@ Attenzione: questo capitolo contiene un linguaggio forte e tratta di argomenti che potrebbero turbare alcuni lettori.
Capitolo XXVIII.
Non so quanto tempo dopo ripresi
conoscenza. So solo che mi
svegliai in una brutta, bruttissima posizione, una che ricordava in
modo
perverso l’uomo vitruviano, con le mani e i piedi legati alla
struttura in
ferro battuto di un letto che non conoscevo, la bocca tappata da un
bavaglio –
no, un momento… sembrava più una cravatta
– la faccia dolorante e rovente e la caviglia che, in quella
posizione, faceva
ancora più male di quando l’avevo storta. Se non
altro, il dolore
significava che ero ancora tutta intera – anche se non sapevo
bene per quanto
lo sarei rimasta. Per di più, come se il fatto di essere
legata come un salame
non fosse abbastanza, perché
le disgrazie non vengono mai da sole, non indossavo altro
se non la biancheria intima: il mio
vestito era ordinatamente piegato e poggiato su una sedia – così si sgualcisce, maledizione!
– e le
mie scarpe erano lì accanto, poggiate vicine con cura.
Sì, la cura del maniaco
psicopatico!
Okay, dovevo cercare di inghiottire le
lacrime e restare lucida.
In fondo qualcun altro avrebbe potuto trovarla una situazione
eccitante, no?
Ecco; dunque dovevo calmarmi, e sforzarmi di non pensare a quello
stronzo di
Lorenzo che si trovava chissà dove e a fare
chissà che in giro per la casa. Mi
guardai intorno: nella stanza non c’era neppure una sveglia,
quindi non sapevo
che ore fossero e quanto tempo poteva essere passato da quando Lorenzo
era
passato a prendermi a casa mia. Facendo mente locale, riflettei che le
uniche
persone che mi avevano visto andar via con lui erano Alessandra e mia
madre, ma
quest’ultima non poteva di certo sospettare che potesse
esserci qualcosa di
male nell'amico della
figlia che l’aveva salutata con un sorriso
gentile e
un’espressione da bravo ragazzo, dunque dubitavo che potesse
in qualche modo
avvisare Enrico che io ero sparita insieme a lui. D’altra
parte, neppure la mia
amica avrebbe potuto sospettare qualcosa, dato che lei non conosceva
Lorenzo e
non sapeva quanto fosse viscido – io per prima non glielo
avevo mai raccontato,
presa com’ero stata dal veloce susseguirsi degli eventi
– e anche se così fosse
stato che cosa mi aspettavo? Che lei, essendo fidanzata con Riccardo,
chiamasse
Enrico per aggiornarlo? Ma poi lei Enrico lo odiava, o comunque non era
nella sua lista degli uomini dell'anno, di certo non
l’avrebbe chiamato
neppure in un caso eccezionale come questo!
Ammetto che quel ragionamento non mi
stava per niente
tranquillizzando. Insomma, ero nei guai, e a quanto pare non lo sapeva
nessuno;
quel coglione di Lorenzo avrebbe potuto stuprarmi da un momento
all’altro, o
persino uccidermi per quanto ne sapevo io, e chissà quando
avrebbero trovato
il mio corpo! Sempre se non avesse già messo in programma di
seppellirmi da
qualche parte in piena campagna… Oddio mio, non era nei miei
programmi morire
giovane! Mi resi vagamente conto di non essere poi molto spaventata:
sì, stavo
tremando, ma il mio cervello doveva aver attivato una sorta di
programma di
autoconservazione che mi permetteva di riflettere freddamente con un
pizzico di
macabro umorismo. Chissà, forse mi avrebbe salvata la mia
ironia? Piuttosto
discutibile.
Con un grido esasperato soffocato dal
bavaglio cercai di dibattermi e muovermi, ma senza ottenere alcun
risultato. Porca puttana. Porca. Puttana! Dove
diavolo è la cavalleria quando
si ha bisogno di lei? Strattonai ancora la corda che mi teneva legata
alla
spalliera del letto, stupita che avesse trovato quelle maledette funi
in casa
di Enrico; non osavo neanche immaginare il motivo per cui lui le
avesse, avevo
già abbastanza problemi di cui occuparmi per affrontare
anche quell’inquietante
questione.
