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Autore: Niglia    29/07/2012    6 recensioni
{Vecchio titolo: The Wrong Man}
Giulia è una normale ragazza di 18 anni; va a scuola, esce con le amiche e, quando capita, con qualche ragazzo, ma non è certo alla ricerca del Principe Azzurro.
Sembra l'inizio di un'estate come le altre quando, all'improvviso, compare Enrico: l'erede di un impero criminale, bello e affascinante, che si invaghisce di lei e la obbliga, un po' con le buone e un po' con le cattive, a frequentarlo...
"I tuoi amici non sanno dove sei, però loro sono al sicuro." Mormorò, avvicinando le labbra al mio orecchio e facendomi rabbrividire con il suo caldo respiro. "Cerca di fare in modo che rimangano tali... Se mi disobbedisci in qualsiasi modo, farò loro del male, e ti assicuro che sembrerà un incidente."
Parlava come farebbe un amante nell'intimità di una camera da letto, con la stessa voce calda e rassicurante, leggermente roca: eppure le sue parole erano tutto fuorchè rassicuranti. La sua era una minaccia bella e buona...
[dal Capitolo 7]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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@ Attenzione: questo capitolo contiene un linguaggio forte e tratta di argomenti che potrebbero turbare alcuni lettori.




Capitolo XXVIII.

 

 

 

 

 

 

 

 

Non so quanto tempo dopo ripresi conoscenza. So solo che mi svegliai in una brutta, bruttissima posizione, una che ricordava in modo perverso l’uomo vitruviano, con le mani e i piedi legati alla struttura in ferro battuto di un letto che non conoscevo, la bocca tappata da un bavaglio – no, un momento… sembrava più una cravatta – la faccia dolorante e rovente e la caviglia che, in quella posizione, faceva ancora più male di quando l’avevo storta. Se non altro, il dolore significava che ero ancora tutta intera – anche se non sapevo bene per quanto lo sarei rimasta. Per di più, come se il fatto di essere legata come un salame non fosse abbastanza, perché le disgrazie non vengono mai da sole, non indossavo altro se non la biancheria intima: il mio vestito era ordinatamente piegato e poggiato su una sedia – così si sgualcisce, maledizione! – e le mie scarpe erano lì accanto, poggiate vicine con cura. Sì, la cura del maniaco psicopatico!

Okay, dovevo cercare di inghiottire le lacrime e restare lucida. In fondo qualcun altro avrebbe potuto trovarla una situazione eccitante, no? Ecco; dunque dovevo calmarmi, e sforzarmi di non pensare a quello stronzo di Lorenzo che si trovava chissà dove e a fare chissà che in giro per la casa. Mi guardai intorno: nella stanza non c’era neppure una sveglia, quindi non sapevo che ore fossero e quanto tempo poteva essere passato da quando Lorenzo era passato a prendermi a casa mia. Facendo mente locale, riflettei che le uniche persone che mi avevano visto andar via con lui erano Alessandra e mia madre, ma quest’ultima non poteva di certo sospettare che potesse esserci qualcosa di male nell'amico della figlia che l’aveva salutata con un sorriso gentile e un’espressione da bravo ragazzo, dunque dubitavo che potesse in qualche modo avvisare Enrico che io ero sparita insieme a lui. D’altra parte, neppure la mia amica avrebbe potuto sospettare qualcosa, dato che lei non conosceva Lorenzo e non sapeva quanto fosse viscido – io per prima non glielo avevo mai raccontato, presa com’ero stata dal veloce susseguirsi degli eventi – e anche se così fosse stato che cosa mi aspettavo? Che lei, essendo fidanzata con Riccardo, chiamasse Enrico per aggiornarlo? Ma poi lei Enrico lo odiava, o comunque non era nella sua lista degli uomini dell'anno, di certo non l’avrebbe chiamato neppure in un caso eccezionale come questo!

Ammetto che quel ragionamento non mi stava per niente tranquillizzando. Insomma, ero nei guai, e a quanto pare non lo sapeva nessuno; quel coglione di Lorenzo avrebbe potuto stuprarmi da un momento all’altro, o persino uccidermi per quanto ne sapevo io, e chissà quando avrebbero trovato il mio corpo! Sempre se non avesse già messo in programma di seppellirmi da qualche parte in piena campagna… Oddio mio, non era nei miei programmi morire giovane! Mi resi vagamente conto di non essere poi molto spaventata: sì, stavo tremando, ma il mio cervello doveva aver attivato una sorta di programma di autoconservazione che mi permetteva di riflettere freddamente con un pizzico di macabro umorismo. Chissà, forse mi avrebbe salvata la mia ironia? Piuttosto discutibile.

