A mia mogliaH, che me l’ha chiesta e che merita molto di
più. ♥
Rumors you don’t want to hear
{ and things you don’t
want to know }
«Che
cosa prendi, Archie?»
I giorni passano e lo schema resta sempre lo
stesso. Archie apre timidamente la porta del locale, si guarda in giro
stringendosi forte al manico dell’ombrello, e ogni volta crede – spera – che ci sia la Nonna
dall’altra parte del banco, e che non sia poi così difficile ordinare
una stupida colazione; ma d’altro canto lo sa benissimo che il turno di
Ruby è quello mattutino, sempre
quello mattutino. E così lo schema non cambia mai. Ruby alza gli occhi,
sorride in quel modo in cui sa sorridere solo lei – c’è
qualcun altro a Storybrooke che sorrida così?
Lui non se n’è accorto – e gli fa un cenno e si appoggia al
banco e gli parla, e per quei pochi secondi è come se non esistesse
nessun altro tra quelle quattro mura.
«Che cosa ti porto, Archie?»
I giorni passano e Archie non ce la fa mai, non
trova mai il coraggio di darle quella che sarebbe la risposta più
sincera – che non ci sarà mai nulla, nessun caffè, nessuna
cioccolata calda, che possa aiutarlo ad affrontare meglio la giornata quanto
è in grado di farlo uno solo di quei suoi sorrisi. Allora sospira,
rilassa la stretta sull’ombrello, si avvia a un tavolo qualsiasi –
che però gli permetta di continuare a guardarla, di non darle mai le spalle – e le chiede solo la
seconda cosa che gli viene in mente; poi la osserva mentre lei gli porta una
colazione che sa già che mangerà senza badare neppure a cosa sia,
se sia troppo fredda, se sia troppo dolce, sempre troppo concentrato sul suo
modo leggero ed elegante di camminare attraverso il locale e renderlo un posto
da favola. E va sempre così.
«Che cosa vorresti, Archie?»
La verità è che non lo sa, che
cosa vuole.
A volte si accontenta alla mera consapevolezza
della sua presenza e si dedica alla lettura di un giornale, ma ha notato che le
lettere si fanno sempre più sfuggevoli sotto il suo sguardo. O Lo Specchio
non vale un centesimo senza gli articoli di Sidney Glass, oppure in fondo la
presenza di Ruby non gli basta, non gli basta affatto. Altre volte sorseggia
dalla sua tazza con lo sguardo ostinatamente fisso davanti a sé, e la
gente di certo pensa che è meglio non disturbarlo, magari sta pensando a
uno dei suoi pazienti, magari non si trova neppure lì in quel momento.
Ma immancabilmente i tacchi di Ruby ticchettano sul pavimento lucido e lui
sussulta, e deve fare uno sforzo inimmaginabile per non rischiare di soffocare
nel cappuccino e tradirsi – ma tradire che cosa, poi? Non lo sa, Dio, non lo sa.
La verità è che non l’ha mai
saputo, che cosa vuole.
Forse è per questo che si preoccupa
così tanto di risolvere i problemi degli altri.
Un giorno cambia qualcosa. Ruby si siede al
tavolo dello sceriffo Swan e della signorina Blanchard e comincia a parlare di uno sconosciuto appena
arrivato in città. Un tipo strano col cappello di paglia, uno che
gironzola sempre attorno al negozio dei pegni del signor Gold. Archie trattiene
il respiro, stringe la tazza quasi al punto di romperla in mille cocci, sbircia
oltre il bordo del tavolo e vede Emma alzarsi di corsa e allontanarsi
borbottando qualcosa sul signor Gold. Ruby e Mary Margaret restano a guardarla
sorprese, poi Mary Margaret alza le spalle e Ruby ridacchia, e Archie sente
qualcosa di molto doloroso risalirgli dallo stomaco e si affretta a posare la
tazzina perché le dita che gli tremano sono un’altra cosa che
potrebbe tradirlo. Ma tradirlo di cosa, di cosa?
E poi Ruby si alza e come se niente fosse, come
se neanche immaginasse che lui sta facendo di
tutto per non guardarla – e probabilmente è proprio
così – viene a sedersi al suo
tavolo e gli sorride, e Archie trova fastidiosamente difficile distogliere lo
sguardo da quel sorriso.
«Te ne porto un’altra,
Archie?»
Archie batte le palpebre. Solo dopo qualche
istante si rende conto di aver rovesciato mezza tazza di tè sulla
tovaglia immacolata. Scatta subito verso il tovagliolo e cerca di arginare il
disastro, farfugliando delle scuse, «Sono così distratto,
c’è questo mio paziente che non riesco proprio ad aiutare
e...»
«Oh, lo so benissimo che non ci
riesci» ride Ruby con aria saputella. E posa la mano proprio sulla sua.
«Da’ qua, ci penso io.»
Archie si sente avvampare. La sbircia e si
chiede a cosa si riferisca. E solo dopo qualche istante si rende conto che lei,
invece, deve aver capito tutto.
La verità è che forse lo sa
benissimo, che cosa vuole.
Spazio
dell’autrice
Qualche
tempo fa – troppo, in effetti – Susy ed io ci ritroviamo a fangirlare su Singlebrooke. Mia moglia mi prompta una Archie/Ruby
(“Il fatto è che non so cosa voglio!”) e io ci metto una
vita a immaginare il contesto adatto, ma poi lei pubblica una Gold/Emma –
Spaventapasseri/Dorothy meravigliosa
che mi esagita oltre ogni dire. Questa shot vuole
essere una sorta di spin-off della sua, e mi auguro che non le dispiaccia per
questo, ma dovevo assolutamente renderle un qualche tipo di omaggio. Troppe
volte lei l’ha fatto con me. ♥
Beh,
spero si capisca che il fastidio e l’improvvisa consapevolezza di Archie
nascono da una altrettanto improvvisa gelosia nei confronti del tipo strano di
cui parla Ruby. Allo stesso modo, la frase finale di quest’ultima intende
avere un esplicito doppio significato – “ci penso io” non si
riferisce solo alla macchia di tè, ma anche all’aiuto di cui
necessita il ‘paziente’ di Archie, che lei sa benissimo essere lui
stesso. XD
Susy,
spero davvero tanto che ti sia piaciuta. Non sarà mai all’altezza
di ciò che tu scrivi per me ma, ecco, nasce tutta dai nostri fangirlamenti e dalla tua stupenda what
if, quindi mi auguro che apprezzerai – se non
la scemata in sé – il fatto che io l’abbia scritta veramente
con il cuore. ^^’ ♥
Aya ~