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Autore: allegretto    21/07/2012    5 recensioni
Progetto nato nel giro di una notte grazie ad un sogno, e che coinvolge persone reali come in una specie di gioco di ruolo. In uno scenario apocalittico i ragazzi devono imparare a cavarsela da soli e a mettere in pratica le loro qualità e capacità, mentre fatti inspiegabili accadono intorno a loro.
Trama: In una notte spariscono tutti gli adulti o quasi. Rimangono solo bambini, ragazzi, giovani e qualche adulto, come la sottoscritta. L'ambientazione è Genova, principalmente Sampierdarena, ma non è detto. Il nemico non è ben identificato, all'inizio. E' successo qualcosa di irreparabile e si dovrà capire come e cosa è accaduto.
Storia scritta da me, ma con l' ausilio di DarkAngel90, MaikoxMilo e Michywinchester e con il betaggio delle stesse.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Terzo Capitolo

 

"Per me si va ne la città dolente,per me si va ne l’etterno dolore,per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore: fecemi la divina podestate, la somma sapienza e ’l primo amore. Dinanzi a me non fuor cose createse non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate".

(vv. 1-10 Canto III – Inferno)

 

 

Avevamo appena passato il ponte della ferrovia e stavamo attraversando la strada per andare dai portici, in direzione della Fiumara, quando sentimmo un forte brusio. Come di numerose api in piena attività. Accelerammo il passo. Il rumore si fece sempre più forte, finché dall'attraversamento pedonale regolato da un semaforo, ormai inutile, fummo travolti da un vocio assordante.

La drammaticità della situazione ci apparve in tutta la sua magnificenza. Migliaia di bambini vagavano per i giardini del complesso commerciale. La maggior parte di loro non erano neanche in grado di stare in piedi. Rimanemmo impalati davanti a quello spettacolo, incapaci di proferire parola. L'istinto ci suggeriva di scappare a gambe levate e nessuno ci avrebbe biasimati per tale atto.

Ci guardammo un attimo. Leggevo nei loro occhi paura, smarrimento ma anche e soprattutto determinazione. Non ci fu bisogno di incoraggiarle. Francesca, Michela e Marta si mossero all'unisono ed entrarono in quel girone infernale!

Cominciammo a vagare tra quei bimbi, la maggior parte di loro ben al di sotto dei due anni. Molti erano sdraiati, alcuni dormivano, molti piangevano o si dondolavano catatonici. Era uno strazio!

“Come faccio a trovare Aurora? Sono troppi e abbiamo solo un paio d'ore prima del coprifuoco!”, esclamò Michela disperata, continuando a guardare tutte le bimbe con i capelli biondi.

“Continua a cercare, Michela!”, la incoraggiai.

“Vado a vedere dentro. Magari c'è qualcuno che ci può dare una mano!”, disse Francesca.

“Ok, noi continuiamo a guardare qui”, dissi io, indicando quella marea di piccoli esseri. “Chissà da quanto è che non mangiano e non vengono cambiati. Come facciamo stanotte a lasciarli qui....”, singhiozzò, ad un tratto, Marta.

“Non so come faremo, ma dobbiamo trovare un modo!”, esclamai, abbracciando la ragazza.

Michela si era un po' allontanata. All'improvviso si mise a gridare. La vidi afferrare una bambina ma poi la rimise giù, girandosi verso di noi e scrollando la testa in segno di diniego. Era chiaro, non era sua nipote!

“Forse potremmo metterli tutti dentro. Sicuramente dovremmo trovare coperte dentro nei vari negozi. Se stanotte staranno qui fuori, non sopravviveranno!”, esclamò Marta.

In quel mentre uscì Francesca.

“Ci sono dei ragazzi dentro. Alcuni di loro sono fratelli o sorelle dei bimbi qui fuori. Non sanno cosa fare. Hanno cercato di portare alcuni bambini dentro ma non sanno dove metterli, non sanno cosa dar loro da mangiare o come cambiarli. Ci vuole qualcuno che li coordini. Che ne dici se me ne occupo io?”, chiese la ragazza, risoluta.

“No, nessun problema, Francesca. Anzi, secondo me, sei la persona adatta a questo ruolo!”, esclamai, sicura.

“Marta, che ne dici, le dai una mano?”, chiesi poi rivolta all'altra ragazza.

“Si, certamente. Aiuto, adesso, Michela a cercare la sua nipotina, poi la raggiungo!”, rispose lei, decisa.

Ok. Andate. Faccio il giro di tutto il perimetro. Voglio vedere questo delirio fin dove si estende...”, esclamai, prima di allontanarmi.

