Capitolo
21: Prigionia
Pov Naruto
Mi ero arreso.
Avevo dovuto darla vinta a quell’essere per poter sperare di salvare la mia
bambina, che in quel momento giaceva priva di sensi tra le mie braccia. La
testa che cadeva all’indietro e il braccio destro che penzolava a ogni movimento,
mi fecero temere che non vi era più niente da fare. Era il suo respiro lento e
regolare a farmi tirare, di tanto in tanto, un sospiro di sollievo. Percorsi
nuovamente quella lunga scalinata che conduceva ai sotterranei, seguito da Kabuto, che con attenzione seguiva ogni mio movimento, nel
caso avessi deciso di tentare una fuga improvvisata. In realtà provai ad
architettare un piano di evasione, ma in quel poco tempo che ero rimasto in
quel luogo con le sembianze di Naho, mi ero guardato
attorno con attenzione e non avevo notato particolari vie di fuga. Le uniche
che vedevo erano i condotti d’aria, ma in quella situazione, con una bambina
priva di sensi, mi sembrava una impresa impossibile.
Decisi di non
complicare maggiormente la situazione e feci esattamente quello che Kabuto mi ordinava. Dovermi sottomettere a quell’essere era
una macchia sul mio orgoglio, ma ormai avevo capito che cercare di tutelare il
proprio orgoglio, non sempre portava a situazioni vantaggiose.
Scendemmo ancora
più in basso, facendomi scoprire un’altra ala del suo nascondiglio. Era tenuto
davvero male, rispetto al piano superiore e numerose gabbie si estendevano una
di fianco all’altra.
L’odore al suo
interno era nauseabondo, tanto che dovetti riuscire a trattenere un connotato
di vomito. Vi era qualcosa all’interno di alcune gabbie, ma qualunque cosa vi
fosse al suo interno, che fosse stato un umano o un animale, non si muoveva
più, anzi a giudicare dall’odore doveva essere già a uno stato avanzato di
decomposizione.
Una cella dall’aspetto
apparentemente normale, situata ad angolo, fu quella designata per me e la mia
bambina.
Venni spinto dentro
con forza e quando i cancelli si chiusero, mi sentii strano, come se le mie
forze lentamente mi abbandonassero.
Mi girai verso Kabuto, il quale sogghignando mi disse “Questa è una gabbia
speciale, che lentamente assorbe il tuo chakra
demoniaco e lo introduce nel Gedo Mazo,
rendendomi così più facile il compito, anche se meno divertente, in quando non
ho bisogno di eliminarti!”
“Quindi non hai
intenzione di uccidermi?” chiesi piuttosto sorpreso.
“Abbiamo appurato
che tu non hai la forza sufficiente per sconfiggermi, quindi perché eliminarti?
Inoltre sarebbe più divertente vederti ridotto a un vegetale, in quanto senza il
tuo chakra di demone che costituisce metà della tua
linfa vitale, saresti in grado di sopravvivere, ma non in uno stato che
definirei dignitoso” disse divertito.
“Cosa ti ho fatto
per farmi odiare tanto da te?” gli chiesi.
“Tu niente in
particolare. Come ti dissi quando avevi sedici anni, noi due per certi versi ci
assomigliamo. Entrambi cercavamo una nostra identità, quindi l’unica
motivazione che mi ha spinto a perseguitarti è stato Kyuubi,
che poi mi diverta anche a infierire ulteriormente nella tua vita è solo perché
sono pazzo e mi diverto a torturare le mie vittime!” disse ridendo e
allontanandosi.
“Aspetta, devi
darmi l’antidoto!” gli ricordai quasi ringhiando.
“Perché dovrei dartelo…” cominciò e una gran rabbia cominciò a
impossessarsi di me, tanto che mi sentii come quando da ragazzo sprigionavo il chakra di Kurama, ma sentivo quel
potere svanire nello stesso istante in cui lo richiamavo “…non
serve quando non si è avvelenati!” aggiunse sorprendendomi.
Lo guardai confuso,
non capendo a che gioco stesse giocando.
“Il mio morso era
intriso di sonnifero. Ho deciso di concedervi qualche momento tra padre e figlia…godetevelo finchè potete!”
disse e quando fu abbastanza lontano continuò “E non dire che non sono
magnanimo!”
Avrei dato
volentieri un calcio alle sbarre per sfogare la mia rabbia, ma la bambina che
tenevo in braccio me lo impedii, rapendomi.
