Premessa :
Liberamente
ispirata alla recensione scritta da Jehan du Moulin il giorno 12/02/2007, per la
shot “Policistosi”. Spero tu non me ne voglia, in realtà non sapevo se
calcolare una recensione come proprietà letteraria, ma se così fosse ti prego
di dirmelo senza problemi, via mail. Provvederò a cancellare immediatamente la
fic.
Perché mi ha fatto nascere un mezzo sorriso; perché mi ha ricordato che non vi ringrazio mai abbastanza, e perché mi ha fatto chiudere Virgin, mi ha fatto chiudere Fathers, e gli altri 21 files che avevo aperto e a cui stavo lavorando, per scrivere questa shot.
Che è per lui. Per Jean du
Moulin.
Perché,
maledizione, grazie, grazie di cuore, a te, e alle irriducibili, quelle
dell’ES, quelle che hanno digerito anche le mie fic più pazzesche, senza
mettersi le mani nei capelli troppe volte, senza perdersi d’animo, senza
prendermi per pazza; a Fann che mi ucciderà Daniel, e a Janet, che mi diventa
ogni giorno più pazza (MFS, tu sei fuori!!!), e alle mie sorelline Fanny e
Minerva, e a Lupetta che lo so, aspetta Haunters, e a Zucchero, a Salazar, a
Kaos, a Marty, a Far, a Saso, a Sara, a Fed, a Goten, a Valhy, a Dolce, amara o
rea che sia, a Fife, a Bloody moon e a Little Star, a iul, scorpioncina, a
Blaise e a Idra, a Poison, Smemorella, Dark, ad Akira, Lelorinel, Hakka, e la
Simo, ed Hecate, a RedBlackEM, a Lullaby, e Fissie, Byakko, Mel, Cain, Zafyria, Sara4e, a Marygenoana, a Copilote, a
Mistress Lay, Gosa, Kellykee, alicesimone, Eleni, Ran, Julietta, Fex, a shun
che ha deciso che James è un piccolo puffo, Giuly, Summers, Tess, Morfea,
Chase, True, a Tiger, Taty, Ashley, e Illyria dio mio, ci ho scritto una
poesia, una volta, sull’Illiria, te l’ho mai detto? Fiamma, Rica, Arcadia,
Raptor, Meti, e Shortmaggot, Alexiel, Giugisama, Ele, Alyssa, fire, slyth, a
yuna, a Mosky, laukurata, nischino, a Lyra, nainai, chy, Djali, e a tutti
quelli che passano una volta sola, tutti quelli che non hanno il tempo per
recensire ma leggono lo stesso, tutti quelli di che mi sarò dimenticata di citare,
di sicuro.
Dannazione,
vorrei avere la memoria di una quercia per ricordarmi tutti i nomi. Sono le
querce, quelle giganti, vero? Va beh, non fatemi dire parole idiote, tipo
frassino (frassino mi suona come una parola idiota, e non chiedetemi perché).
Siamo il Fandom
migliore del mondo, non c’è storia.
Lo Slash è il
genere migliore del mondo, Harry e Draco sono la ship migliore del mondo, e
scrivere di loro due, insieme, sempre, sempre e comunque, è la cosa migliore
del mondo. Dico, ma vi rendete conto di quanti siamo? Che scrivono, che
leggono, che si emozionano, che si incazzano a morte, che creano, che sognano,
che si arrovellano su un sinonimo che poi cronicamente spunta fuori quando
siete sotto la doccia, con i capelli insaponati, e vi costringe a mettervi a
gridare “Hey! Chiunque sia lì fuori, mi annoti questo!”.
Harry e Draco.
Ma ci piacciono
anche le altre coppiettine slash! ^____^
Bla bla bla, sei
spaventosamente logorroica, Stat, piantala di borbottare come un gufo e vai a
scrivere!
LITOTE
Facevo caso, oggi,
sai, al modo in cui i tuoi capelli volano nel vento, come onde frenetiche,
mentre tu corri sulla tua scopa.
L’ho notato così,
quasi per sbaglio, non è che io ti stessi fissando. Non è che io fossi venuto a
vedere il tuo allenamento. Non è che io abbia propinato agli altri la scusa di
voler scoprire lo schema che adotterete contro i Tassorosso, per venire a
vederti volare.
In realtà penso di
essermi distratto solo un momento, sulla faccenda dei tuoi capelli, quando tu
mi sei passato vicinissimo, correndo dietro al Boccino. Credo di aver sentito
un tuo gemito affaticato, lo sforzo che compivi per allungarti in avanti, la
tensione delle tue dita, e del tuo collo, e del tuo sguardo opaco rivolto alla
tua preda.
E non è che io abbia
voluto toccare quelle mani. Non è che io abbia voluto disperatamente, con tutto
me stesso, prenderti, afferrarti, strattonarti e stringerti a me, non è che io
abbia voluto gridarti che sei mio, maledettamente mio.
