Là,
dove il sole fa ombra è una serie what if...
? partorita dalla beneamata slice. Un futuro (quasi) pulito in cui Itachi
razzola libero per Konoha,
Shikamaru finisce molestato in maniera consenziente e divertente,
Sasuke ripara tostapane e lo sport nazionale è il lancio del Naruto:
consiglio a tutti di farci un salto.
Questa,
per farla breve, è appunto la fic per il compleanno (30/6) di slice
ed è un plag- cioè, lei dice di chiamarla “una fanfiction della
fanfiction” cosa che le cagiona una certa ilarità. Quindi, niente,
dopo averla letta mi ha dato il suo consenso per postarla, e quindi
eccola qua. È più che un tantinello sconclusionata.
Nulla
riposa della vita come
la
vita
Certi
giorni è ancora difficile accorgersi d'avere tempo, per Itachi. È
strano, un po' angosciante.
Notevolmente angosciante, in verità, ma
Itachi ha vissuto troppo – un troppo che non ha a che fare col
tempo, un troppo condensato e ruvido che l'ha scardinato dai binari,
gettato in caduta libera – per
non aver capito come si fa ad
adattarsi. E dunque si è adattato, anche stavolta; adattato a vivere
non più in funzione della morte, non più in funzione di Sasuke,
sebbene Sasuke resti una costante: Sasuke che impreca in cucina
perché il rubinetto perde di nuovo, Sasuke che prepara zuppe di miso
sempre troppo salate, Sasuke che vive, parla, fa il Sasuke attorno a
lui. Qualche volta persino con lui, che è quanto Itachi non
avrebbe mai neanche osato sperare. Però è comunque difficile, stare
lì e vivere quando si era progettata una vita solo per giungere ad
un epilogo prestabilito.
«Nuvole
all'orizzonte» annuncia la voce di Shikamaru, ancora
distante. Itachi stira le labbra tra sé: il genio sa che l'ha
sentito già dalla porta, sicuramente sa anche che ha stirato le
labbra.
«Si
è alzato il vento, tra un po' saranno sparite».
Accomodato
con indolenza al suo fianco, i piedi giù dall'engawa, Shikamaru si
puntella sui palmi e sbadiglia, faccia al cielo nell'aria immobile.
Sorride a metà, pensoso.
«Non
sarebbe un problema se ogni tanto piovesse, fa fin troppo caldo»
risolve infine, rassicurante.
L'Uchiha
ne spia la figura con la coda dell'occhio: davanti al tramonto afoso
la sua ombra si allunga sull'engawa assieme alla schiena flessa e
alle braccia tese, per poi rincontrare il corpo quando Shikamaru si
lascia cadere giù, supino e accaldato; l'estate lo sfinisce, così
dice lui.
«Gli
acquazzoni estivi possono provocare ingenti danni, probabilmente è
preferibile tenersi un po' d'afa» ribatte Itachi, piano.
Shikamaru tace per secondi lunghi, si dilatano nel caldo come
liquefatti.
«È
molto da te» sbuffa infine, giusto un poco indeciso; teme d'essersi
spinto troppo in là.
Itachi
non si volta: il sole si sta abbassando e sembra fare sempre più
caldo, sembra davvero che il mondo voglia sciogliersi, diluito in
un'acqua da brodo primordiale. Vorrebbe rispondere, ma il cervello di
Shikamaru sta elaborando: ne può quasi sentire il ronzio; ha smesso
di sbuffare, trae aria dal naso e sta sospeso come un'ape indecisa.
«Ci
vorrebbe una vacanza».
A
Itachi viene da ridere: non lo fa, però le sopracciglia si sollevano
sulla fronte e una bolla strana gli sfrigola dietro le narici.
«Una
vacanza» commenta, schivo: lui non lavora, lui vive – è
questo il
suo lavoro, adesso, la sua missione – ,
sarebbe un po' strano andare
in vacanza. Sarebbe strano anche desiderarlo.
I
corvi si posano sul muricciolo rotto di fronte alla casa e mandano
ombre lunghe sul terriccio del giardino incolto: Naruto ha provato a
piantarci i pomodori – scelta del tutto disinteressata –, ma lo
deve aver fatto nella stagione sbagliata, perché l'unica cosa che ne
ha ricavato Sasuke è stata un po' di terra smossa. L'eroe di Konoha
invece ci ha guadagnato un cazzotto di fraterna riconoscenza per il
tentativo.
