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Autore: Medea00    22/07/2012    10 recensioni
Blaine è un pianista, Sebastian un violinista, entrambi studenti al conservatorio Franz Liszt di New York. Si ritrovano costretti a suonare insieme per un concorso importantissimo che, lo sanno bene, se vinto determinerà la loro carriera.
Ma chi lo dice che non determinerà anche qualcos'altro tra loro due?
Tratto dal capitolo 9:
"Per questo Liszt ammirava molto Chopin. Per questo Liszt era l'unico in grado di suonare i brani di Chopin, come diceva lui stesso. Si capivano. Forse erano gli unici in grado di farlo.”
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 5



                                                       
 
 
 
“Mi spiega esattamente cos’è questa storia?”
Il professor Cage guardò Sebastian da sopra i suoi occhialini sottili, l’espressione non mutata di una virgola e il classico tono formale.
“Buongiono anche a te Sebastian.”
“Buongiorno un cazzo.”
Blaine era un paio di metri dietro di lui, con la schiena appoggiata alla porta chiusa e intento a fissare quella rigida di Sebastian, mentre le sue braccia stavano stritolando gli angoli della scrivania. A giudicare da come lo aveva preso per una manica giusto cinque minuti prima e trascinato con la forza nell’ufficio del professore, Blaine dedusse che non aveva passato poi una così bella nottata; da quel poco che era riuscito a intravedere, Sebastian quella mattina aveva i capelli scompigliati, delle profonde occhiaie, il volto teso e costantemente contratto da una smorfia. Non che gli dispiacesse, in fondo: chissà come mai, l’idea di lui che faceva cilecca con qualcuno lo divertiva.
“Che è questa cosa di un altro candidato al concorso per Kuznets? Chi è questo Wyatt?”
Robert emise un piccolo sospiro, appoggiandosi allo schienale della sedia e intrecciando le dita lunghe e allenate.
“Wyatt Gosling è un allievo dell’ultimo anno. Si è presentato da me il giorno stesso delle audizioni chiedendomi di essere iscritto al concorso, come autodidatta.”
E Sebastian stava già per controbattere con veemeza dicendo quanto tutto quello fosse stato meschino e spregevole, ma poi la sua bocca rimase aperta senza che proferisse alcuna parola; anche Blaine fece un passo in avanti, sembrando leggermente confuso.
“Wyatt si è iscritto... da autodidatta?”
“Più precisamente, si è fatto iscrivere”, mormorò il professore.
Sebastian e Blaine si lanciarono un’occhiata, come se fosse bastato quel piccolo particolare a cambiare completamente le carte in tavola. C’erano solo due probabili motivi per spiegare con efficienza l’iscrizione di quel ragazzo al concorso: poteva essere un montato, uno di quei ragazzi che credeva di avere già la carriera in pugno e che si giudicava sprecato per quella scuola; oppure, era semplicemente un fenomeno musicale, prossimo al diploma di specialistica, che si era trovato al posto giusto nel momento giusto con il bando immesso da Kuznets.
“...E che strumento suonerebbe?” Domandò Blaine, con una certa incertezza nel tono di voce perchè, in fondo, sia lui che Sebastian sapevano benissimo quanto quella domanda avesse un’importanza fatale. Se era un violinista, erano ufficialmente nei casini; un violoncellista, magari, sarebbe stato più semplice da gestire, ma mai quanto un altro pianista, dotato di più anni di allenamento e una tecnica formidabile.
Quelle erano le tre possibili varianti che comparvero nella loro mente, sempre più sottili, sempre più pericolose, mentre il professor Cage davanti a loro si puliva lentamente gli occhiali da vista come per dare il tempo di impazzire del tutto; Sebastian continuava a tenere lo sguardo fisso sul professore, fino a quando quest’ultimo non parlò.
“E’ un ottimo flautista.”
Sebastian si bloccò di colpo, con la bocca semi aperta.
“Oh Dio sul serio? Un pifferaio!”
“Beh? Che ti è preso tutto d’un tratto?” Domandò il professore di fronte alla sua risata sguaiata, osservandolo accigliato; perfino Blaine sembrava più rilassato, emise inconsciamente un piccolo sorriso come sentendosi molto più sollevato.
