Buona inizio di settimana a tutti, miei
cari lettori e adorate lettrici.
Questo è, al 90%, il penultimo
capitolo. Non nasconderò il fatto che sono un po' in ansia, sia per la paura di
deludere le vostre aspettative sia perché questa storia sta volgendo al
termine.
Ma lascerò le lacrime per il prossimo
capitolo, per ora godetevi questo!
Ah, quasi dimenticavo! Complimenti a mamie per aver
trovato la citazione di De Andrè! Per chi se la fosse persa la frase è questa: Quando ho incontrato Brethil credevo che
la mia vita sarebbe finita quel giorno, che non ci sarebbe stato ritorno.
La canzone è La Guerra di Piero.
A presto,
Marta.
Betulla 14. 25 Marzo 3019 T. E. Era
una gioia talmente intensa che quasi gli faceva male il petto. Intorno a lui le
grida di felicità e sollievo si levavano con forza dalle gole arse dei soldati
in festa. Frodo
ce l'aveva fatta. Frodo
aveva distrutto l'Unico Anello e Sauron era caduto. Cosa
c'era di più bello della sensazione dell'Ombra più grande che veniva sconfitta,
una volta per tutte? Boromir
chiuse gli occhi ed inspirò l'aria di libertà che era ora finalmente
respirabile ovunque, intorno a loro. La
sentì nei polmoni, nella mente, nel cuore e nelle vene. Provò la piacevole
emozione di essere pace con se stesso e si ritrovò a ridere da solo, come un
povero, vecchio pazzo. Si guardò intorno e vide Brethil, inginocchiata e
stremata, mentre accanto a lei Nerian le accarezzava il viso con il muso. Sembrava
incredula quanto lui e il resto dell'esercito. Ma lei, più di tutti, aveva temuto
che quell'impresa non venisse portata a termine, per causa sua. Aveva vissuto
l'ultimo anno della sua vita con l'angoscia di aver liberato l'essere che
avrebbe distrutto ogni speranza, e invece ecco la prova tangibile che il sogno
di suo padre, e poi il suo, era stato davvero profetico. Boromir
combatté contro l'impulso di abbracciarla e di ridere finché avesse perso le
forze perché la vista delle sue lacrime lo bloccò. Brethil piangeva, piangeva
quasi con disperazione. Non seppe dire se fosse per il sollievo o per la
tristezza di non poter festeggiare con l'amico perso solo qualche giorno prima.
Ma quei singhiozzi ebbero il potere di fermare ogni suo gesto. Rimase
imbambolato, mentre la donna stringeva il collo del suo cavallo e affondava il
viso sulla sua morbida criniera castana, e si voltò solo quando percepì una
mano forte stringergli la spalla. Trovò il volto di Aragorn stanco e provato,
ma sorridente come mai l'aveva veduto. Era il ritratto vivente della felicità. Si
abbracciarono fraternamente e a loro si aggiunse Pipino, risvegliatosi dal
brutto colpo che aveva subìto in battaglia e che lo aveva messo fuori gioco. «Dov'è
Gandalf?» chiese lo Hobbit, con le lacrime agli occhi. «È
andato a riportare a casa Frodo e Sam.» disse Aragorn, con la voce rotta dalla
commozione. Era tutto talmente bello che pareva irreale. Pipino temette quasi
di respirare, per paura che quella splendida sensazione di libertà potesse
svanire da un momento all'altro. Poi, nonostante la fatica e il dolore, il
piccoletto riuscì a trovare anche la forza di saltare e cantare dalla gioia e
Boromir rise e cantò con lui. Poco più in là Legolas e Gimli, stanchi ma in
piedi, camminavano tra i cadaveri, insieme ai gemelli di Rivendell, per contare
i caduti e controllare se ci fossero superstiti. I Capitani partiti da Minas
Tirith erano sopravvissuti, ma molti dei loro uomini giacevano senza vita nella
desolazione del Morannon. Del Nemico, invece, non c'era più traccia. Gli
Orchetti e gli Uomini ch'erano rimasti in vita avevano iniziato a disperdersi
velocemente; alcuni riuscirono a scappare, in preda al panico, altri vennero
catturati e resi prigionieri, affinché venissero usati per ripulire il sangue