Con un grido esasperato soffocato dal bavaglio cercai di dibattermi e muovermi, ma senza ottenere alcun risultato. Porca puttana. Porca. Puttana! Dove diavolo è la cavalleria quando si ha bisogno di lei? Strattonai ancora la corda che mi teneva legata alla spalliera del letto, stupita che avesse trovato quelle maledette funi in casa di Enrico; non osavo neanche immaginare il motivo per cui lui le avesse, avevo già abbastanza problemi di cui occuparmi per affrontare anche quell’inquietante questione.

Lorenzo tornò in camera proprio mentre tiravo con la mano destra, distruggendomi il polso ormai arrossato per il continuo sfregare della corda sulla pelle. Una sua sola occhiata bastò a farmi capire che il vedermi in quelle condizioni – legata e dolorante – lo eccitava parecchio, la qual cosa non andava affatto bene. Mi immobilizzai e gemetti, disperata.

“Guarda un po’ cosa mi hai combinato, stai sanguinando”, biascicò con la sua disgustosa voce melliflua, fingendosi preoccupato mentre si sedeva sul bordo del letto e si sporgeva verso di me per sfiorarmi il polso con una languida carezza.

Cercai di borbottare un ‘vaffanculo’ attraverso la stoffa, e malgrado fossi riuscita a fargli intendere solo alcune vocali, a giudicare dal suo ghigno dovette aver afferrato il senso generale del mio invito.

“Se continui con queste parole dolci potrei anche innamorarmi di te come ha fatto Enrico”, ribatté ridacchiando, passandomi una mano sulla fronte per tirarmi indietro i capelli che mi erano finiti sugli occhi. Si chinò poi sul mio collo e lo sentii inspirare profondamente, prima che rilasciasse il suo alito caldo sulla mia pelle e vi posasse le labbra; rabbrividii, disgustata.

“Ah, sì… Il tuo profumo mi era piaciuto da subito, ricordi?” Mormorò con un sospiro estatico, facendo scivolare le sue dita tremanti dalla mia gola, nel solco tra i seni, lungo lo sterno fino al mio ventre nudo, per poi giocherellare a disegnare figure disordinate intorno all’ombelico. Per quanto cercassi di abbassarmi il più possibile contro il materasso e sfuggire al suo tocco, era materialmente impossibile farlo, per cui dovevo solo trattenere la nausea. I suoi occhi si spostarono nei miei, e mi parve che il mio cuore saltasse qualche battito quando si accorse della terribile promessa che aleggiava in essi.

“Voglio mordere quelle labbra fino a far passare ad Enrico la voglia di baciarti…Ma se ti levo il fazzoletto tu ti metteresti ad urlare, non è così?” Sussurrò, accarezzandomi la bocca dal di sopra della stoffa. Allargai impercettibilmente gli occhi e inspirai, tremante – aveva l’aria di essere davvero serio, porca miseria! Certo, avrei dovuto capirlo dallo schiaffo che mi aveva dato prima che perdessi conoscenza e dal modo in cui mi aveva legato, eppure una parte di me – sicuramente quella più ingenua e scioccata – si ostinava a convincermi che Lorenzo mi stesse solo prendendo in giro, e che da un momento all’altro mi avrebbe lasciato andare. Era una sensazione strana, come se mi fossi estraniata dal mio corpo e osservassi l’intera scena dall’esterno, allo stesso modo in cui i curiosi si fermano a fissare le macerie di un incidente automobilistico, con lo stesso irritante, morboso e perverso interesse.

Se fossi stata in grado di parlare probabilmente avrei cercato di convincerlo con le buone a non fare cazzate, o comunque avrei potuto provare a distrarlo con chiacchiere inutili fino all’arrivo dei soccorsi… Già, ma quali soccorsi, accidenti? Come avevo già appurato nessuno sapeva che ero lì, e se anche Enrico fosse riuscito a scoprire qualcosa con i suoi discutibilissimi mezzi, beh, da qui al suo arrivo sarebbe stato sicuramente troppo tardi. Cazzo!