Il parco urbano che era stato costruito attorno al centro commerciale si estendeva per quasi ventiseimila metri quadrati ed era stato la prima area verde costruita a Genova dopo cento anni. Snodato lungo una parte della ferrovia verso il ponente, le varie zone erano collegate da vialetti pedonali e piazze tematiche, con ricca e accurata vegetazione, fontane e giochi d’acqua, in modo tale che creasse un unico elemento paesaggistico tra il parco e gli spazi aperti dei vari settori. Un'opera urbanistica non indifferente.

In quel momento mi sembrò proprio di essere Dante che iniziava il suo viaggio nel mondo dell'oltretomba. Tutto il perimetro era invaso di bambini più o meno piccoli, abbandonati al loro destino e incapaci di comprendere che se qualche anima pia non si fosse accollata quel problema assai spinoso, molti di loro non sarebbero arrivati al giorno dopo.

Sperai ardentemente che Francesca, la quale aveva già dimostrato in passato doti di organizzatrice di eventi, fosse in grado di diventare il 'Virgilio' dell'occasione, in quanto guida e ispiratrice carismatica di altri giovani, e riuscisse nell'intento di salvare più vite umane possibili.

Tornai indietro. Cercai di non fermarmi ogni tre secondi a confortare ogni piccolo per risparmiare tempo prezioso. Erano le quattro e mezza. Avevamo più o meno tre ore per cercare di portare dentro al centro commerciale più bambini possibile. Sapevo in cuor mio che non ci saremmo riusciti ma non avevo scelta. Dovevamo provare.

Sul piazzale antistante l'entrata est del centro commerciale, vidi alcuni ragazzi che andavano e venivano. Chi entrava aveva due bambini in braccio, chi usciva nessuno. Segno dell'inizio dello spostamento dei piccoli.

La voce squillante di Michela sovrastava tutti. Sentivo che stava parlando concitata con qualcuno. Il suo tono era raggiante. Forse aveva trovato Aurora. Seguii le voci. Erano nel corridoio più interno. Questo era a forma di una grande C dove nel braccio più corto verso l'uscita da dove ero entrata io, c'era una grande scrivania bianca, una sedia, una grande lanterna a luce solare e Francesca che dava istruzioni a numerosi ragazzi. Indicava loro cosa prendere dai negozi, dove mettere i bambini e dove posizionare i vari oggetti. Insomma quello che avevo sperato. Mi sentii rincuorata. Forse ce l'avremmo fatta!

Stavo per chiedere a Francesca come potevo aiutare, quando fui assalita da Michela.

“Claudia! Claudia! Ho trovato Aurora! Ho trovato Aurora!”, gridò la ragazza allegra

“Fantastico, Michela! Te l'avevo detto che l'avresti ritrovata!”, esclamai, felice.

Mi girai per abbracciarla, quando dietro di lei, vidi Valeria. La sorella di Michela. Una donna adulta! Il primo adulto che vedevo da più di dodici ore....

“Valeria! Che piacere!”, le dissi, commossa. “Ti sei salvata! Come hai fatto?”, aggiunsi, stringendola tra le braccia.

“Mio marito mi ha spinto qui dentro. Con la bambina...Ci siamo rifugiate in un bagno e abbiamo atteso finché i camion dei militari non sono andati via...si è sacrificato per me e sua figlia!”, raccontò fra le lacrime.

“Ci sono altre persone con te?”, le chiesi, quando si ricompose un poco.

“Due madri sono riuscite a nascondersi, dove ero io. Non so se ce ne sono altre. Stanno dando una mano ai ragazzi a sistemare dei giacigli per i più grandi!”, rispose lei.

Annuii, sollevata.

“Fra, come è la situazione?”, chiesi alla ragazza.

Stiamo liberando i negozi che sono i più grandi vicino all'entrata. Lì sistemeremo i più piccoli. Cinque ragazzini sono nei negozi di puericultura a cercare lettini e box per metterli a dormire. Bisognerebbe che tutti quelli che ho visto su in c.so Martinetti venissero giù ad aiutare, invece di stare là a fare i cretini...”, esclamò Francesca, esasperata. ”Sto cercando di fare un elenco di nomi e cognomi dei bambini o almeno di chi li conosce e in base a dove li mettiamo, registro l'identità”, spiegò lei. “C'è un altro problema, però. I pannolini che sono qui non bastano. Valeria e le altre signore li avevano già presi. Tra quelli recuperati qui nel centro riusciremo a coprire solo fino a domani mattina. Poi non so cosa useremo...”, aggiunse, sconsolata.

