
accompagnare lo slancio del pugno nel tentativo di fargli il più
male possibile e adesso quello, lo stronzo contuso, se ne stava sotto
il suo peso a guardarlo stralunato e – ma presumibilmente su questa
considerazione influiva il giudizio dell'amante abbandonato –
irrimediabilmente facciadicazzomunito.
La
situazione statica durò ben tre lunghi, silenziosi secondi – fatta
salva Karin che litigava con il centotredici perché, sosteneva lei,
«stanno ammazzando il mio coinquilino e voi mi lasciate minuti
interi ad ascoltare Rihanna?! Cos'è, oltre al danno la beffa?» –,
finché Naruto non fu ripagato d'un cazzotto altrettanto
significativo: il colpo lo ribaltò sul pavimento come un'omelette,
cosa che parve tranquillizzare l'ombra imponente di Juugo, giunto in
silenzio a fare le veci del tutore dell'ordine.
Naruto,
stordito, era comunque troppo preso da Sasuke – Sasuke, Sasuke!
Dattebayo! - per preoccuparsi di cosa un omaccione uno e
novanta avrebbe potuto fargli se avesse insistito nel tentare di
ammazzare a pugni il suo coinquilino; incurante delle conseguenze –
la più probabile delle quali contemplava la sua ospedalizzazione con
lo stampo delle nocche di Juugo impresse sul suo naso a memoria
imperitura dell'inviolabilità dell'altrui domicilio -, aprì la
bocca fumando dalle orecchie, la cartuccia di insulti già pronta
sulla punta della lingua e l'indice puntato. Sasuke però fu svelto
e, piuttosto che perdersi in chiacchiere, trovò più produttivo
assestargli un altro cazzotto e spedirlo dritto contro una pila di
libri. Mezzo skyline della scrivania ingombra crollò insieme a
Naruto sul pavimento e, solo quando la granitica zucca del nostro
eroe andò a collidere con lo spigolo di una tesi di laurea rilegata,
Sasuke parve ritenersi relativamente propenso ad evitare di
infliggere altro dolore al giovane Uzumaki.
«Ganzo,
una rissa! Io scommetto su Sasuke, senza offesa» commentò la testa
di Suigetsu, che sporgeva curiosa dal corridoio, incurante della
tensione palpabile.
«Fuori»
sillabò solo Sasuke, secernendo veleno a fiumi, senza neppure
voltare il capo.
La
mano di Juugo, silenziosa e discreta, spuntò fuori dal nulla e
chiuse piano la porta, ancor prima che Karin avesse il tempo
d'affacciarsi curiosa; Naruto ne seguì il guizzo di capelli rossi
con la vista appannata, sconvolto, finché Sasuke non riprese parola,
pronto a frustare l'aria ad ogni sillaba, le palpebre strette e le
braccia conserte.
«Che
diavolo ci fai qua».
Naruto
si guardò attorno per un momento, stralunato, il sedere sul
pavimento freddo e un crollo di grattacieli librari che, integerrimi,
continuavano a franargli accanto. Fece quasi per cercare di
raccogliere il disordinato disastro; realizzò l'assurdità del gesto
che già aveva messo mano ad un librone di analisi matematica. Lo
guardò fissò per un momento, prima di lasciarselo cadere dietro,
alla rinfusa.
«Tu-
io. Tu!» in un colpo si ricordò che doveva essere lui a picchiare
Sasuke, non il contrario, e il pensiero gli diede abbastanza energie
da permettere alle sue gambe di riportarlo in piedi. «Tu sei
sparito!»
Sasuke
guardò l'indice puntato contro la sua fronte come fosse pronto a
staccarlo con un morso.
«Come
sarebbe “sei sparito”, razza di imbecille patentato» sfrigolò,
rovente. «Io non sono sparito, tu sei sparito».
Lì
per lì, col cervello inceppato, il nostro eroe tentò di valutare
quelle parole con razionalità, sebbene il vociare di Suigetsu e
Karin che, dietro la porta, bofonchiavano «cantagliele, Sasuke!»
senza evidentemente aver capito un fico secco ma divertendosi un
mondo, non lo aiutasse nell'ingrato compito. Alla fine optò per
schiudere la bocca e rantolare un verso interrogativo di molto simile
al cigolio di cardini mal oliati che, comunque, parve sortire
l'effetto sperato: Sasuke, da che teneva le palpebre assottigliate in
assoluto spregio e ira, contrasse le sopracciglia, per rivolgergli
una lunga occhiata indagatrice.
