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Autore: LilithJow    14/07/2012    2 recensioni
Il mio nome è Samantha Finnigan. Sono nata e cresciuta a Rossville, una cittadina con poco più di mille abitanti nell'Illinois, Stati Uniti.
Sto per compiere ottanta anni.
Ho vissuto una vita meravigliosa, ho avuto un marito affettuoso e tre fantastici bambini.
Ma non è di questo che sto per scrivere. Sono convinta che alla gente piacerebbe leggere di una grande storia d'amore, con un bel lieto fine, ma purtroppo io e i lieti fine non siamo mai andati d'accordo.
Ciò che state per leggere, perchè se adesso avete queste righe sotto gli occhi, presumo lo stiate per fare, non ne ha neanche l'ombra, o, per meglio dire, dipende dai punti di vista.
Voglio raccontarvi di un periodo particolare della mia vita, di molti anni fa, cinquantacinque per l'esattezza. Per me è come fosse ieri, forse perchè non ho mai dimenticato quello che successe. Impossibile farlo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 I giorni che seguirono quel momento a dir poco fantastico, furono probabilmente i migliori della mia vita. Rimanevo a casa spesso, inventando sempre nuove e buone scuse per non andare al lavoro. Daniel le prime volte si sforzò di convincermi che quella non fosse una decisione saggia, che comunque lui avrebbe potuto stare con me anche in ufficio, ma per me non sarebbe stato lo stesso.
Mi piaceva restare semplicemente sdraiata sul letto, avvolta tra le lenzuola, a fissare il suo viso, senza dire assolutamente niente, e a volte sporgermi verso di lui per baciarlo teneramente sulle labbra.
Daniel, tuttavia, in quel periodo sembrò cambiare. Era più silenzioso – ancor di più del solito – e cupo, il che mi fece preoccupare. Non osai però chiedergli cosa avesse, almeno non subito. Avevo paura di una risposta che non mi sarebbe piaciuta e ciò avrebbe distrutto quella sensazione di benessere e pace che mi aveva avvolto in quell'istante.
Ma quando lui smise persino di rivolgermi uno sguardo, mi sentii assolutamente persa.
Quella mattina, Daniel era in piedi davanti alla finestra. Fissava fuori, oltre il vetro, chissà cosa. Probabilmente non stava guardando niente, il vuoto. Io ero ancora a letto. Non avevo dormito molto quella notte, mi sentivo terribilmente stanca, ma non era importante.
Mi alzai lentamente, abbandonando il materasso, e lo raggiunsi, abbracciandolo da dietro. Posai il mento sulla sua spalla ed entrambe le mani sul suo petto.
“Cos'hai?” mormorai. Non ottenni subito una risposta. Lui esitò, come sempre, sospirando appena. “Andiamo, io..” continuai “purtroppo non sono come te, non posso sentire cosa provi. Ma tu senti quello che provo io, quindi sai che sono preoccupata per te”.
“Lo so” sussurrò lui. Portò le mani sulle mie e, come al solito, rabbrividii al tocco gelido della sua pelle. “Ho solo... Paura”.
“Paura di cosa?”.
Daniel esitò ancora. Non so se fosse possibile, ma in quel momento mi parve di sentirlo tremare.
“Come angelo” disse, a bassa voce “non mi sono comportato... Bene”.
Aggrottai le sopracciglia alla sua affermazione. Era vero che di angeli e quindi di questioni angeliche non sapevo quasi nulla, eppure ero a conoscenza del fatto che il suo obiettivo fosse rendermi felice e lo faceva: Daniel era la mia felicità, in tutto e per tutto. “Io invece credo tu sia il migliore angelo esistente” replicai, allora.
Daniel accennò una risata, pienamente sarcastica, e distaccò il mio abbraccio, in maniera del tutto non delicata. Quando incrociai i suoi occhi, rividi quel velo grigio di tanto prima. Odiavo quel colore, soprattutto se copriva quei due fari azzurri.
“No!” esclamò, quasi urlando. “No, no, no, tu non capisci. Non sai a quali regole devo obbedire. Non avrei dovuto toccarti e lasciarmi toccare, non avrei dovuto spingere il mio amore per te a crescere.. Se loro vengono a saperlo...”.
“Loro chi?”.
Odiavo quando menzionava un 'loro', perchè io non sapevo a chi si rivolgesse. Per chi 'lavorava'?  Perchè lo faceva? Volevo saperlo, sebbene non fossi convinta del fatto che un semplice essere umano potesse farlo.
“Non posso... Dirti chi sono” rispose lui, con tono più basso rispetto a poco prima “ma se vengono a sapere tutto questo, le cose che succederanno non saranno affatto buone”.
Fui io a ridere quella volta, ironicamente. “Sono settimane che interagiamo in questo modo” esclamai “Non credi che loro, chiunque essi siano, non l'abbiano già scoperto e non abbiamo fatto assolutamente nulla?”.
“Loro possono sapere tutto. Io sono solo... Parecchio bravo a nascondermi”.