Lorenzo tornò in camera
proprio mentre tiravo con la mano destra,
distruggendomi il polso ormai arrossato per il continuo sfregare della
corda
sulla pelle. Una sua sola occhiata bastò a farmi capire che
il vedermi in
quelle condizioni – legata e dolorante – lo
eccitava parecchio, la qual cosa non
andava affatto bene. Mi immobilizzai e gemetti, disperata.
“Guarda un po’
cosa mi hai combinato, stai sanguinando”, biascicò
con la sua disgustosa voce melliflua, fingendosi preoccupato mentre si
sedeva
sul bordo del letto e si sporgeva verso di me per sfiorarmi il polso
con una
languida carezza.
Cercai di borbottare un
‘vaffanculo’ attraverso la stoffa, e
malgrado fossi riuscita a fargli intendere solo alcune vocali, a
giudicare dal
suo ghigno dovette aver afferrato il senso generale del mio invito.
“Se continui con queste
parole dolci potrei anche innamorarmi di
te come ha fatto Enrico”, ribatté ridacchiando,
passandomi una mano sulla
fronte per tirarmi indietro i capelli che mi erano finiti sugli occhi.
Si chinò
poi sul mio collo e lo sentii inspirare profondamente, prima che
rilasciasse il
suo alito caldo sulla mia pelle e vi posasse le labbra; rabbrividii,
disgustata.
“Ah,
sì… Il tuo profumo mi era piaciuto da subito,
ricordi?”
Mormorò con un sospiro estatico, facendo scivolare le sue
dita tremanti dalla
mia gola, nel solco tra i seni, lungo lo sterno fino al mio ventre
nudo, per
poi giocherellare a disegnare figure disordinate intorno
all’ombelico. Per
quanto cercassi di abbassarmi il più possibile contro il
materasso e sfuggire
al suo tocco, era materialmente impossibile farlo, per cui dovevo solo
trattenere la nausea. I suoi occhi si spostarono nei miei, e mi parve
che il
mio cuore saltasse qualche battito quando si accorse della terribile
promessa
che aleggiava in essi.
“Voglio mordere quelle
labbra fino a far passare ad Enrico la
voglia di baciarti…Ma se ti levo il fazzoletto tu ti
metteresti ad urlare, non
è così?” Sussurrò,
accarezzandomi la bocca dal di sopra della stoffa. Allargai
impercettibilmente gli occhi e inspirai, tremante – aveva
l’aria di essere davvero
serio, porca miseria! Certo, avrei dovuto capirlo dallo schiaffo che mi
aveva
dato prima che perdessi conoscenza e dal modo in cui mi aveva legato,
eppure
una parte di me – sicuramente quella più ingenua e
scioccata – si ostinava a
convincermi che Lorenzo mi stesse solo prendendo in giro, e che da un
momento
all’altro mi avrebbe lasciato andare. Era una sensazione
strana, come se mi
fossi estraniata dal mio corpo e osservassi l’intera scena
dall’esterno, allo
stesso modo in cui i curiosi si fermano a fissare le macerie di un
incidente
automobilistico, con lo stesso irritante, morboso e perverso interesse.
Se fossi stata in grado di parlare
probabilmente avrei cercato di
convincerlo con le buone a non fare cazzate, o comunque avrei potuto
provare a
distrarlo con chiacchiere inutili fino all’arrivo dei
soccorsi… Già, ma quali
soccorsi, accidenti? Come avevo già appurato nessuno sapeva
che ero lì, e se
anche Enrico fosse riuscito a scoprire qualcosa con i suoi
discutibilissimi
mezzi, beh, da qui al suo arrivo sarebbe stato sicuramente troppo
tardi. Cazzo!
Ripresi ad agitarmi, riuscendo a
metterci tanta di quella forza da
far tremare la spalliera del letto e farla sbattere contro la parete.
Per nulla
colpito, Lorenzo si limitò a scoppiare a ridere, divertito.
“Non aver fretta, tesoro,
fra un po’ iniziamo!” Mi prese in giro,
toccandomi una guancia umida con due dita. Volsi la testa
dall’altra parte,
serrando forte gli occhi con fare disgustato, ma ottenendo solo il
l’effetto di
farlo ridere di più.
“Cos’è,
fai la timida adesso?” Continuò, avvicinandosi.
