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Autore: ellacowgirl in Madame_Butterfly    05/08/2012    0 recensioni
Lei è la professoressa esperta, ma non troppo. Quella rigida che non si fida degli alunni, quella che sa di sapere, quella un po’ stronza..
Lei è la studentessa modello, ma non troppo. Quella sempre solare e disponibile, quella che non sa di eccellere, quella ingenua. La benvoluta da tutti...
Una docente che ha perso troppo nella vita, e cerca di riempirne i vuoti con un’alunna dal cuore troppo generoso, pur convivendo con un passato segreto che la ossessiona, che la perseguita, che le perseguiterà entrambe...
Loro sono l’ombra della notte ed il raggio del sole, il cui incontro non avverrà mai né all’alba né al tramonto.
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Sette:
Catene

 
Un sole alto nel cielo, nonostante la temperatura non sia delle migliori: un cappotto bianco e piuttosto pesante tenta di scaldare il corpo snello della ragazza, mentre i capelli biondi sono liberi sulla schiena.
Entra in quel grande edificio bianco senza una particolare fretta, un passo aggraziato e tranquillo mentre il solito sorriso dolce le resta in volto.
Varca la porta scorrevole assieme ad altre persone, più che altro adulti, mentre tiene una borsetta di Carpisa lilla e bianca appoggiata alla spalla: non ha particolari pensieri, la giovane De Medici, eppure c’è qualcosa che la rende inquieta, come sentisse un pericolo avvicinarsi a lei senza un apparente motivo.
 
- Queste sono la chiave e la password della cassetta di sicurezza. –
 
Un tono garbato, il suo, mentre pone ad un ometto occhialuto con tanto di baffetti una piccola scatolina, contenete la chiave e la password della cassetta di sicurezza della sua famiglia.
 
- L’orario prefissato era fra due ore, signorina. –
- Ne sono consapevole, ma non potevo fare altrimenti ed il Direttore mi ha assicurato che non vi fossero problemi nell’anticipare il ritiro… -
 
Dice garbatamente la ragazza, un’espressione appena preoccupata, come se temesse di essere fonte di disturbo per il gentile impiegato che si trova davanti, mentre questo non può che fare semplicemente un respiro più profondo degli altri: è evidente che non possa rifiutarsi di accontentarla, che venga da una famiglia troppo importante per essere ignorata…
 
- Molto bene, mi segua pure. –
- Può darmi del “tu”, signore… -
 
L’ometto le volge un sorriso appena accennato ma gentile, dinnanzi a quel volto così delicato e benevolo. Le fa un cenno con la mano e la ragazza lo segue attraverso lunghi corridoi, come se quella banca fosse una sorta di labirinto di pavimenti e pareti bianche.
Un bianco che stanca, però, che dà l’idea di un luogo chiuso ed estremamente inaccessibile, tanto che man mano che ci si addentra le finestre si fanno sempre più rade e spesse, porte blindate e sempre più sicure da varcare.
 
Elena lo segue in silenzio, senza dire nulla né distrarlo quando arrivano dinnanzi a quello che è un immenso portone di metallo, non saprebbe dire quale, ma certamente robusto ed inviolabile, segno evidente che ciò che vi sia all’interno sia di estrema importanza.
L’ometto inserisce un codice su di una tastiera, estrae dalla tasca una serie di chiavi particolarissime, tutte diverse, e comincia ad inserirle in alcune serrature: sono solo sei, le chiavi, eppure le fessure sulla porta sono venti, segno che bisogni conoscere con precisione dove inserirle e in quale ordine.
 
- Se mi permette, non credo sia stato molto saggio da parte dei vostri genitori lasciarvi venire qui, da sola, considerando l’importanza di ciò che state per prelevare… -
 
Le iridi verdi della ragazza si posano per qualche attimo sull’ometto dinnanzi a lei, prima di distogliere nuovamente lo sguardo, come se rispettasse la segretezza delle combinazioni per aprire la Camera della banca centrale della cittadina.
 
- Ne sono consapevole, ma pensano che escludere la scorta o qualcosa di simile possa rendere tutto meno evidente a chi vorrebbe accedere alla cassetta di sicurezza della mia famiglia. –
 
Asserisce con un’ingenuità da far tenerezza: lei che vuole sempre rendersi disponibile, non ha certamente rifiutato di aiutare la propria famiglia nonostante il rischio.
Nel frattempo, le chiavi continuano ad essere inserite e girate, mentre l’impiegato della banca scuote il capo impercettibilmente: far correre ad una ragazzina un simile rischio non rientra di certo nei suoi canoni.
 
- Ecco fatto, è libera di entrare. –
 
Elena si volge verso di lui e, stringendo per qualche attimo la borsetta, lascia che l’uomo le apra l’immenso portone di un metro circa, lo spazio necessario per lasciarla passare.
 