Mi sedetti a terra,
stringendola maggiormente a me e cercando di sistemarla in modo tale che fosse
più comoda.
La osservai per
diverso tempo e quel macigno che mi attanagliava il cuore scomparve. Lo vedevo
dal colorito e dalle sue guancette rosee e dal suo
respiro tranquillo, che non stava male. In quel momento mi resi conto che avevo
notato che la bambina non sembrava stare male, ma non volevo rischiare. Poteva
semplicemente essere una mia speranza, che non l’avrebbe di certo aiutata in
caso di avvelenamento.
L’appoggiai sulle
mie gambe, il tempo di riuscire a togliermi la parte superiore della mia tuta e
dopo averne strappato un pezzo, coprii le spalle di Kumiko
per tenerla al caldo. In quel luogo dove non batteva mai il sole, vi era freddo
e umidità e indipendentemente dal fatto che sarei rimasto a petto nudo, preferii riscaldare la
mia piccina.
Con l’altro pezzo
di stoffa invece mi fasciai la ferita al
braccio, che fino a quel momento non aveva ancora smesso di sanguinare. Forse i
piani di Kabuto sarebbero andati all’aria per una mia
morte prematura a causa del
dissanguamento.
Sentii Kumiko mugugnare qualcosa. Era sintomo che si stesse per
svegliare. I suoi occhi azzurri si posarono lentamente sui miei. Non sembrò
comprendere bene la situazione inizialmente, in quanto, una volta svegliatasi
del tutto, con uno scatto si allontanò da me per andare a rannicchiarsi in un
angolo.
Si strinse le
ginocchia e prese a tremare impercettibilmente.
La guardai pensando
a come fosse meglio rivolgerle la parola, ma sorprendentemente fu lei la prima
a parlare.
“Naho aveva davvero ragione? Kabuto
non è nostro padre?” disse quasi in un sussurrò, ma che riuscii a captare
abbastanza bene.
“No, non lo è!”
dissi semplicemente.
Alzò la testa e mi
fissò “Invece lo saresti tu!”
Le abbozzai un
sorriso “Si, sono io tuo padre, piccola!”
Si alzò di scatto e
ad alta voce disse “Non chiamarmi piccola. Cosa credi che ora io venga da te e
ti abbracci come se niente fosse? Tu mi hai lasciato qui per sei anni, senza
avere la minima idea di come fosse la mia vita!”
Abbassai la testa
“Hai ragione Kumiko, non sono stato in grado di
riportarti a casa prima. Posso solo chiederti scusa!”
“Kumiko? È questo il nome che mi avresti dato? Bhe non mi piace!” disse mettendo il broncio.
“Preferisci Rei?”
le domandai. Forse il suo vero nome non le piaceva davvero, ma il mio
presentimento mi diceva che era solo un modo per farmi maggiormente capire che
era arrabbiata col sottoscritto.
“No, quello mi fa
ancora più schifo!” disse sta volta arrabbiata e stringendo i pugni.
“Come vorresti che
ti chiamassi?” le chiesi dolcemente appoggiando la testa all’indietro contro il
muro.
La vidi pensarci su
un momento “Ho un nome che mi ronza nella testa da quando ero piccola. Non so
dove l’ho sentito, ma mi piace. Ha un suono dolce che mi ispira sicurezza!”
disse chiudendo gli occhi e sorridendo.
“Quale?”
“Sakura. Si, mi
piace molto questo nome!” disse.
Sorrisi. In qualche
modo quel nome doveva essergli rimasto nel cuore il giorno della sua nascita.
Io non ero in me in quel momento, ma era probabile che durante il parto, il
nome di Sakura fosse stato ripetuto più volte da Sora.
Mi rallegrai un
po’. Almeno un piccolo ricordo di sua madre l’aveva sempre portato con sé.
“Perché
sorridi? Lo trovi buffo?
Scossi la testa “Al contrario, lo trovo bellissimo, ma non posso chiamarti così…ci sarebbe un
po’ di confusione! Sai, la tua mamma si chiama
Sakura, devi aver sentito quel nome quando sei nata!” le dissi.
La vidi spalancare gli occhi e alcune lacrime
cominciarono a inumidirle gli occhi.
“Ho sempre desiderato una mamma, mi sono sempre
chiesta chi fosse o quale fosse il suo aspetto. Ho sempre pensato che questo
assurdo colore di capelli, lo avessi preso da lei!”.
