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Autore: LilithJow    19/07/2012    1 recensioni
Il mio nome è Samantha Finnigan. Sono nata e cresciuta a Rossville, una cittadina con poco più di mille abitanti nell'Illinois, Stati Uniti.
Sto per compiere ottanta anni.
Ho vissuto una vita meravigliosa, ho avuto un marito affettuoso e tre fantastici bambini.
Ma non è di questo che sto per scrivere. Sono convinta che alla gente piacerebbe leggere di una grande storia d'amore, con un bel lieto fine, ma purtroppo io e i lieti fine non siamo mai andati d'accordo.
Ciò che state per leggere, perchè se adesso avete queste righe sotto gli occhi, presumo lo stiate per fare, non ne ha neanche l'ombra, o, per meglio dire, dipende dai punti di vista.
Voglio raccontarvi di un periodo particolare della mia vita, di molti anni fa, cinquantacinque per l'esattezza. Per me è come fosse ieri, forse perchè non ho mai dimenticato quello che successe. Impossibile farlo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Ce ne andremo, scapperemo.
Quelle parole erano così facili da pronunciare che per un momento mi convinsi del fatto che sarebbe davvero stato così: semplice. Io e Daniel saremmo scappati, avremmo viaggiato senza meta, fermandoci solo per riprendere fiato, per l'eternità, o perlomeno, finchè io avrei vissuto. Anche quella parte era da considerare: nonostante la nostra fuga, niente mi garantiva che dopo il mio fatidico giorno, lui se la sarebbe cavata.
Erano i soliti dubbi, le solite domande senza risposta su un futuro a me del tutto ignoto. Ma quel che contava era il presente e in quel momento Daniel era lì e doveva essere protetto.
Non avevo pensato al come, ma un modo l'avrei trovato. Avevo lasciato che venisse strappato dalle mie braccia una volta, non potevo permettere che la storia si ripetesse perchè, semplicemente, non avrei retto.
Tuttavia, prima di andarmene dalla città, di sparire da quel posto, c'era una cosa che volevo che lui facesse: aveva detto di essere visibile agli umani ora, a tutti gli umani, per cui anche a Lucas. Non mi aveva creduto quando gli avevo comunicato di poter vedere il fratello e probabilmente aveva continuato costantemente a incolparmi della sua morte, con ragione, sia dal suo che dal mio punto di vista. Anche io mi addossavo ogni colpa e far parlare i due Monroe avrebbe potuto essere un rimedio per la mia coscienza.
Era passato da poco il tramonto, quando io e Daniel uscimmo di casa. Gli dissi che, da umana quant'ero, avrei dovuto passare al supermercato a fare rifornimento, prima di lasciare la città. Lui non ebbe molto da ridire, solo che avrebbe aspettato in macchina, dal momento che molti nel quartiere lo conoscevano e non avrebbe saputo spiegare la sua 'resurrezione'.
Non capii perchè non sentì che stavo mentendo sulla nostra direzione. Forse, avendo perso le ali, non aveva più la strana capacità empatica.
Solo quando parcheggiai davanti a quella che era stata casa sua, realizzò le mie intenzioni.
“Che ci facciamo qui?” mormorò e lo vidi palesemente irrigidire.
“Ho visto il tuo sguardo quando Lucas è venuto a casa mia e gli ho raccontato quelle cose” replicai, allungando una mano e cercando la sua. Lui teneva ancora lo sguardo fisso sulle mura gialle della piccola villetta a schiera, ma di riflesso, come se le stesse guardando, fece intrecciare le nostre dita. “Eri malinconico” continuai “e credo che prima di andarcene, tu abbia bisogno di dirgli addio, un vero addio, e lui abbia bisogno di dirlo a te”.
“Non... Non posso farlo”.
“Ormai sei in fuga, Daniel. Vedere tuo fratello un'ultima volta, non è un crimine. Devi dirgli addio, Lucas ha bisogno di salutarti. Sai anche tu quanto gli abbia fatto male averti perso senza aver avuto la possibilità di farlo”.
Daniel esitò ancora. Era palese che non se la sentisse oppure non volesse entrare in quella casa, ed era del tutto normale che avesse paura. Non potei nasconderlo, ne avevo anche io. Sia per le loro reazioni, sia per quella che Lucas avrebbe potuto avere vedendo il 'fantasma' del fratello morto. Ma perlomeno, non mi avrebbe preso per pazza.
“Hey” mormorai, sporgendomi nella sua direzione. Con la mano libera, gli sfiorai leggermente il viso, costringendolo a voltarsi, così che potei incrociare i suoi occhi color ghiaccio e, come al solito, rimanerne incantata per qualche secondo. “Sono con te in ogni istante, okay?”.
