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Autore: Neko    22/07/2012    3 recensioni
Sequel di "Da allievo a maestro" Sono passati anni da quando Kabuto ha combattuto nel suo covo contro i ninja della foglia e compiendo un gesto infimo ha rapito la figlia di Naruto appena venuta al mondo, ma esso non si arrende e continua la sua disperata ricerca con l'aiuto dei suoi amici.
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Capitolo 21: Prigionia

 

Pov Naruto

 

Mi ero arreso. Avevo dovuto darla vinta a quell’essere per poter sperare di salvare la mia bambina, che in quel momento giaceva priva di sensi tra le mie braccia. La testa che cadeva all’indietro e il braccio destro che penzolava a ogni movimento, mi fecero temere che non vi era più niente da fare. Era il suo respiro lento e regolare a farmi tirare, di tanto in tanto, un sospiro di sollievo. Percorsi nuovamente quella lunga scalinata che conduceva ai sotterranei, seguito da Kabuto, che con attenzione seguiva ogni mio movimento, nel caso avessi deciso di tentare una fuga improvvisata. In realtà provai ad architettare un piano di evasione, ma in quel poco tempo che ero rimasto in quel luogo con le sembianze di Naho, mi ero guardato attorno con attenzione e non avevo notato particolari vie di fuga. Le uniche che vedevo erano i condotti d’aria, ma in quella situazione, con una bambina priva di sensi, mi sembrava una impresa impossibile.

Decisi di non complicare maggiormente la situazione e feci esattamente quello che Kabuto mi ordinava. Dovermi sottomettere a quell’essere era una macchia sul mio orgoglio, ma ormai avevo capito che cercare di tutelare il proprio orgoglio, non sempre portava a situazioni vantaggiose.

Scendemmo ancora più in basso, facendomi scoprire un’altra ala del suo nascondiglio. Era tenuto davvero male, rispetto al piano superiore e numerose gabbie si estendevano una di fianco all’altra.

L’odore al suo interno era nauseabondo, tanto che dovetti riuscire a trattenere un connotato di vomito. Vi era qualcosa all’interno di alcune gabbie, ma qualunque cosa vi fosse al suo interno, che fosse stato un umano o un animale, non si muoveva più, anzi a giudicare dall’odore doveva essere già a uno stato avanzato di decomposizione.

Una cella dall’aspetto apparentemente normale, situata ad angolo, fu quella designata per me e la mia bambina.

Venni spinto dentro con forza e quando i cancelli si chiusero, mi sentii strano, come se le mie forze lentamente mi abbandonassero.

Mi girai verso Kabuto, il quale sogghignando mi disse “Questa è una gabbia speciale, che lentamente assorbe il tuo chakra demoniaco e lo introduce nel Gedo Mazo, rendendomi così più facile il compito, anche se meno divertente, in quando non ho bisogno di eliminarti!”

“Quindi non hai intenzione di uccidermi?” chiesi piuttosto sorpreso.

“Abbiamo appurato che tu non hai la forza sufficiente per sconfiggermi, quindi perché eliminarti? Inoltre sarebbe più divertente vederti ridotto a un vegetale, in quanto senza il tuo chakra di demone che costituisce metà della tua linfa vitale, saresti in grado di sopravvivere, ma non in uno stato che definirei dignitoso” disse divertito.

“Cosa ti ho fatto per farmi odiare tanto da te?” gli chiesi.

“Tu niente in particolare. Come ti dissi quando avevi sedici anni, noi due per certi versi ci assomigliamo. Entrambi cercavamo una nostra identità, quindi l’unica motivazione che mi ha spinto a perseguitarti è stato Kyuubi, che poi mi diverta anche a infierire ulteriormente nella tua vita è solo perché sono pazzo e mi diverto a torturare le mie vittime!” disse ridendo e allontanandosi.

“Aspetta, devi darmi l’antidoto!” gli ricordai quasi ringhiando.

“Perché dovrei dartelo…” cominciò e una gran rabbia cominciò a impossessarsi di me, tanto che mi sentii come quando da ragazzo sprigionavo il chakra di Kurama, ma sentivo quel potere svanire nello stesso istante in cui lo richiamavo “…non serve quando non si è avvelenati!” aggiunse sorprendendomi.

Lo guardai confuso, non capendo a che gioco stesse giocando.

