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Autore: Fabi_    23/07/2012    6 recensioni
Percy lesse il suo nome per caso, mentre stava sfogliando i documenti firmati dal Ministro. Era uno tra tanti, ma attirò la sua attenzione.
Penelope Light – in custodia presso Azkaban.

È una Percy/Penelope che racconta la loro storia.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Percy Weasley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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 Sono tornata!

Questa storia era stata scritta per il contest indetto da Chu: scegli una coppia e vinci un pacchetto. Subito, dopo cinque mesi, ho pubblicato :D 

Ho avuto un po' da fare, diciamo, comunque ora la revisione è completa e per il betaggio ringrazio Ferao, che è stata gentile e anche molto veloce.

Ringrazio chiunque leggerà la storia.

A presto!




 

I see the light

 


Percy lesse il suo nome per caso, mentre stava sfogliando i documenti firmati dal Ministro. Era uno tra tanti, ma attirò la sua attenzione.

Penelope Light – in custodia presso Azkaban.

Sapeva che la sua ex-ragazza aveva origini Mezzosangue, ma non era una Nata Babbana e comunque, se c’erano cose cui lui non credeva, erano tutti quei discorsi sul controllo della discendenza magica. Penelope era, come Hermione, una delle streghe più dotate che lui avesse mai conosciuto e, in quanto tale, il Ministero, gli Auror e qualunque altra commissione fosse stata dalla parte giusta, avrebbe dovuto desiderare averla al suo fianco, non imprigionarla.

Tentò di parlare col Ministro della questione ‘controllo dei Nati Babbani’, ma non fu possibile per Percy arrivare alla conclusione del discorso. Tu-sai-chi ci tiene molto alla purezza del sangue. Questa fu l’unica cosa che ricevette in risposta.

Percy sapeva da un po’ che il Ministero era in mano al Signore Oscuro, così lo chiamavano i burattini che lo appoggiavano, ma fino a quel momento non si era reso conto di aver iniziato anche lui a fare parte di questa schiera di soldati più o meno consapevoli che stavano al suo servizio.

 

Quando arrivò a casa, quella sera, si sentiva perso come non gli era mai capitato negli ultimi tempi.

Non era stato al matrimonio di Bill e non aveva contatti con la sua famiglia da molto tempo. Certo, loro avevano inviato qualche lettera, ma nell’ultimo periodo Percy era rimasto solo.

Per lui c’era solo il lavoro.

Non aveva amici. In effetti, non aveva nessuno.

Ripensò a Penelope con nostalgia. Non poteva credere che anche lei fosse ad Azkaban. Aveva provato a ricordare ai suoi colleghi che i maghi avrebbero dovuto cooperare.

Uno di loro però aveva riso e gli aveva ricordato che uno che non parla con la sua famiglia, né con altri al di fuori del lavoro, aveva poco da insegnare riguardo alla cooperazione tra maghi.

Leggere il nome della sua ex-ragazza l’aveva fatto cadere dalla sua torretta fatta di promozioni e di sviolinate ai potenti. Gli aveva fatto sentire calore nel cuore, un calore che non sentiva da molto tempo: l’aveva fatto tornare a quella mattina del suo quinto anno. Una delle giornate che ricordava con maggior nostalgia e con affetto.

 

***

 

Percy Weasley non era mai stato bravo con le ragazze. In genere loro sembravano non apprezzare le sue indubbie qualità dialettiche e intellettuali.

Nonostante ciò, più volte aveva chiesto di uscire alle sue compagne di Casa. Si potrebbe dire almeno che ci aveva provato, vista la sua incapacità cronica di arrivare al dunque. In genere le risposte che riceveva erano dei no velati e quasi compassionevoli. Chi avrebbe potuto sopportare un ragazzo pieno di sé, sempre alla ricerca della perfezione come lui era?