versato e dare una sepoltura decorosa ai caduti. Aragorn
aguzzò la vista e vide le Aquile tornare dal Monte Fato con due fardelli tra gli
artigli. Non poté frenare l'ennesimo sorriso. Sollevò al cielo Andúril e gridò
con tutto il fiato di cui disponeva. «Amici, fratelli miei! Che questo giorno
sia ricordato e festeggiato come il più lieto della Terza Era! Il giorno in cui
i popoli liberi della Terra di Mezzo hanno sconfitto il Signore delle Ombre
grazie al coraggio di due Hobbit della Contea!» I soldati risposero con canti e
squilli di trombe, osannando l'Elessar e tutti i Mezzuomini che calpestavano la
loro bella terra. Quando
il futuro Re di Gondor si voltò verso Boromir, lo vide avvicinarsi ad una
figura china su un cavallo e nel momento in cui la riconobbe non poté
nascondere lo stupore che si fece largo tra la felicità. Era davvero Brethil
quella piccola donna avvolta in un mantello sporco di sangue e fango? Il
Sovrintendente si fermò a pochi passi da lei, che alzò lo sguardo nel sentirsi
osservata. Incontrò quegli occhi limpidi, lavati da ogni preoccupazione e
ombra, così luminosi e fieri da farle rompere qualsiasi indugio. Boromir era
lì, di fronte a lei. Ed
era vivo. Si ritrovò tra le braccia dell'Uomo prima
ancora che potesse rendersene conto. Lui
lasciò cadere scudo e spada nel momento in cui lei gli si gettò contro, e la
strinse a sé con forza, nascondendo il volto tra i suoi corti capelli neri e
riassaporando la sensazione di averla nuovamente accanto. In quel momento non
gli importò perché li avesse raggiunti, né come avesse fatto a non farsi
scovare. C'era spazio solo per lei, nella sua mente. «È
finita?» mormorò lei, incredula. «È finita davvero?» «Sì,
lo è. Abbiamo vinto.» Boromir sorrise, asciugandole le lacrime dalle guance
sfregiate e poggiò la fronte contro la sua. «Abbiamo vinto e non devi più
preoccuparti di alcuna profezia, Brethil. Né io sentirò più quelle terribili
voci, finalmente.» Lei
rise e pianse, non riuscendo a trattenere tutta quell'emozione che sembrava
volerle lacerare l'anima. Gli circondò il collo con le braccia e lo abbracciò
ancora, con la punta dei piedi che sfiorava appena il terreno. Rimasero fermi
in quell'abbraccio per quelli che parvero minuti interminabili, mentre attorno
a loro la festa continuava. Furono interrotti solo da Pipino, che s'infilò tra
i due prendendoli per mano e ballando gioiosamente, suscitando l'ilarità di
chiunque li vedesse ed udisse. Nell'infinita
gioia, Boromir prese lo Hobbit in braccio e lo sollevò un paio di volte,
riprendendolo al volo e baciandolo tra i capelli riccioluti. Brethil rischiò
anche di essere colpita da un piede peloso volante, se non fosse stato per la
sua prontezza di riflessi. Sentì una mano sulla spalla e appena si voltò
incontrò gli occhi grigi di Aragorn, che non le diede il tempo di parlare. Si
abbracciarono in silenzio, perché non esistevano parole in quel momento che
potessero esprimere ciò che stavano provando: la felicità di aver vinto una
guerra così importante e la tristezza delle numerose ed importanti perdite di
quei giorni funesti. Dalle
spalle di Aragorn, la donna si accorse della brutta ferita sul capo di Boromir
e sciolse l'abbraccio, avvicinandosi all'uomo. «Siedi
un attimo e seda la tua gioia per qualche istante.» gli disse, con voce ferma,
indicando con lo sguardo la tempia sanguinante. «È da medicare prima che
s'infetti.» Boromir
tentò di replicare, ma Pipino si mise le mani sui fianchi, crucciando la
fronte. «Non voglio sentire scuse, mio signore. Fai come ti è stato ordinato, o
mi vedrò costretto a prenderti per un orecchio e farti sedere a forza!» esclamò
lo Hobbit, sotto lo sguardo stralunato dei presenti. L'unico
che rise, poiché aveva capito chi stesse imitando, fu proprio il Gondoriano.
