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Autore: _Ella_    19/07/2012    6 recensioni
“Non dovresti, Roxas. Non va bene mentire alle persone”.
“Ma cosa te ne importa! Sai meglio di me che tuo fratello verrà rimandato in arte, aiutarlo non fa male… e poi, a buon rendere. Un favore serve sempre”.
“Non mettergli in testa strane idee!”.
-Per l’amor del cielo, state zitti voi due. Già così svegli di prima mattina?-.
Roxas era un ragazzo normalissimo: scuola, passatempi e passioni, amici, e due esserini sulle sue spalle che potevano essere considerati la sua coscienza.
-
«Che. Cosa. Sta. Succedendo?!» urlò isterico mentre Vanitas ancora rideva, mentre Sora si mordeva ancora la bocca, mentre Aqua ancora si lamentava per tutto lo schifo che stava facendo in cucina.
Solo Terra lo guardò, caritatevole. «Aqua è una strega».
[Pairing accennati]
Genere: Comico, Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Roxas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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About  ings and  ails;

-Verità gusto salsa e limone.



La prima cosa che percepì dopo quella che gli sembrò un’eternità, fu un grande mal di testa.
La sentiva vuota e dolorante, e gli fischiavano le orecchie. Non si sarebbe stupito se, invece che il buio contro per le palpebre chiuse, fosse uscita la scritta “Trasmissioni interrotte”, perché quel sibilo fastidioso che vibrava contro i timpani era sicuramente lo stesso di quando c’era un’interferenza in TV.
Quando il senso di smarrimento e la nausea si calmarono un po’, Roxas cercò finalmente di aprire gli occhi, piuttosto intontito.
«Mamma, mamma, si è svegliato!» la voce di Ven quasi gli fece esplodere la scatola cranica, così portò velocemente le mani alle orecchie.
Era in camera sua, niente di strano. Adesso che ci faceva caso c’era qualcosa a fasciargli la testa, forse bende, ed aveva i piedi poggiati su qualche cuscino. La prima cosa che realizzò, fu che aveva dato per l’ennesima volta buca ad Axel e che non ci sarebbe stato nessun allenamento di surf quel pomeriggio, sempre che non fosse rimasto svenuto per ore ed ore intere.
Tutta colpa di quelle due piaghe.
Cercò di mettersi a sedere e il suo gemello lo aiutò, sistemandogli bene il cuscino dietro la schiena.
«Hai un bel bernoccolo» sghignazzò, aggiustandogli meglio le bende che stavano iniziando a scivolare giù.
«Per quanto ho dormito?» chiese, tastandosi dietro la testa per cercare i segni della sua caduta; quando beccò sotto i polpastrelli un rigonfiamento piuttosto evidente, sibilò dal dolore.
«Hm, una ventina di minuti, non di più…» rispose, stringendosi nelle spalle prima di farsi da parte per lasciare spazio a Mary, loro mamma dai capelli biondi ed occhi celesti, esattamente come loro.
«Come ti senti?» chiese, sedendosi sul bordo del letto e carezzandogli il volto.
«Intontito» ammise, sospirando. «E scommetto che non posso uscire…».
«Bingo» la donna gli afferrò il naso tra le dita, poi gli posò tra le mani una borsa con dentro il ghiaccio. «Mettila dove hai gonfio, che così passa prima, e cerca di non addormentarti».
Addormentarsi pensando ad Axel che avrebbe voluto ucciderlo? Improbabile. Magari lo risparmiava, sapendo che non era colpa sua, no?
Si grattò la tempia, mentre poggiava l’impacco sul bernoccolo. Era tutto così silenzioso.
«Mettiamo un film?» propose Ventus, mentre spegneva le luci e tirava le tende.
«Hm, sì, decidi tu» borbottò, mentre si metteva più di lato per lasciare spazio al suo gemello sul letto.
Decisamente, c’era troppo silenzio: fu nel bel mezzo del film, che se ne rese conto.
Woody e Buzz erano appena caduti giù dall’auto, senza che Andy se ne rendesse conto. A volte Roxas si era chiesto come potesse quel bambino essere così tonto da non accorgersi che i propri giocattoli si muovessero, poi ogni volta si dava dell’idiota perché effettivamente i giocattoli non prendevano certo vita. O almeno credeva. Insomma, certe volte alcuni film o cartoni animati ti mettono in testa idee così strane e balorde che suonano benissimo, e non riesci mai a staccartene del tutto. Ogni tanto li immaginava, i suoi giocattoli lamentarsi per il fatto che fossero in uno scatolone in soffitta.