«Una
vacanza, sì» prosegue Shikamaru, che ha elaborato. «È una buona
idea. Ogni tanto bisogna riposarsi dal proprio cervello, diceva
Asuma».
C'è
tramestio di pentole al di là dello shouji aperto, tra corridoio
lungo e cucina; la voce di Sasuke borbotta: «tra un po' si mangia»
senza specificare per quanti commensali abbia preparato la cena.
«Sembra
un buon consiglio, quello di Asuma» pondera Itachi sottovoce.
Shikamaru lo guarda in attesa, ancora spalmato sul pavimento,
raccolto dietro la sua ombra: sembra comodo.
Itachi
lo sente sbuffare di finta insofferenza quando lui si lascia cadere a
sua volta indietro, ad imitarne la posa da stella marina spiaggiata;
e sì: è comodo.
«Al
mare» decide, ispirato.
Prima
che Shikamaru possa fare qualcosa di più che chiudere gli occhi e
accennare un
sorriso a labbra chiuse, Sasuke fa capolino dal pannello aperto dello
shouji. Ribadisce che, oh, la cena è pronta, solo per
trovarli stesi in terra come tappeti. Li inquadra dall'alto, cerca
gli occhi del fratello in un silenzio mezzo esasperato mezzo
rassegnato.
«Che
palle, Itachi, questa storia deve finire...» raspa infine, con
l'arsura in gola per caldo e fastidio. Quando è filato via – a
sbuffare forte come un bollitore – Itachi ne segue la nuca finché
le pupille non sono così in alto che può vedere l'ombra sfocata
delle sue stesse sopracciglia. Poi fa scivolare gli occhi a sinistra:
Shikamaru sta ridendo.
Asuma
era un maestro strano e Shikamaru gli è debitore di un debito
disinteressato, quello di chi dà senza volere nulla per sé, solo
per il futuro – per Nakaru.
Lui
è sempre stato quello pigro spalmato contro una superficie
orizzontale, quello che si metteva in moto solo a calci – con un
Naruto che ti lascia cadere fin dentro il ring –, ma Asuma è
riuscito a sentire il ronzio del suo cervello dietro gli sbuffi
fiacchi, a riconoscergli sforzi invisibili e stanchezze annesse che
neanche Shikamaru stesso si era mai sentito in diritto di attribuire
alla sua molle persona. È anche per questo che lo capisce: ad Itachi
vivere costa fatica. Non sempre e mai di modo che sia visibile; non è
neanche una questione drammatica su ideazioni suicidarie o simili:
Itachi non vuole morire, perché morire era funzionale al suo piano
di vita e, adesso che quel piano è sfumato, lui resta un uomo troppo
versatile per non riuscire a trovare da solo il modo giusto di
cavarsela, che sia qualcosa di apparentemente sciocco come scrivere
liste di quel che ha da fare –
così che anche le giornate lente
scivolino via – o
occuparsi di mille cose piccole e utilissime per
migliorare l'esistenza di suo fratello, degli amici di suo fratello e
la sua – sua di Shikamaru.
Ciò
non toglie che anche Itachi sia un essere umano e che di
tanto in tanto è doveroso che siano gli altri ad ingegnarsi al posto
suo per semplificargli l'esistenza. Quindi, dato che comunque si è
in tempi di pace, non c'è nulla di male nel chiedere all'Hokage –
santo Kakashi sensei – una
vacanza: per due giorni contati
comprensivi del viaggio, ma ne vale la pena, anche se c'è Naruto che
sbraita arancionando a briglia sciolta sul bagnasciuga – o
forse proprio per quello. Son due ore che grida, da quando hanno
intravisto il mare dalle cime degli alberi, e aver raggiunto la meta
l'ha reso solo più entusiasta.
«Sì,
imbecille. È grande e bagnato, lo sappiamo» lo rimbrotta Sasuke
alla terza esternazione ovvia e rumorosa del jinchuuriki. Quello
gesticola agitato a venti metri da Shikamaru, di fianco ad una Sakura
troppo tranquilla per spazientirsi: manca il deterrente e Naruto
continua a ruota libera, lasciandosi attorno polveroni di sabbia
perché felicissimo di poterci strusciare i piedi su.