- La ringrazio, non dovrei metterci molto. –
- Il tempo che le serve, signorina De Medici. –
 
Già, De Medici, un cognome tanto nobile che lei ha sempre portato con tranquillità, forse perché non le sono mai stati rivelati i segreti che lo circondano e soprattutto le troppe organizzazioni che cercano di impossessarsene.
 

*****

 
Stringe con una certa forza i nodi della corda che tiene legati due uomini, due secondini di guardia ad uno dei corridoi centrali dell’edificio, già addormentati ed imbavagliati senza che nessuno potesse rendersene conto.
Facile, fin troppo facile per una come lei.
 
Li guarda con un certo disgusto, una smorfia evidente sul volto mentre se li lascia alle spalle, avanzando rapidamente tra i corridoi: ha studiato attentamente quelle piantine, ne conosce ogni angolo ed ogni corridoio nonostante sia tutto un biancore uniforme.
Veste una tuta nera aderentissima, che certamente il fisico può permettersi, mentre i capelli scuri sono legati in una coda alta ed una mano sempre posata sulla pistola legata in vita.
 
Percorre un paio di corridoio, le sentinelle le ha già messe fuori gioco e sa come eludere le telecamere.
Si ferma ad un angolo, conta mentalmente fino a cinque e poi scatta dalla parte opposta con una certa rapidità, i muscoli tonici che fanno il loro dovere: la telecamera torna ad inquadrare quell’incrocio di corridoi, ma ormai la sua figura non è più visibile.
 
Qualche passo ancora, prima di alzare lo sguardo verso una grata: sbuffa, fa qualche passo indietro restando di fronte al muro, poi corre verso di esso e salta.
Un piede tocca la parete, con tale spinta la donna si avvicina alla grata e tende il braccio col quale regge la pistola: due colpi, precisi, ma sufficienti per rompere le viti laterali della grata e lasciare così che questa si apra, senza cadere a terra.
Ha utilizzato il silenziatore, naturalmente, non vuole correre rischi inutili.
Una volta toccata di nuovo terra ripone l’arma alla cintura e fa un salto verso di essa: si aggrappa con le mani al bordo e grazie ad una forza muscolare che non si direbbe si solleva, arrivando dunque in quel condotto.
 
Mentre vi gattona all’interno, la mente vola alla missione che deve compiere, che sta per compiere: segue gli spostamenti di quella cassetta di sicurezza da mesi e sa che proprio quel giorno, a quell’ora anticipata ed in quella banca verrà prelevata.
Ed è proprio in quel momento che interverrà, derubando chi è stato imprudentemente mandato per prelevare un oggetto di tale importanza.
Riderebbe, se potesse, al pensiero che tale preziosità non sia stata protetta nei dovuti modi, tanto da mandare una singola persona senza un briciolo di scorta, come se la sua e molte altre organizzazioni non la tenessero d’occhio da tempo.
 
Continua a gattonare, sino ad arrivare alla piccola grata posta sopra la Camera della banca: il portone era invalicabile per chiunque, meglio arrivarci per vie traverse.
E dovrà ucciderla, quella persona destinata al prelievo: per non lasciare testimoni, per dare una prova della potenza della sua organizzazione, senza scrupoli.
Dopotutto, lei non si è mai pentita di essersi sporcata le mani…
 

*****

 
Anche i condotti li ha imparati a memoria, per non doversi portare appresso scartoffie o cartine varie, e così dopo qualche minuto si ritrova sopra la piccola grata della camera: lo sa, che ci siano dei controlli e degli allarmi, ma sa anche che saranno disattivati nel momento in cui il “prelevatore” entrerà in quella stanza.
Resta in silenzio, le iridi nere puntate sul portone ancora chiuso: forse dovrebbe essere agitata, forse dovrebbe provare un minimo di dispiacere nell’uccidere…
Invece si cala la maschera, semplicemente, e non appena i sistemi di sicurezza vengono disattivati, lentamente svita ciò che tiene ferma la grata.
 
Il portone si apre e la ragazza dai capelli lunghi e biondi entra in tutta tranquillità, appoggia la borsa su di un mobiletto e con una chiave si avvicina alla grande parete di fronte a lei: sono tante, le cassette di sicurezza, e solo lei conosce la password per prendere quella giusta.
E’ strana, la sensazione che prova in quella stanza, come se si sentisse oppressa, in pericolo…
Eppure deve farlo, non vuole deludere i propri genitori e per questo allunga lentamente la mano verso la tastiera…
 
Le prime due viti sono staccate, ed in quel frangente di “pausa” le iridi della donna si posano sull’unica fonte di colori che non siano il bianco in quella stanza.
Sbatte le palpebre più volte, cerca di mettere a fuoco la ragazza appena entrata, mentre questa avanza in tutta la sua tranquillità: un passo aggraziato, una chioma dorata, un corpo snello ma prosperoso, una delicatezza di modi che non potrebbe ignorare nemmeno volendo…
Ma non è sicura, o meglio, non vuole rendersi consapevole di chi sia veramente quella persona, ma convincersi che le sue siano solo allucinazioni dovute a chissà quale ossessione…
 