«Tu
non sei analfabeta, vero?» domandò sospettoso, e pareva talmente
serio che nello stomaco di Naruto si risvegliò nuovamente un istinto
omicida – non esattamente sopito – dalle fattezze di demoniache
zanne in un ribollire rosso di rabbia decisamente mal trattenuta. In
procinto di ruggire fuori serie minacce alla salute dell'altro, il
nostro furibondo eroe avanzò di due passi e fece per acchiappare
Sasuke per le spalle e quantomeno strapazzarlo – magari scuotendolo
si scopriva definitivamente che nella sua testa non c'era
nient'altro che tanta stronzaggine raccolta in una densa sfera nera:
se ne sarebbe sentito il suono di rimbalzo sulle pareti del cranio.
Gliele
aveva già acchiappate, le spalle, la faccia a due millimetri dal suo
naso indisponente, quando di colpo, arrivò l'epifania.
«Perché
pensi che sia analfabeta?» boccheggiò, e Sasuke ebbe persino
l'ardire di storcere il naso per via del suo alito. Si astenne almeno
dal prodursi in qualche poco pertinente lamentela ed emise un basso
grugnito seccato.
«Non
l'hai letto» concluse, chiudendo gli occhi per un breve momento –
parve ad un passo dallo spalmarsi una mano in fronte e ruggire di
noia. «Ti ho lasciato un biglietto, mentecatto. Dovevo lasciare il
gas aperto e ucciderti, piuttosto. Avrei fatto un favore al mondo».
Ma
Naruto non lo sentì, registrare la minaccia di morte era
assolutamente superfluo. Un biglietto. Un biglietto. Un.
Biglietto. Un biglietto come le persone normali!
«E
dove cavolo sarebbe questo biglietto?!» sbottò poi, sballottando
Sasuke come un sacco di patate, tanto da meritarsi un pestone. Si
disinteressò anche a quello – che probabilmente si sarebbe
rivelata essere una frattura composta dell'alluce - e fece quasi per
mettersi a frugare in quella stanza in cerca del biglietto in
questione; fortunatamente si astenne, così da consentire a Sasuke di
assestargli un pizzico per indurlo a staccarsi, brontolare qualche
altro insulto a suo carico – tutti riguardanti
le dimensioni microscopiche del suo cervello - e spiegargli,
adottando il tono seccatissimo da impiegato delle poste a due minuti
dalla fine del suo turno, che non ne aveva la più pallida idea, che
se la sua casa era un maledetto porcile la cosa non lo riguardava
minimamente e che comunque anche se lo avesse trovato, quel dannato
biglietto, sarebbe stato troppo
stupido per riuscire a leggere la sua grafia, quindi tanto meglio
così. Peccato che al nostro impavido eroe non fregasse nulla di
nulla di quel blaterio rissoso da gatto arrabbiato, preso com'era a
vagliare le alternative: biglietto? Che biglietto? Dove stava quel
biglietto, perché non aveva visto il biglietto?
«Sasuke,
porca miseria, dove l'avevi scritto?!» sbraitò, tornando a
sbatterlo come un tappeto – e stavolta partì il gancio sotto il
mento: la lingua del nostro eroe ne uscì male. Qualcuno dietro la
porta sobbalzò tanto da dare una botta al battente e gridò «che vi
dicevo? ho vinto!»: era la voce di Suigetsu.
«Su
uno di quei tuoi merdosi volantini gialli, dannato fattorino del
cazzo!» replicò Sasuke, le staffe ormai perse a passeggiare nello
spazio aperto assieme alla pazienza e al controllo di sé.
Su
uno di quegli merdosi volantini gialli, tipo il volantino giallo che
si era ritrovato addosso al mattino, quello che aveva lasciato cadere
nella foga di ritrovare il Sasuke perduto, quello che aveva spinto
col piede sotto il divano; lo stesso divano sotto il quale lui non
puliva mai perché tanto nessuno lo avrebbe spostato e allora che
importava?
Naruto
si sventolò la lingua dolorante, senza fiato.
«E...
Eh 'he 'ehra 'hitto?»
«Cosa
ha detto?» domandò la voce di Karin, turbata. Sasuke la ignorò.
«Che
vuoi che ci fosse scritto, decerebrato? Dovevo andare
all'università».
«All'università,
a bioingegnoseria medicale da Orochibuto!» si rispose da solo il
nostro eroe, sorvolando eroicamente – non per nulla era, appunto,
un eroe – sulle papille perdute e sul dolore; e al diavolo l'aver
mescolato due o tre cose insieme. Sasuke annuì in uno sbuffo, prima
di specificare con saccenza: «Orochimaru, il relatore della mia
tesi. Mi dovevo laureare, imbecille, ero in ritardo. Ti avevo scritto
il numero».