«Eh,
ma è proprio... proprio enorme. E blu. Perché è blu?» domanda,
come colto da un'improvvisa folgorazione. Shikamaru emette un sospiro
soffocato e Sakura rantola d'afflizione; si stringe il capello di
paglia sulla testa e si avvia verso l'acqua, apparentemente decisa a
non soddisfare gli infantili interrogativi del suo migliore amico e
lasciare piuttosto che Sasuke lo anneghi.
Come
sempre – come Shikamaru modestamente aveva previsto – interviene
Itachi.
«Mh,
mi verrebbe da dire “perché ci si riflette il cielo”, Naruto
kun. Ma sospetto ci sia una spiegazione più tecnica... In effetti
meriterebbe approfondimento».
Ma
già alla prima mezza frase Naruto ha sgranato gli occhi e, preda
d'una mistica rivelazione, li ha sollevati al cielo.
«Woah,
non ci avevo mai pensato!» e lo dice a Sasuke perché non possiede
il benché minimo spirito di conservazione. Difatti quello gli tira
un dritto in mezzo agli occhi e lo lascia agonizzare a terra.
«Ma
perché gli date corda?» si rivolge poi al fratello – col plurale
maiestatis, perché Shikamaru e Sakura non si sentono minimamente
tirati in causa.
«Anche
io trovo che sia interessante, Sasuke».
«Itachi...»
Shikamaru
segue lo scambio con la soddisfazione dello stratega, mentre la
squadra sette si comporta da squadra sette, con Sasuke che borbotta
offeso qualcosa riguardo il fatto che non bisognerebbe mai mescolare
amici e parenti e Sakura che, per distrarlo, sospira illogicamente
briosa: «guarda Sasuke kun, i gabbiani!», sia mancando tragicamente
l'interesse dell'interlocutore, sia sopravvalutando le potenzialità
oculari del suddetto, che studia a lungo una busta di plastica con
espressione critica, prima del messianico intervento di Naruto. Il
jinchuuriki gli gira il collo nella direzione corretta, quasi novanta
gradi a destra: finisce ovviamente a botte da orbi e i gabbiani
scappano credendo ci siano falchi riottosi giunti a minacciare la
pace del posto.
Shikamaru
scuote la testa, mentre il chidori cerca di privare Konoha del suo
eroe per l'ennesima volta in un arco di tempo relativamente breve e
Sakura si arrabatta a sedare liti, agitando sabbia a pugni in una
riuscita imitazione del Gaara primi tempi – funerale del
deserto!
«Senza
non sarebbe stato divertente» risponde la voce pacata di Itachi alla
considerazione insofferente che Shikamaru non sapeva neanche di aver
formulato –
«era meglio se li lasciavamo a casa» –,
semplicemente
seguendo il suo sguardo.
«Suppongo»
sbuffa il genio, diplomatico.
Alla fine, nonostante il superfluo
chiasso, c'è tutto quello che serve: il sole è alto sulle
loro teste, ma a smorzarne la calura tira un buon vento di mare sulle
mangrovie che, appunto, fanno ombra tra spiaggia e acqua. È riuscito
a trovare l'unico posto in cui si possa fare il bagno all'ombra e
tutto senza uscire dal Paese del Fuoco – anche perché portare
un ex criminale internazionale a spasso non è esattamente qualcosa
che si possa fare e Itachi non si sarebbe mosso, senza il fratello.
Shikamaru lo sa e lo accetta, altrimenti non avrebbe senso neanche
andare tanto d'accordo con Uzumaki Naruto.
Quell'Uzumaki
Naruto, nella fattispecie, è già in acqua in compagnia del suo
migliore amico, molto impegnato nell'impresa di annegarlo. Sakura
sulla riva assaggia il freddo con la punta dell'alluce; tre paia di
sandali e un cumulo di indumenti giacciono abbandonati alla rinfusa
poco più in là.