Stavolta
però accantonò le ‘buone
maniere’ e mi afferrò il mento con forza,
obbligandomi
a guardarlo e piantandomi le dita nelle guance, a fondo –
quello fece male,
diamine! “Credi che non lo sappia che sei solo una puttanella
che la da al
primo che passa, solo perché ha una bella macchina o un bel
visino? Puoi aver
fregato Enrico con i tuoi occhi dolci, dolcezza, ma con me non
attacca… Comunque
sarà un enorme piacere
vendicarmi di
lui tramite te. Vedrai, gli farà schifo anche solo
l’idea di toccarti dopo che
avrò finito con te!”
Mio Dio, ma che cosa stava dicendo?
Mugugnai qualcosa di
incomprensibile, gli occhi sgranati dalla paura e il respiro affannato,
e
un’ombra strana passò nello sguardo di Lorenzo. Le
sue labbra si arricciarono
in un sogghigno viscido, e una sua mano tornò a posarsi sul
mio ventre, con le
dita aperte e distanziate le une dalle altre.
“Però
è noioso non poter sentire la tua voce. Si perde parte del
divertimento, non credi?” Sussurrò, sfiorando la
pelle appena sotto il mio seno
con la punta del naso. Mi sfuggì un singhiozzo, e lui
ridacchiò. “Sì, sarebbe
più stimolante sentirti, in effetti. Va bene, adesso ti levo
la cravatta… però
tu devi fare la brava e non gridare, okay? Sennò potrei
diventare cattivo, e tu
non vuoi che io diventi cattivo, mh?”
Non risposi, limitandomi a fissarlo e
a trattenere il respiro.
Forse quel silenzio venne intercettato come una risposta positiva,
perché si
sporse verso di me allungando le mani dietro la mia nuca e sciogliendo
il nodo
della cravatta, strofinando nello stesso momento le labbra contro il
lobo del
mio orecchio. Quando il bavaglio venne rimosso rimasi zitta,
perché in fondo mi
sembrava da stupidi strillare così, dal nulla, e Lorenzo si
allontanò con aria
compiaciuta e soddisfatta.
“Brava
bambina…” Disse, posando la cravatta sul comodino
di fianco
al letto. Poi, con un’ipocrita finta cortesia,
proseguì. “E adesso, dimmi: vuoi
qualcosa da bere? Un bicchiere d’acqua? Non voglio che mi
consideri un
maleducato che non si preoccupa della sua ospite!”
Brutto
bastardo, aveva anche
intenzione di prendermi in giro?
“Non ho sete,
però potresti liberarmi e farmi andare via. Ti giuro
che non dirò niente a nessuno, tanto meno ad
Enrico… Sei ancora in tempo per
salvarti il culo.”
A giudicare dalla sua espressione, non
parve gradire granché il
mio intervento. “Dovresti pensare di più al tuo,
di culo, dolcezza. Non sono io
quello legato come un salame… Anzi, mi sorprende che la cosa
non ti faccia
effetto. Una ragazza normale sarebbe entrata nel panico nel
risvegliarsi mezza
nuda in un letto non suo. Com’è che tu non strilli
neppure?”
“Non è la prima
volta che mi capita”, sibilai, stringendo gli
occhi. Già, in effetti Enrico mi aveva già
riservato un trattamento simile
all’inizio del nostro ‘rapporto’
– una cosa che in altre circostanze avrei
anche potuto trovare divertente – ma di certo adesso la
situazione era un
tantino diversa!
Alla mia risposta Lorenzo
inarcò un sopracciglio, metà sorpreso e
metà divertito. “Uao, a quanto pare hai una vita
sociale interessante. Ma non
siamo qui per discutere di questo”, ribatté,
alzandosi. “Anzi, non siamo qui
per discutere di niente. Non so quanto tempo ci è
rimasto… Hai dormito per
un’ora e mezzo, lo sai, dolcezza? Credo sia il caso di darci
da fare prima che
arrivi qualcuno a disturbarci.”
Deglutii, di nuovo all’erta.
“Ho… ho cambiato idea. Vorrei un
bicchiere d’acqua!”
“Mi dispiace, Giulietta mia,
adesso il bar è chiuso”, ribatté lui,
agitando un dito verso di me. “Avresti dovuto pensarci
prima.”
Senza aggiungere una sola parola, si
levò la maglietta facendola
passare dalla testa e gettandola per terra, rimanendo a torso nudo.
Dopodiché
iniziò ad armeggiare con i bottoni dei jeans. Merda,
faceva sul serio!
