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Autore: fila    10/08/2012    3 recensioni
Le storie d'amore e di morte sul Titanic furono molte, ecco quella di Mary e del suo tesoro.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Clandestina

Pacchetto: sala macchine

Elementi utilizzati: seconda classe, moriranno, cappello

Introduzione: Le storie d'amore e di morte sul Titanic furono molte, ecco quella di Mary e del suo tesoro.

 

 

 

Clandestina

 

 

«Tranquilla, tesoro, andrà tutto bene» disse Mary. «Presto saremo a bordo del Titanic e una volta arrivate in America nulla ci potrà più separare o fare del male.»

Facile per la bionda ventiquattrenne di Dartmouth sussurrarmi quelle parole, non era lei che stava per imbarcarsi clandestinamente sulla nave più bella e moderna che l'uomo avesse mai costruito. Inoltre a me non poteva mentire, riuscivo a sentire benissimo il suo cuore galoppare e il suo respiro leggermente affannoso: anche lei, come me, era un po' spaventata.

«Biglietto, signora» chiese l'addetto della White Star.

Mary glielo porse e accennò un pallido sorriso.

«Bagagli? Nulla da dichiarare?» domandò ancora il giovane.

«Ho solo quel baule, sarebbe così gentile da farmelo portare in cabina?» rispose Mary. «Per favore, dite che facciano attenzione! Al suo interno c'è il mio corredo e non vorrei che si rompesse qualcosa. Il mio futuro sposo non ne sarebbe soddisfatto.»

«Non si preoccupi, Madame, il suo desiderio sarà esaudito.»

Mary lanciò uno sguardo preoccupato al suo bagaglio e poi salì a bordo.

Non appena il Titanic fu salpato da Southampton, Mary lasciò il ponte e scese nella sua cabina. Si sedette sul letto e cominciò a raccontarmi tutto ciò che aveva visto e sentito sul transatlantico. Passò tutto il pomeriggio a descrivermi lampadari, quadri, vestiti e gioielli.

«Mi spiace così tanto che tu non possa vedere il Titanic: in confronto la magione principale di padron Antony sembra una catapecchia! Ci sono lampadari di cristallo che riflettono la luce ad arcobaleno e sembra di essere nel paese delle fate. I tappeti sono così morbidi che ci si potrebbe dormire comodamente sopra senza materasso. La nave è così grande che sembra un palazzo. E il mare... il mare è così bello, amore mio! Scintilla sotto il sole che sembra uno specchio tirato a lucido.»

Giunta la sera suonò la campanella del pranzo e la mia dolcissima Mary uscì per desinare.

Al suo rientro era più pallida del solito.

«Mamma mia, che nausea. Mi sa che non sono fatta per la vita di mare» bisbigliò e si gettò sul letto. «Da domani chiederò che mi portino il cibo qui in cabina» mi disse, «così ci faremo compagnia e io non mi stancherò troppo!»

Quella notte, visto che non riusciva a prendere sonno, Mary cominciò a raccontarmi quanto la nostra vita sarebbe stata bella e felice.

«Basta con le lacrime! Le cattiverie, le maldicenze, gli amori traditi e la famiglia crudele sono alle nostre spalle» disse, accarezzandomi dolcemente.

Mary fino a qualche mese prima aveva lavorato come aiuto governante per i Cavendish, una ricca e nobile famiglia inglese. A Devonshire house era stimata e benvoluta sia per la sua naturale grazia e gentilezza sia per la sua laboriosità. Tutto questo era bruscamente terminato con il mio arrivo: Mary mi aveva amato dal primo istante ed io non potevo vivere senza di lei.

Padron Antony e suo padre John avevano consigliato vivamente, in parole povere "ordinato", di porre fine a "questo spiacevole e increscioso incidente". Mary si era rifiutata categoricamente e a causa di ciò era stata rimandata a casa nel cuore della notte con il divieto assoluto di tornare.

Una volta giunta nella dimora dove risiedeva la sua famiglia, il padre, la madre e i fratelli non furono teneri con noi: rinchiusero Mary in soffitta e cominciarono a "pensare a una soluzione" per rimediare al "fattaccio" senza che nessuno ne venisse a conoscenza. Come se l'amore fosse un terribile malanno da estirpare o da nascondere. Le uniche persone che ci aiutarono furono la nonna e la zia di Mary che, dopo aver cercato di far ragionare la loro bambina, nottetempo, ci fecero fuggire. Su un carretto a nolo, ci fecero trovare il baule con tutti gli averi di Mary e ci augurarono buona fortuna. Sole e spaventate, nel buio della notte, decidemmo il nostro futuro: con i pochi soldi che il padrone ci aveva dato liquidandoci, acquistammo un biglietto di seconda classe per New York sul Titanic.

