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Autore: LilithJow    25/07/2012    1 recensioni
Il mio nome è Samantha Finnigan. Sono nata e cresciuta a Rossville, una cittadina con poco più di mille abitanti nell'Illinois, Stati Uniti.
Sto per compiere ottanta anni.
Ho vissuto una vita meravigliosa, ho avuto un marito affettuoso e tre fantastici bambini.
Ma non è di questo che sto per scrivere. Sono convinta che alla gente piacerebbe leggere di una grande storia d'amore, con un bel lieto fine, ma purtroppo io e i lieti fine non siamo mai andati d'accordo.
Ciò che state per leggere, perchè se adesso avete queste righe sotto gli occhi, presumo lo stiate per fare, non ne ha neanche l'ombra, o, per meglio dire, dipende dai punti di vista.
Voglio raccontarvi di un periodo particolare della mia vita, di molti anni fa, cinquantacinque per l'esattezza. Per me è come fosse ieri, forse perchè non ho mai dimenticato quello che successe. Impossibile farlo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Dovetti sbattere le palpebre più volte per tornare alla realtà e rendermi conto di che mondo mi stava attorno.
Eravamo in quello reale – per me, per gli umani, ovviamente – in quella piccola e squallida stanza di motel, l'unica che ci potevamo permettere.
Le braccia di Daniel non mi circondavano più, ma mi bastò spostare di poco lo sguardo per trovarlo, accasciato a terra, in preda a continui colpi di tosse che gli causavano perdita di sangue dalla bocca.
Urlai il suo nome, prima di precipitarmi a soccorrerlo. Lo feci alzare, a fatica, fino a raggiungere il letto, dove lo aiutai a sdraiarsi. La tosse stava diminuendo, ma lui continuava a non avere un bell'aspetto.
Avevo la tremenda voglia di prendere a pugni quella Evelyn fino a renderla irriconoscibile. Che gli aveva fatto?
Vederlo in quelle condizioni mi gettava totalmente nel panico, perchè, non essendo umano, non avevo la possibilità di portarlo in ospedale e non sapevo che fare per farlo stare meglio.
L'unica cosa che mi venne in mente fu quella di recuperare in bagno degli asciugamani, impregnarli d'acqua fredda e tamponargli la fronte. Incredibilmente, la sua pelle aveva perso il gelo che la caratterizzava – sia da umano, che da angelo – ed era bollente. Capii subito che non poteva essere un buon segno.
Trattenevo le lacrime a stento, eppure avrei voluto piangere, sfogarmi, farlo per giorni e giorni.
Ero sicura, tuttavia, non sarebbe servito a nulla.
“Dobbiamo... Andarcene...” biascicò Daniel, con tono flebile. Fece per alzarsi e non dovetti nemmeno cercare di fermarlo: ricadde subito sul letto prima di riuscire nella sua impresa.
“Non ti puoi muovere, Daniel. Non andiamo da nessuna parte” gli sussurrai. Diedi l'impressione di essere calma e tranquilla, anche se dentro di me era ricominciato l'inferno, come nella notte in cui lui perse la sua vita terrena.
“Se non ce ne andiamo, ci troveranno di nuovo, Sam. Non possiamo restare qui, il nuovo scudo non reggerà a lungo”.
“Lo so. Ma in questo momento non sei nelle condizioni adatte per anche solo stare in piedi. Lo scudo ci proteggerà per un po', appena cederà, ce ne andremo. Siamo al sicuro, ora”.
Daniel non osò replicare. Mi rivolse solamente uno sguardo stanco, mentre io, insistentemente, continuavo a bagnargli piano la fronte e i capelli.
“Non me l'hai mai detto” sussurrai, poco dopo, continuando la mia occupazione, quasi fosse meccanica ormai.
“Che cosa?”.
“Che sei stato tu a scegliermi, mettendoti davanti mille rischi e pericoli. Perchè lo hai fatto?”.