“è così!” dissi sorridendo.
“Kabuto mi ha sempre
detto che è morta quando mi ha dato alla luce. Anche questa è una bugia?”
Annuii “Si, la tua mamma sta bene, anche se sente
tanto la tua mancanza!”
“Puoi trasformarti in lei? Vorrei tanto vedere
com’è!’” mi disse con aria supplichevole, tanto che non potei negarle quel
favore.
Mi alzai in piedi e impastando il chakra mi trasformai in Sakura.
Vidi Kumiko aprire gli
occhi meravigliata. Sembrava quasi che si stesse trattenendo dal volermi
abbracciare e probabilmente lo avrebbe fatto, dimenticandosi che in realtà ero
io, se improvvisamente la vista non avesse cominciato ad annebbiarsi e le forze
ad abbandonarmi.
Caddi a terra sciogliendo la trasformazione. Le mie
gambe non riuscirono più a reggere il mio peso e il mio volto urtò con il
pavimento duro e freddo.
Kumiko si inginocchiò vicino a me e con voce tremante mi chiese “Che ti
succede?”
Mi rialzai a fatica e mettendomi nuovamente seduto
con le spalle contro il muro le risposi “Niente, ho solo avuto un mancamento!”
La vidi guardarsi in giro “Deve essere a causa
della ferita!”
“Non pensarci, andrà tutto bene! Ora devo solo
trovare un modo per uscire di qui!” dissi guardandomi attorno.
Vidi Kumiko recarsi verso
l’altro angolo della cella e spostando diversi mattoni del muro, aprì un
passaggio.
La guardai sorpresa.
“Questo posto non era un mistero per me e Naho. Quando eravamo più piccole e giocavamo a nascondino
qualcuna di noi veniva a nascondersi qui dentro. In genere stavamo alla larga
per l’odore e perché è un luogo piuttosto inquietante, ma appunto per questo
era un posto perfetto per nascondersi, ma dato che una volta nostro p…Kabuto ci ha chiuso entrambe qui dentro, credo per
errore, con l’aiuto di Naho, che come volpe è brava a
scavare, abbiamo creato un passaggio che ci portò verso l’esterno!”
Sorrisi. Erano davvero in gamba le mie bambine.
“Devi solo trasformarti in Naho
nuovamente, così ci passi anche tu!” mi disse.
Scossi la testa.
“Vai tu. Se mi allontanassi, Kabuto
si accorgerebbe subito del fatto che il mio chakra ha
smesso di fluire nel Gedo Mazo
e la nostra fuga sarebbe interrotta ancora prima di essere applicata!”
“Ma se resti qua farai una brutta fine!” disse Kumiko.
“Non preoccuparti per me!” dissi sorridendole.
“Non mi preoccupo, infatti…vedo
di chiedere aiuto a qualcuno una volta fuori!” disse, ma l’ammonii subito.
“No, i samurai sono tutti amici di Kabuto, vai via dal paese del ferro e dirigiti verso le
terre ninja. Li sarai in territorio amico e a chiunque tu chieda aiuto, sarà
disposto ad aiutarti!”
“Va bene, ma potrebbe essere troppo tardi per te…sicuro di volere questo?” mi chiese dubbiosa “Insomma mi
chiedi scusa per non essere venuto a salvarmi e ora non fai niente per passare
un po’ di tempo con me?” mi disse mettendomi il broncio “Già, scommetto che
tanto del tempo con Naho lo hai già trascorso e
quindi perché perderlo per me!” disse mentre si inoltrava nella galleria. In
quelle parole c’era dolore e tristezza e furono per me come una pugnalata al
cuore.
Pov Kumiko
Non ci
misi molto a percorrere quella galleria, nonostante fosse diventata un po’ strettina. Non credevo di essere cresciuta e
improvvisamente una grande rabbia si impossessò di me, pensando al fatto di
aver trascorso la mia vita con un uomo, a cui cercavo in tutti i modi di piacere,
che scoprii non essere il mio vero papà.
Avrei
dovuto essere felice nello scoprire che non era colpa mia se non piacevo a Kabuto, ma non riuscivo a provare quel sentimento. Quelle lacrime
che da tanto desideravano uscire, cominciarono ad annebbiarmi la vista. Se solo
il mio vero padre si fosse fatto vivo prima o fosse riuscito a impedire il mio
rapimento, non avrei dovuto patire quello che avevo subito e chissà, magari la
mia vita sarebbe stata felice e perfetta.