 

Tutti questi difetti non scoraggiavano Penelope, che continuava a cercare nuovi metodi per attirare la sua attenzione. Non era il tipo di ragazza che passa inosservata, era conosciuta dagli altri Prefetti per il suo essere brillante e in fondo era anche consapevole di essere carina. Certo, non era bellissima, ma questo sicuramente non era così importante, almeno non per lei.

In quella tiepida domenica di ottobre, se ne stava distesa ai piedi di un albero, rivolta verso il sole in modo da permettere al calore dei raggi del mattino di scaldarla fino nelle ossa. Le piaceva l’autunno: amava i colori delle foglie che si mescolavano al verde ormai incupito a causa del freddo del manto erboso a formare quello che le pareva un capolavoro della natura.

Il calore del sole sulla sua pelle le arrivava quasi fin dentro il cuore.

Per questo, quando vide Percy avvicinarsi, sicuramente sulla strada di ritorno dalla serra, decise di tentare uno dei suoi tiepidi approcci.

“Weasley!” lo salutò con la mano esibendosi in un sorriso. Lui rispose con un cenno del capo, senza rallentare. “Percy, vieni un attimo qui?”

“Penelope, ho una leggerissima fretta,” si lamentò lui, dopo essersi comunque fermato di fronte a lei.

“Devi preparare una pozione?”

Sorrise. “Sì.”

“Anch’io, ma la giornata è troppo bella per passarla tutta al chiuso,” Penelope ammiccò, invitandolo a sedersi al suo fianco.

“Non è un discorso da te,” osservò lui, incrociando le braccia in segno di rifiuto e guardandola dall’alto in basso.

“Perché non mi fai un po’ di compagnia? È così piacevole stare qui…”

Percy arrossì di colpo, si sentiva a disagio in compagnia di Penelope. La cosa che lo faceva arrabbiare di più era che lei pareva sempre tranquilla in sua presenza, mentre lui rischiava di fare la figura dell’idiota, visto che bastava il sorriso della ragazza per mandare in crisi il battito del suo cuore e per rendergli difficile anche il più semplice movimento che richiedesse coordinazione.

Penelope allungò una mano verso Percy, che istintivamente tese il braccio verso di lei. Quando si toccarono, sentì un brivido partire dal punto di contatto per diramarsi poi al resto del suo corpo. Lo attirò a sé e il ragazzo si lasciò trascinare fino ad appoggiare la schiena contro l’albero. Rimasero in silenzio per un paio di minuti, spalla contro spalla. Penelope non aveva lasciato andare la sua mano, che aveva iniziato a sudare un po’, lui lo riconosceva, ma non avrebbe lasciato andare la Corvonero neanche per un istante.

 

Quel calore, quel brivido, era una sensazione nuova per lui.

“Ti prometto che se te ne stai per un po’ qui buono con me, ti aiuterò con la pozione… sai come si dice: l’unione fa la forza!” Penelope strinse la sua mano e incrociò lo sguardo con quello di Percy, che immediatamente arrossì. “Sei timido, Weasley?”

Lui aprì la bocca per dire qualcosa, ma si fermò quando si rese conto che il viso di Penelope aveva iniziato ad avvicinarsi pericolosamente al suo. Percy poteva sentire il calore del suo respiro e il profumo dolce della sua pelle.

Era convinta di aver ottenuto la sua attenzione, infatti il Grifondoro era rimasto a fissarla a bocca aperta, non l’aveva respinta. “Allora, adesso che facciamo? Studiamo insieme?”

“Sì,” Percy iniziò ad annuire ripetutamente, incapace di distogliere lo sguardo dagli occhi limpidi di Penelope.

Lei, vedendo che il ragazzo non pareva intenzionato ad agire, decise di prendere in mano la situazione, gli strinse la mano con più forza e lo attirò a sé, sbilanciando in questo modo il suo equilibrio già precario, con il risultato di farlo precipitare contro di lei.