Poi,
nella stasi pigra, è Itachi a prendere l'iniziativa: Shikamaru
scopre d'avere il polso intrappolato in dita lunghe e pallide quando
lui l'ha già scarrozzato senza irruenza – è come avesse inserito
la spina: i piedi di Shikamaru si sono semplicemente messi a
camminare – fino alla battigia.
«Venite
anche voi?» domanda Sakura, tranquillissima nonostante solo due
secondi prima abbia dovuto sbraitare «Sasuke kun, il chidori no!»
al fine di evitare una moria di pesci e jinchuuriki.
Itachi
guarda prima lei, poi si volta verso Shikamaru: lui gli rilancia
un'occhiata interrogativa che Itachi esplica in un cortese «vi
raggiungiamo dopo» a Sakura. Lei semplicemente annuisce e saluta:
avanza di ben due passi rabbrividendo con determinazione; Naruto la
incita da lontano, tutto impegnato ad affogare Sasuke tenendogli la
testa sotto.
«L'acqua
è fredda» concorda infine Itachi, dopo essersi accomodato
direttamente sulla sabbia umida.
Shikamaru
fa quasi per annuire: il suo ideale di vacanza non a caso può essere
compreso nell'immagine di lui gettato lì accanto, pancia all'aria e
sole in faccia, il vento a spazzargli addosso e Itachi a un passo.
Solo che poi lo guarda, Itachi, seduto sulla spiaggia come seduto
sull'engawa, a contemplare distante il mare invece che un muro, sotto
un cielo uguale a quello di sempre. Aggrotta le sopracciglia e gli si
para davanti, sbuffando.
«Non
fa niente, andiamo» decide, porgendo una mano. Itachi socchiude gli
occhi per guardarlo meglio, con tutta quella luce; sembra pensarci un
po', ma alla fine accetta la mano e si alza, con calma, senza
preoccuparsi della sabbia che gli è rimasta addosso. Inclina il capo
per un lungo momento, assorto, tanto che Shikamaru finisce quasi per
preoccuparsi, finché non scatta di nuovo col mento su, vicinissimo
alla sua faccia.
«Andiamo, allora»
acconsente, il tono pacifico. L'istante dopo il mondo di Shikamaru si
rovescia – cielo sotto i suoi piedi e la sabbia chiara sulla sua
testa, la spalla di Itachi nello stomaco, tre passi in avanti e
freddo, freddissimo dentro il cervello, e niente aria. Rinviene
grondando acqua gelata, ancora vestito, seduto sul fondale basso e
sabbioso a tossire sale e conchiglie.
«Itachi...»
E
quello non se la sta ridendo unicamente perché è troppo impegnato a
ficcare la testa tutta sott'acqua, solo il naso fuori e gli occhi
chiusi, vestito anche lui, perché Shikamaru ha idea che gli scherzi
gli vengano così, fulminei come le tattiche ninja, ed Itachi è uno
stratega che pensa più alla riuscita della missione che alla propria
incolumità.
Seccato
come solo Itachi sa seccarlo – per nulla, in pratica – si vendica
tappandogli il naso con due dita.
Ottiene
uno spruzzo d'acqua dalle guance, dritto in faccia, prima che l'altro
si liberi e resti a guardarselo lì, accovacciato sul fondo con
l'espressione svagata dell'innocenza dipinta chiara sulla faccia da
adulto.
«Pessimo».
«Pensavo
volessi fare il bagno» si difende Itachi, placido. Rabbrividisce per
via delle spalle fuori dall'acqua bassa e, mentre Shikamaru prova a
obiettare che «non intendevo da vestito!», si è già ricacciato
dentro, sotto il pelo, sordo sia allo sbuffo del genio che agli
schiamazzi degli altri tre ninja, molto più in là.
Shikamaru
scuote la testa, la coda gli penzola sbieca e sfatta sulla cima, come
un ciuffo di alghe. Perde tempo a sistemarsela, direttamente
sott'acqua e impicciando le dita nell'elastico, e quando riemerge di
Itachi non c'è più traccia. Solleva un sopracciglio, si spia
attorno cauto: l'acqua è immobile, solo blu del mare e del cielo;
Naruto, Sasuke e Sakura, lontani, si sono arrampicati come licheni
sulle radici grosse delle mangrovie: arriva a stento la voce di
Sakura a parlare piana, frammezzata da qualche esclamazione di
Naruto, che sta prendendo le misure per tuffarsi goffo dalle radici
dell'albero, neanche l'impresa richieda chissà quali complesse
nozioni di balistica.