Era strano come i ruoli si fossero invertiti. Lui avrebbe dovuto essere il mio angelo custode, invece ero io quella che lo consolava  e stava tentando in ogni modo di proteggerlo.
Daniel sorrise appena e io ne approfittai per avvicinarmi ulteriormente al suo viso e baciarlo in modo tenero sulle labbra. Il suo respiro freddo mi tolse il fiato per un momento e dovetti staccarmi prima del previsto. Se avessi prolungato il contatto, né io né lui avremmo mai trovato il coraggio di entrare in quella casa, cosa che accadde poco dopo.
Io camminai davanti a lui, che mi seguiva a passo decisamente più lento, intimorito ed esitante. Non avevo la minima idea di cosa dire a Lucas, come comportarmi. Decisi di lasciar parlare i fatti, anche perchè a parole non avrei mai potuto spiegargli nulla.
Quando bussai, passarono minuti prima di ottenere una risposta. Per nostra fortuna – o sfortuna, dipendeva dai punti di vista – non fu Lucas ad accoglierci, bensì Haley. Non la vedevo da un sacco di tempo, dal giorno del funerale, più o meno, non contando le volte in cui l'avevo adocchiata di sfuggita, ma niente di più.
Mi guardò per un attimo, ma i suoi occhi, inevitabilmente ricaddero su Daniel, che stava dietro di me. Haley non disse assolutamente nulla, anche perchè non fece in tempo. Non seppi in quanto tempo, probabilmente una frazione di secondo, perchè non ebbi la possibilità di vedere esattamente cosa accadde: mi ritrovai davanti ad Haley sdraiata sul pavimento, priva di conoscenza. Avrei voluto ridere, tuttavia, l'espressione perplessa che Daniel aveva assunto, mi fece desistere.
“E' svenuta?” chiesi, quasi retoricamente.
“Dipende come definisci 'svenuta'. Se è perdere i sensi davanti a qualcuno che credeva morto e invece si presenta alla sua porta, allora direi che, sì, è svenuta”.
Sorrisi appena: aveva ripreso a fare il sarcastico, il che non accadeva da parecchio tempo e mi sollevò un po'. Gli feci cenno col capo di entrare in casa e allo stesso modo mi feci aiutare a trasportare Haley sul divano del salotto.
Era divertente il fatto che avesse perso i sensi, almeno per me. Sapevo che non avrei dovuto ridere, però fu esattamente quel che feci, guardando Daniel di sfuggita, che finì per fare la stessa cosa. Era bello ridere con lui, soprattutto in un momento in cui la felicità sembrava essere ignota.
La nostre risate, tuttavia, non durarono molto; furono interrotte dall'arrivo di Lucas. Lo vidi immobile sulla soglia della porta, alle spalle di Daniel, che non si era accorto della sua presenza. Il mio sorriso si affievolì in maniere più che lenta, tanto che ebbi l'impressione che il tempo si fosse congelato in quell'istante, nel ritratto perfetto della tensione e dell'angoscia che derivava dal mio sguardo e da quello di Lucas, che fissava le spalle del fratello. Lo aveva già riconosciuto, era evidente; conosceva Daniel meglio di chiunque altro.
Il più piccolo dei Monroe ci mise un po' a leggere la mia espressione, anche perchè non riuscivo a muovermi e a fargli nessun segnale per fargli capire cosa stesse succedendo. Per mia fortuna, lo capì da solo e lentamente si voltò verso Lucas, che ancora rimase immobile. Lo fece per dei minuti interminabili, che passarono a fissarsi, quasi fossero due statue, almeno finchè il più grande sussurrò: “Non può essere”.
Daniel non ebbe il coraggio di parlare e la tensione che aleggiava in quella stanza mi stava letteralmente uccidendo. Mi affrettai, allora, con chissà quale forza, a muovere qualche passo che mi condusse esattamente al centro, tra i due fratelli. “Posso spiegarti, Lucas” esclamai, sebbene dentro mi sentissi davvero patetica. Non riuscivo a spiegare a me stessa come tutto ciò stesse accadendo, figuriamoci se avrei potuto farlo con qualcuno così scettico e rabbioso nei miei confronti. “Ti ricordi quando sono venuta da te, dicendoti che riuscivo a vedere Daniel?” continuai “beh, ecco, mi hai preso per pazza, cosa del tutto... Del tutto ragionevole, anche io lo avrei fatto, ma questo perchè ero solo io in grado di vederlo, per... Svariati motivi, che probabilmente non posso dirti. Però è successo qualcosa che lo ha reso visibile a tutti, anche a te e... E ora qui. Tuo... Tuo fratello è qui”.