Lo vidi spostarsi nella stanza, mentre passava una mano tra i capelli biondi, scompigliandoli appena, finchè non si sedette sul letto sfatto. Io non ebbi il coraggio di raggiungerlo: sembrava esausto, stanco, come se stesse per avere un crollo emotivo. Gli angeli potevano averlo?
Mi limitai ad andargli davanti, stringendomi nelle spalle e rimanendo immobile, a fissarlo. “Cosa potrebbero farti?” chiesi, con timore. “Se ti scoprono, intendo...”.
Daniel non rispose. Tenne lo sguardo basso per qualche minuto. Mi sembrò di vedere una lacrima solcare il suo viso, ma quando rialzò gli occhi, tutto era perfettamente a posto e asciutto.
Io avanzai ancora, fino a ritrovarmi in ginocchio davanti a lui. Presi le sue mani, stringendole tra le mie, e lo guardai.
“Devo andare” sussurrò.
“No, Daniel, aspetta, tu non...”.
Non ebbi modo di finire la frase: le mie mani si ritrovarono a stringere il nulla. Probabilmente aveva già rivelato troppo e non voleva spingersi oltre un certo limite, sebbene, a suo dire, lo avesse già fatto

Non mi preoccupai molto per la sua improvvisa sparizione e assenza. Erano molte le volte in cui si dissolveva senza preavviso e tornava dopo qualche ora, senza degnarmi di una spiegazione logica.
Ma le ore divennero giorni e fu allora che mi sentii divorare completamente dall'ansia.
In tutto quel tempo, mi ritrovai a mettere a rassegna innumerevoli ipotesi, alcune credibili e razionali, altre colossalmente inverosimili – anche se, per quello che mi stava succedendo, niente poteva esser considerato effettivamente reale.
Considerai il fatto che loro – loro, loro, LORO! Odiavo non sapere di chi stavo parlando – lo avessero scoperto e gli avessero fatto qualcosa; oppure che il mio bisogno di lui fosse cessato. Ma era impossibile: mi mancava terribilmente.
Pensavo a Daniel in continuazione, di giorno, a lavoro - mi ero costretta ad andarci, per distrarmi- dove venivo perennemente richiamata a causa del mio essere mentalmente assente, e di notte, quando l'insonnia regnava sovrana.

Passarono tre giorni.
Furono pregni di agonia, di panico, d'angoscia. Io stavo lentamente morendo senza nemmeno accorgermene. La sua assenza mi faceva male, mi lacerava il cuore. Se anche fosse andato via per il mio cessato bisogno, avrebbe potuto darmi l'occasione di dirgli addio; ma non lo aveva fatto, era semplicemente scomparso, senza dire niente, il che mi spinse, per un momento, ad odiarlo.
Ma durò tutto molto poco.
Il quarto giorno, quando tornai a casa, distratta come al solito, un tonfo provocato da un vaso di vetro che si infrangeva a terra, mi fece sobbalzare e richiamò la mia attenzione. Proveniva dal salotto ed è lì che corsi.
Vidi Daniel accasciato sul pavimento, mentre teneva una mano premuta sulla spalla destra. Mi parve di vedere sangue, pensai subito ad un'allucinazione: era un angelo, gli angeli non potevano sanguinare.
Ma quando lui alzò gli occhi e scorsi delle lacrime che gli riempivano gli occhi, realizzai che non era affatto una visione.
Mille pensieri mi corsero per la testa, ma non c'era il tempo di esaminarli tutti.
Mi precipitai da Daniel, aiutandolo ad alzarsi, finchè non riuscii a farlo sedere sul divano. La sua spalla sanguinava davvero: c'era una brutta ferita che aveva strappato gran parte della sua maglietta azzurra.
Corsi, allora, al piano superiore e recuperai la cassetta del pronto soccorso. Non sapevo nemmeno se sarebbe servita: lui non era umano, come poteva qualcosa del genere curarlo?
Il problema era che non avevo altre idee. Presi garze e disinfettante e tornai da Daniel, in salotto. Non si era mosso. Cominciai a medicarlo, lui sobbalzò quando gli tamponai la ferita.
“Che è successo?” chiesi. “Non ti azzardare a dire che non puoi rivelarmi niente, Daniel. Sei ferito, io devo sapere”.
“Discussioni con i piani alti” replicò lui, con voce impastata.
“Sono loro? Quelli che per me non hanno ancora un nome...”.
“Non hanno un nome. Comandano tutti gli angeli e basta”.
Sbuffai. Se restava così criptico con me, non ero in grado di aiutarlo e odiavo il fatto di essere inutile, soprattutto in qualcosa che riguardava l'amore della mia vita.
“Come mai sei ferito?” cambiai argomento “non credevo che gli angeli potessero sanguinare”.
“Non possono, infatti” replicò lui, facendo una smorfia a causa della pressione che esercitai sulla ferita. “Mi hanno tolto le ali” aggiunse, poco dopo.
“Le ali?”.