Ad ogni modo si rese conto, mentre quei due se le menavano sull’asfalto, che non li sentiva, ed era per questo che si era sentito così strano.
-Ragazzi…?- provò, più volte, ma non ci fu risposta; sperò con tutto se stesso che non si fossero uccisi a vicenda mentre lui era svenuto sulle piastrelle del bagno.
Magari… magari non riusciva a richiamare Sora e Vanitas perché la testa gli faceva ancora malissimo?
Sì, magari è così.
Forse se aspettava un altro po’, quei due ritornavano. Il fatto era che era così strano ma così infinitamente bello, non sentirli in continuazione nella sua testa; del resto era stata colpa loro se adesso era segregato in casa a vedere Toy Story e non era andato né a salutare Axel, né a prendere il libro di Riku né tantomeno agli allenamenti di surf.
Sospirò rilassato, ascoltando il silenzio nella sua testa, rotto solo dai propri pensieri. Esserne uno era davvero così rilassante?
Si stiracchiò un poco, scivolando più in basso.
«Non dormire» lo raccomandò Ven, e lui sorrise.
Dormire?
Nemmeno per sogno, adesso che poteva ascoltare la pace più assoluta: niente litigi, niente battibecchi al di fuori dei suoi interessi. Niente Sora che gli ripeteva che faceva un mare di errori, niente Vanitas che cercava di fargli fare sempre la cosa più pericolosa in assoluto. Non ricordava di aver mai visto un film senza i loro commenti in sottofondo, critici, fuori luogo, come quelli dei ragazzini fastidiosi che puntualmente becchi seduti dietro di te al cinema.
Era silenzio, nella testa, quello così acuto che ti fanno male le orecchie ed inizi a sentire quello strano sibilo sordo che non hai idea da dove provenga. Il mal di testa passava più in fretta del previsto, mentre quel ragazzino con la faccia da tonto pescava col braccio meccanico i due pupazzi.
Magari qualcuno aveva sradicato Sora e Vanitas dal suo cervello esattamente allo stesso modo, rendendoli due pupazzetti inanimati privi di qualsiasi utilità.
-Sora? Vanitas?- provò ancora, ma non ci fu risposta che non fu una battuta del film.
Sperò che tornassero a fare confusione il più tardi possibile.
 
La chiamata di Hayner era arrivata prima di quanto credesse: di solito, quando non riusciva ad avvisare né lui né tantomeno Olette o Pence che non sarebbe andato in spiaggia, si ricordava di chiamarlo solo dopo cena. Ma del resto il cervello di quel ragazzo non funzionava affatto senza che ci fosse qualcosa di consistente nello stomaco.
Roxas all’inizio aveva creduto che fosse Axel, e con sollievo aveva realizzato che non avrebbe subito nessun rimprovero, per il momento.
“Axel è venuto a cercarti qui da noi” disse però il suo amico, dall’altra parte del telefono. “Era piuttosto incazzato” e rise.
A lui veniva solo da piangere. «Ha… ha detto qualcosa?».
“Niente di niente. Meglio se lo chiami” e dopo averlo salutato staccò, lasciandolo sospirare al “tu-tu” del telefono.
Aveva voglia di chiamare il proprio migliore amico, ma non ne era certo. Insomma, d’accordo, quel mattino non era arrivato in tempo al loro “appuntamento” – ma comunque gli aveva spiegato il perché, nei limiti del possibile – e quel pomeriggio non l’aveva raggiunto agli allenamenti di basket, ma avrebbe comunque potuto chiamarlo, magari per informarsi se stesse bene o meno. Di certo non era lui ad avere torto, per niente.
No, sbaglio?
E sbuffò sconsolato, sbattendo con rancore la cornetta che aveva ancora tra le dita nella base del telefono, quando gli rispose soltanto l’eco dei propri pensieri. Non aveva realizzato che stare senza Sora e Vanitas significasse decidere da solo: come faceva, adesso?
-Andiamo, ragazzi… se è uno scherzo non è divertente!- ma ancora una volta non ci fu risposta diversa dal silenzio.