Lui sorrise appena. “Serve davvero che te lo dica?”.
“Sì. Ormai non c'è più nulla da perdere, no?”. Smisi di tamponargli la pelle e mi rigirai l'asciugamano tra le mani, abbassando lo sguardo su di esse.
“Non riuscivo a sopportare l'idea di starti lontano, neppure dopo essere morto. Vorrà dire qualcosa. Riuscivo chiaramente a sentire le tue emozioni, i tuoi sentimenti per me, capendo che erano veri, esattamente come i miei. L'hai detto anche tu, no? Esistono amori che vanno oltre la morte”.
Incurvai le labbra in su, solo per un istante: era una delle cose più romantiche che mi avessero mai detto, ma non riuscivo ad esserne assolutamente felice, perchè l'abbandonarsi ai sentimenti che provava nei miei confronti l'aveva condotto – e lo avrebbe sempre fatto – verso l'autodistruzione. Era come se fossi la sua maledizione.
“Hai infranto tutte le regole angeliche, solo per stare con me?” chiesi, con voce roca. Daniel annuì. “Dovresti semplicemente dire queste cose anche ad Evelyn e tutti loro. Potrebbero capirti, anzi, lo faranno sicuramente, nonostante i tuoi errori” aggiunsi.
Lui sorrise di nuovo, ma questa volta fu del tutto ironico. “Evelyn è una sorta di capo supremo” disse “ed è su questo pianeta da millenni. Ha totalmente dimenticato cosa siano le emozioni, cosa sia l'amore. E' il destino di tutti gli angeli: essere costretti a non provare nulla per anni ed anni, ti trasforma in un essere apatico e insensibile, dedito solo al proprio lavoro, che, per ironia della sorte, è quello di assicurarsi che la gente sia felice”.
“Tu hai paura?”.
“Di cosa?”.
“Di diventare come lei”.
“Ne sono terrorizzato”.
Solo allora tornai a guardarlo negli occhi. I miei erano lucidi, ma le lacrime ancora stentavano ad uscire. Con lentezza estrema, mi protesi verso di lui e mi sdraiai al suo fianco, appoggiando la testa sul suo petto. Non udii né il battito del cuore, né il fruscio del respiro, ma degli strani rumori, che non seppi definire. Che il suo corpo stesse tornando a poco a poco integro, dopo le torture che quella dannata donna gli aveva inflitto?
“Tu non potresti mai” mormorai “sei troppo buono per perdere le tue emozioni”.
“Ne saresti sorpresa”.
Aveva appena usato le stesse parole di Evelyn e allora mi vagò per la testa l'idea di fargli mille domande, risolvere una volta per tutta i miei dubbi, ben consapevole che, risolti quelli, se ne sarebbero aggiunti altri, e poi altri e altri ancora.
Dirottai su un altro argomento, o meglio, un'altra versione della questione. “Che ti stava facendo quella donna? Urlavi da matti” sussurrai.
“Gli angeli sono... Abbastanza sadici, se ci si mettono d'impegno, e quelli come Evelyn vogliono essere onorati e rispettati in ogni momento, così, quando c'è un condannato, lo torturano, fino a sentire le sue suppliche, prima di annientarlo, nel vero senso della parola”.
“E'... Crudele”.
“E' crudele” ripetè lui, con un sospiro. Sentii le sue labbra sui miei capelli. La sua pelle non era ancora tornata ad essere gelida come al solito, ma la temperatura, tuttavia, si era abbassata significativamente.
“E io? Come ho fatto a superare quella specie di barriera che Evelyn aveva alzato?” chiesi ancora.
“Questo non lo so”.
Alzai lentamente il capo, così da guardarlo negli occhi. Erano sinceri e lucidi, come forse non lo erano da tempo. “Così come non so in quale modo abbiamo fatto a trovarci di nuovo qui” continuò “credevo che quella sarebbe stata l'ultima volta in cui vedevo il tuo viso”.