Shikamaru
assiste stralunato all'impatto di un jinchuuriki che si spalma contro
l'acqua senza dimenticare di tirarsi dietro un Sasuke a caso – poi
saranno botte –, finché si sente afferrare per un piede; e non
grida solo perché, oltre ad essere un ninja, quella è una storia
che conosce e che alla fine non gli dispiace neanche un po'.
Sott'acqua
gli occhi di Itachi sono comunque nerissimi ed è anche stupendamente
buffo coi capelli gli ondeggiano attorno, sospesi tra le bolle. I
baci, quelli sono più salati e –
Shikamaru non credeva fosse
possibile –, più mozzafiato del solito.
Sakura
rimprovera tutti, uomini, donne, bambini e Sasuke – sì, pure
Sasuke.
Però
non aveva mai rimproverato Itachi. Non le mette propriamente
soggezione, non più – o meglio, non è lui in sé stesso a
metterle soggezione, quanto ciò che ha rappresentato per Sasuke, per
tutti loro –, ma
neanche ci si trova a propriamente a suo agio.
Eppure questo deve essere un assunto che è stato valido per un certo
periodo e che adesso la kunoichi, senza dare conto a nessuno, ha
felicemente archiviato: altrimenti Shikamaru non si spiega perché
mai la candida fanciulla stia sbraitando contro Itachi come fosse un
giocondo jinchuuriki arancione.
«Al
mare a respirare l'aria buona, Itachi san! Non al mare a beccarsi una
broncopolmonite fulminante!» e gli sfrega l'asciugamano sulla testa
che neanche Yoshino quando Shikamaru aveva sei anni e lui e Chouji
tornavano fradici per aver bighellonato tutto il pomeriggio sotto la
pioggia. Itachi quantomeno ha il buon senso di accettare il blaterio
medico-apprensivo senza emettere un solo fiato di disaccordo –
anche perché ci pensa Sasuke a guardare la scena con espressione non
si sa se oltraggiata o semplicemente allucinata.
Shikamaru,
dal canto suo, approva in silenzio e un po' si biasima, in colpa: è
che Itachi emana naturalmente una sorta di forza superiore,
incrollabile; qualcosa di indefinibile e concreto insieme che lo
sostiene come uno scheletro supplementare, tanto da appannare
trascorsi fin troppo recenti di emottisi giornaliere e retine
massacrate. Sakura è la sola che, medicina dalla sua, non perde mai
di vista la faccenda neanche se si tratta di cose sciocche come
essersi fatto il bagno vestito di tutto punto in un clima soleggiato
ma ventoso – anche se le sopracciglia corrugate di Sasuke, ogni
volta che ad Itachi scappa da starnutire, saranno pure loro
indicative di qualcosa. Ma se lui si incupisce ed elucubra, Sakura –
sempre la medicina dalla sua, l'abitudine alla relatività dello star
bene o male – ha la capacità di dare il giusto peso alle cose,
passare da un umore all'altro in maniera fluida e naturale tirandosi
tutti dietro. Shikamaru lo realizza solo quando, preso a sua volta da
apprensive elucubrazioni sasukiane, Sakura gli ficca in mano
una lattina di tè freddo senza neanche farsi ringraziare – già
tutta presa dallo sbraitare a Naruto di venirsi a prendere il suo,
sebbene lui non abbia ancora minimamente palesato una qualche
necessità di bere.
«Fa
paura, eh» argomenta il genio, una volta sedutosi un po' troppo
pesantemente accanto ad Itachi, col tè in mano e il sedere sulla
sabbia sottile – e mentre lo dice sta pensando un po' anche ad Ino.
Itachi però è preso dallo spettacolino di Sakura che intima a
Naruto e Sasuke di bersi il loro tè zitti e mosca, perché non ha
intenzione di riportarsi a casa il cestino del pranzo - un
borsone in cui Nakaru potrebbe comodamente star dentro in piedi -
pieno.