Passando una mano in volto, si rese conto che avrebbe dovuto trovare una soluzione da solo, e all’istante, perché un minuto di ritardo per chiamare Axel significava giocarsi la vita. Però lui non si era affatto preoccupato di vedere che fine avesse fatto, diamine!
Ok, Roxas, ok. Calmo. Analizza la situazione come se ne fossi in tre.
La sua opinione era… ok, non aveva opinioni al momento.
Quella di Sora sarebbe stata di certo: “Chiamalo, Roxas, non è bello mancare agli appuntamenti e non farsi sentire. Magari si è offeso!”. E a quel punto lui avrebbe detto “Uhm, sì, mi sa che hai ragione.
Però c’era Vanitas, che avrebbe tirato una frustata all’Angelo con la sua coda ed avrebbe attirato la sua attenzione col solito sorriso mellifluo: “Ehi, è il tuo migliore amico – anche se un po’ ti attizza, ammettilo. Se non si è preoccupato per sapere che fine hai fatto, non hai motivo di interessarti a tua volta”. Ed ascoltando le sue parole, Roxas avrebbe sentito il solito pizzicorino alle labbra, avrebbe mordicchiato quello inferiore – come stava facendo anche ora – e si sarebbe messo a pensare.
Sora o Vanitas? Vanitas o Sora?
Sei da solo, Roxas. Adesso che parli con qualcuno che non c’è più sei pazzo sul serio.
«Roxas, ti senti bene?» sua madre gli afferrò delicatamente le spalle, riscuotendolo. «Stai qui a fissare il muro da cinque minuti…».
Perfetto, sanità mentale a puttane, completamente.
«Sì, sì» si affrettò a rispondere, titubante, quasi sconvolto. «Io… io salgo in camera, mi porto il telefono» e lo afferrò alzandolo dal tavolo lì in corridoio per sbrigarsi a salire le scale; Mary tentò inutilmente di fermarlo, e l’attimo dopo il telefono gli era caduto di mano ruzzolando per terra.
Un sospiro. «Era quello fisso, Roxas…».
«…L’avevo dimenticato».
E questa volta non poteva dare la colpa né all’Angelo né al suo Diavolo, se sua madre stava a fargli una ramanzina che non finiva più sul fatto che fosse sempre costantemente distratto ed imbranato, con chissà cos’altro in quella testolina bionda.
Aveva quasi voglia di dirle che adesso non c’era niente, proprio più niente - nessuno, e che questa novità lo mandava fottutamente nel panico.
Come aveva potuto pensare che potesse essere una forza, il ragionare da soli?
Finalmente liberatosi da sua madre, Roxas era salito in camera e, sotto lo sguardo scioccato di Ventus, aveva tirato un urlo di frustrazione.
Doveva parlare con qualcuno, subito. Doveva trovare dei sostituti a quelle coscienze che erano andate bellamente a farsi un giro chissà dove, forse Honolulu, con tanto di ghirlande ed intenti a bere succo d’ananas, mentre il moro guardava senza il minimo pudore il sedere di qualche surfista ignaro.
Girò di scatto la testa verso il proprio gemello, che deglutì, terrorizzato: «Oggi sei più fuori del solito…».
«Non capisci, Ven, non capisci!» urlò, saltandogli addosso ed afferrandogli le spalle, scuotendolo con vigore, gli occhi puntati nei suoi sgranati. «Io… io non so come decidere, capisci? Non c’è nessuno che mi parla, nella testa! Nessuno, Ven, nessuno! Niente di niente!».
«Oh mio Dio…».
«Esatto, esatto, adesso capisci il problema, lo capisci?».
«Mamma! MAMMA!».
«Ecco, meglio che chiami anche lei, cazzo, io non so come fare! Ti va di fare una delle due parti, sì?».
«Lasciami, Roxas, ora! Mi fai paura, molla!».
Lo spinse per terra, e lui lo guardò senza capire davvero. L’attimo dopo si era steso con la schiena contro il pavimento, nascondendo il volto tra le mani e soffocando un singhiozzo di completa disperazione. Respirò piano, cercando di calmarsi, provando a riprendere controllo del filo dei propri pensieri: senza quei due ad occupargli la testa, sembrava di avere davvero troppo spazio e non riusciva a controllarlo.
Ventus si avvicinò, trascinandosi sulla sedia a rotelle, pungolandogli il fianco con la punta dei piedi scalzi.
«Lasciami in pace» ringhiò.
