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Autore: LadyProud    29/07/2012    7 recensioni
Oramai, io ero paralizzata dallo sgomento e dall’orrore, quindi non riuscii a reagire in alcun modo e rimasi passivamente a guardare, mentre lui apriva d’improvviso un cassetto, ne tirava fuori un coltello, se lo puntava alla gola e premeva.
Cadde a faccia in giù sulla scrivania, sopra alla sua poesia. Non so perché, la prima cosa che feci fu di levarla da sotto il corpo del mio amico, per paura che si riempisse di sangue.
Quest’ultimo scorreva copioso, fuoriuscendo dalla gola del giovane, che era rimasto con gli occhi sbarrati e con uno strano sorriso sul volto. Allungai una mano sul suo viso e gli chiusi delicatamente le palpebre, mentre con l’altra cullavo il suo manoscritto come se fosse un bambino da proteggere.
Genere: Dark, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nell’intimità di questa stanza, mi sento al sicuro.
C’è qualcosa di macabro, in questa mia sensazione, e vi spiego subito perché: mi trovo nella camera del mio defunto migliore amico.
Pensare a lui mi riempie di dolore, e avverto una forte fitta alla testa. Sono certa che riusciate a sentirla anche voi; vi ho fatti entrare nei miei pensieri, e quello che apprenderete ora sarà soltanto verità.
Come ben saprete, possiamo mentire agli altri, ma non al nostro cervello.
Quello che io voglio in cambio da voi, è molto semplice: rimanete nella mia testa, ascoltate la tragedia accaduta al mio amico, mentre io sto tranquillamente seduta sul suo grande letto, ad accarezzare il luogo dove le coperte sono più usurate, a causa delle mani del giovane che, disperate, la notte stringevano in una morsa d’acciaio il prezioso tessuto che lo teneva al caldo.
Vedete, lui non è sempre stato così, diciamo… Incline alla disperazione.
Era un tipo particolare, indubbiamente; come si conviene a tutti i poeti.
Non l’avevo accennato, precedentemente? Perdonate la mia dimenticanza, sono sconvolta.
Sì, era un poeta, e anche deliziosamente capace.
E’ certamente difficile guadagnarsi da vivere con questo mestiere, ma lui non aveva mai trovato problemi; la gente non poteva fare a meno di leggere le sue poesie, perché avevano un nonsoché di… magico. Non saprei come definirle, altrimenti.
Credo sia questo ciò che accade quando si scrive con passione; si riesce a coinvolgere il pubblico, ad assuefarlo. Sarebbe bello riuscire a fare qualcosa del genere, ma oramai non ha più importanza…
Oh, perdonatemi, sto divagando.
Questo mio caro amico, dicevo, aveva un vero e proprio dono, o forse chissà, una maledizione: deve essere abbastanza gravoso, il peso che deriva dall’avere la capacità di modificare la vita delle persone con il solo uso delle parole.
Fortunatamente, egli era un tipo molto allegro, vivace; era un’istituzione, presso i suoi amici e i suoi lettori. Così erano anche le sue poesie: spensierate, dei veri e propri inni alla gioia di vivere.
Tuttavia, il poeta mio amico aveva anche un difetto, un unico, insignificante difetto, che agli albori della sua carriera gli fu addirittura d’aiuto e che con il tempo cominciò a essere dato per scontato, a passare inosservato, come una fastidiosa ape in un immenso prato di rose dal profumo soave.
Era un incorreggibile perfezionista, esageratamente perfezionista.
Non ridete; anche io, all’inizio, risi di questa sua particolare ossessione, ma guardate, anzi, ascoltate il caos che derivò da questo piccolo difetto, degenerato in malattia.
Egli anelava la Perfezione sopra ad ogni altra cosa e, come ho precedentemente detto, questo inizialmente fu positivo per la sua carriera, poiché gli permetteva di descrivere al meglio le sue sensazioni e di comunicare al mondo la sua contagiosa gioia di vivere e il suo irrefrenabile ottimismo.
Ogni sua poesia era un vero e proprio capolavoro, un tripudio di deliziose figure retoriche di inenarrabile classe; erano indubbiamente Perfette.
Il mio amico passò molti anni così, vivendo in pace con il mondo, riportando le sue idee sulla carta; la Perfezione, a quei tempi, era ancora la sua migliore amica.