Ripresi ad agitarmi, riuscendo a metterci tanta di quella forza da far tremare la spalliera del letto e farla sbattere contro la parete. Per nulla colpito, Lorenzo si limitò a scoppiare a ridere, divertito.

“Non aver fretta, tesoro, fra un po’ iniziamo!” Mi prese in giro, toccandomi una guancia umida con due dita. Volsi la testa dall’altra parte, serrando forte gli occhi con fare disgustato, ma ottenendo solo il l’effetto di farlo ridere di più.

“Cos’è, fai la timida adesso?” Continuò, avvicinandosi. Stavolta però accantonò le ‘buone maniere’ e mi afferrò il mento con forza, obbligandomi a guardarlo e piantandomi le dita nelle guance, a fondo – quello fece male, diamine! “Credi che non lo sappia che sei solo una puttanella che la da al primo che passa, solo perché ha una bella macchina o un bel visino? Puoi aver fregato Enrico con i tuoi occhi dolci, dolcezza, ma con me non attacca… Comunque sarà un enorme piacere vendicarmi di lui tramite te. Vedrai, gli farà schifo anche solo l’idea di toccarti dopo che avrò finito con te!”

Mio Dio, ma che cosa stava dicendo? Mugugnai qualcosa di incomprensibile, gli occhi sgranati dalla paura e il respiro affannato, e un’ombra strana passò nello sguardo di Lorenzo. Le sue labbra si arricciarono in un sogghigno viscido, e una sua mano tornò a posarsi sul mio ventre, con le dita aperte e distanziate le une dalle altre.

“Però è noioso non poter sentire la tua voce. Si perde parte del divertimento, non credi?” Sussurrò, sfiorando la pelle appena sotto il mio seno con la punta del naso. Mi sfuggì un singhiozzo, e lui ridacchiò. “Sì, sarebbe più stimolante sentirti, in effetti. Va bene, adesso ti levo la cravatta… però tu devi fare la brava e non gridare, okay? Sennò potrei diventare cattivo, e tu non vuoi che io diventi cattivo, mh?”

Non risposi, limitandomi a fissarlo e a trattenere il respiro. Forse quel silenzio venne intercettato come una risposta positiva, perché si sporse verso di me allungando le mani dietro la mia nuca e sciogliendo il nodo della cravatta, strofinando nello stesso momento le labbra contro il lobo del mio orecchio. Quando il bavaglio venne rimosso rimasi zitta, perché in fondo mi sembrava da stupidi strillare così, dal nulla, e Lorenzo si allontanò con aria compiaciuta e soddisfatta.

“Brava bambina…” Disse, posando la cravatta sul comodino di fianco al letto. Poi, con un’ipocrita finta cortesia, proseguì. “E adesso, dimmi: vuoi qualcosa da bere? Un bicchiere d’acqua? Non voglio che mi consideri un maleducato che non si preoccupa della sua ospite!”

Brutto bastardo, aveva anche intenzione di prendermi in giro?

“Non ho sete, però potresti liberarmi e farmi andare via. Ti giuro che non dirò niente a nessuno, tanto meno ad Enrico… Sei ancora in tempo per salvarti il culo.”

A giudicare dalla sua espressione, non parve gradire granché il mio intervento. “Dovresti pensare di più al tuo, di culo, dolcezza. Non sono io quello legato come un salame… Anzi, mi sorprende che la cosa non ti faccia effetto. Una ragazza normale sarebbe entrata nel panico nel risvegliarsi mezza nuda in un letto non suo. Com’è che tu non strilli neppure?”

“Non è la prima volta che mi capita”, sibilai, stringendo gli occhi. Già, in effetti Enrico mi aveva già riservato un trattamento simile all’inizio del nostro ‘rapporto’ – una cosa che in altre circostanze avrei anche potuto trovare divertente – ma di certo adesso la situazione era un tantino diversa!

Alla mia risposta Lorenzo inarcò un sopracciglio, metà sorpreso e metà divertito. “Uao, a quanto pare hai una vita sociale interessante. Ma non siamo qui per discutere di questo”, ribatté, alzandosi. “Anzi, non siamo qui per discutere di niente. Non so quanto tempo ci è rimasto… Hai dormito per un’ora e mezzo, lo sai, dolcezza? Credo sia il caso di darci da fare prima che arrivi qualcuno a disturbarci.”