«Ioreth maledirà te e la tua discendenza, se ti farai scappare qualcosa di
simile nelle sue vicinanze.» Pipino
si strinse nelle spalle. «A meno che dama Brethil non l'abbia portata in
viaggio con sé, per ora posso dirmi al riparo da qualsiasi ritorsione.» disse,
strizzando un occhio. «A
proposito.» fece una voce, appartenente ad Éomer, nuovo Re di Rohan. «Tu non
dovresti trovarti a Minas Tirith?» Lei
rizzò la schiena, assumendo la rigida espressione che aveva sempre indossato da
quando aveva intrapreso quella vita. Chiamò Nerian con un fischio e il cavallo
fu prontamente da lei. Slacciò la borsa dalla sella e si chinò su Boromir, che
ora la fissava intensamente, in attesa di una spiegazione. «Dovresti
conoscermi, ormai, Éomer. Non mi si può ingannare tanto facilmente.» rispose
Brethil, bagnando un fazzoletto con dell'acqua per pulire la ferita. Ricambiò lo
sguardo contrariato dell'Uomo, ma non aggiunse altro. «Oh,
lo so bene, eccome. Tu e mia sorella dovreste essere legate ad un albero per
sperare di tenervi a bada.» replicò Éomer, ora sorridendo. «Sono felice di
vederti in piedi sulle tue gambe, amica mia. Anche se un po' ammaccata.» «Neanche
tu mi sembri tanto in forma.» Brethil ricambiò il sorriso. «E no, neanche
legandoci con corda elfica potresti ammaestrarci, Re di Rohan.» «Come
hai fatto ad eludere la sorveglianza delle sentinelle?» domandò improvvisamente
Boromir, mentre Pipino raccoglieva la sua spada e lo scudo e glielo porgeva
accanto. Per quanto avesse cacciato dalla mente ogni spiegazione, ora che gli
si presentava la possibilità di sapere voleva scoprire tutto: sia quale follia
l'avesse spinta a seguirli e, soprattutto, come avesse fatto a passare inosservata. La
donna incrociò le braccia, sollevando le sopracciglia. «Boromir, il tuo
scetticismo mi offende oltremodo. Quando voglio so essere un'ombra.» Catturò un
veloce sguardo orgoglioso di Aragorn, ma si impose di non sorridergli. Avevano
iniziato quella piccola battaglia di fierezza e non era ancora pronta per
cedere. «Ora
ricordo... eri tu il Ramingo silenzioso della notte scorsa, insieme ai gemelli
di Imladris.» Gli occhi di Boromir si strinsero in una linea sottile, puntandole
un dito contro. Persino da seduto riuscì a sovrastarla con la sua mole «Ti sei
presa gioco di me!» Lei
scosse il capo. «Fino a prova contraria voi
vi siete presi gioco di me. O la mente m'inganna?» domandò, ora rivolgendosi ad
Aragorn. «Ricordi
bene, amica mia.» fece l'Elessar, chinando il capo. «E spero sarai pronta a
perdonarci, dopo che avrai udito le nostre motivazioni.» «So
già cosa ti abbia spinto a tenermi indietro, Aragorn. E lo apprezzo. Ma
nonostante io sia qui, oggi, questa volta i Valar hanno deciso di risparmiarmi
ulteriore dolore. Quanto a te...» Brethil premette più forte il fazzoletto
sulla ferita dell'uomo, che gemette contrariato. «Tu mi avresti chiusa in una
cella pur di non farmi cavalcare al tuo fianco, e non certo per cavalleria nei
miei confronti.» «Sei
ingiusta.» borbottò Boromir, temendo la mano di lei quando la riavvicinò per
completare la medicazione. «L'avrei fatto per il tuo bene.» «Cosa
puoi saperne di cosa sia bene o male, per me?» replicò lei. «Sono grande
abbastanza da saper prendere le mie decisioni, Boromir. Persino mio padre,
quando ero una bambina, mi lasciava libera di scegliere. E da quanto ricordo,
non mi risulta che tu sia Aeglos, Dúnedain del Nord.» Brethil
non aveva alzato il tono di voce, ma a Boromir parve che stesse gridando. Aveva
imparato, ormai, che quella donna perdesse raramente la pazienza, e le poche
volte che ciò accadeva - stranamente sempre in sua presenza - riusciva a farlo
rabbrividire. Era vero, non spettava a lui scegliere per lei. Ma possibile che
fosse così ottusa da non capire che aveva agito solo per proteggerla? Ed era
stata così stolta da mettersi in viaggio da sola, con una spalla lussata, nel
mezzo di una guerra, quando il territorio che avevano attraversato in settemila
pullulava di nemici! «Stupida ragazzina, mi preoccupo per la tua sorte e questo
è il modo in cui ripaghi la mia apprensione? Me ne ricorderò, la prossima
volta, stai pur certa.» «Se
ciò ti porta lontano dalle mie decisioni ben venga, Boromir.» sbottò lei. Aragorn
ed Éomer si scambiarono una rapida occhiata ed esortarono lo Hobbit a seguirli
e a lasciare che quei due sfogassero il loro astio senza la presenza di
spettatori. Peccato, pensò Pipino, si stava divertendo un mondo. E aveva anche in
mente di fare il tifo per sostenere Brethil, tanto per vivacizzare la
situazione. «Grampasso
disfa-giochi!» mormorò tra sé e sé, beccandosi l'occhiataccia del diretto
interessato, che gli tirò un buffetto amichevole sulla nuca. «Disfa-giochi,
eh?» gli disse, con un ghigno per niente promettente. «Vieni con me, messer
Peregrino, e servi il tuo Re come si addice ad un vero scudiero di Gondor.» «Mi
vuoi schiavizzare per punizione?» domandò lo Hobbit, preoccupato. «Perché nel
caso mi aggrapperò alla tua infinita clemenza.» «E
cosa ti assicura che io sia clemente?» Pipino
rabbrividì sotto quello sguardo improvvisamente duro e serio. Poi udì la risata
dei due Re solleticargli le orecchie e si rasserenò nuovamente. «Non
rilassarti troppo, Pipino. Mi serve davvero il tuo aiuto.» riprese Aragorn, ora
più dolcemente. «Anzi, servirà di più a Frodo e Sam.» Il
viso dello Hobbit s'illuminò. «Andiamo da loro?» «Certo.