Come
se ci fosse pericolo: Naruto ha appetito e non a caso ha appena
cominciato a lamentare come a nessuno sia venuto in testa di portare
del ramen, neanche fosse sano e normale desiderare brodo bollente
quando si è seduti su silicio caldo, sotto un sole caldo, nell'aria
calda di una stagione calda.
«Itachi
san, togliti quell'asciugamano umido di dosso e prendi un po' di
sole!» sbraita Sakura ignorando il jinchuuriki, e Itachi sorride da
lontano, finge con estrema diplomazia che quell'asciugamano non
gliel'abbia dato lei ed esegue all'istante neanche l'ordine arrivasse
dall'Hokage in persona; quando infine si volta verso Shikamaru,
annuisce: «fa paura».
Il
genio ride e rovescia un po' di tè in giro. Buttato giù l'ultimo
diligente sorso – Sakura sarebbe capace di ammazzarlo perché non
ha finito il tè, se lo sente – si guarda attorno in cerca di un
cestino della spazzatura.
«Su
una spiaggia deserta» si ricorda da solo, mentre con gli occhi è
già a metà della perlustrazione.
Itachi
gli dà il profilo, la lattina altrettanto vuota – se la sarà
scolata, integerrimo teinomane quale è – e lo sguardo al litorale,
rivolto al verde. L'impellenza di un cestino della spazzatura perde
di colpo molto del suo senso e Shikamaru barbuglia quella che
vorrebbe essere una proposta e che invece si manifesta come uno
«mnh?» di sopracciglia sollevate e ammicco – una roba
particolarmente imbranata a metà tra un flirt ed un sintomo del
colera.
Ma
Itachi è Itachi: si volta verso la sua espressione da totano svenuto
– non è il caldo a intontire Shikamaru, a meno che all'insaputa di
tutti Mikoto Uchiha avesse battezzato così il suo primogenito – e
interpreta con un molto più dignitoso: «mh, vorrei vederle da
vicino», il cui soggetto sono le mangrovie con le loro radici
intricate come ragnatele, grossi nuvoloni verdi tra acqua e cielo.
Si
alzano senza rumore e lasciano alle loro spalle la squadra sette, che
tanto è comunque troppo impegnata a consolidare la propria amicizia
– anni e anni di dura amicizia – a colpi di starnazzi e risse,
per accorgersi della loro assenza.
Shikamaru
è arcisicuro che Itachi Uchiha, quello che ha viaggiato per anni
seguendo le direttive dell'Akatsuki, di mangrovie ne avrà viste a
migliaia, così come molte altre cose – tantissime, troppe anche
per il suo cervello, che è comunque quello di un ragazzo cresciuto
in un villaggio a rotoli e missioni -, più interessanti di una
vegetazione bizzarra. Eppure Itachi ogni volta sa sorprenderlo con
quelle uscite che sarebbe più facile aspettarsi da Nakaru – il
piccolo sta entrando nell'età dei perché, a breve sarà un inferno
– e ogni volta che si sorprende Shikamaru si dà dello stupido. A
Itachi piacciono le cose che non interessano a nessuno, quelle che se
interessassero a qualcuno forse migliorerebbero la vita sul pianeta:
a Itachi interessa il motivo per cui il mare sia blu, anche passati i
vent'anni, semplicemente perché non ha mai avuto il tempo di
chiederselo, prima. O forse perché se l'è chiesto e nessuno gli ha
risposto, tutti troppo impegnati a guardarlo diventare un gran ninja
il più in fretta possibile, un assassino il più in fretta
possibile; tutti uniti nel considerare un'inutile perdita di tempo il
domandarsi quello che sarebbe naturale chiedersi, tipo come facciano
degli alberi a crescere nell'acqua salata.
E
fa sinceramente piacere che sia così: Itachi che se ne sta seduto su
una radice gigante, gli occhi a spiare giù nell'intrico di cortecce
e ombre liquide, come se queste dovessero di colpo mettersi a parlare
con lui, è qualcosa che fa ridere perché è riposante e vivace
insieme, e Itachi si merita di vivere il riposo come preferisce.
Anche interrogandosi sulle mangrovie, se è quello che gli piace,
anche se Shikamaru lì per lì si era immaginato un altro epilogo per
quella camminata in punta di chakra sul mare – eh, gli ormoni.