Deglutii, di nuovo all’erta. “Ho… ho cambiato idea. Vorrei un bicchiere d’acqua!”

“Mi dispiace, Giulietta mia, adesso il bar è chiuso”, ribatté lui, agitando un dito verso di me. “Avresti dovuto pensarci prima.”

Senza aggiungere una sola parola, si levò la maglietta facendola passare dalla testa e gettandola per terra, rimanendo a torso nudo. Dopodiché iniziò ad armeggiare con i bottoni dei jeans. Merda, faceva sul serio!

Ripresi a scuotere le mani, tirando fino a quando la corda non penetrò nella carne lasciandomi dolorante e con i polsi arrossati. “Smettila, Lorenzo, non fare cazzate! Non ti ho fatto niente, porca miseria!” Gemetti, odiandomi per la mia voce tremolante.

“Lo so che non mi hai fatto niente, dolcezza”, rispose, con un sorriso gentile falso come le monete d’oro che si regalano per la Befana, quelle di cioccolato. “Non ce l’ho con te, infatti. Purtroppo, però, sei legata ad Enrico… E questo ti mette in una posizione scomoda, se mi scusi il gioco di parole.”

Sapevo io dove poteva ficcarsi il suo gioco di parole, ma saggiamente stavolta decisi di tenere la bocca chiusa. Distrarlo, dovevo distrarlo… Dio mio… Ma come?

“Hai… hai detto che ti vuoi vendicare di Enrico, prima…” Mormorai, cercando un coraggio che non avevo. “Si può sapere perché? Cos’è successo tra voi due? Credevo… credevo che foste un gruppo affiatato.” Per quanto possa esserlo un gruppo di ragazzi che spacciavano e andavano in giro armati. Ma chi ero io per giudicare? Quello che mi importava davvero era che Lorenzo abboccasse e si mettesse a parlare. Si liberò dei jeans e rimase con addosso soltanto i boxer, così distolsi lo sguardo, mio malgrado imbarazzata; accidenti, era anche un bel ragazzo… Peccato che fosse così coglione!

Con un’invidiabile noncuranza venne a sedersi sul letto, allungando una mano verso di me e riprendendo ad accarezzarmi il ventre, ma stando comunque lontano dalle zone critiche – pube e seno. Chissà perché, poi? Indugiò a lungo in quelle carezze – non so grazie a quale santo del Paradiso riuscii a non strillare dal disgusto – e poi, all’improvviso, si portò ai piedi del letto e iniziò a slegare la corda intorno alla mia caviglia sinistra, quella che avevo slogato.

“Enrico è un pezzo di merda”, esordì con cattiveria, senza guardarmi. Era troppo occupato a sciogliere il nodo che aveva fatto poco prima. “Pensa di poter comandare tutti come un boss solo perché è un Occhi Belli, l’ultimo erede della famiglia… Sembra un cazzo di padrino! E gli altri, tutti ai suoi piedi, a leccargli il culo, perché hanno paura di lui, hanno paura di essere messi da parte e di perdere i soldi che Enrico gli fa entrare in tasca. Mi sono rotto le palle di obbedirgli come un cagnolino! Non sono il cagnolino di nessuno, io! Dì, Giulia, ti sembro un cane? Eh?”

Scossi la testa, sorpresa da quello sfogo e timorosa che potesse diventare violento, ma tanto lui non vide la mia risposta perché era passato ad occuparsi dell’altro piede. Perché mi stava slegando? La risposta giunse quasi contemporaneamente alla domanda, con la stessa violenza di un treno in corsa: per riuscire a spogliarmi.