“Bisognerebbe andare a cercare negli altri supermercati qui vicino”, dissi io, cercando di ragionare. “Vado a vedere in quello che si trova qui a due passi...”, aggiunsi.

“Claudia, una cosa importante. Probabilmente non avete incontrato militari venendo qui. Gli adulti vengono sistematicamente portati via. Se si rifiutano, vengono fucilati sul posto. Ho visto un sacco di persone oggi fare quella fine lì per la strada. Se esci fuori e non ti accorgi di loro...”, esclamò Valeria, concitata.

“Il rumore dei camion lo conosco bene, se lo sento mi nascondo. Tranquilla. Grazie”, le dissi, rassicurandola.

“A volte vanno anche a piedi...sono in due, massimo in tre. E' strano. Oggi, hanno visto i ragazzi che cercavano di organizzarsi e iniziavano a portare dentro i bambini. Hanno chiesto loro di non portare fuori la roba dal centro perché se no potevano essere considerati sciacalli ma non li hanno ostacolati. Invece se vedono adulti li costringono ad andare con loro oppure gli sparano...non capisco proprio il senso di lasciare qui tutti 'sti bambini...”, replicò lei, sconcertata.

“Valeria, rallentano la marcia i bambini. Sono d'impaccio, costringono i militari a dar loro assistenza e gli adulti sono più restii a fare le cose se devono stare a dietro ai bimbi...perciò è molto più semplice abbandonarli al loro destino!”, spiegò Michela a sua sorella con una calma e una lucidità impressionante.

“Non ho parole. Come sei giunta a questa spiegazione così inaudita?”, chiese lei, allibita.

“I nazisti agivano così...”, rispose la ragazza.

La paura stravolse il viso della donna. Nei suoi occhi passò un velo di terrore. Cercò di non darlo a vedere ma lo avevo percepito. Aveva capito che da quella situazione difficilmente ne saremmo usciti indenni.

Cominciai a fare un giro fra i vari negozi per vedere quello che sarebbe stato utile alla bisogna. Rimpiansi di non poter avere un cellulare funzionante per comunicare con Federico e Daniele, quando nel passare davanti al negozio di elettronica, desolatamente pieno di roba inservibile, fui fulminata da un'idea. Se andavano le radio a transistor, forse potevano funzionare le rice-trasmittenti.

Mi fiondai dentro e iniziai a cercare su tutti i vari scaffali. In fondo le trovai. Ce n'erano di molti tipi. Iniziai ad aprire le confezioni e a usare gli apparecchi per vedere se funzionavano. Quelle meno sofisticate, si accendevano. Andavano a batterie. Cercai un contenitore per metterne dentro quante fosse possibile. Poi presi tutte le pile e le torce che trovai ed uscii.

Raggiunsi le ragazze e feci vedere loro come usarle. Cercai un canale tranquillo, lontano da quelli ufficiali. Nella guida all'interno di una scatola c'era un serie di codici e canali da evitare, in quanto usati dalla polizia o dai militari. Ringraziai mentalmente quel tecnico scrupoloso che aveva redatto quella lista. Ne tenni alcune con me per poterle consegnare poi ai ragazzi quando li avrei visti quella sera.

“Fra, io torno su. Tu sei vuoi rimani qui con le ragazze, Valeria e le altre donne. Finite di sistemare. Ci vediamo domani mattina appena finisce il coprifuoco. Ok?”, le dissi, guardando l'orologio. Mancava un quarto alle sei. Forse sarei riuscita ad andare fino in c.so Martinetti a comunicare a quegli scellerati di andare a dare una mano lì dove c'era bisogno!

Lei annuì. “Preferirei venire su con te ma so che il mio posto è qui!”, rispose lei, un po' titubante.

“Lo so. Sei coraggiosa e preziosa. Domani ti farai dare il cambio da qualcuno e verrai su a darti una rinfrescata e a dormire qualche ora. Ok?”, le dissi, dandole un buffetto sulla guancia.

Annuì ancora, un po' più convinta. Mentre andavo via, incrociai Marta e Michela che trasportavano un lettino. Erano stanche, accaldate ma con uno cipiglio che se un soldato avesse detto loro qualcosa, lo avrebbero incenerito con lo sguardo. Dopo averle salutate, e abbracciate, andai via ghignando pensando a quel povero soldato.

Stabilii un record di percorrenza, arrivando in quella strada che mi ero prefissata di raggiungere, in meno di mezz'ora. Genova, con così tanti posti da dove godersi un meraviglioso panorama, era purtroppo ricca di salite più o meno ripide e per chi doveva fare in fretta, stare accorto e guardingo, non era proprio il massimo.