Scaccia
via i pensieri impuri – Itachi candidamente mezzo nudo seduto lì
accanto non è che proprio lo aiuti tantissimo – e decide piuttosto
di assecondare gli altri suoi bisogni primari: si accomoda su una
delle ampie radici, stirando la schiena con indolenza e
complimentandosi di nuovo con se stesso per la scelta del posto. C'è
l'acqua sotto, il cielo in altro tra le fronde eppure, eh! c'è anche
l'ombra; la prossima volta ci porterà pure Ino e Chouji, quando sarà
un po' più grande chiederà a Kurenai di portarci Nakaru e Itachi
non viene nominato solo perché è scontato che debba essere la
costante della piacevole faccenda.
Si
accorge d'essersi appisolato solo quando Nakaru gli si siede sullo
stomaco e comincia a pizzicargli la faccia, come fa sempre quando lui
vuole dormire – una domenica qualsiasi, per esempio – con quelle
sue zampette vivaci e l'umido di bave e omogeneizzati che il pargolo
gli spalma volentieri addosso in ogni momento.
Però
quando apre gli occhi, con un rantolo di foca spiaggiata, e le sue
mani sono già in alto per riparare invano il naso dagli artigli
della bestiola, non trova bambini. O meglio, ne trova, e di quelli
grossi.
«Muoio»
soffoca stoico, in comunicazione diretta col suo fegato. Itachi ci
resta felicemente seduto su, troppo concentrato a sistemargli un
paguro sul naso per prestare ascolto a qualche inezia come le lagne
di un organo interno che tra l'altro ricresce.
«Buon
pomeriggio» saluta; una chiocciola scivola sulla palpebra di
Shikamaru e l'Uchiha, magnanimo, l'aiuta a risalire sul sopracciglio,
ché se no cade.
«Itachi,
pesi» fa presente la bocca del genio, fortuitamente libera da
molluschi. «E fa caldo».
Capisce
d'aver detto una cosa terribile quando ormai è troppo tardi: lo
sguardo di Itachi si è già illuminato di divertimento, in un lampo
breve, prima che il proprietario di quegli occhi sia piombato su di
lui come un paguro gigante; slittano giù dall'albero quasi
delicatamente, come da uno scivolo; Shikamaru ha il tempo di
sospirare di finta afflizione, prima che lui, Itachi e il piccolo zoo
di molluschi e crostacei precipitino in acqua con un molle plop.
Naruto
ha costruito un castello di sabbia. In realtà il suo piano era una
riproduzione fedele di Konoha, monte degli Hokage annesso, ma Sasuke
gli ha fatto perfidamente notare, dopo un quarto d'ora di lui che
ammucchiava sabbia e la squadrava da ogni angolazione credendosi un
architetto – e sembrando invece un povero idiota – quanto fosse
molto più somigliante ad un mucchio informe e che sarebbe rimasto
tale, quindi tanto valeva calpestarlo subito. Ovviamente il suo
voleva essere un provvedimento a favore dell'estetica e del buon
gusto e invece, al solito, il mondo l'ha frainteso e persino Sakura è
finita a concordare con Naruto riguardo l'infame accusa di bullismo a
suo carico. Alla fine, per evitare la rissa, lei – la perversa,
maligna, infida e noiosissima ragazza dai capelli rosa, che è
assurta al ruolo di gran capo un dì e che da allora spadroneggia
impunemente su tutto e tutti – l'ha spedito a chiamare Itachi e
quell'appendice del Nara, dato che i due sono spariti e neanche hanno
mangiato, tra l'altro l'insalata di riso di cui lei è
orgogliosissima nonostante le carote che ci ha messo dentro sembra
siano state mutilate da un boscaiolo e Naruto abbia mandato giù
gusci d'uova sode solo per non offenderla.