La password viene digitata, tanto che una specie di cassetto viene aperto proprio davanti ad Elena: fa un respiro profondo, la ragazza, prima di allungare una mano e ritirare una minuscola scatolina, quadrata e nera.
La osserva per qualche istante, prima di voltarsi lentamente stringendola quasi al petto…
 
Poi si ferma, si blocca, le iridi chiare pressoché sgranate, stupite, per non dire sconvolte…
Mentre davanti a lei la donna le tiene una pistola puntata contro, a neanche un metro dal viso: è coperto, il volto della professoressa, solo gli occhi neri e scuri la osservano la scrutano e soprattutto studiano come comportarsi…
Perché, tra i tanti componenti di quella famiglia, proprio Elena era stata mandata?
Perché i suoi genitori le avevano fatto rischiare tanto?
 
I battiti del cuore accelerano, accelerano in entrambi quei cuori ora scossi e provati, indecisi, intimiditi da chi si trovano davanti…
Ma non urla, la biondina, tiene la scatolina appresso senza muoversi, senza accennare a consegnarla a chi ha davanti.
La ucciderà?
 
- Consegnami quell’oggetto e ti risparmierò la vita. –
 
Un’affermazione fredda, un ordine quasi, mentre un congegno posto sulla lingua modifica la voce originale della donna in modo tale che, nonostante le telecamere, lei non venga scoperta.
E fa una smorfia sotto la maschera, mentre pronuncia quella frase: lei non ha mai risparmiato la vita a nessuno, nemmeno a quelli che potevano essere i suoi compagni… Ed ora che è scesa a compromessi per una mocciosa che sa tenerle testa nonostante l’ingenuità una certa rabbia le monta in testa, eppure non può farne a meno.
 
- No, non lo farò. –
 
Un attimo di stupore invade la professoressa nell’udire quelle parole: parole né dure né fredde eppure decise, di chi non ha intenzione di arrendersi nonostante il rischio…
Ma la pistola continua a rimanere puntata.
 
- Odio ripetermi… Perciò approfitta di questa concessione, non ti verrà riproposta. –
 
Asserisce dopo un lungo respiro, benché contenuto, mentre la ragazza di fronte a lei rimane tranquilla e determinata, le iridi di quel verde limpido immobili sulla donna.
Ed uno sguardo, tanto dolce quanto languido, quasi fosse dispiaciuta per una simile situazione…
 
- Non tradirò la mia famiglia, professoressa Mirani. –
 
Sgrana gli occhi, le pupille dilatate dinnanzi a quell’affermazione, a quella rivelazione…
E lo stupore, dinnanzi all’ennesima prova che quella non sia una ragazza come tante, che non sia semplicemente un essere umana: che non sia come le altre.
Non ha paura di rischiare la propria vita per chi ama.
Non ha paura di rischiare la propria vita per la famiglia.
Ma soprattutto non ha nemmeno paura di affrontare chi l’ha ferita.
 
Perché ne è certa, Elena, che quella donna non premerà il grilletto, così come era certa della sua identità: era bastato uno sguardo, uno soltanto, per riconoscere quelle profonde iridi nere che dal primo giorno di scuola la tormentavano.
E si trovano lì ora, entrambe, smascherate l’una dinnanzi all’altra, immobili.
 
Cala il silenzio per qualche attimo, fin quando la donna non compie una smorfia sonora mentre lo sguardo da stupito è tornato quello sadico di sempre: quello di chi brama una vittoria senza confini.
 
- Sei una stupida… -
 
Asserisce semplicemente, prima di fare uno scatto rapidissimo verso la ragazza, le iridi nere che tentano di fulminarla in ogni modo.
Ma Elena non si muove nemmeno questa volta, perché non teme ciò che le accadrà, perché non teme di rischiare contro un’anima dannata, ossessionata
Un’anima che soffre, e questo lei lo sa benissimo non perché sia una sensitiva o chissà cosa, ma perché semplicemente è una persona che pensa col cuore.
 
Stringe a sé la scatolina, prima che l’insegnante la colpisca alla nuca: un colpo rapido e secco, ma preciso, in modo da farle perdere i sensi senza ferirla.
Perché?
Perché non ferirla?
Perché non ucciderla?
 
Si convince che l’abbia fatto per ripicca, per vendetta.
Che la stia prendendo sulle spalle, assieme alla scatolina che mette nel marsupio, solo perché lei l’abbia riconosciuta.
Si convince che la stia rapendo per non lasciare traccia, perché nessuno irrompa nella stanza dopo uno sparo e le renda più difficile la fuga.
 
Si convince che non ucciderla le sia soltanto convenuto, mentre il suo è un disperato modo per portarsi appresso qualcosa di cui non si può fare a meno.
  
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