Sorrisi. Poteva Daniel Monroe essere più perfetto? Mi fece sentire totalmente in pace, sebbene fossimo nel bel mezzo di una catastrofe che si prospettava avere una fine atroce. Eppure, mentre le sue braccia mi stringevano, i suoi occhi mi guardavano e il suo sorriso mi illuminava, mi sentii protetta, al sicuro, come se niente avesse mai potuto ferirmi.
Forse perchè insieme scateniamo una forza pari ad un uragano e separati siamo paragonabili ad una leggera brezza estiva” sussurrai.
Lui non replicò alla mia frase, quella metafora un po' bizzarra, che però rifletteva alla perfezione ciò che eravamo. Io con Daniel mi sentivo forte ed ero convinta che la cosa fosse reciproca.
Restammo in quella stanza di motel per quattro giorni. Uscii solo qualche volta, per recuperare da mangiare, ma nulla più.
Daniel mi disse che avrebbe potuto mantenere attivo lo scudo di protezione per un'altra settima, ma quel luogo rimaneva a rischio, dal momento che già una volta lì ci avevano scovato, per cui, non appena il suo corpo si ristabilì, fummo di nuovo per strada, diretti ad un'altra meta, il più veloce possibile. In movimento, la nostra difesa veniva abbassata; non in modo drastico, ma abbastanza consistente per dar loro una traccia da seguire.
Non volevo che accadesse. L'esperienza con Evelyn mi aveva lasciato segni indelebili addosso e Daniel mi rivelò che il suo compagno – o socio in affari o qualcosa del genere – era di gran lunga peggiore. Si chiamava Eric: non si scomodava mai per faccende burocratiche, Daniel non l'aveva nemmeno mai visto, ma aveva sentito parlare di lui, e non in maniera rassicurante.
Più spietato di Evelyn: il solo pensarlo, mi metteva i brividi. Probabilmente lui non avrebbe esitato ad ucciderci entrambi, evitando anche la parte delle torture.
Nel nostro viaggio, che ci condusse a parecchi kilometri da quella stanza maledetta – così l'avevo soprannominata – le mie curiosità tornarono a galla, insieme alla voce di Evelyn che le paragonava alla stupidità.
Lo ero stata, ovviamente, ero stata stupida, ma ormai il danno era fatto e dovevo affrontare quella che era diventata la nostra battaglia.
Raggiungemmo un nuovo motel, meno squallido di quello precedente, che quasi mi sembrò confortevole.
Sprofondai nel materasso, tra le lenzuola bianche e profumate di giglio, mentre Daniel si concentrava, costruendo una nuova difesa, stavolta – a parole sue – più stabile di quella vecchia.
“Da una scala da uno a dieci” esclamai, mentre lui lentamente, guardandomi al punto di farmi sciogliere, mi raggiungeva sul letto “quanto è più cattivo di Evelyn, questo Eric?”.
“Mhm.. Facciamo undici?” replicò lui. Roteai gli occhi: la sua ironia non era molto apprezzata su quell'argomento. Daniel rise, probabilmente per l'espressione che il mio viso assunse. “Non lo so” aggiunse, poco dopo, quando ormai era sdraiato al mio fianco. “Non ho avuto l'opportunità di parlare con qualcuno che l'ha incontrato, a parte Evelyn”.
“Forse perchè nessuno mai è sopravvissuto per raccontarlo” aggiunsi, usando la sua stessa ironia, del tutto macabra e fuori luogo in quel momento.
Ero piena di domande, di nuovo, ed era frustrante il modo in cui a periodi del genere, si alternassero quelli in cui non me ne fregava niente, eccetto noi due. Ero preoccupata, ma allo stesso tempo non lo ero: rischiavo di impazzire, se non lo avessi già fatto.
Non potevamo fare altro che aspettare, chissà cosa: il ritorno di Evelyn, l'avvento di Eric, la nostra definitiva separazione.
Tra tutte, era solo l'ultima a terrorizzarmi.

  
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