Avranno bisogno delle nostre cure; temo che questo viaggio li abbia portati al
limite delle loro forze e dobbiamo affrettarci. Vieni, cavalca con me. Gli
altri Capitani ci raggiungeranno presto.» Lo prese in braccio e lo fece sedere
sull'ampia sella del suo destriero, raggiungendolo poco dopo. Fu
quello il momento migliore per confidare all'Uomo qualcosa d'importante - e non
per altro, non poteva guardarlo negli occhi se non voltandosi. «Sai che ero a
conoscenza della presenza di dama Brethil?» Quello
quasi tirò le redini per fermare il cavallo, dallo stupore. «Tu lo sapevi?»
chiese, stupito. «Pipino, mi sorprendi.» «Lo
so, sono una delusione. Avrei dovuto dirtelo, ma...» «Non
travisare le mie parole. Mi sorprende che non ti sia fatto scappare neanche una
parola per così tanto tempo.» L'Uomo rise e poté immaginare le sue guance
andare a fuoco per l'affronto. «Ho
fatto un giuramento, sulla testa di Merry.» disse con orgoglio l'altro. «Non
potevo certo rischiare che gli rotolasse giù per il Pelennor. Anche se non
saprà mai di aver avuto la vita sull'orlo della mia lingua per ben quattro
giorni! Non glielo dirai, vero?» Aragorn
sorrise. «No, non glielo dirò. E lo posso giurare sulla tua testa.» Pipino
non rise. Trovò lo scherzo davvero di
cattivo gusto! Salire
nuovamente in sella di Nerian alle spalle della Dùnadan fu come tornare
indietro nel tempo, a qualche settimana prima. Con la piccola differenza che
avevano appena finito di discutere e Boromir si sentiva decisamente più a
disagio nell'averla così vicina. Non
che provasse fastidio, certo; del resto, quello strano formicolio di piacere
che stava iniziando a solleticargli la pelle non era tanto male. Boromir
si maledì mentalmente. Certo che lo era, il male! Si trattava di Brethil, la
sua ancora di salvezza, la donna che combatteva come un uomo, l'amica migliore
che potesse desiderare. Non aveva certo il portamento né l'aspetto di una dama
di corte, che neanche si sarebbe dovuta trovare in quel luogo insanguinato ed
infestato dalla morte. A ben pensarci Brethil era tutto fuorché una donna
appetibile, almeno a prima vista; e non solo per le brutte cicatrici che le
deturpavano quello che un tempo era stato sicuramente un bel viso. Era una
guerriera indomita come il vento, che aveva passato più tempo a brandire una
spada piuttosto che a ricamare - e ciò era ben visibile non solo dai suoi modi
di fare, ma anche dalle mani più callose delle sue. Allora
per quale assurdo motivo Boromir ne era attratto come una falena verso la luce
di una candela? Perché non poteva negarlo, Brethil lo attraeva. Se fosse per
amicizia o altro non voleva saperlo. Lui, che non aveva mai provato alcun tipo
di interesse per alcuna donna, se non in giovane età, quando ancora aveva
voglia di divertirsi e la guerra era un pensiero lontano; lui, che avrebbe
saputo spiegare qualsiasi tattica di guerra anche al soldato più ottuso, ma non
sapeva come maneggiare il carattere di una femmina né i sentimenti che provava
per lei; lui che era il Sovrintendente di Gondor ed era quasi ovvio che la sua
possibile compagna dovesse essere alla sua altezza, bella ed elegante. Eppure,
perché non riusciva ad immaginare una figura più diversa da lei che potesse
essere di suo gradimento? Ora
più che mai rimpiangeva l'assenza del fratello, a cui avrebbe potuto chiedere
consiglio per far chiarezza in tutta quella confusione che gli albergava in
mente, e magari lavare quelle stupide idee che lo stavano facendo sentire un perfetto
idiota. La possibilità di rimpiazzare Faramir con Aragorn neppure gli passò
davanti agli occhi: in qualche modo, trovava imbarazzante parlare di Brethil
all'uomo che l'aveva vista crescere. Anche se in realtà trovava più
imbarazzante parlare di una donna, in generale - che fosse con il fratello o il
migliore amico non faceva differenza. «Boromir.»