Ripresi a scuotere le mani, tirando
fino a quando la corda non
penetrò nella carne lasciandomi dolorante e con i polsi
arrossati. “Smettila,
Lorenzo, non fare cazzate! Non ti ho fatto niente, porca
miseria!” Gemetti,
odiandomi per la mia voce tremolante.
“Lo so che non mi hai fatto
niente, dolcezza”, rispose, con un
sorriso gentile falso come le monete d’oro che si regalano
per la Befana,
quelle di cioccolato. “Non ce l’ho con te, infatti.
Purtroppo, però, sei legata
ad Enrico… E questo ti mette in una posizione
scomoda, se mi scusi il gioco di parole.”
Sapevo io dove poteva ficcarsi il suo
gioco di parole, ma
saggiamente stavolta decisi di tenere la bocca chiusa. Distrarlo,
dovevo distrarlo… Dio mio… Ma come?
“Hai… hai detto
che ti vuoi vendicare di Enrico, prima…” Mormorai,
cercando un coraggio che non avevo. “Si può sapere
perché? Cos’è successo tra
voi due? Credevo… credevo che foste un gruppo
affiatato.” Per quanto possa
esserlo un gruppo di ragazzi che spacciavano e andavano in giro armati.
Ma chi
ero io per giudicare? Quello che mi importava davvero era che Lorenzo
abboccasse e si mettesse a parlare. Si liberò dei jeans e
rimase con addosso
soltanto i boxer, così distolsi lo sguardo, mio malgrado
imbarazzata;
accidenti, era anche un bel ragazzo… Peccato che fosse
così coglione!
Con un’invidiabile
noncuranza venne a sedersi sul letto,
allungando una mano verso di me e riprendendo ad accarezzarmi il
ventre, ma
stando comunque lontano dalle zone critiche – pube e seno.
Chissà perché, poi?
Indugiò a lungo in quelle carezze – non so grazie
a quale santo del Paradiso
riuscii a non strillare dal disgusto – e poi,
all’improvviso, si portò ai piedi
del letto e iniziò a slegare la corda intorno alla mia
caviglia sinistra,
quella che avevo slogato.
“Enrico è un
pezzo di merda”, esordì con cattiveria, senza
guardarmi. Era troppo occupato a sciogliere il nodo che aveva fatto
poco prima.
“Pensa di poter comandare tutti come un boss solo
perché è un Occhi Belli,
l’ultimo erede della famiglia… Sembra un cazzo di
padrino! E gli altri, tutti
ai suoi piedi, a leccargli il culo, perché hanno paura di
lui, hanno paura di
essere messi da parte e di perdere i soldi che Enrico gli fa entrare in
tasca.
Mi sono rotto le palle di obbedirgli come un cagnolino! Non sono il
cagnolino
di nessuno, io! Dì, Giulia, ti sembro un cane? Eh?”
Scossi la testa, sorpresa da quello
sfogo e timorosa che potesse
diventare violento, ma tanto lui non vide la mia risposta
perché era passato ad
occuparsi dell’altro piede. Perché mi stava
slegando? La risposta giunse quasi contemporaneamente alla domanda, con
la stessa violenza di un treno in corsa: per riuscire a spogliarmi.
“Stefano è il suo
braccio destro, giustifica tutte le cazzate di
Enrico. Credo che siano cugini… Ma non è solo per
questo che mi sono rotto.
Sono nel suo gruppo da quando avevo sedici anni, cazzo, non gli ho mai
dato
motivo di dubitare di me, e lui che fa? Mi tratta come
l’ultimo arrivato, come
un insetto che non vale la pena di degnare di un’occhiata.
Non si è mai fidato
di me, non mi ha mai mandato dai suoi fornitori da solo, tanto per
dirne una… E
sai perché? Perché una volta mi aveva beccato
mentre mi facevo! Ma era solo una
dose, Giulia, capisci, una misera dose da tre grammi! Mi ha minacciato
di
mandarmi via, il coglione, mi ha persino picchiato, abbiamo fatto a
botte! Ne
sono uscito pesto e sanguinante, ma lui mi ha perdonato, ah, il grande
filantropo, perché capiva che la tentazione potesse essere
forte per uno come me. Cosa cazzo
significa uno come me, brutto pezzo
di merda? …Da
allora ha iniziato a trattarmi diversamente, mi faceva tenere
d’occhio dagli
altri ragazzi, e non mi faceva andare da solo da nessuna parte. Un
incubo!
