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Autore: Iluvatar    27/07/2012    3 recensioni
In questa linea temporale, nessuno ha notizie di Frodo e Sam da tempo, e la Guerra dell'Anello continua imperitura. Minas Tirith resiste ancora, e un nuovo Generale si appresta a guidare le truppe di Sauron. Ma il corso degli eventi è steso su di un libro indecifrabile, già scritto, ma incomprensibile e imprevedibile...
Premetto che si tratta della mia prima Fan Fiction, e che le critiche sono ben accette...
Buona lettura :)
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il distacco dalla terra dell’Est


Lo sguardo incredulo dell’uomo studiava con attenzione maniacale tutti i dettagli di quel familiare scenario. I suoi occhi si posavano sulle fioche luci provenienti dalla fortezza distante, mentre scivolavano tra le fronde degli alberi fino a calare sulle lande appena visibili alla luce della luna. I suoi occhi si muovevano con inaudita rapidità, eppure dentro di sé la sua mente non poteva capacitarsi di come il fato l’avesse ricondotto lì.

Alle sue spalle, tra i grugniti poco chiari degli orchi, il respiro affannoso di una delle altre cavalcature si fece più vicino, e uno dei Nazgul scese dal suo nero destriero. Il lieve fruscio dei suoi passi precedette la sua voce gelida, che spezzò la dolce quiete notturna.

“Le nostre truppe non possono lasciare Osgiliath, ma la nostra guerra deve andare avanti..  e data la delicatezza del compito, tu stesso lo porterai a compimento. Saboterai la fortezza di Cair Andros. Se non adempirai a quest’ordine e tornerai, verrai punito per tradimento.”

Gli occhi del Numenoriano si spalancarono, al pensiero di ciò che lo aspettava. Tornare indietro significava cedere un motivo credibile ai Nazgul per eliminarlo, e non vi era nessuna possibilità di lasciare l’Ithilien senza essere scoperto. E di certo, sopravvivere a tutte le truppe di Cair Andros rappresentava un’impresa ancora più ardua.

Lo spettro si allontanò da Ulthar, che aveva ascoltato le parole del Nazgul con estrema tensione. Riuscì a liberarsi dalla sua gabbia di paura, e a voltarsi per osservare tre ombre allontanarsi nel buio, tra i nitriti di temibili destrieri.

Mantenne lo sguardo fisso nel punto in cui gli spettri erano fuggiti, il volto irrigidito dalla rabbia, la mano destra stretta attorno all’elsa della sua arma. Sapeva che non vi era neppure la più lontana speranza di trovare un nascondiglio, una via di fuga, qualsiasi cosa che potesse salvarlo dal suo cruento fato. Ma non poteva restare lì, e capì che l’ultima speranza, per lui, era rappresentata dal superare il fiume Anduin. Tirò le redini del proprio destriero per voltarsi, e con sdegno si rivolse per la prima volta in quella tiepida notte ai suoi orchi, immobili, i piccoli occhi puntati sul loro Generale.
Deciso a non confessare il proprio piano ai suoi sottoposti, l’uomo assunse un tono deciso e autoritario: “Avete sentito ciò che mi è stato riferito. Qualunque sarà la mia sorte, voi mi seguirete. Immagino che non siate molto forgiati nelle azioni furtive, dunque vi consiglio di non lamentarvi come vostro solito, o cadrete per mano mia.”

Il silenzio calò subito sul manipolo di orchi. Ulthar lanciò loro un’occhiata severa, poi si voltò e spronò il suo cavallo verso Cair Andros, seguito dai suoi soldati. Galopparono nelle vallate del Nord Ithilien per del tempo imprecisato, finché non furono abbastanza vicini alla fortezza Gondoriana. Si trovavano in una zona ricoperta di erba folta e cespugli, delimitata ad oriente da alcune macchie di foresta secca e ad occidente dal grande fiume, quando il Numenoriano frenò, scese silenziosamente dal suo cavallo bruno e lo liberò della sella e di tutte le svariate cinghie.