All’improvviso, tutto cambiò.
Il poeta non aveva più idee. O meglio, le aveva; la gioia di vivere, la bellezza dell’esistenza, i suoi soliti argomenti. Però non aveva idea di come renderli al meglio, non l’aveva più.
Avrebbe potuto continuare a scrivere di quegli argomenti, se solo si fosse accontentato di creare belle poesie, senza puntare alla Perfezione!
I giorni passavano, e lui non produceva nulla. I suoi lettori avevano cominciato a preoccuparsi; dov’era finito? Cosa ne sarebbe stato di loro, senza qualcuno che li spingesse a vivere con gioia ogni singolo giorno della loro esistenza? Riponevano tutte le loro speranze nel loro poeta prediletto, e aspettavano l’ennesima poesia che li aiutasse a superare indenni le difficoltà.
Nel frattempo, il mio amico era arrivato sull’orlo di una crisi di nervi. Cosa fare? Cosa scrivere? Non aveva più idee.
Così, un giorno prese una decisione, e si chiuse in camera.
Ci rimase per ben tre giorni e tre notti, senza ricevere nessuno, senza bere né mangiare. Sembrava che gli bastasse creare, per sopravvivere.
Allo scadere del terzo giorno, preoccupata, andai a fargli visita. Il cancello era aperto, la porta di casa anche, e così pure il suo studio. Entrai.
Mi avvicinai alla scrivania; il poeta aveva la testa poggiata su un braccio. Era ovvio che fosse stanco…
“Andrew?”, sussurrai, chinandomi su di lui. Egli voltò la testa nella mia direzione, e prima di vedere i suoi occhi, notai il viola e il grigio intorno ad essi.
“Vivian”, rispose. “Ce l’ho fatta, di nuovo”.
“Che cosa intendi dire?”
“Ho scritto La Poesia.”, disse, ridendo.
“Ne hai scritte centinaia”. Egli rise più forte, scuotendo il capo.
“Ho scritto La Poesia!”, ripeté. “La cosa più bella che i vostri occhi stanchi abbiano mai guardato! Le parole più gloriose che siano mai state riportate su carta! Nessuna voce, per quanto soave, sarà mai degna di pronunciare ad alta voce ciò che ho appena finito di scrivere!”
“Cosa…” mi avvicinai alla scrivania, per sbirciare sui fogli.
“NO!”, urlò, balzando in piedi e coprendo con il suo corpo l’opera. “Ciò che è stato scritto qui, deve rimanere sulla carta!”. Ero confusa.
“Vuol dire che non vuoi pubblicare questa poesia?”
“No!” ribadì, urlando come un ossesso. “Lei è mia. E’ mia, mia, mia!”.
Oramai, io ero paralizzata dallo sgomento e dall’orrore, quindi non riuscii a reagire in alcun modo e rimasi passivamente a guardare, mentre lui apriva d’improvviso un cassetto, ne tirava fuori un coltello, se lo puntava alla gola e premeva.
Cadde a faccia in giù sulla scrivania, sopra alla sua poesia. Non so perché, la prima cosa che feci fu di levarla da sotto il corpo del mio amico, per paura che si riempisse di sangue.
Quest’ultimo scorreva copioso, fuoriuscendo dalla gola del giovane, che era rimasto con gli occhi sbarrati e con uno strano sorriso sul volto. Allungai una mano sul suo viso e gli chiusi delicatamente le palpebre, mentre con l’altra cullavo il suo manoscritto come se fosse un bambino da proteggere.
Non sapevo cosa pensare. Non avrei mai lontanamente pensato che uno come lui potesse suicidarsi. Aveva passato una vita intera ad osannare l’esistenza, il mondo, la gioia per tutte le cose più piccole; il solo atto di respirare lo rendeva incommensurabilmente felice.
Che fosse impazzito?
Mi sedetti sul suo letto, con la poesia in mano. Tamponai il sangue con una coperta, e lessi.

Non era impazzito.
Aveva scritto davvero la poesia più bella del mondo. Quando alzai lo sguardo da quelle righe, mi resi conto di non essere più la stessa.
Non era impazzito, neanch’io lo ero!
Risi.
Finalmente era riuscito a scrivere la poesia Perfetta. Aveva ritrovato le parole, la forza, le idee.
Ah, a proposito di queste; rispetterò la sua volontà. Quest’ultimo scritto non verrà pubblicato.
Perché nessuno deve sapere quali sono state le sue ultime idee.
Ha dovuto fare una scelta! Ha dovuto scegliere tra il mantenere le sue idee, oppure la sua Perfezione.
Ha scelto la seconda.
Probabilmente si è reso conto che quello che elogiava non era poi così sublime come pensava… La vita! Cos’è la vita? Il percorso verso la morte, un percorso pieno di insidie ed ostacoli. Perché sforzarsi per superarli? Lei è sempre lì che ti aspetta, l’unica cosa sicura in questo mondo così precario. E’ lì per noi!
Oh, no. Cosa sto dicendo? E’ realmente quello che penso, oppure la sua poesia mi sta fuorviando?
E la vita? L’ho amata davvero, oppure era merito delle sue poesie?
No, no. Dopo aver riletto la poesia, posso affermare con assoluta certezza che io, Vivian Blake, non ho mai condiviso il punto di vista di Andrew Cole.
Non fino a questo momento, almeno!
Andrew ha fatto la sua scelta. Ha scelto di proseguire la strada verso la Perfezione assoluta. Ha raggiunto il culmine di essa con la sua ultima poesia.
Ma ha parlato della Morte.
Poveri i suoi lettori, rimarranno delusi. Niente più poesie da Andrew Cole. Niente più lodi alla vita. Niente di niente. Il nulla, il buio, l’oblio.
Mi alzo dal letto, mentre leggo la poesia ad alta voce.
Prendo il coltello dalle mani di Andrew.
Lo punto sulla mia gola.
Pronuncio l’ultima parola, e spingo.




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Bonsoir!
Questa breve storia si è scritta da sola, io non ho fatto niente. E' venuta all'improvviso a causa della mia piccola mente malata e un po' depressa. :]
I tempi verbali sono volutamente un po' confusi, dopotutto siamo nella mente di una tizia psicopatica...
Spero che sia chiara la dinamica dell'accaduto, e spero anche di ricevere qualche recensione. u_u
Ah, e non ditemi che questa storia è... PERFETTA. (<3)
   
 
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