Ovviamente, quando volevo le mie dosi me le facevo lo stesso. Non sono
un cazzo
di ragazzino da tenere al guinzaglio, se voglio una cosa me la
prendo… E sai
cosa voglio adesso, dolcezza? Adesso, come hai brillantemente intuito
tu,
voglio vendicarmi di Enrico, perché ha fatto sparire dalla
circolazione il
tizio che mi riforniva, e sai come farò? Eh, lo sai? Mi
scoperò la sua
ragazza!”
La sua voce si sollevò di
diverse ottave sul finire di quel folle
discorso, e in quel momento mi accorsi vagamente di avere le gambe
libere; purtroppo
però ero troppo scioccata per pensare di fare qualcosa, e
d’altra parte lui
sembrava davvero forte a giudicare da come mi stava tenendo bloccata
stringendo
semplicemente le mani intorno alle mie caviglie. Singhiozzai
– non mi ero
accorta di aver iniziato a piangere, merda! – e provai
scalciare, ma pareva
tutto inutile: ridacchiando come un ragazzino Lorenzo salì a
quattro zampe sul
letto e si mise sopra le mie cosce, a cavalcioni, immobilizzandomi col
suo peso
e… porca miseria, era eccitato!
Lo
sentivo contro di me, duro, e prima di rendermene conto iniziai a
strillare.
“Vattene-vattene-vattene!
Lasciami, cazzo, lasciami!” Continuai a
gridare e dibattermi, ma lui era pesante e, a questo punto, dopo quel
racconto, temetti che potesse anche essere fatto.
Non potei prevedere lo schiaffo,
perché avevo gli occhi chiusi per
non vedere quella sua faccia di merda sospesa a pochi centimetri dal
mio volto;
il colpo mi fece tacere di botto, lasciandomi intontita e dolorante e
senza
fiato. Quando socchiusi le palpebre, ansimando per ritrovare il
respiro, vidi
la sua espressione furiosa e i suoi occhi opachi che mi fissavano con
una
freddezza che non avevo mai visto prima in nessun altro.
“Ti avevo detto di fare da
brava e non urlare, o mi sbaglio,
piccola puttana?” Sibilò, avvicinando la bocca al
mio mento. Vi posò le labbra,
poi le dischiuse e sentii i suoi denti duri contro la pelle,
mordicchiandola, e poi giunse la
sua lingua a farmi gemere dallo schifo e singhiozzare. Scossi con forza
la testa, cercando
di allontanarlo, e continuai nello stesso tempo a biascicare tra un
singulto e
l’altro frasi sconnesse e tremanti.
“Lasciami, no, no,
no… No,
smettila, per favore, smettila…”
“Oh, tesoro, abbiamo appena
iniziato…” Mormorò una volta raggiunto
il mio orecchio. Prese a mordicchiare e leccarne il lobo, e io strillai
ancora, agitando
braccia e gambe e facendo scricchiolare il letto. Ma tutto questo non
serviva,
dato che continuavo a rimanere irrimediabilmente legata. Quando sentii
una sua
mano chiudersi a coppa sul mio seno piansi e strillai ancora
più forte, e
realizzai che ormai non c’era più nulla da fare
– nessuno sarebbe venuto a
salvarmi, e Lorenzo l’avrebbe avuta vinta!
Ma come al solito mi sbagliavo.
All’improvviso, prima che le
sue dita schifose si infilassero al
di sotto della stoffa del mio reggiseno, la porta della camera si
spalancò con
così tanta forza da andare a sbattere contro il muro,
facendo sobbalzare
Lorenzo che si voltò di scatto per controllare cosa diavolo
stesse succedendo.
Aprii gli occhi anche io, ansimante, ma dovetti sbattere più
volte le palpebre
prima che le lacrime si diradassero e mi permettessero di vedere il
recente
sviluppo della situazione. Fu così che mi ritrovai a fissare
Enrico – buon Dio, sì,
era proprio lui, e io non ero
mai stata più felice di vederlo come in
quell’istante! – e la pistola
minacciosa che stava puntando con mano ferma e decisa contro il mio
rapitore.
In un altro momento mi sarei messa a
ridere: un tempo era stato lui il
mio rapitore, e io l’avevo anche
accusato di volermi violentare visto come si era comportato con
me… Assurdo come la situazione si fosse
drasticamente capovolta rispetto ad allora.
