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Autore: Almah    04/08/2012    0 recensioni
Si svegliò e scese dal letto.
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si svegliò e scese dal letto. Erano le due di notte passate e nel dormitorio tutti dormivano. Il suo compagno di stanza emetteva strani suoni dalle labbra, soffiandoci in un piccolo sbuffo, o facendole schioccare brevemente. Ma lei non riusciva a prendere sonno. Domani era il gran giorno e nonostante i suoi 7 anni di preparazione ancora non si sentiva pronta. In realtà non era mai stata pronta. Non aveva mai preso sul serio quel tipo di insegnamento. Il maestro parlava di canali, di energia, di forze, e ogni volta li invitava a coglierli nell’aria. In quei momenti tutti i suoi compagni erano assorti nella meditazione, mentre lei si divertiva ad aprire gli occhi per osservare le loro facce. Erano sempre messi in circolo attorno al maestro, l’unico ad avere un volto imperturbabile. Gli altri al contrario avevano dei lineamenti mutevoli, in cui facilmente si rispecchiava il loro stato d’animo. Così osservava chi si emozionava, chi si spaventava, chi si stupiva e chi esultava. Sola, in silenzio, rideva di tutti. Non credeva a questa cose, lei. Sopportava quei rituali da fedele esaltato, attendendo pazientemente il gran giorno. E finalmente era arrivato. Però quei lunghi anni di cantilene, riti sacrificali, danze e preghiere all’improvviso pesavano sulle sue spalle. Possibile che sia stato tutto inutile e che domani, dopo un corso di studi perseguito con insofferenza, lei, finalmente avrebbe ottenuto il segreto della magia? Questo dubbio la tormentava, ma il suo cinismo non finiva di ricordarle che si deve credere solo in ciò che si vede.
 
Quando sentì risuonare il suo nome lungo il corridoio, si alzò dalla poltrona ed aprì la porta della sala delle cerimonie. All’interno una commissione di maestri sedeva dietro un lungo tavolo di ciliegio osservando il suo avanzare lungo il tappeto. Si arrestò davanti a loro, a poco meno di dieci passi. Il suo maestro, seduto al centro del gruppo, si alzò in piedi.
-Ora che hai portato a termine il tuo viaggio è giunto il momento che tu dimostri ciò che vali. Quindi, non aver paura, senti le vibrazioni dei tuoi muscoli, dei tuoi nervi; senti le parole che sussurra il tuo cuore e canta, canta mia giovane allieva!-
Lei rimase allibita. Guardava il volto sorridente e pacato del maestro, senza capire il motivo di quella richiesta. Dopo anni di duro lavoro era questo che l’aspettava? Decise di stare al gioco, d’altronde non poteva fare altro. Così recuperò dalla memoria la prima canzone del suo paese che le venne in mente, e cominciò a cantare.
-E’ questo ciò che senti nel tuo cuore? Una canzone per taverne fuori mano? Non prenderci in giro: devi cantare la canzone che è nel tuo cuore!- proseguì innervosito il maestro, come se stesse trattando con una bambina capricciosa. Lei s’interruppe e chiuse gli occhi. A parte il tu-tum del cuore, l’unico suono umano che riecheggiava nel suo corpo era la sua risata, limpida e squillante. Senza rendersene conto scoppiò a ridere. Il maestro, dall’alto della pedana, divenne tutto rosso ed urlò contro di lei
-Insolente! Blasfema! Tu ridi delle nostre pratiche e dei nostri sacri elementi!-
-Non riderei se fossi mai riuscita a coglierli, a sentirli, a vederli!-
-Parli come un’umana, discepola. Attenta a ciò che dici.-
-Ma io sono un’umana! Avete sempre detto che avrei cambiato la mia forma per trasformarmi in qualcosa di più grande, ma le mie fattezze sembrano sempre uguali! E poi dove sono queste energie, questi canali, eh, dove diavolo sono? Per 7 anni li ho cercati e non li ho mai neanche intravisti! Siete voi a prendervi gioco di me!- Ormai era fuori di sé. Aveva accumulato frustrazione, noia, dolore. Ed ora gli veniva negata anche l’unica cosa per cui aveva resistito fino a quel momento!