Il saccheggio era terminato. Forse non c'era rimasto nulla da portare via o da scolarsi. Davanti al bar, menzionato da Francesca, stava Marco con altri ragazzi.

“Se non sapete cosa fare, andate giù alla Fiumara. Ci sono migliaia di bambini da portare dentro al centro commerciale prima che inizi il coprifuoco. Non possono stare là fuori stanotte. Moriranno di freddo”, dissi loro, cercando di far breccia nel loro cuore.

“E a noi che ce ne viene in tasca?”, esclamò uno di loro.

“Nulla. Almeno avrete la coscienza pulita per aver fatto del bene...”, risposi.

“La coscienza non paga...”, ribatté un altro.

“Certo, ma almeno ti fa dormire la notte!!, replicai io, allontanandomi.

“Cosa dobbiamo fare?”, mi chiese Marco.

Mi girai a guardarlo. Sapevo che era l'unico ad avere un cuore....

“C'è da cercare un po' di roba nei supermercati vicino alla Fiumara. Mancano pannolini e omogeneizzati. Serve un mezzo di locomozione anche se, non so se l'esercito ve lo farà usare....potreste farlo di notte...ovviamente a vostro rischio e pericolo....magari ci sarà da menar le mani o usare qualche arma non convenzionale...”, spiegai loro, cercando di far leva su tutto quello che potesse piacere loro. Sapevo anche che Marco aveva la passione per le armi bianche, soprattutto quelle di origine giapponese. Forse era giunto il momento di metterle in uso.

“Francesca sta coordinando la situazione. E' lei il capo. Quindi dovrai prendere ordini da lei, Marco, anche se so che non ti piacerà molto. Tu sarai responsabile degli approvvigionamenti. Tu non interferirai su quello che fa lei e lei non si chiederà dove hai trovato la roba e chi hai dovuto far fuori per trovare anche un singolo pannolino. Ok?”, aggiunsi, sapendo che fra i due ragazzi non correva buon sangue.

Lui annuì, solleticato dall'idea di diventare il Tony Curtis della situazione (riferimento al film 'Operazione Sottoveste”, dove l'attore Curtis impersona il secondo ufficiale incaricato di trovare i pezzi mancanti del sottomarino in modi non proprio consoni a un ufficiale di marina degli Stati Uniti).

“Allora andate giù prima delle otto e mettetevi d'accordo”, esclamai, dando a Marco una rice-trasmittente con il codice della frequenza per stare in contatto.

Feci un giro veloce nel supermercato o meglio quello che ne era rimasto e presi qualche scatola per il mio piccolo zoo in miniatura che mi attendeva a casa. Mi incamminai verso casa che erano già le sette e mezza. Ero quasi in fondo al ponte e già vedevo il mio palazzo, quando sentii il rumore inconfondibile di un camion dietro le mie spalle che frenava.

Avevo due scelte. O mi buttavo in terra o mi mettevo a correre. Non è che a 46 anni uno sia vecchio ma essendo titolare di una protesi al ginocchio e non proprio un essere filiforme, scelsi l'ipotesi numero uno. Mi buttai a terra e strisciai sotto una macchina. Mi venne in mente la scena vista in una delle tante serie televisive che avevo guardato durante l'inverno precedente con i ragazzi, dove un gruppo di sopravvissuti cercavano di non essere mangiati vivi da un'orda di morti viventi, nascondendosi proprio sotto le auto. Solo che questi non erano zombies. Questi erano vivi e vegeti.

Sentii che stavano scendendo dal camion. Sentii con orrore che uno di loro diceva agli altri che mi aveva visto andare dove mi ero nascosta. Iniziai a pregare inconsciamente. Poi sentii uno sibilo, un grido strozzato. Un altro suono simile seguito da lamento straziante e così via finché non ne contai cinque. Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Poi avvertii uno scalpiccio accanto a me. Il mio cuore perse un battito.

“Claudia, ok, puoi uscire. Pericolo eliminato!”, una voce proruppe da sopra l'auto dove mi ero rifugiata.

Non ci potevo credere. Non riuscivo a capacitarmi di quello che era accaduto.

Con lentezza e qualche tentennamento uscii dalla mia tana e mi ritrovai davanti al mio salvatore. “Antonio, mio eroe!”, esclamai, prima di abbracciarlo.

Antonio, venticinque anni, era un ragazzo alto e snello, altruista, dotato di forza fisica non indifferente e che finalmente poteva utilizzare le armi medievali di cui era tanto appassionato ed era un piacere usarle contro coloro che osavano avere solo intenzione di fare del male alle persone a lui care, soprattutto a Claudia o ai ragazzi.