«Senti, sei convinto di non essere strafatto?».
«Sta’ zitto» sbottò, lasciando scivolare le braccia accanto ai fianchi, mandando via il suo piede con una manata nervosa. «Ho dato buca ad Axel, sia stamattina che oggi pomeriggio… e non si è fatto sentire: mi ammazza».
«Allora chiamalo» concluse con semplicità il suo gemello, sorridendogli. «Almeno ti levi un peso dal cuore».
Roxas si morse le labbra, tirando un po’ i ciuffi sulla fronte prima di rimettersi a sedere. «Come fai?» chiese, ma l’altro lo guardò senza capire. «A decidere, senza che nessuno ti dica niente…».
«Ehm… come tutti?» rispose titubante e lui lo fissò smarrito. «Cioè… vedi l’ipotesi che ti va meglio… credo… che ne so, viene naturale!».
Naturale, sì, certo. Per lui era naturale quanto un elefante rosa a pallini verdi.
Che poi il rosa ed il verde stavano così male assieme…
Annuendo, non molto convinto, Roxas s’alzò per afferrare il cordless che s’era portato dietro ed aveva lanciato malamente sul letto, appena aveva messo piede in camera. Compose il numero con la morte nel cuore, mentre sempre tirandosi i ciuffi biondi fissava vacuamente il soffitto. E se Axel l’avesse mandato a quel paese?
“Chi non muore si rivede… beh, risente”, il tono un po’ acido gli fece stringere lo stomaco.
«…Che ne sai che sono io?».
“Ho letto il futuro dai tarocchi di mia nonna…” una mezza risata ironica. “Guarda che esce il numero sul telefono, sveglione”.
«Ah».
“Già”.
Sospirò. «Senti Axel… ehm, oggi sono svenuto… ho preso una botta dietro la testa – ho un bernoccolo enorme, infatti. Mi spiace non essere venuto, davvero» ammise, sentendosi finalmente più leggero.
“Oh… stai bene adesso?” quando sentì il suo tono addolcirsi, apprensivo come al solito nei suoi confronti, gli sfuggì un sorriso. “Va be’ che è certo, con la testa dura che hai” rise e lui lo seguì.
«Attento a come parli, eh!».
“Mhm, adesso sì che ho paura. Però domani ci rifacciamo, okay? Puntuale”.
«Sicuro! A domani allora» lo salutò, e sinceramente sollevato schiacciò il tasto rosso, concedendosi un sorriso.
Con quello che gli stava succedendo, mancava solo che il suo migliore amico ce l’avesse con lui e davvero non avrebbe saputo dove sbattere la testa. In realtà continuava a sperare che da un momento all’altro quei due si fossero fatti vivi, magari ridendo e dicendogli che era tutto uno scherzo, solo per fargli rendere conto quanto gli costava cara la loro mancanza. E lui sarebbe stato pronto ad ammetterlo, scusarsi un’infinità di volte e dire loro che non li avrebbe più sgridati – nei limiti del possibile, ovvio – e che non dovevano più lasciarlo solo, perché decidere senza qualcuno che gli mostrasse le alternative opposte era sicuramente più difficile del previsto.
Alzò gli occhi azzurri su Ven, che lo fissava in silenzio dalla scrivania. Praticamente erano nella posizione opposta ad ore prima, quando lui era quello seduto sulla sedia girevole, con tanto di Vanitas che faceva commenti sul culo del suo gemello.
Il biondo lo fissò. «Sai, mi chiedevo…» tamburellò nervosamente le dita sul bracciolo. «Tu ed Axel state assieme?».
«Cosa?» Roxas saltò a sedere, facendo cadere il telefono sul pavimento. «No!» urlò isterico.
«O-ok, calmo! Era per… un dubbio mio, tutto qui» chiarì, mettendo le mani avanti. «Però insomma, lo dico tanto per, eh… se ti piacesse, non ci sarebbe niente di male…».
«Ventus. Axel non mi piace, siamo solo amici. Migliori amici, okay? Tutto chiaro?».
«Trasparente».
Sbuffò dal naso, come un toro imbizzarrito, e si tirò su, uscendo dalla camera per andare in salotto. Era davvero snervante ritrovarsi a fare gli stessi discorsi che faceva di solito con Sora e Vanitas col suo gemello. Si chiese se non fosse merito di una qualche strana cospirazione, mentre si stendeva sul divano ed accendeva la tv.