-Ah…ora capisco qual è il tuo problema…sei stata ostinata e poco fiduciosa durante l’insegnamento…ma sei comunque determinata ad ottenere la magia…ma questo è impossibile senza prima aver compiuto il giusto percorso. Temo che tu debba ricominciare…-
-No vi prego, no! Tutto ma non questo…-
-Ci sarebbe una soluzione alternativa, più breve ma più pericolosa. Potresti anche non uscirne mai. Vuoi tentare la seconda via o abbandonare del tutto l’impresa?- No. Non avrebbe mai rinunciato alla magia.
-Mi dica cosa devo fare-.
 
Si svegliò e scese dal letto. Il maestro le aveva detto di tornare nella sua stanza ed andare immediatamente a dormire. Al suo risveglio sarebbe cominciata la prova. Ma a giudicare dalle mura familiari della sua stanza, le sembrava non fosse cambiato nulla. Decise di uscire dal dormitorio per recarsi in giardino. Percorreva i corridoi deserti del palazzo con passo svelto, impaziente di sapere cosa avrebbe dovuto fare. Ma, mentre era assorta nelle sue ipotesi, sentì il pavimento scivolargli sotto i piedi. Cadde in avanti e per non sbattere la testa poggiò le mani. Era viscoso e umido, quel nuovo pavimento, anche se alla vista le mattonelle avevano la stessa consistenza di sempre. A fatica, tra uno scivolo e l’altro, riuscì a condursi fuori. Anche il giardino appariva quello di sempre. Così fece subito ciò che era abituale fare ogni pomeriggio: sedersi sotto il pesco ad odorare il vento pieno di aromi, che trasportava la brezza marina dall’odore di sabbia e pini. Ma quel giorno il vento non soffiava e l’aria ristagnava sopra la sua testa. La sentì, umida, accumularsi a poco a poco sulla sua pelle, come uno spesso strato di gelatina. Quella sensazione così atipica la stava gettando nel panico. ! Cosa le stava accadendo? Poi, con orrore, si accorse che quell’ormai indefinibile gas acquisiva una consistenza, un peso, e che questo gravava sulle sue spalle tanto da buttarla a terra. Si sdraiò sul selciato, ansimante e schiacciata da una montagna invisibile. Cosa stava accadendo? Questa non era solo una sensazione atipica, ma un’esperienza irreale! Spaventata si guardò intorno, per quel poco che il peso dell’aria le permetteva, in cerca di un discepolo, di un volto amico. E vide, con sua infinita gioia, che tre panchine più avanti una figura dai colori accesi leggeva sotto un melo. Entusiasta cominciò a chiamarlo, ehi ehi, e l’uomo, giratosi, si alzò per avvicinarsi a lei. Si chiese subito come facesse a non sentire il peso dell’aria densa, ma la sua sofferenza era tanto forte da non permettergli di ragionare lucidamente. Il suo pensiero principale era quello di alzarsi e far cessare quella pressione insopportabile. L’uomo le giunse accanto. Dalla posizione in cui si trovava, con il volto rivolto obbligatoriamente in basso, non riusciva a vedere il viso del suo salvatore. Gli disse, affaticata:
-La prego signore, mi aiuti a rialzarmi, lei che riesce a sopportare l’umidità!-
Ma lui gelido rispose:
-Se pensa di prendersi gioco di me le consiglio immediatamente di smetterla. Ha davanti la persona sbagliata.-
-No no, mi creda, non la sto prendendo in giro! Non riesco a capire perché ma oggi proprio non riesco a sopportare il peso dell’aria!-
-Vuole continuare con questa storia? Gliel’ho detto: la finisca. Piuttosto si sente male? Perché non si rialza?-
-Ma io gliel’ho detto! Perché non mi crede? Perché non mi crede?-
-Credo solo a ciò che vedo sciocca! E vedo che mi reggo benissimo in piedi e che l’aria non ha peso.- rispose trionfante. Lei rimase come fulminata. Poi l’uomo, quasi in segno di pace dopo il piccolo battibecco, le porse una mano come appiglio per rialzarsi.