“Ma andiamo prof – esultò Sebastian – quello suona il piffero!”
“Si chiama flauto traverso.”
“E’ un fottutissimo piffero. Adesso cosa farà, comincerà a manovrare i topi?”
“Non sei divertente.”
Ma Blaine stava cercando con tutte le sue forze di trattenere una risata, mostrandosi composto e leggermente seccato da quella sua superficialità: in realtà, era un luogo comune che i flautisti fossero discriminati dal resto degli studenti. Semplicemente, non vedevano motivo per prenderli sul serio.
“Va bene insomma, il nostro Tamino può continuare a vivere i suoi giorni di gloria, mentre gli adulti pensano a fare della vera musica.”
Robert afferrò con poca grazia il bastone, sollevandosi in piedi senza troppe cerimonie: “Non ti conviene sottovalutare quel ragazzo. Lui e sua cugina Jodie sono piuttosto famosi per essere un duo senza pari.”
“La conosce?” Intervenne Blaine, come illuminatosi: non sapevano nulla sull’altra ragazza.
“Non molto. E’ giovane, una pianista discreta.”
Discreta, metabolizzò il ragazzo assimilando e traducendo quella parola. Robert era solito pesare ogni parola, dandole la giusta consistenza: non rappresentava una minaccia, quindi?
“Sì beh non è il nostro genere” mormorò Sebastian avviandosi verso la porta dell’ufficio, con ancora quel ghigno di pura soddisfazione dovuto interamente a Wyatt: lo avrebbe schiacciato come una formica; la prossima volta non sarebbe stato così restìo, gli avrebbe fatto capire la netta differenza tra dare aria ai polmoni a caso e il suo violino.
Adesso aveva un valido motivo per impegnarsi a fondo in quelle prove, così da annientare totalmente Wyatt alla prima selezione del concorso.
Una volta arrivati in aula prove, si sistemarono ai rispettivi posti e Blaine passò una mano sui tasti del pianoforte, restando in attesa di qualche ordine dal professore o qualche battuta cinica del ragazzo.
“Voglio ricordarvi che avete soltanto due settimane per provare il brano e effettuare un’esibizione soddisfacente. Non avrete una seconda chance, alla selezione.”
“Non ne avremo bisogno”, commentò Sebastian guardando il professore con aria di sfida. L’uomo, però, sembrava mancare completamente della sua stessa tenacia: abbassò lo sguardo, porgendo a entrambi un nuovo spartito e sorridendo debolmente.
Perchè se non si mettevano in testa di allenarsi, ma allenarsi davvero, non sarebbero mai riusciti a superare la prima fase.
 

 
Dopo un’ora e mezza di prove ininterrotte i tre si trovavano al punto di partenza: era un susseguirsi di interruzioni, pause, commenti schietti, critiche. Sebastian adesso aveva l’archetto in mano e fissava Blaine come se stesse per ucciderlo da un momento a quell’altro: non erano riusciti ad andare a tempo nemmeno una volta, perchè il pianista si perdeva in qualche suo gorgheggio tecnico rallentando un trillo di troppo o accelerando una scala. Eppure, Blaine lo fissava come convinto di aver ragione, ed era quella, la cosa che più lo faceva arrabbiare.
“Ti assicuro.” Sentenziò a voce bassa, come un sibilo, che assomgliava molto ad una minaccia. “Ti garantisco che prima o poi quel metronomo te lo faccio ingoiare.”
“Di certo sapresti come, visto che tu sembri averlo digerito da un bel po’. Non ti scomponi proprio mai?”
Sebastian si soffermò a fissare il suo volto rilassato e incolore, assottigliando lo sguardo e avvicinandosi di più verso il pianoforte. Aveva anche il coraggio di rispondergli?
“Che intendi dire?”
“Non ti fermi – constatò Blaine - non ascolti. Tu suoni e basta, non è così? Esegui il pezzo senza indugi e vai avanti per la tua strada.”
“Certo. Ma sai, non vorrei troppo sconvolgerti le idee, questo si chiama suonare.”