L'Uomo
si ridestò dai suoi pensieri, concentrandosi su di lei e ringraziò la
provvidenziale presenza della pesante armatura, che almeno gli evitava di saggiare
il calore di quella schiena contro il suo petto. «Se
sei ancora adirato per la mia fuga, ti consiglio caldamente di metterci una
pietra sopra e di smettere di parlottare. Abbiamo ancora molta strada da fare,
prima di poterci fermare. Se continui ti disarciono da cavallo e ci
raggiungerai a piedi.» «Mi
pare di averti avvertita, tempo addietro, di non osare darmi ordini.» Brethil
alzò gli occhi al cielo. «Scusami, tendo a scordare quanto poco serva per
ferire il tuo orgoglio.» «Se
tu fossi rimasta a Minas Tirith non avremmo mai avuto questa discussione.»
tagliò corto lui, stringendo involontariamente le mano contro i fianchi di lei.
«Saresti potuta morire, oggi...» «Sì,
se non vi avessi seguito sarei rimasta in vita sicuramente; ma mi sarei sentita
anche un animale in gabbia, Boromir. Perché non lo capisci?» L'Uomo
poggiò stancamente la fronte contro la spalla di lei, sospirando. «È così sfiancante
farti ragionare.» «Potrei
dire lo stesso.» Brethil gli lanciò un'occhiata sbieca, voltandosi un poco per
guardarlo. «Non provare mai più, mai più,
a lasciarmi indietro, Boromir. Ho un orgoglio da difendere anche io, se non te
ne fossi accorto.» «Oh,
lo avevo notato, amica mia.» borbottò lui, ora più rilassato. «Mi auguro che i
nostri attriti finiscano qui, ora. Per quanto mi diverta battibeccare con te,
mi mette anche incredibilmente a disagio. Sei una fanciulla, dopotutto.» Brethil
respirò a fondo prima di parlare. «Farò finta di non aver udito il modo in cui
mi hai chiamata, soldatino.» Lui, d'altra parte, scoppiò a ridere. Cavalcarono
per il resto della giornata, parlando di quando in quando, ma preferendo
godersi i canti di gioia e le risate dell'esercito sopravvissuto che tornava
verso Gondor; alcuni di loro erano invece rimasti indietro per dare degna
sepoltura ai caduti. Boromir avrebbe voluto tanto avere il suo corno al fianco,
per suonarlo in risposta ai numerosi che festeggiavano durante il loro viaggio;
ma ormai era andato distrutto settimane addietro e avrebbe dovuto mettersi
l'animo in pace. Si
fermarono per la notte ai margini di una delle tante foreste di betulle del Nord
dell'Ithilien, laddove Gandalf aveva portato i due Hobbit. Lo avrebbero
raggiunto entro il pomeriggio successivo, tranne Aragorn e Pipino, che avevano
proseguito la loro cavalcata come se avessero i Nazgûl alle calcagna. Il futuro
Re, infatti, non sapeva in che condizioni di salute fossero Frodo e Sam e la
sua rinomata arte curativa doveva raggiungerli il più presto possibile. Mentre
Elegost accendeva un fuoco per il gruppo di Raminghi, Brethil si avvicinò
silenziosamente, sedendosi accanto ad Elladan, che le sorrise. «Finalmente
tutti insieme, ancora una volta.» Lei
annuì, abbassando il cappuccio sulla schiena e poggiando il capo contro il
tronco di un albero. «Mi sembrano trascorse Ere dall'ultima volta in cui ci
siamo riuniti intorno ad un falò nel mezzo di una foresta.» «Non
è cambiato poi molto da allora.» fece Elegost, prendendo posto accanto a lei.
«Eccetto che ad alcuni di noi sia cresciuta la barba nel frattempo.» «E
abbiamo perso qualcuno per strada.» mormorò Brethil, avvinghiandosi le gambe al
petto ed abbassando lo sguardo. Il silenzio regnò sovrano per qualche istante e
lei si affrettò a porre rimedio. «Scusatemi, non volevo rabbuiare questo giorno
di festa.» «No,
non devi scusarti, Brethil.» Elrohir, in piedi accanto al fuoco, alzò lo
sguardo al cielo stellato, verso il lontano Ovest. «È un nostro dovere e
diritto ricordare il nome di Halbarad. Un amico e compagno degno del nostro più
profondo rispetto e amore. Avrebbe dovuto festeggiare con noi, oggi, ma Mandos
ha voluto richiamarlo a sé prima che potesse vedere l'alba di una nuova
speranza. Namaarie, voronwer Halbarad,
Taur’ohtar ar mellonamin, tenna’ ento lye
omenta.*» «Tenna’ ento lye omenta.» ripeté Brethil,
con una mano sul cuore e gli occhi lucidi; e così gli altri Dúnedain. Boromir
era indeciso se unirsi al gruppo o starne fuori. Osservò la donna, che pareva
essere persa in profondi pensieri, come il resto dei Raminghi, e optò per la
seconda possibilità. Non voleva essere l'intruso di Gondor in un cerchio di
esiliati, sebbene vi fossero profonda stima e rispetto tra loro. Così si
avvicinò ai due membri della Compagnia che ancora lo accompagnavano e che ora discorrevano
allegramente con Éomer. «Beh,
è ovvio che l'Orecchie a Punta qui presente non sappia contare.» stava dicendo
Gimli, accarezzando con affetto la lama della sua ascia. «Avrà anche abbattuto
un Troll, ma le gambe gliele ho falciate io.» «Il
colpo di grazia era mio, però.» ribatté con calma l'Elfo. «Ed equivale almeno a
dieci Uruk-hai.» «Ah!