Meglio non pensarci, almeno per il momento.
 
Il mattino seguente al trillare della sveglia sobbalzò come al solito, e con un grande sforzo d’animo allungò il braccio per zittirla. Ven era già seduto in mezzo al letto, gli occhi un po’ appannati dal sonno, ma prontissimo per cominciare la giornata: Roxas non era convinto di esserlo davvero, quel mattino. Probabilmente se la sera prima non avesse promesso ad Axel di raggiungerlo se ne sarebbe stato a dormire tutto il giorno.
Quando era andato a dormire, ed aveva augurato la buonanotte prima di chiudere finalmente gli occhi solo il suo gemello gli aveva risposto, e lui aveva sentito più che mai la mancanza delle sue coscienze e si era sentito solo, quasi in pericolo nel suo stesso letto.
Si tirò su sbadigliando, trascinandosi fino all’armadio per tirare fuori la propria divisa, sperando che le camicie non fossero tutte stropicciate, visto che il suo gemello era piuttosto disordinato. Ne prese una a caso e l’infilò, sbadigliando ancora fino ad allargare al massimo la bocca, e sentì le lacrime del sonno pizzicare fino ad inumidire gli occhi.
«Ven, sbrigati in bagno!» lo richiamò dalla camera, quando seduto sul bordo del materasso stava ad allacciarsi le scarpe; sperò che non si fosse addormentato sul gabinetto come la settimana scorsa, che l’avevano trovato con la faccia contro le piastrelle e il Topolino in grembo.
La risposta farfugliata arrivò chiaramente alle sue orecchie, sollevandolo: non avrebbero fatto ritardo – anche perché non c’erano eventuali coscienze a distrarlo e fargli sbagliare strada, purtroppo – e Axel non l’avrebbe ucciso per tutto quello che aveva combinato i giorni precedenti.
Era dal giorno precedente che, entrato in bagno, si guardava intorno con una certa circospezione: sperava che quei due sbucassero fuori da un momento all’altro. A dire il vero l’idea di prendere un’altra botta e provare a farli ritornare gli era passata in testa diverse volte, ma era rimasta solo un’idea: se avesse fatto una caduta come la sera precedente come minimo ci sarebbe rimasto secco.
Spazzolò bene i denti e sciacquò la bocca, prima di correre giù in cucina per mettere qualcosa nello stomaco.
«Come ti senti stamattina?» chiese Mary, porgendogli le fette di pane tostato e il barattolo con la marmellata di fragole.
Affondò il coltello nel burro, per poterlo spalmare. «Hm, bene, il mal di testa è andato via del tutto» la rassicurò, portandosi la fetta alla bocca.
«È rimasto comunque svitato…» borbottò Ven, guardandolo sottecchi mentre rimestava stancamente i cereali nella tazza.
La donna gli lanciò un’occhiataccia. «Non parlare così di tuo fratello! Ha solo… qualche disturbo di personalità, a volte allucinazioni, non è pazzo».
«Guardate che ci sono anche io, qui» si lamentò, riempiendo il bicchierone con del succo. «E non è vero che ho le allucinazioni».
«Ma se a volte parli da solo!» ribatté il gemello, e Mary alzò gli occhi al cielo allontanandosi dal tavolo per evitare di ascoltare i loro soliti battibecchi, cominciando a sciacquare le posate. «E poi ieri eri tipo… da brividi».
«Io sono normalissimo, Ven! Sei tu quello che legge quegli schifo di cosi…».
«Manga, Roxas, si chiamano manga!».
«Kiss me Licia, Ven. È roba da… da ragazzine!».
Il gemello lo fulminò, puntandogli contro il cucchiaio ancora sporco di latte che schizzò sulla sua camicia – che tentò inutilmente di pulire, tra l’altro. «A parte che si chiama Love me Knight, caprone. E poi non capisci un bel niente!».
Mary s’asciugò le mani. «Okay, campioni» intervenne, prendendo il cucchiaio di Ventus e posandolo nella tazza. «È ora di andare, e smettetela di litigare, su».
Roxas sospirò, prendendo un ultimo sorso di spremuta ed afferrando la tracolla che aveva lasciato di fianco la sedia, poi mandò un’occhiata all’orologio: fortunatamente erano anche in anticipo, quel mattino.