“Oh andiamo, e io cosa starei facendo?”
“Finalmente una domanda lecita – commentò lui – però mettiti in fila che a volerlo capire c’ero prima io.”
“Ragazzi.”
Robert attirò l’attenzione su di sè specialmente per il modo estenuante con cui aveva pronunciato quella semplice parola.
“Ma lo volete capire che così non andate da nessuna parte? Non riuscite nemmeno a finire il brano senza che vi attacchiate a vicenda. Dovete decidervi. Altrimenti, in questo modo non vincerete mai il concorso.”
E fu un po’ meschino da parte sua aggiungere un’altra frase al suo discorso di incoraggiamento, una frase piuttosto maligna, ma che sapeva avrebbe reso perfettamente lo scopo.
“Wyatt e sua cugina suonano molto meglio di voi.”
Sebastian e Blaine adesso erano voltati completamente verso di lui, con delle espressioni sorprese e impareggiabili.
“Oh sì, li ho sentiti. Sono davvero bravi, sapete? Penso che a quest’ora avranno già terminato il loro duetto; fanno le cose con molto anticipo, così da avere abbastanza tempo per migliorare.”
Senza nemmeno indugiare sui loro volti aveva già afferrato bastone e valigetta, indossando il suo fidato cappello di feltro e sistemandosi un po’ goffamente i risvolti della sua giacca.
“E’ un vero peccato che vi facciate battere da loro due. Immagino che non dev’essere molto divertente essere battuti da un flautista, e da una pianista femmina.”
Li aveva presi in pieno. Beccati come una freccia e il centro del bersaglio.
Sebastian e Blaine non si mossero di un passo; Robert li salutò cordialmente, e disse loro che li avrebbe visti la prossima settimana a causa di una serie di impegni irremovibili. Li aveva lasciati completamente in balìa di loro stessi con nient’altro che un brano, un metronomo e i loro strumenti.
Non avrebbe più dato una mano, non a quelle condizioni.
Blaine e Sebastian si guardarono, ed entrambi pensarono immediatamente alla stessa cosa: non volevano perdere. Anzi: non potevano perdere. Non contro quel ragazzo che in appena un quarto d’ora si era dimostrato essere arrogante, odioso e inutile.
E non avevano più tempo per farsi la guerra, non ora che un’altra battaglia si era presentata alle loro spalle.
“E quindi...”
Blaine si morse il labbro inferiore con lo sguardo rivolto verso il pianoforte, lo spartito ancora posizionato sul leggio e le mani che stringevano la matita che usava di solito per le correzioni.
“E quindi.”
Sebastian si appoggiò ad un lato del piano, incrociando le braccia al petto e ripensando all’intera esecuzione.
E così, si decisero a parlare sinceramente: dovevano pur trovare un punto d’incontro, no?
“Il tuo primo tempo era troppo lento.”
“E tu sei andato troppo veloce.”
“Sono disposto a regolare la mia ritmica, se tu ammetti di essere scoordinato e mi porgi delle scuse.”
“Che cosa? Ma io non ho nessuna intenzione di scusarmi, non sono io che sbaglio.”
“Figurati io.”
“Bene allora.”
“Già, bene.”
A quanto pareva, il loro tentativo di riappacificazione si era concluso lì.
“Dobbiamo suonare.”
Per una volta, Sebastian si trovò d’accordo con Blaine, e annuì impercettibilmente.
“E non possiamo occupare sempre l’aula prove – aggiunse il violinista – dobbiamo vederci... fuori dall’orario di lezione.”
E Blaine, in quel momento, alzò la testa verso di lui: perchè non era ben sicuro di aver capito bene. Non era ben sicuro di voler vedere Sebastian di sera, nè tantomeno di invitarlo a casa sua.
“Io... casa mia non è disponibile. Ho una coinquilina e... beh, devo avvisarla con qualche giorno di preavviso, non so nemmeno se è d’accordo, lei ha delle prove e-“
“Non ti scaldare troppo Anderson, ti sta uscendo del fumo dai riccioli.”