Il primo contatto tra le loro labbra non fu molto dolce, né lieve. In realtà fu più uno scontro che provocò una risata nervosa a entrambi; ma dopo quell’inizio rovinoso, i due si lasciarono andare a un tenero bacio impacciato.

 

Dopo quei primi interessanti esperimenti, iniziarono a incontrarsi di nascosto, sempre in aule vuote nelle quali avevano l’abitudine di darsi appuntamento per studiare insieme. Tra loro c’era una passione intellettuale e fisica, tanto che entrambi erano incapaci di staccarsi dall’altro; quando si vedevano diventava naturale per loro scambiarsi quelle piccole effusioni innocenti che li rendevano soggetti anche alle loro emozioni, una volta tanto. Allo stesso modo però, non erano in grado di abbandonarsi completamente a questo sentimento che nessuno dei due aveva rivelato ad anima viva.

Percy però ricordava come si era sentito quando Penelope era stata pietrificata dal Basilisco. Era stato come se gli avessero tolto i muscoli dalle gambe, che erano molli, incapaci di sorreggerlo. Si era sostenuto appoggiandosi al muro e aveva domandato alla McGranitt di ripetere.

Nell’insieme di parole pronunciate dalla professoressa, le uniche che riuscì a sentire furono: Penelope Light pietrificata.

Percy aveva deglutito, per poi dirigersi verso l’infermeria. Quando l’aveva vista, pietrificata, ma viva, si era reso conto che Penelope sarebbe stata bene. Per questo aveva provato sollievo e aveva capito che, forse, persino lui si era innamorato.

Aveva passato ore a chiacchierare con lei, consapevole del fatto che non gli avrebbe potuto rispondere, ma che lo sentiva, ne era certo. Le disse cose di cui mai aveva immaginato sarebbe riuscito a parlare con qualcuno, le raccontò di come era vivere in casa con Fred e George, di quanto fosse difficile a volte far parte della sua famiglia; condivise con lei le sue ambizioni e le rivelò i suoi sogni.

Quando finalmente Penelope fu di nuovo libera dalla pietra, Percy si era convinto di avere fatto un errore dietro l’altro. Si vergognava di se stesso: le aveva sputato addosso tutte quelle cose, molto spesso sciocchezze, e lei probabilmente non l’avrebbe più voluto rivedere.

Invece alla prima occasione gli saltò al collo e lo baciò: “Sono giorni che penso che vorrei chiuderti così quella bocca,” scherzò lei.

“Sono felice che tu stia finalmente bene.”

“Sono felice che tu sia stato con me, e che tu abbia parlato così tanto. Mi hai fatto compagnia.”

"E pensare che all'inizio non riuscivo ad aprire bocca se c'eri tu, ma volevo sembrarti intelligente*. Quindi passavo il tempo a pensare quali parole usare, cosa dire e cosa omettere. Mi sentivo uno statista.”

Penelope si lasciò andare a una risata: “Lo facevo anch’io. Solo dopo essere stata di pietra per tutto questo tempo, dopo averti sentito finalmente parlare senza freni, ho capito che non è così che funziona. Grazie per esserti aperto con me.”

 

***

 

La loro storia era diventata seria, ma i due avevano cercato di tenerla nascosta comunque, a entrambi piaceva il senso del proibito e del segreto che stuzzicavano ogni volta che si incontravano. Poi, dopo il diploma, era tutto finito.

La causa del fallimento della relazione ora appariva chiara all’ambizioso giovane: non l’aveva più considerata importante.

Aveva lasciato Penelope in un angolo, sicuro che lì sarebbe rimasta. Quando si vedevano, le parlava del lavoro. Quando lei lo cercava, lui aveva altro da fare.

Lentamente, si erano separati, tanto che un giorno lei aveva semplicemente smesso di cercarlo. Lo vedeva per abitudine, ma sapeva già che era finita.

Lo lasciò con un gufo perché sperava che lui la cercasse, ma non lo fece. Era persino troppo impegnato per risponderle.