“Stefano è il suo braccio destro, giustifica tutte le cazzate di Enrico. Credo che siano cugini… Ma non è solo per questo che mi sono rotto. Sono nel suo gruppo da quando avevo sedici anni, cazzo, non gli ho mai dato motivo di dubitare di me, e lui che fa? Mi tratta come l’ultimo arrivato, come un insetto che non vale la pena di degnare di un’occhiata. Non si è mai fidato di me, non mi ha mai mandato dai suoi fornitori da solo, tanto per dirne una… E sai perché? Perché una volta mi aveva beccato mentre mi facevo! Ma era solo una dose, Giulia, capisci, una misera dose da tre grammi! Mi ha minacciato di mandarmi via, il coglione, mi ha persino picchiato, abbiamo fatto a botte! Ne sono uscito pesto e sanguinante, ma lui mi ha perdonato, ah, il grande filantropo, perché capiva che la tentazione potesse essere forte per uno come me. Cosa cazzo significa uno come me, brutto pezzo di merda? …Da allora ha iniziato a trattarmi diversamente, mi faceva tenere d’occhio dagli altri ragazzi, e non mi faceva andare da solo da nessuna parte. Un incubo! Ovviamente, quando volevo le mie dosi me le facevo lo stesso. Non sono un cazzo di ragazzino da tenere al guinzaglio, se voglio una cosa me la prendo… E sai cosa voglio adesso, dolcezza? Adesso, come hai brillantemente intuito tu, voglio vendicarmi di Enrico, perché ha fatto sparire dalla circolazione il tizio che mi riforniva, e sai come farò? Eh, lo sai? Mi scoperò la sua ragazza!”

La sua voce si sollevò di diverse ottave sul finire di quel folle discorso, e in quel momento mi accorsi vagamente di avere le gambe libere; purtroppo però ero troppo scioccata per pensare di fare qualcosa, e d’altra parte lui sembrava davvero forte a giudicare da come mi stava tenendo bloccata stringendo semplicemente le mani intorno alle mie caviglie. Singhiozzai – non mi ero accorta di aver iniziato a piangere, merda! – e provai scalciare, ma pareva tutto inutile: ridacchiando come un ragazzino Lorenzo salì a quattro zampe sul letto e si mise sopra le mie cosce, a cavalcioni, immobilizzandomi col suo peso e… porca miseria, era eccitato! Lo sentivo contro di me, duro, e prima di rendermene conto iniziai a strillare.

“Vattene-vattene-vattene! Lasciami, cazzo, lasciami!” Continuai a gridare e dibattermi, ma lui era pesante e, a questo punto, dopo quel racconto, temetti che potesse anche essere fatto.

Non potei prevedere lo schiaffo, perché avevo gli occhi chiusi per non vedere quella sua faccia di merda sospesa a pochi centimetri dal mio volto; il colpo mi fece tacere di botto, lasciandomi intontita e dolorante e senza fiato. Quando socchiusi le palpebre, ansimando per ritrovare il respiro, vidi la sua espressione furiosa e i suoi occhi opachi che mi fissavano con una freddezza che non avevo mai visto prima in nessun altro.

“Ti avevo detto di fare da brava e non urlare, o mi sbaglio, piccola puttana?” Sibilò, avvicinando la bocca al mio mento. Vi posò le labbra, poi le dischiuse e sentii i suoi denti duri contro la pelle, mordicchiandola, e poi giunse la sua lingua a farmi gemere dallo schifo e singhiozzare. Scossi con forza la testa, cercando di allontanarlo, e continuai nello stesso tempo a biascicare tra un singulto e l’altro frasi sconnesse e tremanti.

“Lasciami, no, no, no… No, smettila, per favore, smettila…”

“Oh, tesoro, abbiamo appena iniziato…” Mormorò una volta raggiunto il mio orecchio. Prese a mordicchiare e leccarne il lobo, e io strillai ancora, agitando braccia e gambe e facendo scricchiolare il letto. Ma tutto questo non serviva, dato che continuavo a rimanere irrimediabilmente legata. Quando sentii una sua mano chiudersi a coppa sul mio seno piansi e strillai ancora più forte, e realizzai che ormai non c’era più nulla da fare – nessuno sarebbe venuto a salvarmi, e Lorenzo l’avrebbe avuta vinta!

Ma come al solito mi sbagliavo.

All’improvviso, prima che le sue dita schifose si infilassero al di sotto della stoffa del mio reggiseno, la porta della camera si spalancò con così tanta forza da andare a sbattere contro il muro, facendo sobbalzare Lorenzo che si voltò di scatto per controllare cosa diavolo stesse succedendo. Aprii gli occhi anche io, ansimante, ma dovetti sbattere più volte le palpebre prima che le lacrime si diradassero e mi permettessero di vedere il recente sviluppo della situazione. Fu così che mi ritrovai a fissare Enrico – buon Dio, sì, era proprio lui, e io non ero mai stata più felice di vederlo come in quell’istante! – e la pistola minacciosa che stava puntando con mano ferma e decisa contro il mio rapitore.