Blaine lo gelò con un’occhiata, mentre Sebastian sembrava stranamente risoluto e tranquillo. Quando lo vide avvicinarsi trattenne a stento il respiro, le sue guance si infiammarono di colpo, e il suo cuore prese a battere freneticamente senza nemmeno una motivazione plausibile. Era solo Sebastian, era che quegli occhi verdi lo disorientavano, il suo profumo era strano ma intenso e non riusciva assolutamente a capire cosa avesse intenzione di fare.
E poi, il lapis gli scivolò via tra le dita, per essere accolto tra quelle di Sebastian e usato per scrivere un indirizzo su un angolo dello spartito.
“Ci vediamo alle sette. Puntuale. E non portare biscotti o piantine o qualsiasi altra cazzata da ragazzina.”
Così, in modo talmente rapido da sembrargli inverosimile, si rese conto di aver fissato un incontro per suonare con Sebastian a casa sua.
 

 
“Stai uscendo?”
Blaine si fermò a un passo dalla porta, con la giacca in una mano e il casco del motorino nell’altra. Vide la testa di Brittany sbucare da dietro il divano, con un vestitino corto e leggero, i capelli legati da strane code e Lord Tumbington che se ne stava comodamente appollaiato sul suo grembo. La televisione era accesa su un canale di cucina, ma Blaine era quasi convinto che lei lo stesse guardando più che altro per ascoltare la canzoncina allegra e ridondante che veniva ripetuta in sottofondo.
Ignorando completamente il soffiare del felino, inclinò la testa da un lato passandosi una mano trai capelli: “Sì Brit, devo andare a suonare.”
“Oh peccato – mormorò lei - volevo provare a costruire un castello di carta con i bastoncini di shangai.”
Se non l’avesse conosciuta bene, probabilmente sarebbe scoppiato a ridere.
“Possiamo farlo dopo, quando torno. Non dovrei metterci tanto.”
In realtà, era quasi certo che quella lezione extra sarebbe terminata in un disastro. Aveva una strana sensazione: come se entrare nel territorio di Sebastian fosse ingiusto, e anche un po’ pericoloso. Come se loro due non avessero mai dovuto prendere la decisione di suonare insieme, sin dal principio. Forse, per un momento, si rese perfino conto che la presenza di Sebastian lo confondeva. Non in modo negativo, o allarmante: semplicemente, lo disorientava. Non riusciva più capire i suoi pensieri.
“Mi aspetti in piedi?” Domandò, scuotendo la testa come per scacciare via quelle paranoie. Brittany lanciò un’occhiata languida all’orologio gigante appeso sul muro e fece un piccolo sbadiglio.
“Ma sono già le tre e quaranta, tra poco viene la fatina dei sogni e non posso farmi trovare impreparata.”
“Ma la fatina dei sogni non avrà problemi se ti addormenti- aspetta un momento, che cos’hai detto?”
Brittany guardò di nuovo l’orologio, un po’ titubante.
“Oh, aspetta, forse sono le sette e un quarto. La lancetta delle ore è quella più cicciotta o quella più magrolina?”
“Scusami Brit, devo scappare!”
E in meno di un secondo Blaine aveva letteralmente volato le scale del condominio, per saltare sul motorino e mettere in moto con ancora il casco che andava allacciato. Non che fosse conosciuto per la sua puntualità, ma non riusciva a credere di averci messo mezz’ora a sistemarsi i capelli, com’era possibile? Il tempo forse lo stava prendendo in giro?
E poi gli attraversò la mente un pensiero che lo fece quasi sospirare: Sebastian lo avrebbe infamato per delle ore.
 


“Si può sapere che problema hai!?”
Blaine abbassò la testa lentamente, senza avere il coraggio di guardare il ragazzo negli occhi, con le mani strette intorno al casco e le labbra serrate in una smorfia; Sebastian era davanti a lui, con nient’altro che dei jeans e una camicia sbottonata sul collo e i suoi occhi smeraldini carichi di odio, e lui non aveva la più pallida idea di cosa dirgli: non poteva certo ammettere di aver fatto venticinque minuti di ritardo e rischiato due incidenti mortali solo per colpa del gel. Tuttavia, una parte di sè era quasi convinta che lo sapesse comunque.