“Il mio morso era intriso di sonnifero. Ho deciso di concedervi qualche momento tra padre e figlia…godetevelo finchè potete!” disse e quando fu abbastanza lontano continuò “E non dire che non sono magnanimo!”

 

Avrei dato volentieri un calcio alle sbarre per sfogare la mia rabbia, ma la bambina che tenevo in braccio me lo impedii, rapendomi.

Mi sedetti a terra, stringendola maggiormente a me e cercando di sistemarla in modo tale che fosse più comoda.

La osservai per diverso tempo e quel macigno che mi attanagliava il cuore scomparve. Lo vedevo dal colorito e dalle sue guancette rosee e dal suo respiro tranquillo, che non stava male. In quel momento mi resi conto che avevo notato che la bambina non sembrava stare male, ma non volevo rischiare. Poteva semplicemente essere una mia speranza, che non l’avrebbe di certo aiutata in caso di avvelenamento.

L’appoggiai sulle mie gambe, il tempo di riuscire a togliermi la parte superiore della mia tuta e dopo averne strappato un pezzo, coprii le spalle di Kumiko per tenerla al caldo. In quel luogo dove non batteva mai il sole, vi era freddo e umidità e indipendentemente dal fatto che sarei  rimasto a petto nudo, preferii riscaldare la mia piccina.

Con l’altro pezzo di stoffa invece  mi fasciai la ferita al braccio, che fino a quel momento non aveva ancora smesso di sanguinare. Forse i piani di Kabuto sarebbero andati all’aria per una mia morte prematura a causa del  dissanguamento.

 

Sentii Kumiko mugugnare qualcosa. Era sintomo che si stesse per svegliare. I suoi occhi azzurri si posarono lentamente sui miei. Non sembrò comprendere bene la situazione inizialmente, in quanto, una volta svegliatasi del tutto, con uno scatto si allontanò da me per andare a rannicchiarsi in un angolo.

Si strinse le ginocchia e prese a tremare impercettibilmente.

La guardai pensando a come fosse meglio rivolgerle la parola, ma sorprendentemente fu lei la prima a parlare.

Naho aveva davvero ragione? Kabuto non è nostro padre?” disse quasi in un sussurrò, ma che riuscii a captare abbastanza bene.

“No, non lo è!” dissi semplicemente.

Alzò la testa e mi fissò “Invece lo saresti tu!”

Le abbozzai un sorriso “Si, sono io tuo padre, piccola!”

Si alzò di scatto e ad alta voce disse “Non chiamarmi piccola. Cosa credi che ora io venga da te e ti abbracci come se niente fosse? Tu mi hai lasciato qui per sei anni, senza avere la minima idea di come fosse la mia vita!”

Abbassai la testa “Hai ragione Kumiko, non sono stato in grado di riportarti a casa prima. Posso solo chiederti scusa!”

Kumiko? È questo il nome che mi avresti dato? Bhe non mi piace!” disse mettendo il broncio.

“Preferisci Rei?” le domandai. Forse il suo vero nome non le piaceva davvero, ma il mio presentimento mi diceva che era solo un modo per farmi maggiormente capire che era arrabbiata col sottoscritto.

“No, quello mi fa ancora più schifo!” disse sta volta arrabbiata e stringendo i pugni.

“Come vorresti che ti chiamassi?” le chiesi dolcemente appoggiando la testa all’indietro contro il muro.

La vidi pensarci su un momento “Ho un nome che mi ronza nella testa da quando ero piccola. Non so dove l’ho sentito, ma mi piace. Ha un suono dolce che mi ispira sicurezza!” disse chiudendo gli occhi e sorridendo.

“Quale?”

“Sakura. Si, mi piace molto questo nome!” disse.

Sorrisi. In qualche modo quel nome doveva essergli rimasto nel cuore il giorno della sua nascita. Io non ero in me in quel momento, ma era probabile che durante il parto, il nome di Sakura fosse stato ripetuto più volte da Sora.

Mi rallegrai un po’. Almeno un piccolo ricordo di sua madre l’aveva sempre portato con sé.

“Perché sorridi? Lo trovi buffo?” mi” mi domandò imbronciata.

Scossi la testa “Al contrario, lo trovo bellissimo, ma non posso chiamarti così…ci sarebbe un

po’ di confusione! Sai, la tua mamma si chiama Sakura, devi aver sentito quel nome quando sei nata!” le dissi.

La vidi spalancare gli occhi e alcune lacrime cominciarono a inumidirle gli occhi.