In un altro momento mi sarei messa a ridere: un tempo era stato lui il mio rapitore, e io l’avevo anche accusato di volermi violentare visto come si era comportato con me… Assurdo come la situazione si fosse drasticamente capovolta rispetto ad allora.

La presenza di Enrico mi aveva sorprendentemente calmato; benché avessi ancora Lorenzo spalmato sopra che mi schiacciava contro il materasso e le sue sudice mani addosso, smisi di dibattermi e mi rilassai, chiudendo di nuovo gli occhi e abbandonandomi a un pianto silenzioso di sollievo. Avevo l’impressione di galleggiare in una comoda bolla di incoscienza, che tuttavia scoppiò quando la voce di Enrico esplose nella stanza, a dir poco furibonda. Trasalii e lo fissai, spaventata e preoccupata.

“Allontanati da lei, cazzo!” Ruggì, continuando a tenerlo sotto tiro. “Non farmelo ripetere o sparo, Lorenzo, ti giuro che sparo!”

Senza staccare gli occhi da lui, Lorenzo si tirò su con calma, le braccia apparentemente rilassate lungo i fianchi: non mi toccò più mentre scendeva dal letto, sforzandosi di rimanere prudentemente fuori dalla linea di tiro. Quasi rimpiansi che Lorenzo se ne fosse andato, visto che adesso entrambi potevano vedermi in quelle condizioni: mi imbarazzava che Enrico mi vedesse legata e mezza nuda, ma comunque non era quello il momento di pensarci. Spostavo lo sguardo dall’uno all’altro, piegando le gambe un po’ per la vergogna e un po’ per cercare di mettermi a sedere, ma senza poter contare sull’aiuto delle braccia era impossibile.

“Sai sempre come rovinare una festa, Enrico”, sibilò Lorenzo senza più sorridere, fissandolo come se avesse desiderato ucciderlo. Peccato che anche il mio salvatore avesse lo stesso sguardo, e che fosse lui quello armato. “Io e la signorina ci stavamo solo divertendo.”

“Brutto stronzo…” Mi sfuggì, prima di venire interrotta da Enrico.

“Figlio di puttana!” Ringhiò, abbassando la pistola e gettandosi contro Lorenzo con una furia che non gli avevo mai visto. Lo colpì prima sotto lo sterno facendolo piegare in due, e poi alla mascella con un pugno che aveva l’aria di essere parecchio forte; Lorenzo cadde per terra tenendosi la pancia con le braccia, gemendo e sanguinando dal naso e dalla bocca. Non hai più voglia di fare il gradasso adesso, eh?

Enrico lo fissò con disgusto, poi parve ricordarsi di me e si voltò, raggiungendomi e poggiando la pistola sul comodino mentre si sporgeva per sciogliere le corde che mi tenevano ancora legata. Stavo tremando, eppure trovai ancora la voglia di fare del sarcasmo.  “Ma tu non eri bloccato a letto?” Gli chiesi a mezza voce, mentre liberavo con un sospiro di sollievo la mano destra.

Per tutta risposta mi dedicò un brevissimo sorriso. “Niente che un po’ d’azione non potesse curare, a quanto sembra”, replicò, liberandomi anche l’altra mano. Subito mi massaggiai i polsi indolenziti, gemendo. “Stai bene?” Mormorò subito, di nuovo serio e allarmato.

Annuii. “Tutto sommato sì… Enrico, attento!

Il mio grido lo distrasse da me e il rumore di uno sparo sovrastò la mia voce: purtroppo venne colto talmente alla sprovvista che non ebbe la prontezza di riflessi di spostarsi, così il proiettile lo colpì chissà dove e chissà quanto gravemente. Senza pensarci due volte afferrò di nuovo la sua pistola – quella che teneva nel cruscotto, suppongo – ma prima che si alzasse in piedi Lorenzo sparò un’altra volta, colpendolo alla spalla. Trattenni bruscamente il fiato, portandomi le mani a tapparmi la bocca per non mettermi a gridare come il mio terrore mi stava costringendo a fare.

Poi tutto avvenne come al rallentatore.