 “Non  mi servirà” disse sussurrando, e lo lasciò andare libero per le praterie. Poi si voltò verso i suoi soldati: “So che per voi è una tattica alquanto insolita, ma dovrete fare a meno dei vostri Wang.” Un fastidioso borbottio di lamentele si levò dalla marmaglia di orchi, alcuni guardarono i compagni con fare interrogativo, ma Ulthar rimase immobile e serio. “Non è la loro forza che ci serve stanotte, ma il favore delle tenebre e del silenzio. Voi vermi siete incapaci di tacere per più di un minuto, e le vostre bestie non sono da meno. Lasciatele.”

Gli orchi scesero dai loro Lupi Selvaggi con gran fracasso, e mollarono le redini delle loro cavalcature. Queste, dopo alcuni versi incomprensibili, si voltarono e corsero tra ululati e ringhi sulla via per Osgiliath. Passarono alcuni minuti, durante i quali Ulthar osservò una strada percorribile tra i rovi e i cespugli, nascosta e ottima per muoversi verso Nord. L’uomo si voltò e fece cenno agli orchi di seguirlo; Questi, seppur riluttanti e ancora seccati per essersi dovuti dividere dai loro Wang, annuirono e lo seguirono. Camminarono per un breve tratto fino ad una scoscesa rocciosa che portava al margine del fiume, e qui si fermarono per osservare attentamente il loro obbiettivo, la fortezza di Cair Andros.

Antica e maestosa, la fortezza si ergeva su di un’isola in mezzo al fiume, collegata ad entrambe le coste da ponti di pietra. L’avamposto Gondoriano era costruito con lastre levigate e marmo bianco, ed era costituito da una struttura con torrioni e vedette delimitata da una cinta muraria a strapiombo sulla costa frastagliata dell’isola.

I profondi occhi di Ulthar brillavano delle numerose fiaccole accese alle porte del castello, protette da svariati soldati appostati lungo il ponte più vicino. Il Numenoriano emise un rauco lamento e digrignò i denti dalla rabbia. Si voltò, deciso a cercare una via più semplice, quando colpì per errore un sasso che con insolito silenzio scivolò lungo la scoscesa che portava dal suo nascondiglio alla base del fiume. L’uomo piegò appena il capo e, ridotti gli occhi a lievi fessure, seguì un percorso immaginario dalla scoscesa al suo fianco fin sotto il ponte più vicino, dove cresceva un fitto canneto. Una fiamma divampò nei bruni occhi di Ulthar, che preso da un’indomita euforia si lanciò lungo la scoscesa e scivolò alla base del fiume, dove l’acqua giungeva appena ai suoi stivali. Si accorse con sorpresa che un leggero e pastoso strato di fango aveva reso alquanto silenziosa la sua azione.

Con un cenno della mano destra, l’uomo ordinò agli orchi di scendere. Furono decisamente più goffi e rumorosi del loro Generale, ma il piccolo manipolo riuscì a raggiungerlo e seguirlo. Si spostarono verso il primo ponte, finché non vi si trovarono proprio sotto. “Andrò avanti io” sussurrò Ulthar, e cominciò a muoversi verso l’isola, seguendo i vari pilastri reggenti del ponte. Per i primi metri, la corrente non gli diede problemi e il fiume si rivelò basso e guadabile contro ogni previsione.

 Eppure, era il nervosismo a controllare la mente di Ulthar e presto la paura di incontrare maggiori difficoltà lo afferrò. Il livello dell’acqua lo raggiunse alla vita, mentre sotto i suoi piedi la ghiaia e il terriccio cedevano posto ad un impasto indefinito di fango ed alghe. Lo sguardo fulmineo di Ulthar viaggiava rapidamente dall’altro capo del ponte - dove sotto vi era un piccolo molo incustodito – a ciò che poteva vedere dei suoi piedi, nascosti dalla nera e impenetrabile acqua del fiume.

Il livello del fiume salì rapidamente al suo petto. Oscure previsioni balenarono nella mente dell’uomo, mentre un leggero brivido attraversava il suo corpo. Non era piacevole, come quello derivato dalla frescura alla mattina o dalla carezza di una donna, bensì graffiante, intenso e profondo fino alle ossa. La tensione aveva impedito alla sua mente distratta di accorgersene, ma l’acqua era gelida, e Ulthar vi era ormai immerso fino al collo.