“Ho sempre desiderato una mamma, mi sono sempre chiesta chi fosse o quale fosse il suo aspetto. Ho sempre pensato che questo assurdo colore di capelli, lo avessi preso da lei!”.

“è così!” dissi sorridendo.

Kabuto mi ha sempre detto che è morta quando mi ha dato alla luce. Anche questa è una bugia?”

Annuii “Si, la tua mamma sta bene, anche se sente tanto la tua mancanza!”

“Puoi trasformarti in lei? Vorrei tanto vedere com’è!’” mi disse con aria supplichevole, tanto che non potei negarle quel favore.

Mi alzai in piedi e impastando il chakra mi trasformai in Sakura.

Vidi Kumiko aprire gli occhi meravigliata. Sembrava quasi che si stesse trattenendo dal volermi abbracciare e probabilmente lo avrebbe fatto, dimenticandosi che in realtà ero io, se improvvisamente la vista non avesse cominciato ad annebbiarsi e le forze ad abbandonarmi.

Caddi a terra sciogliendo la trasformazione. Le mie gambe non riuscirono più a reggere il mio peso e il mio volto urtò con il pavimento duro e freddo.

Kumiko si inginocchiò vicino a me e con voce tremante mi chiese “Che ti succede?”

Mi rialzai a fatica e mettendomi nuovamente seduto con le spalle contro il muro le risposi “Niente, ho solo avuto un mancamento!”

La vidi guardarsi in giro “Deve essere a causa della ferita!”

“Non pensarci, andrà tutto bene! Ora devo solo trovare un modo per uscire di qui!” dissi guardandomi attorno.

Vidi Kumiko recarsi verso l’altro angolo della cella e spostando diversi mattoni del muro, aprì un passaggio.

La guardai sorpresa.

“Questo posto non era un mistero per me e Naho. Quando eravamo più piccole e giocavamo a nascondino qualcuna di noi veniva a nascondersi qui dentro. In genere stavamo alla larga per l’odore e perché è un luogo piuttosto inquietante, ma appunto per questo era un posto perfetto per nascondersi, ma dato che una volta nostro p…Kabuto ci ha chiuso entrambe qui dentro, credo per errore, con l’aiuto di Naho, che come volpe è brava a scavare, abbiamo creato un passaggio che ci portò verso l’esterno!”

Sorrisi. Erano davvero in gamba le mie bambine.

“Devi solo trasformarti in Naho nuovamente, così ci passi anche tu!” mi disse.

Scossi la testa.

“Vai tu. Se mi allontanassi, Kabuto si accorgerebbe subito del fatto che il mio chakra ha smesso di fluire nel Gedo Mazo e la nostra fuga sarebbe interrotta ancora prima di essere applicata!”

“Ma se resti qua farai una brutta fine!” disse Kumiko.

“Non preoccuparti per me!” dissi sorridendole.

“Non mi preoccupo, infatti…vedo di chiedere aiuto a qualcuno una volta fuori!” disse, ma l’ammonii subito.

“No, i samurai sono tutti amici di Kabuto, vai via dal paese del ferro e dirigiti verso le terre ninja. Li sarai in territorio amico e a chiunque tu chieda aiuto, sarà disposto ad aiutarti!”

“Va bene, ma potrebbe essere troppo tardi per te…sicuro di volere questo?” mi chiese dubbiosa “Insomma mi chiedi scusa per non essere venuto a salvarmi e ora non fai niente per passare un po’ di tempo con me?” mi disse mettendomi il broncio “Già, scommetto che tanto del tempo con Naho lo hai già trascorso e quindi perché perderlo per me!” disse mentre si inoltrava nella galleria. In quelle parole c’era dolore e tristezza e furono per me come una pugnalata al cuore.

 

 

Pov Kumiko

 

Non ci misi molto a percorrere quella galleria, nonostante fosse diventata un po’ strettina. Non credevo di essere cresciuta e improvvisamente una grande rabbia si impossessò di me, pensando al fatto di aver trascorso la mia vita con un uomo, a cui cercavo in tutti i modi di piacere, che scoprii non essere il mio vero papà.

Avrei dovuto essere felice nello scoprire che non era colpa mia se non piacevo a Kabuto, ma non riuscivo a provare quel sentimento. Quelle lacrime che da tanto desideravano uscire, cominciarono ad annebbiarmi la vista. Se solo il mio vero padre si fosse fatto vivo prima o fosse riuscito a impedire il mio rapimento, non avrei dovuto patire quello che avevo subito e chissà, magari la mia vita sarebbe stata felice e perfetta.