Non
riuscivo proprio a capire perché non avesse tentato tutto e per tutto pur di
riavermi.
Forse
quell’uomo che poco prima mi sorrideva e cercava in qualche modo di apparirmi
simpatico, non era diverso da Kabuto. Forse aveva
provato a salvarmi solo in quel momento perché anche lui doveva usarmi o usare
mia sorella per qualche scopo.
Non mi
volevo fidare di lui. Dubitavo fortemente che le cose sarebbero cambiate. Avrei
cambiato abitazione e le persone che si definivano miei amici sarebbero state
diverse, ma la mia vita sarebbe rimasta infelice.
Certo una
parte di me, sperava che non fosse così, che quell’uomo davvero avesse provato
a salvarmi perché mi voleva bene… ma la mia
convinzione era sempre la stessa. Se mi voleva bene doveva farsi vivo prima.Non doveva aspettare che fosse Naho
ad andare da lui e che gli dicesse dove mi trovavo.
Appena
uscita fuori dalla galleria, potei finalmente respirare nuovamente aria pulita
e sana. Quell’odore nauseabondo mi stava dando alla testa.
Cominciai
a correre e feci ben attenzione a non farmi vedere.
Sebbene
non riuscissi a fidarmi del mio vero padre, sapevo che aveva ragione, dovevo
andarmene dal paese del ferro e per mia fortuna ricordavo ancora la strada che Naho mi aveva fatto percorrere quella volta che le avevo
dato ascolto.
Allora
speravo talmente tanto che il mio incubo finisse da sperare che Kabuto non fosse il mio vero padre, ma la punizione che ci
inflisse quando venimmo catturate, mi fecero abbandonare quell’idea e non volli
mai più partecipare a nessun tipo di fuga.
Per Naho non era un problema ritentare, tanto alla fine non le
veniva torto un capello, ero sempre io quella che doveva pagare per le sue
colpe. Non lo trovavo giusto e cominciando a fare la spia sui movimenti di mia
sorella, almeno riuscii a salvarmi dai castighi, anche se non ricevetti nemmeno
uno sguardo affettuoso da colui che chiamavo papà.
Non mi
girai indietro nemmeno un istante a guardare il luogo dove ero cresciuta,
spaventata di vedere qualcuno che mi inseguiva per riportarmi indietro.
Corsi,
corsi fino a quando non mi mancò il fiato. Giunsi al confine del paese del
ferro verso sera, riuscendo ad attraversare il confine grazie all’oscurità che
tutta d’un tratto era diventata mia complice.
L’avevo
sempre detestata. Avevo paura del buio, perché non sapevo dove andavo, cosa c’era
o semplicemente temevo di vedere qualche fantasma. Io e Naho
avevamo avvertito più volte cose strane come lamenti o rumori di passi che non
provenivano da nessuno e ci eravamo convinte che fossero i fantasmi delle persone
che Kabuto imprigionava, torturava e infine uccideva.
Non avevo mai trovato strano questo suo modo di fare. Io ero cresciuta vedendo
quelle cose fin da piccola e pensavo fosse una cosa normale o come mi diceva Kabuto, era tutto giustificato, in quanto agli scienziati,
come lui si faceva spesso passare, erano permesse quelle attività.
Solo
quando cominciai a passare il tempo andando ai giardini e sentivo una anziana
signora raccontare delle storie a dei bambini, cominciarono a venirmi dei
dubbi.
Le sue
storie parlavano sempre di amore, di affetto e di bontà, sentimenti di cui non
sentivo mai parlare in casa, mentre condannava sempre la violenza e l’uccisione.
Fu allora che cominciai a capire che non era del tutto giusto quello che Kabuto faceva, ma d’altronde quelle persone nemmeno le
conoscevo, quindi non mi importava un granchè della
fine che facevano.
Mi
concedetti del riposo solo una volta camminato per un po’ nelle terre ninja.
Secondo quell’uomo sarei stata al sicuro in quel luogo, ma anche se fosse stato
vero, cosa avrei dovuto fare? Avrei voluto andare a cercare la mia mamma, nella
speranza che almeno lei mi volesse bene, ma non sapevo da che parte cercare.
Mi
rassegnai ad abbandonare le ricerche almeno per permettermi di riposare e mi addormentai pensando a lei e alla sua immagine
mostratami il giorno prima da mio padre.