Preso dal panico, il Numenoriano fu tentato di tornare indietro, ma capì che la scelta migliore era affrettarsi verso il suo obbiettivo e fermatosi cominciò a sciogliere le cinghie della sua nera armatura, e la lasciò scivolare contro il fondale. Senza le pesanti piastre, l’uomo riuscì ad affrettare il passo, ma presto il fondale sparì sotto il tocco degli stivali di Ulthar, che controvoglia fu costretto a nuotare con forza verso il piccolo molo dell’isola. Era in grado di nuotare, ma nelle terre di Mordor non aveva mai avuto in passato grandi occasioni per allenare lo stile o forgiare l’abitudine, inoltre il freddo e la corrente avrebbero reso la traversata sgradevole a chiunque. Dopo alcuni minuti, l’uomo raggiunse il molo – fortunatamente non pattugliato da nessun soldato – e vi salì.

L’attracco era formato semplicemente da un piccolo pontile di legno malridotto e di certo quasi mai utilizzato. Una ripida e umida scalinata direttamente scolpita sulla scogliera portava al ponte sovrastante, e dunque al cancello più vicino per la fortezza, ma vocii indefiniti e vari rumori facevano intuire che l’entrata era piuttosto protetta. Abbandonata ogni speranza, Ulthar emise un pesante sospiro, finché il suo sguardo non cadde su di una piccola porta di ferro accanto alla scalinata, accessibile scavalcando qualche roccia. Il lucchetto era arrugginito e probabilmente facile da scassinare. Fece per raggiungerla, quando un ruggente lamento proveniente dalla sponda alle sue spalle gli fece ricordare di un particolare decisamente rilevante ai fini della sua missione.

Si voltò, e vide in lontananza il gruppo di orchi in attesa di comandi, con i volti immersi in un misto di stupidità e offesa. Il Numenoriano osservò la propria divisa di pelle bruna completamente fradicia. Sapeva che tornare indietro per convincere quella marmaglia di bestie ad attraversare a nuoto un fiume sarebbe stato inutile, e il freddo e il nervosismo lo istigarono a non pensare molto sulla strada da seguire. “Che restino lì” Borbotto infine, e si diresse a spada sguainata verso la porta. Con qualche forzatura la aprì, e si ritrovò in uno stretto corridoio scavato nella pietra, con una fioca luce proveniente da lontano. Mentre percorreva la galleria con passo felpato, l’uomo osservava le pareti, formate non da pietre levigate o mattoni, ma dalla stessa pietra della scogliera dell’isola.

 Dopo breve tempo giunse alla fonte di luce che lo guidava e si ritrovò in un punto della galleria leggermente più largo, dove vi era una torcia appesa al muro e una scala di corda che portava ad una botola qualche metro più in alto.

Ulthar posò la spada nel fodero e cominciò a salire. Le mani gli tremavano mentre lo guidavano verso l’ignoto, ma sapeva che era l’unica via. Quando giunse alla botola, la toccò appena e notò con timore che era bloccata da qualche peso. Cominciò a colpirla col pugno destro, rimproverandosi ogni qual volta il rumore prodotto gli pareva eccessivo ed infine, opponendo tutta la sua volontà alla ferrea morsa di paura che lo bloccava, riuscì ad aprire la botola con un colpo di spalla e si tirò su. In principio non vide nulla, ma dopo alcuni secondi riuscì a disegnare i contorni del luogo in cui si trovava.

Era una stanza buia, alquanto grande ma dal tetto basso. L’unica fonte di luce era una piccola candela quasi esaurita poggiata su di un barile. Effettivamente, ad occupare la stanza vi erano principalmente questi: barili, casse, sacchi, grandi vasi e viveri di vario genere.

L’uomo si allietò di essere capitato in quello che doveva essere un magazzino alimentare, e soprattutto di non aver incontrato nessuno. Si avviò verso la porta più vicina e la aprì, mentre il cuore pulsava con forza immane. Salì una buia e stretta scala a chiocciola, che lo portò ad una seconda porta. Aperta questa, si ritrovò nella cucine. Erano in uno stanzone illuminato da numerose candele, e l’unica presenza era quella di un uomo in abiti civili seduto su di un alto sgabello, con una bottiglia vuota accanto e il capo poggiato su un bancone da lavoro. Ulthar sentiva il respiro pesante dell’uomo, e capì che dormiva pesantemente. Gli lanciò un’occhiata torva e fuggì dalla stanza in fretta.