Non riuscivo proprio a capire perché non avesse tentato tutto e per tutto pur di riavermi.

Forse quell’uomo che poco prima mi sorrideva e cercava in qualche modo di apparirmi simpatico, non era diverso da Kabuto. Forse aveva provato a salvarmi solo in quel momento perché anche lui doveva usarmi o usare mia sorella per qualche scopo.

Non mi volevo fidare di lui. Dubitavo fortemente che le cose sarebbero cambiate. Avrei cambiato abitazione e le persone che si definivano miei amici sarebbero state diverse, ma la mia vita sarebbe rimasta infelice.

Certo una parte di me, sperava che non fosse così, che quell’uomo davvero avesse provato a salvarmi perché mi voleva bene… ma la mia convinzione era sempre la stessa. Se mi voleva bene doveva farsi vivo prima.Non doveva aspettare che fosse Naho ad andare da lui e che gli dicesse dove mi trovavo.  

 

Appena uscita fuori dalla galleria, potei finalmente respirare nuovamente aria pulita e sana. Quell’odore nauseabondo mi stava dando alla testa.

Cominciai a correre e feci ben attenzione a non farmi vedere.

Sebbene non riuscissi a fidarmi del mio vero padre, sapevo che aveva ragione, dovevo andarmene dal paese del ferro e per mia fortuna ricordavo ancora la strada che Naho mi aveva fatto percorrere quella volta che le avevo dato ascolto.

Allora speravo talmente tanto che il mio incubo finisse da sperare che Kabuto non fosse il mio vero padre, ma la punizione che ci inflisse quando venimmo catturate, mi fecero abbandonare quell’idea e non volli mai più partecipare a nessun tipo di fuga.

Per Naho non era un problema ritentare, tanto alla fine non le veniva torto un capello, ero sempre io quella che doveva pagare per le sue colpe. Non lo trovavo giusto e cominciando a fare la spia sui movimenti di mia sorella, almeno riuscii a salvarmi dai castighi, anche se non ricevetti nemmeno uno sguardo affettuoso da colui che chiamavo papà.

Non mi girai indietro nemmeno un istante a guardare il luogo dove ero cresciuta, spaventata di vedere qualcuno che mi inseguiva per riportarmi indietro.

Corsi, corsi fino a quando non mi mancò il fiato. Giunsi al confine del paese del ferro verso sera, riuscendo ad attraversare il confine grazie all’oscurità che tutta d’un tratto era diventata mia complice.

L’avevo sempre detestata. Avevo paura del buio, perché non sapevo dove andavo, cosa c’era o semplicemente temevo di vedere qualche fantasma. Io e Naho avevamo avvertito più volte cose strane come lamenti o rumori di passi che non provenivano da nessuno e ci eravamo convinte che fossero i fantasmi delle persone che Kabuto imprigionava, torturava e infine uccideva. Non avevo mai trovato strano questo suo modo di fare. Io ero cresciuta vedendo quelle cose fin da piccola e pensavo fosse una cosa normale o come mi diceva Kabuto, era tutto giustificato, in quanto agli scienziati, come lui si faceva spesso passare, erano permesse quelle attività.

Solo quando cominciai a passare il tempo andando ai giardini e sentivo una anziana signora raccontare delle storie a dei bambini, cominciarono a venirmi dei dubbi.

Le sue storie parlavano sempre di amore, di affetto e di bontà, sentimenti di cui non sentivo mai parlare in casa, mentre condannava sempre la violenza e l’uccisione. Fu allora che cominciai a capire che non era del tutto giusto quello che Kabuto faceva, ma d’altronde quelle persone nemmeno le conoscevo, quindi non mi importava un granchè della fine che facevano.

 

Mi concedetti del riposo solo una volta camminato per un po’ nelle terre ninja. Secondo quell’uomo sarei stata al sicuro in quel luogo, ma anche se fosse stato vero, cosa avrei dovuto fare? Avrei voluto andare a cercare la mia mamma, nella speranza che almeno lei mi volesse bene, ma non sapevo da che parte cercare.

Mi rassegnai ad abbandonare le ricerche almeno per permettermi di riposare e mi  addormentai pensando a lei e alla sua immagine mostratami il giorno prima da mio padre.

  
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