In
ogni caso, Sasuke ha obbedito alla gentile richiesta –
«per piacere,
Sasuke kun, va'» pronunciata in tono tutt'altro che
conciliante –solo
perché gli importa dello stomaco vuoto di suo
fratello: per il resto Nara può pure evaporare digiuno e Sakura non
gli fa paura per niente, che sbraiti o miagoli a lui scivola addosso
come l'aria, come il sudore che gli sta colando sulla fronte, perché
si dà il caso che quei due abbiano deciso di farsi mezzo mare a
piedi per “vedere le mangrovie” – e
lo sa che è un'idea di
Itachi: a Nara non sarebbe mai venuto in testa di camminare tanto –;
con l'aggravante che a lui lo stesso tragitto tocchi rigorosamente
fuori dall'acqua perché «hai appena mangiato ti verrà una
congestione!»
Sakura li stordirà tutti con le sue paranoie
mediche, diventeranno ipocondriaci e moriranno segregati sotto una
campana di vetro, Sasuke lo sa.
Brontola
interiormente, accaldato, e si arrampica sulla mangrovia più vicina,
enorme e addormentata. Effettivamente non si sente un fiato, né si
muove altra acqua che quella spinta dalle onde.
«Itachi,
venite a mangiare» risolve semplicemente, rivolto agli alberi, i due
più grossi protesi fin dove l'acqua è profonda.
Niente,
pure le foglie stanno zitte – si è anche fermato il vento. Sasuke
sbuffa e scende, i piedi sul pelo dell'acqua e le sopracciglia
aggrottate in direzione di alcune ombre poco lontane, oltre il grumo
delle radici ingombranti dell'albero; si sporge e fa per aggirare
l'ostacolo, concentrato, finché non inquadra un paio di oggetti
insoliti – insoliti su di un albero –, a
penzolare come fantasmi
scuri da un ramo basso. Stringe le labbra e dilata le narici, perché
ha capito: ci vede abbastanza da schifo, ma mica è scemo. Comincia
con: «che palle-», ma si ferma, perché non può neanche dire che
siano in casa sua, o che la cosa gli dia fastidio. È solo che non lo
vuole sapere: sono cose che un fratello minore non dovrebbe sapere,
quelle che riguardano costumi da bagno appesi ai rami e Nara
randomici che... Ugh. Non c'entra neanche che sia un maschio,
c'entra che è Itachi quello, che cavolo!
«Veniamo
subito» fa la voce di Itachi-cavolo, da qualche parte tra le fratte.
C'è anche quella di Nara, a borbottare qualcosa di indefinito, e
Sasuke decide che sono due voci nudissime e che lui non vuole averci
niente a che fare: avrà il diritto di non immaginare suo fratello in
atteggiamenti intimi con chicchessia, no?
«Sasuke,
ci lanci i costumi?» lo ferma la testa di Itachi, spuntando come una
testuggine da sotto le radici. Lui, che già s'era voltato per filare
via, rivolge un'occhiata di puro biasimo al suo incrollabile tono
noncurante. Espira e ringhia, poi gli lancia il costume dritto in
testa. Dietro al tronco si sente la mezza risata di Shikamaru.
Bruciare
l'intera foresta di mangrovie con l'Amaterasu sarebbe stupido, tanto
più che sta arrivando anche Naruto –
l'idiota bercia «Saas'keeh!
Perché ci stai mettendo una vita? Sakura chan dice che tra un po'
dobbiamo andare!» tutto ignaro e contento, lui, una macchietta
arancione nel blu.
«Questa
storia deve finire» conclude Sasuke a braccia conserte e piglio
sostenuto, pudicamente rivolto verso il jinchuuriki ancora lontano.
Alle sue spalle, i due nudisti si rivestono in fruscii bagnati: e
tanto quella storia non finirà, c'è solo da rassegnarsi.
Nda
Nascosti
(male) sono citati sette titoli di storie di slice XD Questo perché
sono una fan accanita e anche il corvo delle cazzate (cit!).
Neanche
il titolo è mio: trattasi del distico finale di Milano, del
buon vecchio Saba (e se qualcuno dovesse chiedersi, legittimamente,
cosa minchia c'entri, la risposta sarebbe “boh, mi suonava bene”).
Nakaru,
in Là, dove il sole fa ombra, è il figliolo di Asuma e
Kurenai: un amabile pargolo biascica-pastine.
Il
mare è blu per un motivo molto ganzo che trovate spiegato qui
(sì, su Focus Junior ùù').
Tutta roba di Kishimoto e di slice: di mio c'è solo tanta stupidità (e tanto amore, ali XD).