“Sono quelle che... Ci rendono angeli e ci danno quasi ogni potere che da essere tale deriva, come scomparire all'improvviso o nasconderci dagli umani”.
“Vuoi dire che...”.
“Che in questo momento, chiunque può vedermi, umani e non. Il che mi rende estremamente più vulnerabile a coloro che vogliono uccidermi per aver disobbedito”.
“Tu sei già morto, Daniel. Come puoi morire di nuovo?”.
Daniel socchiuse appena gli occhi, mentre io riuscii a sedermi accanto a lui. Sarei svenuta, se solo fossi rimasta ancora in piedi.
“Gli angeli hanno una gerarchia” disse lui “hanno delle leggi e delle regole da rispettare. E se esistono regole, allora ci sono anche le punizioni per chi le infrange. Per tutto ciò che ho fatto, mi tocca la pena massima”.
“E quale sarebbe?”.
“La morte vera”.
“Che vuol dire?” domandai ancora. Tremavo e lo stesso, seppur in maniera meno evidente, faceva lui.
“Coloro che diventano angeli dopo la morte umana” sussurrò “sono già angeli dal momento in cui la loro vita comincia. Sono quasi tutte quelle persone che muoiono giovani, dieci, quindici anni, o meno. Divenendo angeli, possono vivere per sempre, proteggendo gli umani e svolgendo bene il loro lavoro. Ma questo purtroppo non accade sempre, perchè tutti gli angeli sono stati umani e quindi conservano ancora quelle emozioni, soprattutto nel primo periodo. Ci è vietato attaccarci troppo a chi proteggiamo, altrimenti veniamo puniti, morendo davvero. Scomparendo, dissolvendoci come se non fossimo mai esistiti. A noi non aspetta né il paradiso né l'inferno, solo un'eternità di solitudine a proteggere persone che nemmeno sono a conoscenza della nostra esistenza, o almeno, è così nella maggior parte dei casi. A volte, come nel tuo caso, ci è permesso mostrarci a chi proteggiamo, senza dire loro la verità, cosa che io non sono stato in grado di fare”.
Ascoltai le sue parole in silenzio, mentre il senso di ansia e angoscia aumentava a dismisura. Mi ero convinta del fatto che, essendo lui un angelo, non avrebbe mai potuto sparire del tutto; che anche se il mio bisogno di lui fosse scomparso e lui se ne fosse andato davvero per sempre, in qualche modo avrebbe sempre vegliato su di me. E invece non era così: potevo ancora perderlo in maniera definitiva, senza aggrapparmi alla convinzione che sarebbe stato bene, da qualche parte, su nel cielo.
In più mi sentivo in colpa, per averlo spinto a violare tutte quelle leggi, sebbene nemmeno sapessi della loro esistenza.
“Non possono farlo” singhiozzai, stringendo di riflesso le sue mani.
“Possono. Possono e lo faranno” disse lui. “Mi hanno tolto ogni potere, così che sia più facile togliermi di mezzo. Non avrei nemmeno dovuto venire qui, ma se... Ma se devo dissolvermi, non volevo farlo senza prima aver visto per un'ultima volta il tuo viso”.
Avevo iniziato a piangere, senza rendermene conto. Le lacrime scivolavano inesorabili e costanti sul mio viso, mentre io continuavo a fissare il viso di Daniel, che mi diceva addio.
Quello era un addio ed era inevitabile.
Non ero pronta.
Non ero assolutamente pronta a rinunciare a lui, non in quel modo, non senza nemmeno provare a combattere. Del resto, si trovava in quella situazione a causa mia, a causa della mia testardaggine, alla mia presunzione che mi spingeva a voler sapere tutto, sempre e comunque.
Presi il suo viso tra le mani e poggiai la fronte sulla sua, tentando di infondermi coraggio, almeno per un po', per riuscire a parlare. “Ascoltami” mormorai “sono stata a guardare mentre morivi una volta e credo che rimarrà sempre il rimpianto più grande della mia vita. Non lascerò che la storia si ripeta, non posso. Questa volta non permetterò a niente e a nessuno di farti del male”.
“Tu non... Non puoi fare niente contro di loro, Sam” sussurrò lui, ma mi affrettai a zittirlo con un bacio delicato, sulle labbra. “Possiamo scappare” sussurrai.
“Dovremmo scappare per sempre”.
“Allora scapperemo per sempre, insieme”.
Tra le lacrime, mie e sue, lo vidi sorridere. Il sorriso di Daniel, seppur misto a tristezza, era in grado di illuminare perfettamente quella stanza.
“Ti amo così tanto” biascicò.
“Lo so” replicai io, usando le sue parole ogni volta che io glielo sussurravo.
Non avevo idea di quel che stavamo facendo, né di cosa ci sarebbe successo. Avevo una tremenda paura di perderlo e di perderci. Mi stavo mettendo contro l'ignoto, ne ero ben consapevole, ma per Daniel... Beh, per lui, avrei fatto di tutto.

  
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