La presenza di Enrico mi aveva
sorprendentemente calmato; benché
avessi ancora Lorenzo spalmato sopra che mi schiacciava contro il
materasso e
le sue sudice mani addosso, smisi di dibattermi e mi rilassai,
chiudendo di nuovo gli
occhi e abbandonandomi a un pianto silenzioso di sollievo. Avevo
l’impressione
di galleggiare in una comoda bolla di incoscienza, che tuttavia
scoppiò quando
la voce di Enrico esplose nella stanza, a dir poco furibonda. Trasalii
e lo
fissai, spaventata e preoccupata.
“Allontanati da lei,
cazzo!” Ruggì, continuando a tenerlo sotto
tiro. “Non farmelo ripetere o sparo, Lorenzo, ti giuro che
sparo!”
Senza staccare gli occhi da lui,
Lorenzo si tirò su con calma, le
braccia apparentemente rilassate lungo i fianchi: non mi
toccò più mentre
scendeva dal letto, sforzandosi di rimanere prudentemente fuori dalla
linea di
tiro. Quasi rimpiansi che Lorenzo se ne fosse andato, visto che adesso
entrambi
potevano vedermi in quelle condizioni: mi imbarazzava che Enrico mi
vedesse
legata e mezza nuda, ma comunque non era quello il momento di pensarci.
Spostavo lo sguardo dall’uno all’altro, piegando le
gambe un po’ per la
vergogna e un po’ per cercare di mettermi a sedere, ma senza
poter contare
sull’aiuto delle braccia era impossibile.
“Sai sempre come rovinare
una festa, Enrico”, sibilò Lorenzo senza
più sorridere, fissandolo come se avesse desiderato
ucciderlo. Peccato che
anche il mio salvatore avesse lo stesso sguardo, e che fosse lui quello
armato.
“Io e la signorina ci stavamo solo divertendo.”
“Brutto
stronzo…” Mi sfuggì, prima di venire
interrotta da Enrico.
“Figlio di
puttana!” Ringhiò, abbassando la pistola e
gettandosi
contro Lorenzo con una furia che non gli avevo mai visto. Lo
colpì prima sotto
lo sterno facendolo piegare in due, e poi alla mascella con un pugno
che aveva
l’aria di essere parecchio forte; Lorenzo cadde per terra
tenendosi la pancia
con le braccia, gemendo e sanguinando dal naso e dalla bocca. Non hai più voglia di fare il gradasso
adesso, eh?
Enrico lo fissò con
disgusto, poi parve ricordarsi di me e si
voltò, raggiungendomi e poggiando la pistola sul comodino
mentre si sporgeva
per sciogliere le corde che mi tenevano ancora legata. Stavo tremando,
eppure trovai ancora la voglia di fare del sarcasmo. “Ma
tu non eri bloccato a letto?” Gli chiesi a mezza voce, mentre
liberavo con un sospiro di sollievo la mano destra.
Per tutta risposta mi
dedicò un brevissimo sorriso. “Niente che un
po’ d’azione non potesse curare, a quanto
sembra”, replicò, liberandomi anche
l’altra mano. Subito mi massaggiai i polsi indolenziti,
gemendo. “Stai bene?”
Mormorò subito, di nuovo serio e allarmato.
Annuii. “Tutto sommato
sì… Enrico,
attento!”
Il mio grido lo distrasse da me e il
rumore di uno sparo sovrastò
la mia voce: purtroppo venne colto talmente alla sprovvista che non
ebbe la
prontezza di riflessi di spostarsi, così il proiettile lo
colpì chissà dove e
chissà quanto gravemente. Senza pensarci due volte
afferrò di nuovo la sua
pistola – quella che teneva nel
cruscotto, suppongo – ma prima che si alzasse in
piedi Lorenzo sparò
un’altra volta, colpendolo alla spalla. Trattenni bruscamente
il fiato,
portandomi le mani a tapparmi la bocca per non mettermi a gridare come
il mio
terrore mi stava costringendo a fare.
Poi tutto avvenne come al rallentatore.
Enrico mi diede le spalle,
sollevò il braccio destro – l’altro
pendeva stranamente inerte lungo un fianco – e, senza che la
mano gli tremasse minimamente,
prese la mira. Forse Lorenzo non si aspettava che il suo ex amico
facesse sul
serio, perché rimase ad ansimare senza neanche accennare a
muoversi, con la
mano che teneva l’arma abbassata e l’altra, quella
libera, a tergersi il sangue
che gli sgorgava dal labbro spaccato, il tutto mentre continuava a
fissare con
aria folle e sadica prima me e poi lui.