«Okay, pronto!» dichiarò Ven, sorridendo appena. «‘ndiamo? Così possiamo stare più tempo fuori scuola a perdere tempo».
Roxas lo seguì senza aggiungere altro – non ce ne fu bisogno, visto che s’era lanciato fuori di casa.
Aqua era la loro giovane vicina. Abitava lì da che ne avessero memoria assieme ad un certo Terra – probabilmente il suo fidanzato – con cui non aveva parlato molte volte a differenza del proprio gemello, che lo trovava piuttosto simpatico. Inutile dire che quel romanticone avesse una cotta per la ragazza – che, diamine, era davvero bella! – ed ogni volta che la guardava tirava fuori un’espressione così ebete che Roxas non era mai riuscito a trattenersi dallo sghignazzare.
Aqua gli piaceva – non come al proprio gemello, ovvio. Era sveglia e spigliata, dolce e altrettanto divertente. E poi gli dava una mano con la matematica!
«Buongiorno ragazzi» li salutò con un sorriso, poggiata col gomito alla cassetta della posta. «Come ve la passate? Non avete una gran bella cera».
Roxas si strinse nelle spalle. «Va» disse semplicemente, mentre Ven al suo fianco cercava di trovare le parole, imbarazzato come sempre. «Tu? Sembri più allegra del solito».
«Oggi arrivano i miei cuginetti» spiegò. «Quando ritornate passate, eh, che ve li faccio conoscere. Scommetto che vi piaceranno».
«… P-passare a casa… tua?».
La donna rise. «E dove sennò, Ven?» gli scompigliò i capelli. «Dai, andate, altrimenti arrivate tardi per colpa mia. In bocca al lupo, eh!».
«Crepi!» esclamarono in coro, prima di avviarsi definitivamente.
Roxas sospirò, storcendo un po’ il naso. Per come si sentiva quel giorno non aveva davvero idea se potesse andargli di conoscere qualcuno, specie se doveva fare bella figura: non gli andava che i parenti di Aqua pensassero che era un perfetto svitato.
Ironica, bastarda e pungente, l’eco dei suoi pensieri gli rispose. Ma lo sei! – gli suggerì, e Roxas ringhiò perché non aveva nessuno con cui prendersela, niente ali da spennare o code da strappare.
Inutile dire che la prospettiva di starsene chiuso in una classe solo con se stesso non era tra le più allettanti. Magari poteva cadere, fingere di rompersi una gamba e ciaociao, scuola! Ma supponeva che se avesse finto di star male neppure quel pomeriggio sarebbe potuto andare a fare surf con Hayner, Pence ed Olette e non ci voleva, visto che era una delle poche cose che riuscisse a distrarlo completamente.
Sbuffando salutò i soliti: si lasciò baciare una guancia dalle ragazze, soffermandosi ad abbracciare Naminé, diede il cinque a Demyx e poi si lasciò afferrare da Axel, che gli strofinò il pugno tra la zazzera bionda, facendogli piuttosto male.
Non si lamentò, non troppo, visto che immaginava di meritarselo.
«Ma si può sapere che cavolo hai fatto?» rise Demyx, scuotendo la testa. «Sei davvero finito con la testa a terra?».
Roxas alzò gli occhi al cielo. «Sì, una craniata dritta nelle piastrelle. Che cazzo di male!».
Kairi rise, lisciandosi le pieghe della gonna. «Quando Axel me l’ha detto non volevo crederci!».
«Uhm, ecco la domanda del secolo: perché Axel te l’ha detto?» chiese, guardando male il diretto in questione che rise, stringendosi nelle spalle.
«Oh, dai, la notizia del secolo!».
«Povero, chissà che male» borbottò Xion, tirandosi a sedere sul muretto.
Naminé scosse il capo, ironica. «Con quella testa dura? È strano che non abbia sfondato il pavimento!» esclamò e Ven rise forte, raggiungendo la mora sul muro.
«Effettivamente!» commentò.
Begli amici, sul serio.
Roxas li fissò fintamente offeso, prima di ridere. «Stronzi» li apostrofò, poi Axel gli scompigliò per l’ennesima volta i capelli, tirando un po’ le ciocche per costringerlo ad alzare il viso e guardarlo.
Incrociò i suoi occhi verdi, piuttosto seri, e non poté far altro che arcuare le sopracciglia. Che volesse ancora discutere della sua mancanza di attenzioni durante quei giorni? Ma avevano chiarito a telefono, no? Gli rivolse un “cosa c’è?” titubante, e quando si accorse di avere ancora la sua mano tra le ciocche bionde scrollò appena il capo per fargliele lasciare.