Dieci Uruk-hai!» esclamò il Nano, quasi scoppiando a ridere. «È facile
prendersi il merito tutto da solo, quando altre venti persone hanno contribuito
ad indebolirlo.» Gimli scosse il capo, profondamente offeso da quella
dichiarazione inaudita e andò avanti per qualche minuto ripetendo e borbottando
tra sé e sé "Dieci Uruk-hai, ah!". Éomer
scambiò un'occhiata divertita con l'altro Uomo, che gli si sedette accanto con
pesantezza. «Se
solo avessimo un boccale di birra per festeggiare.» fece il Re di Rohan,
addentando la sua cena con un morso famelico - una misera coscia di lepre del
giorno prima. Era affamato, come tutto il resto della compagnia, e dopo aver
trascorso un giorno intero tra combattimenti e cavalcate avrebbe mangiato
volentieri un Olifante. E non era sicuro che neanche tutta quella carne lo
avrebbe sfamato a sufficienza. «Ringrazia
di non averne.» fece Gimli, lisciandosi la folta barba. «Rischieresti di non
trovarne neanche una goccia perché la berrei tutta.» Legolas
rise. «Oh, ne troverebbe anche più d'una, amico mio. Ma forse eri troppo
ubriaco per ricordare quanti pochi boccali bevesti prima di addormentarti, solo
qualche settimana fa, a Meduseld.» «Ah!
Ricordo solo che tu iniziasti a sentire strani formicolii alle dita, ben prima
di me!» ribatté acido il l'altro. «E vai a capire come vi ubriacate, voi Elfi.
Mai sentito di intorpidimenti per una sbornia!» Éomer
si voltò verso Boromir, che non capiva di cosa stessero parlando. «Tu eri già
partito verso Minas Tirith quando questo accadde. Festeggiavamo la vittoria del
Fosso di Helm e il Nano ebbe l'idea di sfidare l'Elfo ad una gara di bevute. Fu
esilarante, credimi.» «Devo
essermi perso uno spettacolo, dunque. Che peccato!» Boromir sorrise, dando una
pacca sulla spalla di Gimli. «Spero mi concederai un bis, amico mio. Farò il
tifo per te.» «E
faresti bene! I Nani sono duri come le rocce che scavano, te lo posso
assicurare!» Legolas
alzò gli occhi al cielo e scosse mestamente il capo. «Duri anche di boria, a
ben vedere.» I
quattro continuarono a chiacchierare finché il Nano non iniziò a russare e
anche Éomer diede segni di spossatezza. Boromir, invece, tardò ad appisolarsi.