Inaspettatamente scoppiò a
ridere. “Non mi fai paura, Enrico! Non
ce le hai le palle per ammazzarmi. Sai solo pestare e minacciare, e
questo
forse potrà tenere buoni i tuoi cagnolini per un
po’, ma prima o poi… Prima o
poi si stancheranno, e allora, se non l’avrò
già scopata io, la tua ragazza, lo
farà qualcun altro!”
Non gli diede neppure il tempo di
risollevare la pistola. Fece
fuoco.
Tre colpi precisi, freddi, spietati.
Petto. Petto. Fronte.
E poi un silenzio assordante, nel
quale rimbombavano ancora gli
echi di quegli spari.
In quel momento gridai, gli occhi
pieni della visione di Lorenzo
che crollava in terra come un pupazzo inanimato, con il sangue che
colava dai
due buchi sul petto nudo e la faccia una maschera di sangue e gli occhi
vitrei,
sbarrati, e la bocca ancora vagamente sorridente che pareva essersi
modellata
in una strana 'O' di sorpresa. Mi vennero i conati, e avrei sicuramente
vomitato
se avessi avuto qualcosa nello stomaco, ma fortunatamente era trascorso
parecchio tempo da pranzo e quel giorno non avevo neppure mangiato
tanto.
Enrico allora si voltò di nuovo verso di me,
l’espressione feroce di poco prima
tramutata in una preoccupata e dispiaciuta – forse non era
stata sua intenzione
mostrarmi quel lato di sé? – ed ebbe appena il
tempo di fare due passi verso il
letto e vedere me che mi allontanavo da lui, ancora sotto shock, prima
che la
consapevolezza di essere stato a sua volta ferito si facesse largo
nella sua
mente. Lo vidi abbassare gli occhi sulla propria spalla sinistra e
notare solo
ora la macchia di sangue che si allargava sulla stoffa chiara della
camicia,
allargandosi sempre di più, lungo il braccio e verso il
petto. Lo vidi
impallidire e lasciar cadere a terra la pistola ormai inutile, per poi
reggersi
il braccio ferito con quello sano. Si lasciò cadere sul
letto, serrando forte
gli occhi con una smorfia sofferente, ma io continuavo a rimanere a
distanza,
troppo spaventata per osare avvicinarmi a lui.
“Giulia, per
favore…” Mormorò, intuendo sicuramente
ciò che mi
passava per la testa. Ma l’avevo appena visto ammazzare a
sangue freddo uno dei
suoi amici, cazzo, non potevo passarci così, come se niente
fosse!
All’improvviso sentii dei
rumori provenire dall’esterno della
stanza, come di chi fa le scale correndo come se stesse fuggendo dal
diavolo in
persona. Io non riuscivo a staccare gli occhi da Enrico, mio malgrado,
ma mi
costrinsi a farlo quando vidi, con la coda dell’occhio,
qualcuno affacciarsi
sulla soglia.
“Porca puttana”,
sibilò il nuovo arrivato, attirandosi
l’attenzione della sottoscritta. I nostri sguardi si
incrociarono nello stesso
istante, furioso e turbato il suo, sbarrato e sconvolto il mio, e lo
riconobbi.
Era Stefano, l’unico degli amici di Enrico con cui non mi
sentivo a disagio. Le
lacrime iniziarono a scorrermi sulle guance prima che potessi fare
qualsiasi
cosa per bloccarle.
Prima di entrare si voltò
verso il corridoio e prese
immediatamente il controllo della situazione. “No, ragazzi,
è meglio se non
entrate. Francesco, chiama l’ambulanza. Porca puttana,
bisogna chiamare anche
la polizia… Albi, occupatene tu.” Poi
tornò a dedicarsi a noi e avanzò
all’interno
della stanza, lanciando solo uno sguardo freddo e disinteressato al
corpo di
Lorenzo che si stava raffreddando in un angolo, completamente immerso
in una
pozza di sangue. Distolsi immediatamente lo sguardo, gemendo.
“Sté, non la
polizia, cazzo…” Mormorò a mezza voce
Enrico, a
fatica, aprendo un solo occhio e fissando con sguardo confuso
l’amico.