Enrico mi diede le spalle, sollevò il braccio destro – l’altro pendeva stranamente inerte lungo un fianco – e, senza che la mano gli tremasse minimamente, prese la mira. Forse Lorenzo non si aspettava che il suo ex amico facesse sul serio, perché rimase ad ansimare senza neanche accennare a muoversi, con la mano che teneva l’arma abbassata e l’altra, quella libera, a tergersi il sangue che gli sgorgava dal labbro spaccato, il tutto mentre continuava a fissare con aria folle e sadica prima me e poi lui.

Inaspettatamente scoppiò a ridere. “Non mi fai paura, Enrico! Non ce le hai le palle per ammazzarmi. Sai solo pestare e minacciare, e questo forse potrà tenere buoni i tuoi cagnolini per un po’, ma prima o poi… Prima o poi si stancheranno, e allora, se non l’avrò già scopata io, la tua ragazza, lo farà qualcun altro!”

Non gli diede neppure il tempo di risollevare la pistola. Fece fuoco.

Tre colpi precisi, freddi, spietati. Petto. Petto. Fronte.

E poi un silenzio assordante, nel quale rimbombavano ancora gli echi di quegli spari.

In quel momento gridai, gli occhi pieni della visione di Lorenzo che crollava in terra come un pupazzo inanimato, con il sangue che colava dai due buchi sul petto nudo e la faccia una maschera di sangue e gli occhi vitrei, sbarrati, e la bocca ancora vagamente sorridente che pareva essersi modellata in una strana 'O' di sorpresa. Mi vennero i conati, e avrei sicuramente vomitato se avessi avuto qualcosa nello stomaco, ma fortunatamente era trascorso parecchio tempo da pranzo e quel giorno non avevo neppure mangiato tanto. Enrico allora si voltò di nuovo verso di me, l’espressione feroce di poco prima tramutata in una preoccupata e dispiaciuta – forse non era stata sua intenzione mostrarmi quel lato di sé? – ed ebbe appena il tempo di fare due passi verso il letto e vedere me che mi allontanavo da lui, ancora sotto shock, prima che la consapevolezza di essere stato a sua volta ferito si facesse largo nella sua mente. Lo vidi abbassare gli occhi sulla propria spalla sinistra e notare solo ora la macchia di sangue che si allargava sulla stoffa chiara della camicia, allargandosi sempre di più, lungo il braccio e verso il petto. Lo vidi impallidire e lasciar cadere a terra la pistola ormai inutile, per poi reggersi il braccio ferito con quello sano. Si lasciò cadere sul letto, serrando forte gli occhi con una smorfia sofferente, ma io continuavo a rimanere a distanza, troppo spaventata per osare avvicinarmi a lui.

“Giulia, per favore…” Mormorò, intuendo sicuramente ciò che mi passava per la testa. Ma l’avevo appena visto ammazzare a sangue freddo uno dei suoi amici, cazzo, non potevo passarci così, come se niente fosse!

All’improvviso sentii dei rumori provenire dall’esterno della stanza, come di chi fa le scale correndo come se stesse fuggendo dal diavolo in persona. Io non riuscivo a staccare gli occhi da Enrico, mio malgrado, ma mi costrinsi a farlo quando vidi, con la coda dell’occhio, qualcuno affacciarsi sulla soglia.

“Porca puttana”, sibilò il nuovo arrivato, attirandosi l’attenzione della sottoscritta. I nostri sguardi si incrociarono nello stesso istante, furioso e turbato il suo, sbarrato e sconvolto il mio, e lo riconobbi. Era Stefano, l’unico degli amici di Enrico con cui non mi sentivo a disagio. Le lacrime iniziarono a scorrermi sulle guance prima che potessi fare qualsiasi cosa per bloccarle.

Prima di entrare si voltò verso il corridoio e prese immediatamente il controllo della situazione. “No, ragazzi, è meglio se non entrate. Francesco, chiama l’ambulanza. Porca puttana, bisogna chiamare anche la polizia… Albi, occupatene tu.” Poi tornò a dedicarsi a noi e avanzò all’interno della stanza, lanciando solo uno sguardo freddo e disinteressato al corpo di Lorenzo che si stava raffreddando in un angolo, completamente immerso in una pozza di sangue. Distolsi immediatamente lo sguardo, gemendo.

“Sté, non la polizia, cazzo…” Mormorò a mezza voce Enrico, a fatica, aprendo un solo occhio e fissando con sguardo confuso l’amico.