Ma non perché non avesse sonno, bensì perché troppi pensieri gli impedivano di
rilassarsi. Ora che era tutto finito e le angosce sarebbero dovute sparire dal
suo animo tormentato, si ritrovava ancora una volta in balia di nuove
preoccupazioni. Una, più di tutte, si stava insinuando nella sua mente,
terrorizzandolo. Frodo. Sapeva
che l'avrebbe rincontrato, presto o tardi - si stavano dirigendo proprio verso
di lui - ma non aveva ancora pensato a come affrontare la situazione. E soprattutto,
come affrontarlo. Il loro ultimo
commiato non era stato dei migliori e Boromir continuava a vergognarsi
profondamente di se stesso e del suo comportamento. Aragorn e gli altri lo
avevano capito e perdonato, ma Frodo sarebbe stato in grado di mettere una
pietra sopra l'accaduto? Era uno Hobbit, ed in quanto tale saggio e
comprensivo. Ma ciò che era successo sulle colline di Amon Hen andava ben oltre
la tolleranza. Lo aveva aggredito e lo avrebbe persino colpito se non fosse
svanito alla sua vista grazie al potere dell'Anello. Continuava a figurarsi
quelle immagini come se fossero accadute solo poche ore prima, le riviveva con
angoscia e non riusciva a trovare le parole più adatte da mettere insieme per
chiedere il perdono di Frodo e riavere la sua fiducia. «Dovresti
riposare anche tu, Boromir. Rimarrò io di guardia, per qualche ora.» gli disse
Legolas, risvegliandolo dai suoi pensieri. «Hai combattuto valorosamente anche
oggi, sarai stanco.» «Lo
sono, ma non troverò riposo questa notte.» L'Elfo
lo scrutò per qualche istante, in totale silenzio, e Boromir si ritrovò
costretto ad abbassare lo sguardo, a disagio. Per quanto fosse abituato, ormai,
alla presenza di quelle strane e belle creature, non riusciva a non provare
imbarazzo sotto quegli occhi penetranti che sembravano leggergli gli angoli più
segreti della sua mente. Poi
Legolas annuì e sorrise. «Monteremo la guardia insieme, allora. E se ciò potesse
alleggerirti il peso di troppi pensieri, potrai parlarmi apertamente.» L'Elfo
evitò di aggiungere che sapeva bene che avrebbe preferito un altro
interlocutore al suo posto, qualcuno più basso e minuto di lui, con quattro
graffi sul viso; ma Boromir era un uomo così complesso e fragile che doveva
stare ben attento a ponderare ogni singola parola, ed era certo che
quell'azzardo lo avrebbe infastidito. «Ti
ringrazio, Legolas. Ma non voglio ottenebrare questa bella giornata con le mie
preoccupazioni. Quando sarà il momento le affronterò da solo.» Boromir
capì di non essere credibile nel momento stesso in cui finì di pronunciare
quella frase. 26 Marzo 3019 T. E., al calare del Sole Pipino
parve piuttosto preoccupato. Credeva e sperava di trovare il buon vecchio Frodo
e il caro Sam svegli, seppur stanchi, e invece non accennavano a muovere un
muscolo. Dovevano essere davvero esausti, questo lo capiva alla perfezione.
Ricordava di quanto avesse dormito, dopo la fuga dagli Uruk-hai nella foresta
di Fangorn. Sarebbe entrato volentieri in letargo! Ma lui non aveva certo
attraversato l'inferno di Mordor, né aveva dovuto trascinarsi dietro un
fardello come quello che il suo amico aveva portato al collo. E inoltre, pensò
guardandosi le mani, aveva ancora tutte e dieci le dita al loro posto, il che
non era qualcosa da sottovalutare. Quindi
si calmò un poco appena Gandalf gli posò una mano sulla testa e lo
tranquillizzò con un sorriso. Lo Hobbit ricambiò e l'allegria per cui andava
famoso si fece più acuta nel momento in cui udì lo scalpitio degli zoccoli di
decine di cavalli, di ritorno dal Morannon. I suoi amici erano finalmente
giunti! Riconobbe
per primo il cavallo bianco su cui sedeva comodamente la più stramba coppia di
amici che la Terra di Mezzo avesse mai conosciuto. Accanto a Gimli e Legolas
c'era Éomer, fiero e serio come sempre. Ma furono i due sul possente Nerian a
fargli crescere il sorriso; era incredibile l'affetto che provava per loro. Più
si soffermava a pensarci e più si sentiva scoppiare il cuore di felicità.
Boromir fu il primo a smontare da cavallo e ricambiò volentieri l'abbraccio che
lo Hobbit gli riservò. Alzò uno sguardo preoccupato verso Aragorn, ma
quest'ultimo gli sorrise, per tranquillizzarlo. Frodo e Sam erano vivi, e ciò
bastò a calmarlo un poco. Brethil
sussurrò qualche parola elfica a Nerian, che sembrò capirla come sempre e si
allontanò per la foresta, forse per cercare qualcosa da mangiare. Accolse
Pipino con un sorriso sincero, accarezzandogli i capelli indiavolati, e lo Hobbit
si sentì così felice nel vederla serena per la prima volta dal loro incontro,
tanto da iniziare a saltare e cantare tra i Raminghi e il resto dei soldati. Legolas
e Gimli si avviarono verso i giacigli su cui riposavano Frodo e Sam, e così
fecero anche gli altri tre. Per Éomer e Brethil quella era la prima volta che
vedevano gli Hobbit che avevano salvato le sorti della Terra di Mezzo, e pur
non potendo parlare con loro provarono un profondo rispetto, soprattutto nel
rendersi conto delle numerose ferite che entrambi riportavano; nonostante
Pipino avesse ripulito con cura i loro corpi sporchi di fuliggine e sangue,
sarebbero dovute passare intere settimane prima che quei visi smunti potessero
riacquistare un colorito sano. Brethil
spostò lo sguardo dagli Hobbit all'Uomo accanto ad Éomer. Boromir era immobile
come una statua, preoccupato per le sorti dei due Mezzuomini, talmente pallidi
e sfiniti che a mala pena respiravano. Gandalf li aveva soccorsi per primo e
Aragorn aveva fatto il resto al suo arrivo. Entrambi erano più che capaci e
consapevoli di poterli salvare e, nonostante tutto, erano ottimisti. Hanno solo bisogno
di qualche tempo per riprendersi, aveva detto Gandalf con un sorriso
rassicurante. Il che potrebbe richiedere
anche dei giorni interi. Ma
la donna sapeva che quell'ombra di inquietudine negli occhi di Boromir non era
dovuta solo per la precaria situazione di salute di Frodo e Sam. Aveva imparato
a conoscerlo così bene, in quel lasso di tempo trascorso dal loro primo
incontro, che poteva quasi anticipare i suoi cattivi pensieri. Ed infatti
eccola lì, quell'occhiata tormentata che aveva visto spesso, mentre lasciava il
capezzale degli Hobbit e si allontanava nervosamente verso una meta sconosciuta.