E
al diavolo anche gli insulti: Naruto era leggero come un sufflè,
mentre ancora sbatacchiava Sasuke come un salvadanaio, incurante del
fatto che lui stesse cercando di divincolarsi a pugni – non che il
nostro
ormai esaltato protagonista se ne fosse accorto, impegnato com'era a
latrare: «questa cosa non ha senso! Il giorno prima della tua laurea
stavi in giro a fare sesso?!» praticamente sulla sua faccia. Neanche
i sibili oltraggiati di Sasuke riuscirono a smorzare l'entusiasmo:
non era stato mollato! Sasuke era chiaramente un sessuomane, ma non
l'aveva mollato! E gli aveva anche-
«Il
numero! Il numero!»
«Sì,
sai, quella sequenza che si digita su un apparecchio telefonico per-»
«Mi
hai lasciato il numero!»
«Mi
sto domandando perché l'ho fatto».
Che
stronzo, pensò Naruto, spintonandolo. Che stronzo! E, in coerenza
con le trenta pagine precedenti, la costatazione lo portò solo a
zittire lo stronzo con un bacio, che fu tra l'altro radiocronacato da
un urletto di Karin, occhio alla serratura; Sasuke borbottò qualcosa
di indistinto sulle coinquiline yaoifangirl e i coinquilini idioti
che ordinano ramen in posti pieni di usuratonkachi.
«Sei
veramente uno stronzo laureato» conclusero le labbra di Naruto, dopo
aver deciso che era più saggio zittirlo rubandogli altro ossigeno
per un congruo numero di secondi.
Sasuke
si strinse nelle spalle.
«Beh,
effettivamente adesso sono laureato».
Ci
sarebbe stato da aggiungere qualcosa sulla parte dello stronzo,
ma l'unico altro pensiero sensato che il cervello di Naruto riuscì a
formulare, solo un momento prima di spintonare Sasuke sul letto,
guadando il pavimento disseminato di libri e pestando quella
maledetta tesi di laurea, fu che – per gli dei – finito lì, come
minimo Naruto Uzumaki, ventiquattrenne arancione, biondo,
felicemente sasukesessuale a tempo indeterminato, fattorino a tempo
altrettanto indeterminato dell'Ichiraku Ramen, quel numero di
telefono se lo sarebbe fatto tatuare sulla fronte.
Sei
un imbecille e io dovrei soffocarti nel sonno, non scriverti un
biglietto.
Le
tre e trentasette cosa, mentecatto? La tua sveglia è ferma, rotta. Un
catorcio, come la tua stupida testa abitata da
quell'ammasso di cellule che ti ostini a chiamare cervello: non sono le
tre e trentasette, sono le
otto passate e per colpa tua io sarò la prima persona al mondo ad
arrivare tardi alla sua stessa seduta di laurea (sei un imbecille, ti
odio. Ah, e russi: giusto perché tu lo sappia e non mi venga a dire
che quello che russa sono io). Non ho tempo di soffocarti nel sonno,
forse lascerò il gas aperto: se leggerai questo biglietto vorrà
dire che ti avrò risparmiato la vita per un mio capriccio. Sii
consapevole e ringraziami come si deve, magari usando il telefono (i
misteriosi numeri scritti lì in alto, se digitati in sequenza sulla
tastiera di un cellulare, ti permetteranno di parlarmi a distanza: te
lo spiego nel caso non lo sapessi, data la tua natura di inutile
cercopiteco ignorante).
E
guarda che merde di biglietti chilometrici mi fai scrivere, idiota.
Su uno stupido volantino giallo, poi.
Quasi
quasi lo accendo davvero, il gas.
Muori,
usuratonkachi.
Ti
odio.
Sasuke (Uchiha, babbeo. Il piacere è tutto tuo)
Nda
Ahn... no, okay, meglio se resto in un dignitoso silenzio. Solo, grazie
ai
sopravvissuti che hanno speso tempo prezioso a leggere questa
cavolata.
Comunque sì: Scontata Idiozia è il mio nome di battesimo e Suigetsu
deus ex machina è una cosa che se non la scrivi non ci credi, ma io
l'avevo detto che era una cretinata *piagnucolii*
Parlando
d'altro,
auguri a ssscarkun *sibilo*: la nostra luminescente, sommergibile,
ignifuga pissicologa
iperimpegnata! Considerato il poco tempo che
hai e la tua predilezione per cose decisamente più impegnate e
profonde, appiopparti 'sta stupidata è stata UN'IDEA CRETINA, ma non è
che abbia mai dato a intendere d'essere intelligente, io (altrimenti
suppongo non scriverei cose simili). Comunque dentro c'è tanto amore ùù'
'Kay,
mh. Leggi solo gli auguri: auguri! **