Uscito dallo stanzone, Il Numenoriano sobbalzò e si nascose in fretta dietro una colonna; davanti a lui vi era uno spiazzale perfettamente quadrato, completamente coperto in pietra. Oltre alla porta da cui era giunto, poteva vedere i grandi cancelli del lato Est – che portavano al ponte da lui visto in precedenza – e varie altre porte più piccole, ma di legno ben levigato. Numerose colonne si ergevano a formare un corridoio coperto attorno allo spiazzale, illuminato da grandi fiaccole appese ai muri. Ma gli occhi di Ulthar erano fissi sui Gondoriani che sostavano al centro dello spiazzale.

Erano circa una decina, tutti ben armati e con le caratteristiche armature di ferro scintillante. Dall’altra parte dello spiazzale, posizionati sotto le colonne come Ulthar, vi erano due uomini armati di arco che dialogavano animatamente. Il Numenoriano restò immobile ad osservare la situazione, non sapendo come agire. Passò parecchio tempo prima che l’uomo decidesse di muoversi, ma proprio in quell’istante il suono penetrante di un corno giunse dall’altra parte dei grandi cancelli dello spiazzale. Varie voci accompagnarono quel suono, e tutte le truppe davanti a Ulthar si mobilitarono verso i cancelli. Un lontano urlo acuto fece capire all’uomo che i suoi orchi si erano stancati di aspettare, e avevano preso l’iniziativa.

Accennando un leggero sorriso, il Numenoriano si affrettò da una colonna all’altra, finché non si incamminò sotto un arco all’angolo dello spiazzale. Sentiva un forte vocio e un incalzante rumore di battaglia provenire dai cancelli, ma nessuno intralciò il suo cammino.

Dopo qualche minuto, durante il quale l’uomo aveva cercato la via più veloce verso l’ala Ovest della fortezza attraverso uno lungo giardino del castello, un leggero rumore si presentò all’ascolto di Ulthar. In principio era pacato e distante, ma in poco tempo si fece forte e paurosamente vicino. Il Numenoriano mise mano alla spada e seppur il suo volto fosse irrigidito per il panico, la sua mente elaborava con rapidità la tattica migliore da seguire. Il rumore si fece più vicino, ed oramai era chiaro che si trattava di pesanti passi. Gli occhi dell’infiltrato caddero su una catasta di armature graffiate e una pila di lance poggiate contro una parete, e subito l’uomo scivolò accanto ad esse per nascondersi. Un attimo dopo, una grande porta in fondo al giardino si spalancò con impeto, rigettando un numero indefinibile di soldati d’argento.

Marciavano all’unisono e si dirigevano verso l’arco dal quale era giunto Ulthar. Quest’ultimo li vide passare, gli occhi spalancati e la bocca piegata in una smorfia. Quando sparirono e il rumore dei loro passi fu attenuato, Il Numenoriano alzò appena la testa e fece il primo passo fuori dal suo nascondiglio.

Gli occhi rispecchiavano la paura e la tensione nella quale la sua anima era immersa da tanto tempo, ma il suo volto esprimeva decisione e risolutezza. Fece un secondo passo, ma questa volta non fu il lieve fruscio dell’erba ad accompagnarlo, bensì un rumore rimbombante, come qualcosa di percosso. Voltò lentamente il capo, e vide la pila di lance completamente rovesciata sulle armature. Guardò nuovamente davanti a se, gli occhi fissi verso l’arco dove erano spariti i soldati di Gondor. Non avvertiva nulla, nessun rumore, nessuna sensazione, solo la stretta delle sue dita attorno alla fredda elsa della spada.

I suoi occhi videro un bagliore, un elmo d’argento adornato da eleganti ali ai lati. Un Gondoriano era apparso dall’arco. Lo indicava con la mano sinistra, quella destra stretta attorno ad una picca, mentre urlava. Altri soldati arrivarono dietro di lui.

Ulthar era immobile.

Seppur incorporea, la paura lo colpì con più forza di qualunque arma.
  
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