Axel si tirò più in dietro, battendo finalmente le palpebre. «Lascia stare, una cazzata» si limitò a dire, con un mezzo sorriso sulle labbra.
Ok, forse era pazzo, ma non era mica scemo – era un’opzione che Roxas non aveva mai nemmeno voluto mettere in discussione, ecco.
Arricciò le labbra, incuriosito. Si chiese se Vanitas gli avrebbe suggerito di insistere – “È il tuo migliore amico! Deve dirtelo!” sarebbe stata di sicuro la prima cosa che gli avrebbe urlato.
Sora probabilmente non sarebbe stata della stessa opinione. Sicuramente, anzi – “Magari non è ancora pronto! E poi anche tu hai segreti, con lui. È normale averne” gli avrebbe suggerito, cercando di farlo desistere dal consiglio del Diavolo.
Ma adesso era solo. Solo da meno di ventiquattrore e già si era sentito avvilito un mare di volte.
Dai, Roxas, pensa.
Naminé gli poggiò una mano sulla spalla, lo scosse. «Ehi, ritorna tra noi» scherzò.
«Questa volta l’ascesa spirituale è stata silenziosa» rise Demyx e Ven arricciò il naso – probabilmente ricordando quando l’aveva a dir poco aggredito sperando che facesse una delle parti della sua coscienza, ma non disse nulla o almeno non ce ne fu il tempo.
La campanella costrinse tutti loro a salutasi ed avviarsi verso le classi; Kairi prese lui ed il suo gemello sotto braccetto, esattamente al centro – come facevano sempre, del resto – e li trascinò verso la classe.
O almeno, quel mattino Roxas si fece trascinare sul serio, con la poca voglia che aveva.
 
Dopo scuola Ven l’aveva implorato.
Lui aveva ben poca voglia di presentarsi a sconosciuti, causa schizofrenia momentanea ed acuta, ma quella piattola con la sua faccia era chissà come riuscito a convincerlo – forse per tutti i “Dai, ti prego, siamo a casa di Aqua! Aqua! Da solo ho vergogna, fallo per me!” che gli aveva rivolto durante tutto il tragitto della strada.
In fondo gli voleva bene, e Ventus gli aveva fatto tanti di quei favori molto spesso, quindi non poteva permettersi di dire di no, insomma.
Seguirono il vialetto al centro del giardino estremamente curato fino alla porta di casa, dove un tappetino a forma di tazzina con su scritto “Benvenuti alla tana del Bianconiglio!” li accolse. Roxas pensò che se avesse avuto i piedi sporchi non se li sarebbe puliti lì, perché era di certo il tappeto più carino che avesse mai visto, probabilmente.
Suo fratello bussò al campanello e in un attimo l’imponente figura di Terra aprì loro la porta, guardandoli dall’alto con i suoi… tre metri e ottanta?, di contenuta altezza.
«Oh, i due gemellini. Venite, Aqua mi ha detto che sareste arrivati da un momento all’altro» e si fece da parte, lasciandoli accomodare.
La prima cosa che Roxas percepì, fu un buonissimo odore di fresco, assieme ad un pizzico di lavanda, probabilmente. C’era una bella luce calorosa lì, e nonostante la villetta fosse praticamente uguale a casa sua e a meno di dieci metri di distanza gli sembrò di trovarsi nel posto migliore del mondo. E poi era arredata con gusto, quella casa, tutta colorata ed allegra – sembrava davvero il Paese delle Meraviglie! – ed un confronto con la propria non faceva altro che renderla ancora più bella.
Mandò un’occhiata a suo fratello, che sembrava si fosse ritrovato improvvisamente tra le nuvole e gli tirò una gomitata nelle costole, mentre ancora seguivano Terra fino al soggiorno, dove li fece accomodare su un piccolo ma comodo divanetto che c’era nella cucina.
Sentirono un gran trambusto, poi la figura sorridente di Aqua comparve dall’uscio, un grembiule allacciato malamente sui pantaloncini ed una maglia con le bretelline; era un po’ sporca di terreno, Roxas immaginò stesse mettendo in ordine le sue bellissime aiuole profumate.