***


Erano passati anni e ora Percy si ritrovava schiavo di un unico pensiero: andare ad Azkaban a recuperare Penelope, vederla di nuovo, salvarla. Le sue parole continuavano a tornargli alla mente.

 “Non è così che funziona, Percy, la famiglia è importante, se non ti affidi a loro, chi ti resta? La carriera non ti basterà per sempre.”

Aveva ragione. In quel periodo era stato accecato dal potere che tanto aveva desiderato e che era arrivato così velocemente da cancellare tutto il resto. Ora si sentiva vuoto, come se tutto quello che aveva fatto in quegli anni non gli avesse dato nulla.

Non aveva neppure un amico cui raccontare quello che gli capitava in ufficio, a nessuno interessavano davvero le sue opinioni, non si sentiva chiedere “Come stai?” da moltissimo tempo.

Era felice della sua carriera? Sì.

Era soddisfatto della sua vita? No, per niente. La sua vita al Ministero non gli bastava più. Era servita Penelope a ricordargli quali fossero le cose davvero importanti.


***


Dopo essersi fatto dare il permesso, Percy si era messo addosso il mantello e aveva preso il camino per raggiungere Azkaban.

Non immaginava che avrebbe avuto tanto freddo.

Sentiva il rumore ritmico delle onde che sbattevano contro la scogliera, il cielo era plumbeo, sembrava che il sole non fosse mai arrivato fin lì. Pareva che non scaldasse quelle mura bianche da troppo tempo. Sicuramente il gelo era tutto quello che si percepiva. Un senso di sconforto e di paura dovuto alla presenza dei Dissennatori, ma in parte anche alla consapevolezza che la prigione fosse in quel tempo dimora di innocenti. Di maghi la cui unica colpa derivava dalle origini del loro sangue.

Percy avanzava lentamente, ogni passo gli costava più fatica, era sempre più convinto che non sarebbe arrivato mai a vedere Penelope.

Aveva parlato a una delle guardie in tono neutro, cercando di mantenere una parvenza di stabilità, di tranquillità, ma sapeva benissimo che la sua voce sarebbe suonata rotta, distorta dalla tristezza.

“Sono qui per visitare un prigioniero.”

“Permesso e numero, prego,” l’impiegato parlò meccanicamente. Percy estrasse il distintivo del Ministero e il vecchio mago annuì.

“Quattro, sette, sette, sei.”

“Attenda un attimo qui.”

Passarono pochi minuti, ma per il giovane, ambizioso Weasley furono eterni. “Prosegua lungo il corridoio, troverà una porta aperta sulla destra, vi entri e attenda l’arrivo del detenuto.”

Quando imboccò il corridoio, riuscì a cogliere il suono dei lamenti dei prigionieri, che fino a quel momento gli era stato nascosto dal rumore sovrastante delle onde.

Era dolore quello che sentiva. Entrò in una tiepida stanza con le pareti dipinte di bianco. Il luogo più luminoso in quella prigione.

Una ragazza col volto scavato fece il suo timido ingresso nella stanza. I suoi occhi non avevano più la brillantezza che Percy ricordava: scattavano da una parte all’altra e solo dopo che la porta si fu chiusa alle sue spalle, la ragazza abbozzò un sorriso.

Percy si alzò in piedi e levò la bacchetta per sigillare la stanza.

“Weasley. Hai fatto carriera?” La sua voce era stanca, il viso non solo era magro, ma pallido, segnato da occhiaie profonde. Sembrava un ramoscello fragile, preda del vento. Ma era sempre il suo primo amore. Sorrisero entrambi in modo nostalgico.

“Non mi avresti dovuto vedere così,” si nascose stingendosi il volto tra le braccia, china sul tavolo, Percy notò che ogni rumore la faceva sobbalzare.

“Penelope.”

“Mi chiamo ancora così? Non sono solo un numero adesso?”