“Ah no aspetta – seguitò Sebastian addolcendo il tono di voce, ma continuando a guardarlo torvo – hai ragione, la colpa è la mia. Dovevo sapere che le ragazzine in calore ci mettono sempre una vita a prepararsi perchè non sanno mai cosa mettersi. La prossima volta ti dico le sei e mezza.”
“Non sono una ragazzina, e soprattutto non sono in calore. Ho avuto un contrattempo, tutto qui.”
“Un contrattempo che prevedeva un ricciolo che non si decideva ad appiattirsi?”
Blaine arrossì leggermente e si sentì sprofondare dentro al parquet pregiato di quella casa. Ma poi Sebastian sbuffò, facendosi da parte, permettendogli di entrare dopo avergli intimato di togliersi le scarpe; per un momento pensava che scherzasse, ma poi notò che Sebastian se ne stava tranquillamente a piedi nudi, così mise le converse da parte e rimase con dei ridicolissimi calzini millerighe nere, blu, porpora e viola.
Sebastian li guardò per un attimo non trattenendo minimamente una smorfia: “Ma che carini.”
“Sei qui per prendermi per il culo o suonare? – Sbottò - Muoviamoci.”
“In effetti, il gioco di parole che hai usato è molto interessante.”
Blaine si voltò di scatto verso di lui, gli occhi sgranati; Sebastian era a pochi metri e continuava a fissarlo fiero e sorridente.
“Io... io non volevo dire-“
“Rilassati. Stavo scherzando. Dio, sei palloso proprio come il tuo musicista.”
L’allusione a Chopin, se possibile, rese il tutto ancora più snervante.
“Non ho degli standard così bassi da provarci con te. A proposito: non sperare che ti prenda per mano e ti faccia fare il giro della casa saltellando. Non entrare in nessuna stanza, se ti serve il bagno devi chiedermelo. Il frigo è off-limits e Dio mi fulmini se mai ti sorprenderò ad ammirare imbambolato qualche mia foto.”
“Perchè?” Stavolta fu Blaine a parlare in modo cinico, e un po’ canzonatorio. “Sei uno di quei ragazzini con nostalgia di casa che tiene le foto dell’annuario rinchiuse in un cassetto?”
Il sorriso di Sebastian si incurvò appena; diede le spalle al ragazzo, dirigendosi verso una stanza e esclamando, poco prima di entrare: “Nel mio cassetto ci sono solo lubrificante e preservativi, Anderson, dovresti saperlo!”
“Ma certo.”
Chissà come mai, invece di sentirsi offeso e anche un po’ scocciato, Blaine si ritrovò a sorridere.
Approfittò del piccolo momento di tregua e solitudine per poter finalmente guardarsi intorno, analizzando la casa e ammirandone tutti i particolari: l’appartamento, l’ultimo di un grandissimo palazzo, era grande ed elegante. L’arredamento era moderno e di alta moda, il pavimento caldo e perfettamente pulito coperto da qualche raffinato tappeto persiano; a un lato della sala – dotata di televisore al plasma, divani e un grande tavolo da pranzo – c’era una porta, forse quella della cucina, e un corridoio, dove fino a poco fa c’era Sebastian.
A rigor di logica, quel corridoio doveva condurre alla camera da letto e al bagno, e per un secondo Blaine si sentì quasi inappropriato nel starsene in piedi nel bel mezzo di casa sua con la sua mente che traeva tutte quelle invadenti supposizioni: dopotutto, lui non conosceva Sebastian. E si sentiva un po’ emozionato a poter osservare parte del suo mondo, quello che lui pensava fosse il più intimo e escluso a molti. Tuttavia, più andava alla ricerca di oggetti, indizi che potessero fornirgli un quadro più completo sul ragazzo, più si accorgeva di come quella casa fosse neutra: non c’era nessuna foto, in giro, nè qualche quadro caratteristico; era tutto molto in ordine e perfetto, come se fosse una di quelle case che venivano messe in mostra nei cataloghi delle agenzie immobiliari.
Ancora una volta, il mondo di Sebastian gli apparve confuso: era come se ci fosse un grande muro, tra lui e il resto del mondo, che nessuno aveva il diritto di scavalcare.