Non è che io abbia
desiderato implorarti di esserlo, mio.
Non è che io ti
consideri bello, Draco, o particolarmente bravo a giocare a Quidditch, e non è
che mi importi di come vai a scuola, che cosa fai durante le ore libere, a cosa
pensi quando sei solo, che cosa usi per lavarti il corpo. Neve, probabilmente,
ma non importa, non mi interessa.
Con il mio
blocchetto, quello che uso sempre per abbozzare gli schemi di Quidditch, me ne
sono stato lì per un po’, e più o meno all’improvviso mi sono ritrovato a
pensare, con la penna a mezz’aria, a ciò che avrei voluto, e che non avrei
voluto, dirti.
E mi sono accorto
che quasi tutte le cose coincidevano.
Mi piacerebbe, sai,
poterti dire che secondo me sei carino, quando sei distratto. Carino in un modo
che non so, che non capisco, carino in un modo diverso da come sono sempre
stato abituato a considerare gli altri.
Ron non mi sembra
carino, nemmeno Dean, nemmeno Neville, o Seamus, e nemmeno quelli come Davies.
Nemmeno Cedric Diggory mi sembrava carino, ma tu sì, e non so dirti come mai.
Ad ogni modo, credo
che non te lo dirò mai, che ti trovo carino. Non che non sappia che ti
offenderesti a morte, probabilmente, soltanto per la parola “carino”.
Sottintende qualcosa che a te non piacerebbe di sicuro.
Harry, Harry,
dovevi non-dire, non dovevi dire. Tutto questo discorso sortirebbe come unico
effetto quello di farti gonfiare il petto davanti allo specchio e non penso che
farti sentire ancora più pieno di te di quanto tu già non sia possa essere una
buona idea.
Quindi immagino che
non lo dirò, immagino che farò finta di nulla,
che passerò oltre in sordina.
Non credo che tu
possa meritarti di sentirti dire che senza fare niente sei riuscito a perforare
qualcosa, oltre il mio costato, facendomi male all’inizio, e poi iniettandomi
qualcosa che mi ha fatto provare un senso di calma e di vergogna, quindi non ti
dirò nemmeno questo, me lo terrò per me. Come ho fatto oggi, semplicemente
alzandomi ed andandomene, al termine del tuo allenamento, senza nemmeno
aspettare che tu e i tuoi compagni rientraste.
Ma non l’ho fatto
perché improvvisamente qualcosa ha tentato di spingermi verso di te, non l’ho
fatto perché avevo paura, della strana voglia che sentivo, e non sono tornato
al dormitorio correndo, non ho buttato sul letto il blocco, non ho rivoltato il
mio baule, e non ho preso il mio mantello per tornare a vederti. Non ho
rischiato di morire soffocato perché tu non sentissi il mio respiro, non mi
sono buttato in un angolo, con le ginocchia piegate, e non mi è venuto da
piangere, vedendoti mentre ti rivestivi, mentre ti lisciavi con noncuranza la
tua camicia addosso. Non mi sono chiesto se la fai sempre, quella cosa un po’
buffa di morderti la punta della lingua mentre ti annodi la cravatta. Non mi
importava chiedermelo, non mi interessa sapere chi sei, che cosa sei, dove stai
cercando di andare, non me ne importa proprio un bel niente.
Non ti ho guardato,
Draco, non mi sono sentito trafitto dalla non bellezza dei tuoi non occhi, e
non ero confuso, non sopraffatto, i tuoi capelli, non capelli, non così biondi,
non come un sogno, non il tuo nome, non ossessione, non il candore della tua
non bocca, non di pesca, non Draco, e la tua non pelle, non bianca, non
soffice, non mi ha fatto nessun effetto, niente di niente, non ho sentito
niente.
Dirti che per me sei
bello non ti renderebbe ancora più bello, e dirti che per me quando sorridi di
squarcia il cielo non ti farà sorridere
di più. Venirti a raccontare di quante cose strane ho pensato, su di te, di
quanti pensieri che non avrei mai dovuto fare mi sono nutrito, servirebbe
soltanto a farmi morire di imbarazzo, e a mettere fra le tue mani un’arma in
più con cui colpirmi.
Perciò non credere
che io voglia in qualche modo raggiungerti, perché non è che io intenda
prendere la scopa e scendere lungo il lato sud del castello, fino a dove ci
sono le finestrelle strette che danno sui vostri dormitori, assicurarmi che tu
sia nella tua stanza e far passare la busta attraverso la grata, nello spiffero
che c’è in alto.
Non è che io ti
stia chiedendo di incontrarmi, magari da qualche parte, non so, alla torre di
Astronomia, per esempio.
Dico solo che se ci
verrai, io ci sarò.