Lucas non mi guardò nemmeno per un istante mentre gli parlavo, no, continuava a fissare Daniel. Era davanti a un vero e proprio miracolo e ne era incantato. Non lo biasimavo: a me succedeva tutte le volte che osservavo il suo viso e la cosa peggiorava quando incrociavo i suoi occhi.
Vidi Lucas trovare il coraggio di muoversi, finalmente. Mi superò, quasi non esistessi, e raggiunse il fratello. Ci fu un abbraccio, credo il più bello che avessi mai visto. Gli occhi di Daniel brillavano mentre si aggrappava alle spalle di Lucas, che era almeno il doppio di lui, quanto corporatura. Quell'abbraccio sprigionava un amore unico e raro, indimenticabile e indistruttibile, come solo quello tra fratelli può essere, perchè un fratello rimane tale anche dopo mille liti senza ragioni valide, dopo i 'ti odio' urlarti da una stanza all'altra, insieme ai 'avrei voluto essere figlio unico'; rimane tale anche dopo anni di lontananza perchè il sangue che scorre nelle vene è lo stesso. Un fratello rimane la tua famiglia, anche se tutti smettono di esserlo. Gli amici e fidanzati vanno e vengono, alcuni si dimenticano pure..
Daniel e Lucas non si sarebbero mai dimenticati, quasi come i loro respiri fossero uno solo. Ebbi come l'impressione che il primo non fosse effettivamente morto quella sera, ma che avesse continuato a vivere, seguendo il battito del cuore del secondo.
Io mi sentii bene, non più in colpa e sollevata dal fatto che potevano salutarsi come entrambi meritavano.

L'abbraccio si sciolse dopo qualche minuto, sebbene gli occhi di Daniel e Lucas non persero mai il contatto tra loro.
Lucas non fece ulteriori domande, forse aveva capito che né io né il fratello saremmo stati in grado di spiegare e rispondere in una maniera comprensibile.
Haley era ancora priva di conoscenza e la usai come scusa per allontanarmi in cucina, dicendo che sarei andata a recuperare del ghiaccio; il mio intento, in realtà, era quello di lasciarli soli.
Rimasi, tuttavia, in ascolto del loro dialogo, anche se non ci furono molte parole, solo dei 'mi manchi' appena sussurrati e un 'Non resterò a lungo di Daniel'.
“Come è stato?” sentii dire Lucas ad un tratto “morire, intendo. Ha... Ha fatto male?”.
Non compresi il perchè glielo stesse chiedendo, considerato il fatto che solo qualche giorno prima era del tutto convinto del fatto che il fratello avesse sofferto. Percepii Daniel sorridere appena: avevo imparato a sviluppare quasi la stessa empatia che lui aveva nei miei confronti, prima di perdere le ali.
“No, per niente” replicò “non fa male. E' come nascere, non... Non ti rendi nemmeno conto di quel che sta succedendo attorno a te. Stai bene, non pensi assolutamente a nulla. Tutte le preoccupazioni svaniscono, non c'è più nulla da raggiungere e nulla da perdere”.
“Stai.. Descrivendo la morte come una figata pazzesca”.
Risero entrambi e lo feci anche io.
“Beh, lo è... A tratti. Finchè sei vivo, credi sia la cosa più terribile che possa mai accadere, ma non è così”.
“Quindi non hai avuto paura? Nemmeno per un istante?”.
“Ne avevo. Quando ho capito che stavo per morire, ne avevo. Poi Sam mi ha stretto a sé e tutto è andato bene”.
Daniel non mi aveva mai accennato a quel particolare, probabilmente perchè non mi ero mai azzardata a chiedergli qualcosa a riguardo. Il fatto che fossi stata il suo conforto in quel momento di agonia, mi fece sentire felice e strana al contempo. Fu allora che mi decisi a tornare in salotto.
Non volevo interrompere quel momento, davvero, ma eravamo lì da parecchio tempo, e da quanto avevo capito dalle parole di Daniel, loro avrebbero potuto trovarci, soprattutto se restavamo a Rossville.
Non ascoltai il saluto che sarebbe stato definitivo tra di loro, come se non avessi il diritto di esserne spettatrice. Aspettai accanto all'auto, mentre Daniel rimase con Lucas sotto al portico di casa Monroe. Si allontanò poco dopo e salimmo in macchina.
Non gli chiesi nulla, la sua espressione trasmetteva già tutto: tristezza per dover andar via, e gioia per aver avuto la possibilità di dire addio a quella che era e sempre lo sarebbe stata, la persona più importante della sua vita.

  
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