Il suo sguardo cadde inevitabilmente sul pianoforte a muro situato in un angolo della stanza, accanto alla finestra, con un panno marrone scuro che copriva i tasti perfettamente bianchi; non era stupito del fatto che Sebastian ne avesse uno: vista la composizione della casa, un pianoforte a muro sarebbe stato quasi un capriccio. Rimase allibito quando si avvicinò per contemplarne le fattezze, quando lesse, un po’ ammaliato, il nome Steinway & Sons: era la marca più pregiata e costosa di pianoforti esistente sulla piazza. Nemmeno il Franz Liszt ne aveva uno, semplicemente perchè sarebbe stato uno spreco se adibito a un uso didattico, toccato da migliaia di mani diverse. Deglutì, respirando a pieni polmoni, non riuscendo nemmeno a distogliere lo sguardo dallo strumento: era il suo sogno proibito da quando aveva grosso modo cinque anni, da quando il suo piccolo Petrof si scordava ogni giorno e lui era costretto a passare ore intere a aggiustarlo.  
Nella sua testa non riusciva nemmeno a immaginare che suono potesse avere, e la sola idea che lo avrebbe scoperto a minuti lo fece quasi emozionare; si chiese anche che razza di famiglia avesse Sebastian, dal momento che soltanto quel pianoforte doveva costare il doppio di tutta la sua casa.
Si sedette con molta cautela sullo sgabello, che ovviamente era molto diverso dal suo, più morbido, più flessibile nel momento in cui lo regolò per la sua altezza, ridacchiando quando constatò che non avesse cigolato nemmeno una volta.
Con una sorta di bagliore negli occhi, si apprestò a togliere il panno dai tasti, e a sospirare: gli sembrava un sogno. Doveva essere un sogno, tutto quello non era reale.
Infine, quando iniziò a suonare un qualche motivetto inventato sul momento, un brivido gli attraversò tutta la schiena, e lui smise di respirare: era un suono netto, pulito, limpido e perfetto, adatto sia a brani di classica che a pezzi più movimentati, come il jazz. I tasti erano rigidi al punto giusto e i pedali si abbassavano facilmente.
Ed era così preso dalla sua totale ammirazione verso il piano, che per poco non si accorse di una figura che gli passò vicino, entrando di poco nel suo raggio visivo, in un modo così sinuoso ma bizzarro che lo fece voltare.
C’era una ragazza, lì. Camminò verso il frigorifero e prese una bottiglietta d’acqua; bevve qualche sorso, prima di rivolgere a Blaine uno sguardo totalmente inespressivo prima di tornarsene nel corridoio ed entrare nella prima stanza sulla destra.
E c’era anche un altro, piccolo dettaglio: quella ragazza era nuda. Completamente, incondizionatamente nuda.
“...Sebastian?” Mormorò Blaine con la gola secca, gli occhi ancora sgranati verso un punto inesistente, le mani pietrificate sul pianoforte.
Il ragazzo arrivò qualche secondo dopo, con il violino in braccio e un metronomo in mano. E Blaine aveva un’espressione talmente attonita, che non riuscì a trovare nessun’altra frase da dire tranne un semplice: “Cos’hai?”
“C’era una ragazza nuda che camminava per il tuo salotto.”
Sebastian lo guardò per una manciata di secondi senza mutare d’espressione: “...Era ubriaca?”
“...No, io... io credo di no.”
“Ah. Allora va bene.”
Ok, pensò Blaine.Ok, decisamente, tutto quello doveva essere un sogno.
Sebastian roteò gli occhi al cielo, spostandosi verso la stanza e bussando con forza: “Santana? Santana!”
Un secondo dopo, apparve la stessa ragazza di prima, i lineamenti esotici e sensuali, le curve perfette del suo corpo fasciate da un vestito nero e attillato.
“Hai spaventato la scolaretta.” Accusò Sebastian. Ma lei, con i suoi occhi scuri e il suo sorriso malizioso, si strinse nelle spalle: “Non pensavo che fosse così sensibile. Di solito non li scegli molto sensibili. Oppure è bisessuale?”