“Non possiamo ripulire questo casino, Enrico, non siamo soli, c’è anche Giulia”, ribatté Stefano, pragmatico ed efficiente. Non sembrò utilizzare la mia presenza come un’accusa nei miei confronti, quanto piuttosto come una specie di doccia gelata per far rinsavire il suo ‘capo’. “E poi non pensarci, sistemeremo tutto come sempre. Cosa ti è successo, mh? Il bastardo ti ha colpito?”

Enrico annuì con un grosso sforzo. “Al braccio. Credo… credo ci sia ancora il proiettile.”

“Cazzo. Beh, poteva andarti peggio”, replicò sdrammatizzando, reggendo l’amico con un braccio dietro la sua schiena per evitare che si accasciasse e rischiasse di spedire più a fondo nella carne il proiettile. Poi si rivolse a me, ma stavolta ebbe il buonsenso di mostrarsi più cauto e anche leggermente imbarazzato. “E tu, Giuli… Come stai? Ti ha… beh…”

Scossi la testa come in trance, non volendo neppure sentire ad alta voce ciò che stava pensando. “No”, mormorai, spenta. “Voglio tornare a casa.”

Stefano mi fissò attentamente, come se avesse voluto trapassarmi con il suo sguardo. Non avevo mai fatto caso al colore dei suoi occhi – erano grigi, un grigio scuro, cupo. Enrico li aveva scelti apposta tutti belli, i suoi compari?, mi ritrovai a pensare aspramente.

“Sta per arrivare l’ambulanza, Giulia, stai tranquilla. Tra un po’ potrai tornare a casa”, mi spiegò, con lo stesso tono gentile e pacato che si usa in genere con gli animali selvaggi da addomesticare.

Mentre aspettavamo iniziai ad avere freddo, freddo fin dentro le ossa, ma non era un gelo che poteva passare rivestendomi o coprendomi con qualcosa, era ghiaccio polare che serpeggiava sotto la superficie della mia pelle lasciandomi tremante e intontita, pallida e con una tremenda emicrania che iniziò a farmi pulsare le tempie. Mi mancò il respiro, ansimai e mi portai una mano alla gola, che ardeva dalla sete, sentendomi la pelle imperlata da minuscole goccioline di sudore; come potevo sudare ed avere freddo nello stesso momento? E poi, improvvisamente, mi sentivo stanca, tanto stanca, con solo la voglia di dormire…

Prima di crollare e svenire udii soltanto Enrico e Stefano imprecare, e poi il buio. Mi stava succedendo decisamente troppo spesso, negli ultimi tempi.

 






















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Angolo Autrice.
Okay, mh... Non so che dire. Spero di non aver scioccato nessuno con questo brusco risvolto della situazione... Tra l'altro, ho cercato di rendere la scena il più possibile realistica - basandomi su film o libri che ho letto e visto in passato - ma, come per tutte le cose che non si vivono in prima persona (in questo caso, per fortuna!), non credo di aver fatto un bel lavoro. Ho cercato di fare del mio meglio con quel poco che sapevo, spero che apprezzerete la buona volontà. :)
Ora, si accettano scommesse su cosa accadrà adesso! :3 E comunque, è con grande piacere che vi informo che manca davvero pochissimo per giungere alla fine di questa storia - diciamo tre o quattro capitoli? - quindi non dovrete sopportarmi per molto altro tempo: fra un po' potrete liberarvi di me :D
Ringrazio ancora una volta tutti coloro che sono giunti fin qui, nonché Ellyra, jede, Eleanor_Rigby, gikki__ e alexy95 per aver recensito lo scorso capitolo - le vostre recensioni mi fanno davvero sempre tanto, tanto, tanto piacere, è bello leggere che cosa pensate della trama, dei personaggi eccetera, e poi i vostri consigli e i vostri commenti mi aiutano a - spero - migliorare di volta in volta. :)
Detto ciò, scappo prima che inizino a volare i primi pomodori marci! :D Ci leggiamo al prossimo capitolo, cercherò di pubblicare in tempi brevi - anche se confido che comprenderete l'alibi delle vacanze per perdonarmi eventuali ritardi ù_ù Un abbraccio forte a tutti quanti, rimango sempre la vostra affezionatissima
Niglia.


   
 
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