“Non per me,” lei si lasciò andare per un attimo a una risata amara e triste; finalmente, alzò lo sguardo fino a portarlo su di lui, che vide la sua tristezza.

“Ma gli altri sì, vero? Gli altri sono e saranno sempre niente, per te.” c’era dolore nella sua voce, e forza.

“Voglio liberarti. Voglio che tutto questo finisca.”

“Tu ne hai fatto parte… ne fai ancora parte. Io avrei dovuto fuggire quando ne avevo la possibilità, invece guardami: sono in una prigione dalla quale probabilmente non uscirò viva. Fortuna che sono rimasti solo pochi Dissennatori qui, altrimenti credo che sarei già impazzita.” rise debolmente; Percy notò il velo umido delle lacrime sui suoi occhi.

“Ho sbagliato.”

Il silenzio era glaciale quanto l’atmosfera della prigione. Percy si aspettava che lei gli si lanciasse addosso dicendogli che in fondo non era vero, che avrebbe potuto recuperare tutto quello che gli era scivolato dalla vita. Invece Penelope stava in silenzio e gli guardava le mani.

In realtà avrebbe voluto stringerle tra le sue e dire a Percy che andava tutto bene; ma non era lui quello che doveva essere consolato in quel momento. Lei era in una posizione difficile, quasi disperata, come tutti gli altri prigionieri. Era lì da poco meno di un mese, ma prima di essere imprigionata aveva passato parecchio tempo nascosta.

“Se davvero ne sei convinto: combatti, Percy. Liberaci. Aiutaci.” si conteneva ancora. Reggeva allo stress della solitudine e della disperazione. Aveva pianto, Penelope, lo si vedeva dai suoi occhi arrossati, ma non l’avrebbe fatto di fronte a lui.

Le prese la mano. “Io farò il possibile per salvarci tutti. Sono responsabile, anche se non colpevole in prima persona, di quello che è successo a te e a tutti i Nati Babbani qui dentro. Da oggi voglio fare la cosa giusta,” cercò di convincere anche se stesso che ce l’avrebbe fatta: era sincero, ma sapeva di essere anche debole.

Penelope gli strinse la mano. “Ce la farai, ne sono convinta. Ti aspetto.”

 

***

 

Qualche giorno dopo, ci fu la Battaglia di Hogwarts, alla quale Percy partecipò. Lo fece per la sua famiglia, per lei e per se stesso. Forse dentro di sé si sarebbe sempre sentito in colpa per tutti i grandi errori che aveva commesso a causa del suo egoismo, ma si sarebbe impegnato per rimediare.

 

Era passata una settimana da quando Penelope era stata liberata. Stava preparando un tè, quando sentì picchiettare sul vetro della finestra.

Un gufo teneva in bocca un fiore bianco che lei non seppe riconoscere. Penelope aprì la finestra, perse il fiore e lesse la breve lettera che lo accompagnava.

Cara Penelope,

sto cercando di mantenere la mia promessa.

Spero che tu voglia accettare la dalia, che ti ho mandato per ringraziarti. Tu mi hai mostrato la luce che non riuscivo a trovare, mi hai permesso di trovare la strada giusta prima che fosse davvero troppo tardi.

Spero anche che tu accetterai di vedermi, perché sono cambiato, e vorrei davvero riuscire a guadagnarmi la tua fiducia, magari anche il tuo amore.

Percy

 

Penelope strinse al petto la lettera, contenendo a stento la sua gioia. Il razionale Percy Weasley era arrivato a un gesto di romanticismo che da parte di uno come lui valeva tantissimo, e non era l’unico gesto con cui le aveva dimostrato che era finalmente cambiato.

Percy ora poteva davvero essere in grado di amare qualcuno che non fosse se stesso, di questo si era convinta, e per questo continuava a sorridere rileggendo la lettera e guardando il fiore.

Sì, gli avrebbe dato un’altra possibilità.

 


FINE. 

 


* da "Se mi lasci ti cancello".

   
 
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