“Non è qui per scopare. Lui è Anderson, quello del pianoforte.”
Quella descrizione, a giudicare dalla reazione di lei, fece effetto. Blaine intanto si era alzato, spostava il peso da un piede a quell’altro, meditando seriamente se uscire dalla porta o svignarsela direttamente dalla finestra: peccato che fossero al quarantesimo piano.
La ragazza di nome Santana si presentò davanti a lui, tendendogli la mano con un bel sorriso: “Scusami cucciolo, non volevo spaventarti. Io sono Santana, la coinquilina di quella fedifraga dietro di noi.”
“Ehi!”
“Blaine, e... Non mi hai spaventato.” Afferrò la sua mano con gentilezza, ma convinzione. Santana evidentemente aveva trovato in lui qualcosa di molto divertente, perchè tutto ad un tratto si voltò verso Sebastian domandando: “Ma dove lo hai pescato questo cagnolino? E’ adorabile.”
“Sì certo, perchè ti sembra una nuova cavia da laboratorio.”
“Non sono tanto interessata alle cavie maschili, sai”, tagliò corto per voltarsi di nuovo verso Blaine, le quali guance erano tornate di un colore pressochè normale.
“Così sei Blaine.”
“...Sì, sono Blaine.” Rispose, un po’ colpito: cosa aveva voluto dire con quella frase? Sebastian le aveva parlato di lui?
Ma il minuscolo moto di felicità che era nato dentro di sè fu brutalmente bruciato non appena Santana disse: “Sebastian mi ha detto che gli fai da accompagnamento per il concorso di quel tizio col nome impronunciabile.”
“No.” Sentenziò lui, la voce gelida come il ghiaccio. “Non gli faccio da accompagnamento. Suoniamo insieme.”
“E che differenza fa?”
Sebastian sfoggiò un ghigno che urlava vittoria da ogni sfaccettatura.
“Comunque, vi lascio suonare. Io esco per qualche Night sperando di trovare una ragazza che sappia resistere più di sei minuti.”
“Da qualche parte nel mondo deve pur esserci – la consolò Sebastian – com’era quella storia dell’anima gemella?”
“Se ci sei tu, ci sarà anche una perfetta per te.” Recitò svogliatamente. Sebastian si avvicinò a lei facendole l’occhiolino: “A letto, ovviamente.”
I due coinquilini scoppiarono a ridere, dandosi il cinque e continuando per qualche minuto con quei commentini cinici. Blaine li fissava un po’ imbarazzato, un po’ scettico e, sì, perfino un po’ divertito: era interessante vedere quanta affinità ci fosse tra Santana e Sebastian, sembrava come se si conoscessero da una vita.
Per un attimo, gli ricordarono lui e Brittany. Si ripromise di fare quel castello di carta con i pezzi di Shangai, una volta tornato a casa.
“Bene ragazze, io devo andare” annunciò dopo un po’ Santana rivolgendo un sorriso a entrambi. Blaine non era nemmeno così confuso per essere stato chiamato ragazza, forse, perchè si era un po’ abituato a Sebastian, e ad ogni modo il tono con cui lo aveva detto non sembrava affatto un’offesa.
“Ah, Blaine?”
Santana richiamò il ragazzo giusto un attimo prima di scomparire dietro la porta.
“Devo farti le mie congratulazioni: sei il primo gay che entra in questa casa e non viene scopato.”      
 
Sebastian restò a fissare la porta ormai chiusa per qualche secondo, prima di voltarsi incuriosito e osservare la reazione di Blaine. Non aveva la più pallida idea di come l’avrebbe presa, era un ragazzo piuttosto strano: c’erano delle volte sembrava timido e insicuro, tuttavia...
Con sua grande sorpresa, incrociò il suo sguardo senza nessuna difficoltà, ed era fermo.
Pensò che Blaine avesse proprio dei begli occhi.
“...Chissà, magari mi fa da curriculum.”
E anche una bellissima risata.






 
***

Angolo di Fra

Adoro Santana.
Grazie ancora per tutto il supporto che mi state dando, siete gentilissimi. Un bacione e buona Domenica!
Fra

 
   
 
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