-Senta io non ho tempo da perdere. Facciamo che non mi interessa perché è lì per terra e le do una mano a rialzarsi, va bene?- Lei afferrò le sue dita e si fece sollevare. Di colpo quella sensazione orribile svanì, e senza di essa tornò a soffiare il vento, trascinando i suoi profumi da lontano. Stranita, si girò per ringraziare l’incredulo passante, ma i suoi occhi inorriditi bloccarono la sua lingua. Quell’uomo dai colori così forti era uno scherzo della natura. La pelle viola e squamosa era coperta da uno spesso strato di stracci color arancione, mentre i capelli verdi e unti sfioravano appena i lineamenti di un viso mostruoso, occhi piccoli come fessure, una bocca sdentata, due soli fori per naso. Rimase immobile qualche secondo a fissarlo, incredula.
- Cosa c’è? Perché mi guarda così? Sembra abbia visto la morte in faccia!-
-Lei…lei…cos’è lei?-
-Cosa sono io? Sono una persona! Oddio, lei è pazza, sta male…-
- No! Tu sei anormale, tu sei un mostro. Su, vieni alla luce del sole, e vedrai la differenza.-
Prese quella mano viscida e lo condusse in un prato dove gli alberi da frutta si diradavano. Era agitata, il cuore le batteva forte, sudava freddo. E quel sudore, che le gelava le membra, le gelava anzitutto il cuore. Come poteva essere fallace una sensazione, un’emozione, un’impressione! Quando vide che si avvicinavano alla radura, alzò lo sguardo, in cerca di quel sole caldo, giallo e potente, che poteva farle ritrovare almeno il senso di quelle goccioline che le percorrevano la schiena. E invece, terribile fu ciò che vide. Un sole nero come la pece galleggiava nel vuoto dell’universo, riversando sulla terra una luce fioca, quasi iridescente. Improvvisamente, in seguito a quella scoperta, i colori del giardino cominciarono a cambiare, assumendo tinte diverse, più scure e intense. Si girò verso l’uomo, immaginando con disgusto come poteva essere diventato sotto quella luce. Ma i suoi occhi furono sorpresi nuovamente. Le si presentò davanti un giovane dall’aspetto sano, i capelli lunghi e biondi, denti bianchi e pelle morbida. Non aveva più il coraggio di credere a quello che vedeva. Tutto era distorto, e cambiava come cambiava la prospettiva. Ma a spezzare quei pensieri incantati fu il grido del ragazzo. Terrorizzato, si era tolto dalla sua presa e indietreggiando urlava:
-Un mostro! Un mostro!-
Subito ebbe un terribile sospetto. Si guardò le mani e vide che erano squamose e viola. Senza più neanche sospirare di paura, si lasciò andare allo sconforto e svenne nel giro di pochi secondi.
 
Si svegliò e scese dal letto. La testa le faceva male, gli arti erano intorpiditi. Guardandosi intorno sentì subito una stretta allo stomaco. Paura, paura perciò che avrebbe potuto vedere di nuovo, se fosse uscita da quella stanza. Si trovava ancora in quel mondo assurdo? Se fosse stato così, avrebbe anche potuto uccidersi. Come poteva vivere senza poter credere in ciò che vedeva? La consapevolezza di non avere una prova sicura e certa dell’essenza delle cose, o dell’essenza che lei gli attribuiva, modellando così la sua realtà e percezione, la stava distruggendo. Il fatto che ogni elemento avesse una sua certa qualità o definizione caratteristica,visibile agli occhi di tutti, le concedeva di potersi fidare della realtà, eliminando ogni stupida credenza, convinzione, rito, culto.
Ma ora non era più tanto sicura neanche di questo. Ormai le immagini concrete le scivolano lungo la mente, senza più appigliarsi ad essa e conquistarsi il primo posto. La stanza non aveva più forma, la sua voce erano suoni sconnessi, i suoi pensieri si rigiravano su se stessi. Stava impazzendo. Doveva trovare un modo per uscirne. Pensò per la prima volta in vita sua che avrebbe preferito credere tutta la vita a ciò che vedeva, così stupidamente e così ciecamente, senza doversi rendere conto del caos del mondo. Poi, in un attimo, ebbe l’illuminazione. Perché credere per forza alla realtà? E non agli spiriti, ai mostri, ai draghi, alle fate ed alla magia! Perché non credere alla magia!
Sorrise. Finalmente aveva capito. Quanto era fallace la sensazione, la percezione! Solo per una convinzione, si trasforma in realtà.
  
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