“Non possiamo ripulire
questo casino, Enrico, non siamo soli, c’è
anche Giulia”, ribatté Stefano, pragmatico ed
efficiente. Non sembrò utilizzare
la mia presenza come un’accusa nei miei confronti, quanto
piuttosto come una
specie di doccia gelata per far rinsavire il suo
‘capo’. “E poi non pensarci, sistemeremo
tutto come sempre. Cosa ti è successo, mh? Il bastardo ti ha
colpito?”
Enrico annuì con un grosso
sforzo. “Al braccio. Credo… credo ci
sia ancora il proiettile.”
“Cazzo. Beh, poteva andarti
peggio”, replicò sdrammatizzando,
reggendo l’amico con un braccio dietro la sua schiena per
evitare che si
accasciasse e rischiasse di spedire più a fondo nella carne
il proiettile. Poi si
rivolse a me, ma stavolta ebbe il buonsenso di mostrarsi più
cauto e anche
leggermente imbarazzato. “E tu, Giuli… Come stai?
Ti ha… beh…”
Scossi la testa come in trance, non
volendo neppure sentire ad
alta voce ciò che stava pensando. “No”,
mormorai, spenta. “Voglio tornare a
casa.”
Stefano mi fissò
attentamente, come se avesse voluto trapassarmi
con il suo sguardo. Non avevo mai fatto caso al colore dei suoi occhi
– erano grigi,
un grigio scuro, cupo. Enrico li aveva
scelti apposta tutti belli, i suoi compari?, mi ritrovai a
pensare aspramente.
“Sta per arrivare
l’ambulanza, Giulia, stai tranquilla. Tra un po’
potrai tornare a casa”, mi spiegò, con lo stesso
tono gentile e pacato che si
usa in genere con gli animali selvaggi da addomesticare.
Mentre aspettavamo iniziai ad avere
freddo, freddo fin dentro le
ossa, ma non era un gelo che poteva passare rivestendomi o coprendomi
con
qualcosa, era ghiaccio polare che serpeggiava sotto la superficie della
mia
pelle lasciandomi tremante e intontita, pallida e con una tremenda
emicrania
che iniziò a farmi pulsare le tempie. Mi mancò il
respiro, ansimai e mi portai
una mano alla gola, che ardeva dalla sete, sentendomi la pelle
imperlata da
minuscole goccioline di sudore; come potevo sudare ed avere freddo
nello stesso
momento? E poi, improvvisamente, mi sentivo stanca, tanto stanca, con
solo la
voglia di dormire…
Prima di crollare e svenire udii
soltanto Enrico e
Stefano imprecare, e poi il buio. Mi stava succedendo decisamente
troppo spesso, negli ultimi tempi.
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Angolo Autrice.
Okay, mh... Non so che dire. Spero di non aver scioccato nessuno con questo brusco risvolto della situazione... Tra l'altro, ho cercato di rendere la scena il più possibile realistica - basandomi su film o libri che ho letto e visto in passato - ma, come per tutte le cose che non si vivono in prima persona (in questo caso, per fortuna!), non credo di aver fatto un bel lavoro. Ho cercato di fare del mio meglio con quel poco che sapevo, spero che apprezzerete la buona volontà. :)
Ora, si accettano scommesse su cosa accadrà adesso! :3 E comunque, è con grande piacere che vi informo che manca davvero pochissimo per giungere alla fine di questa storia - diciamo tre o quattro capitoli? - quindi non dovrete sopportarmi per molto altro tempo: fra un po' potrete liberarvi di me :D
Ringrazio ancora una volta tutti coloro che sono giunti fin qui, nonché Ellyra, jede, Eleanor_Rigby, gikki__ e alexy95 per aver recensito lo scorso capitolo - le vostre recensioni mi fanno davvero sempre tanto, tanto, tanto piacere, è bello leggere che cosa pensate della trama, dei personaggi eccetera, e poi i vostri consigli e i vostri commenti mi aiutano a - spero - migliorare di volta in volta. :)
Detto ciò, scappo prima che inizino a volare i primi pomodori marci! :D Ci leggiamo al prossimo capitolo, cercherò di pubblicare in tempi brevi - anche se confido che comprenderete l'alibi delle vacanze per perdonarmi eventuali ritardi ù_ù Un abbraccio forte a tutti quanti, rimango sempre la vostra affezionatissima
Niglia.