«Ragazzi!» esclamò, correndo al frigo. «Vi piace la limonata? Ma sì, vi piace sicuro» rise, prendendo la brocca e versandone nei loro bicchieri, con tanto di ghiaccio e cannucce colorate, a spirale – insomma, aveva le cannucce a spirale! Era una forza. «Volete qualcosa da mangiare?» stavano per negare, quando tirò fuori dal forno una teglia con dentro della pizza appena cotta e porse loro dei tranci piuttosto grandi. «Oh, Ven, tesoro: Mary ti cercava, credo fosse importante. Vai prima da lei e poi ritorna, che altrimenti la fai preoccupare».
Ven divenne praticamente tutt’uno col pomodoro sull’impasto, quando lei si chinò appena in avanti di fronte a lui, scoprendo una parte del reggiseno a pallini colorati – pallini colorati! Roxas se ne sarebbe potuto innamorare a propria volta, diamine!
«O-ok» balbettò, posando sia il bicchiere che la pizza sul tavolo. «Vengo… vengo subito».
Roxas lo guardò andare via con sufficienza, poi addentò la pizza: buona! Oddio, ma Aqua sapeva davvero fare tutto.
«Uhm… dimmi un po’, successo qualcosa di strano, ultimamente?» gli chiese la ragazza, afferrandogli una sedia e sedendoglisi di fronte.
Terra si massaggiò la fronte con una mano. «Povero, povero ragazzo» a coprire l’ultima sillaba ci furono alcuni rumori provenienti da un’altra camera, ma non ci badò molto: la faccia disperata di quel colosso aveva attirato tutta la sua attenzione.
«Io credo… niente di che. Perché?» chiese, dando un altro morso e ingollando buona parte del contenuto del bicchiere.
«Uhm… ci sono un po’ di cose che devo spiegarti, ecco».
Roxas la guardò senza capire. «Cioè?» chiese, portandosi nuovamente il bicchiere alle labbra, poi sputò tutto il liquido direttamente addosso ad Aqua, che si lamentò con un mugolio, quando due figure che ben conosceva comparvero da dietro lo stipite della porta, una che lo guardava colpevole, l’altra con un ghigno in faccia.
«Ehilà, dolcezza! Ti siamo mancati?» Vanitas rise.
Roxas si fece cadere la fetta di pizza dalla mano – non sentì neppure lo “splat” che fece, segno che era caduta inevitabilmente dal lato del sugo e della mozzarella.
Sora si mordeva il labbro. «È che… avevamo promesso di non dirtelo».
Roxas sbatté le palpebre.
Fissò il bicchiere.
Si lanciò il resto della limonata in faccia.
«Che. Cosa. Sta. Succedendo?!» urlò isterico mentre Vanitas ancora rideva, mentre Sora si mordeva ancora la bocca, mentre Aqua ancora si lamentava per tutto lo schifo che stava facendo in cucina.
Solo Terra lo guardò, caritatevole. «Aqua è una strega» disse come se potesse essere una spiegazione più che esauriente, e Roxas si rese conto che non era lui il pazzo, ma erano tutti gli altri ad essere una banda di cazzoni avariati.
Intanto riuscì solo a pensare che quella sera avrebbe avuto un gran mal di testa. E che voleva un’altra fetta di pizza, adesso.












E dopo millemila anni (e qualcosa in più, forse!) ecco aggiornata W&T! (no dai, il nome intero è troppo lungo XD)
Dunque, dunque.
Prima di tutto: davvero non mi aspettavo che questa fic riscuotesse così tanto successo! °^° quindi... aw, grazie, grazie davvero! *-*
Quindi, mi scuso come da programma per il ritardo e spero di non scoparire di nuovo per così tanto tempo - ma vi avverto! Al momento ho tante shot per la testa, potrei impigliarmici XD
Ah, dunque! Mary, la loro mamma, non è altro che la stessa mamma di Wendy - e... cazzo, non mi ricordo i nomi degli altri due LOL - in Peter Pan! Ce la vedevo azzeccata, e poi volevo rimanere in tema Disneyano, insomma :3
Dunque, dunque... non credo di avere null'altro da dire, se non che a scrivere questo capitolo mi sono divertita addirittura di più che nel primo x°D
Spero piaccia anche a voi, naturalmente :3
Alla prossima, allora! E fatemi sapere, eh :3

See ya! 

   
 
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