Forse Boromir sperava che allontanandosi dalla fonte delle sue preoccupazioni
queste sarebbero svanite con loro. Brethil
lo seguì silenziosamente e lui non diede segno di accorgersi di lei se non
quando si sentì afferrare delicatamente la mano. Si voltò, quasi stralunato per
essere stato strappato dalle sue riflessioni, ma si rilassò un poco appena si
accorse di chi si trattasse. Boromir
si passò la mano libera sul viso stanco, inspirando profondamente l'aria della
foresta. «Mi odierà, vero?» «Certo
che no.» gli disse lei, prontamente, aumentando la stretta, per fargli capire
che lei era lì, al suo fianco, e ci sarebbe stata in ogni momento. «Lui per
primo sa che potere potesse esercitare l'Anello, sull'animo di chiunque. Capirà
che non eri in te, quel maledetto giorno. E se conosco bene gli Hobbit, l'avrà
già capito da tempo.» Il
soldato di Gondor si sedette contro un albero, scuotendo il capo. «Avresti
dovuto vedere i suoi occhi, Brethil. Erano spalancati dall'orrore. Di fronte a
lui c'era un mostro, non un Uomo.» La
donna gli si chinò di fronte, poggiandosi sulle ginocchia di lui per non
perdere l'equilibrio - ma forse più per stargli vicino e confortarlo con la sua
presenza. «Abbiamo avuto questo discorso tempo addietro, lo hai già
dimenticato?» «No,
certo che no. Ma...» «Allora
non c'è alcun bisogno di ripeterci, Boromir.» lo interruppe con decisione. Gli
sorrise, accarezzandogli distrattamente le ginocchia con i pollici. «Quell'Ombra
che ti controllò quel giorno è svanita per sempre. Non sei più quel mostro,
amico mio. Sei semplicemente Boromir figlio di Denethor, Sovrintendente di
Gondor, Capitano della Torre Bianca e fidato amico. Troverai il coraggio e le
parole per affrontare Frodo, così come hai combattuto valorosamente durante
queste settimane.» Boromir
la osservò per qualche tempo, incerto. «Starai al mio fianco?» «Sarò
sempre al tuo fianco.» gli confessò, con un sorriso e le guance leggermente
arrossate. «Ma quando arriverà il momento dovrai camminare da solo, tu e lo
Hobbit.» L'uomo
deglutì a fatica, con la gola secca. Ma annuì e trovò la forza di sorridere.
«Grazie, Brethil. Davvero. Appena torneremo a Minas Tirith organizzerò una
festa in tuo onore, e chiederò ad Aragorn di celebrare ogni anno il giorno del
nostro incontro. Perché quel pomeriggio la mia vita è cambiata in meglio, ed è
avvenuto solo grazie a te.» La
donna non trovò le parole per rispondere e nascose il suo imbarazzo chinando il
capo. Gli si sedette accanto e poggiò una tempia sulla sua spalla, per celare
il viso alla vista. Poi sorrise, tentando di spezzare il disagio. «Boromir, non
credo che una ricorrenza del genere sia adatta a me. Non sono egocentrica come
l'attuale Sovrintendente di Gondor.» L'Uomo,
d'altro canto, rise, abbracciandola e baciandola tra i capelli. E per la prima
volta, dopo tanto tempo, Boromir si sentì quasi
in pace con se stesso. E presto o tardi l'occasione e il tempo per completare
quel suo stato di grazia sarebbero giunti, ormai ne era sicuro. * Come per il capitolo precedente, ecco la traduzione della
frase in Elfico - siano ringraziati i frasari già pronti! *Addio, leale
Halbarad, Ramingo e amico mio, fino a che non ci rivedremo di nuovo. Ci leggiamo presto con il nuovo - e immagino ultimo -
capitolo. Grazie per il supporto, davvero. Marta.