Mezz'ora dopo, seduta sulla mia poltrona con accanto una tazza di tè fumante, circondata da un'orda di gatti e cani e con un audience formata da Antonio, Daniele e Federico venni a sapere che il nostro arciere, finalmente, aveva potuto utilizzare la nobile arte dei Balestrieri del Mandraccio e mi aveva salvato la vita. Raccontai loro cosa era accaduto alla Fiumara e loro mi misero al corrente dei loro tentativi di stivare un po' di vettovaglie nel magazzino del negozio dei genitori di Simone.

Passammo la notte a fare piani per mettere in salvo tutti quei bambini e ragazzi allo sbando e anche per scoprire la verità. Le teorie erano tante. Poche le certezze. Dovevamo fare anche lo sforzo di trovare dove erano stati portati tutti gli adulti e il motivo per cui era stata fatta quella divisione.

“Ahaha, mi verrebbe da fare una citazione dal quinto libro di Harry Potter”, esclamò Federico, alzandosi in piedi e con una candela andare verso la mia libreria. Iniziò a cercare tra i miei libri, finché non tirò fuori il quinto della saga inventata dalla Rowling.

Iniziò a leggere:Credo che dovremmo darci un nome”, rispose Hermione allegramente con la mano ancora alzata. “Aumenterebbe lo spirito di gruppo e l'unità, non credi?”

“Ve lo ricordate sto passo?”, chiese poi, posando il libro.

Annuimmo tutti.

“Si, certo. Ricordo che parlavano di trovare un nome che potesse essere usato liberamente al di fuori delle riunioni e che non facesse sospettare nulla”, esclamò Antonio, prendendo in mano il libro e iniziando a sfogliarlo.

“Mi pare che iniziarono a usare il nome 'Esercito di Silente', no?, disse Daniele.

“Proprio così!”, esclamai io.

“Allora saremo l'Esercito di Claudia!”, esclamò Antonio, posando di scatto il libro e girandosi a guardarmi.

“Grazie Anto, ma ci vorrebbe qualcosa di più significativo”, risposi, assorta.

“In pratica non solo dovremmo salvare tutti quelli che sono sopravvissuti ma anche Genova, in modo che non faccia la fine delle altre città. In passato questa città non si è fatta mettere i piedi in testa da nessuno: Impero, Papato, Francesi o Tedeschi che fossero...”, esclamò Federico, studente di Beni Culturali e appassionato della storia della nostra città.

“Siamo ripiombati nel medioevo e quindi è a quella storia che ci rifaremo. Quale fu il periodo di massimo splendore della città, Fede?”, chiese Antonio.

“Dal 1090 al 1329”, rispose, pronto, Federico.

“Quale era il simbolo della città, cioè quando voleva far paura al nemico, cosa usavano?”, chiese Daniele, illuminato da un'idea.

“Se voleva minacciare qualcuno, mandava le missive con un sigillo particolare. Un grifone che uccide un'aquila, che era il simbolo imperiale, e una volpe, simbolo di Pisa. Ciò significava che Genova aveva sconfitto quelle due realtà del tempo e non si sarebbe fatta troppe domande nello sconfiggere qualcun altro!”, spiegò Federico.

“Peccato. Difficile ormai rappresentare quel sigillo senza computer. Qualcosa di più semplice?”, chiese ai suoi due amici.

“La croce di San Giorgio. Non era il simbolo dei Crociati?”, chiese Antonio.

“Si, è la bandiera di Genova!”, esclamò Federico.

“Cavalieri di San Giorgio e tutti quelli che aderiranno dovranno indossare una maglia bianca con una croce rossa sopra!”, esclamai io, all'improvviso. “Che ne dite?”, chiesi loro, quando vidi le loro espressioni assorte.

“Gran bella idea, Claudia. Aggiudicato!”, disse Federico e anche Antonio e Daniele si dichiararono entusiasti.

“Bisognerebbe darci, però, una parvenza di inquadramento, tipo militare, se no quei mocciosi, liberi dalle grinfie genitoriali e scolastiche, non ci daranno retta. Io posso addestrarne un po' a usare la balestra e l'arco. Magari i più piccoli, quelli di dodici-tredici anni. Gli altri a ripulire i negozi e a fare scorte di cibo e materiali”, esclamò Antonio, infervorato.

“Si, direi di si. Se no, non ne usciamo!”, replicò Daniele. “Sarà dura, cavolo. Molto dura!”, aggiunse poi.

“Che la danza abbia inizio....”, esclamò Fede, sfregandosi le mani.

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