«Saremo felici, in America non ci conosce nessuno. Troverò un lavoro e tu starai sempre con me» mi promise addormentandosi.

I giorni successivi passarono lenti e, per ingannare il tempo, Mary cominciò a sferruzzare a maglia un cappellino nuovo per me.

«Vedrai, sarà pronto per quando cammineremo per New York. Sarai bellissima con il tuo cappellino bianco di pizzo e fiocchetti, tutti i gentiluomini si inchineranno al nostro passaggio e le donne ci invidieranno.»

Ogni tanto, quando la nausea glielo consentiva, Mary usciva a prendere una boccata d'aria e a guardare la gente e il mare. Ogni volta tornava in cabina entusiasta e per ore mi raccontava dei vestiti all'ultima moda dei ricchi di prima classe e dei colori delle onde e dei pesci che le sembrava di aver visto in fondo al mare.

«Amore mio, su questa nave non siamo noi a dare scandalo!» mi raccontò, ridacchiando, il secondo giorno di navigazione. «C'è una coppia di amanti clandestini: lui si chiama Jake ed è un passeggero di terza classe; lei, Rose, è una riccona della prima classe. Sembra che il fidanzato di lei non sia per nulla contento!»

La sera del quattordici aprile l'aria era fredda, Mary uscì per andare a vedere il ballo e per raccogliere pettegolezzi freschi.

«Amore mio, questa sera tutto era perfetto. I due amanti, poi, erano stupendi» mi raccontò appena tornata in cabina. «Jack e Rose ballavano così bene che sembrava che ci fossero solo loro al mondo. Quando saremo a New York ti porterò a ballare con me! Ti insegnerò il ballo che padron Antony provava sempre, il valzer.»

Poi, spossata dalla lunga giornata, si mise a letto.

«Tranquilla, tesoro, questa sera sono troppo stanca, ma ti prometto che domani mi impegnerò per finire il tuo cappello» mi promise con un sorriso dolce.

Mezzora prima di mezzanotte fummo svegliate da uno strano rumore: come se una moltitudine di bambini avessero deciso, tutti assieme, di far cadere le loro biglie sul ponte della nave.

«Che cosa sta succedendo?» chiese Mary, ancora mezza addormentata ad un uomo che passava nel corridoio dove era ubicata la nostra cabina.

«Non ho idea, sto andando a controllare, Madame. La prego, resti tranquilla in cabina, tornerò a riferirle se ci fossero problemi» rispose lo sconosciuto.

Mary tornò a letto, ma non riuscì più ad addormentarsi: una strana inquietudine si stava impadronendo di lei.

«Perché non viene nessuno ad informarci di cosa succede?» si chiese. «Comincio ad avere paura!»

Anch'io ero preoccupata e per cui sobbalzai quando iniziò il forte sibilo. Mary si vestì e uscì per vedere di cosa si trattava.

«Stanno solo sfiatando il vapore, Madame. Non tema» la rassicurò un marinaio.

Lei si guardò attorno e vide dei passeggeri che passeggiavano senza fretta sui ponti e raccoglievano pezzi di ghiaccio come souvenir.

«Da dove viene il ghiaccio?» chiese stupita.

«Sembra che abbiamo urtato un iceberg» fu la risposta.

«Oddio, cosa succederà ora?» chiese Mary.

«Nulla, questo è il Titanic, la nave inaffondabile. Temo, però, che faremo ritardo a New York.»

Circa un'ora dopo cominciò a suonare la sirena di abbandono della nave.

Mary corse alla sua cabina per recuperare il mio cappellino e altri effetti personali. Il suo cuore batteva all'impazzata ed era così spaventata che sbagliò strada un paio di volte.

Stavamo correndo nei corridoi verso i ponti superiori, quando la nave si inclinò e noi ruzzolammo a terra. Mary batté violentemente la testa contro un mancorrente e rimase a terra tramortita. La paura mi paralizzò e non potei fare nient'altro che rimanere sul pavimento con lei. Quando finalmente Mary si riprese, il mondo era stranamente invertito: il pavimento invece di essere orizzontale era verticale.

«Aiuto! Qualcuno mi sente?» cominciò ad urlare Mary, invano.

Dopo qualche minuto di puro terrore, cominciammo ad arrampicarci lungo i mancorrenti per arrivare fino al ponte.

«Hai visto che imparare a salire sugli alberi con mio fratello Mark è stato utile? Non avere paura, amore mio, ti porterò fuori da qui. Non moriremo come topi in trappola» mi disse per rassicurarmi.

Fu in quell'istante che sentimmo uno scricchiolio e subito dopo uno schianto: la nave indistruttibile si era spezzata in due proprio davanti a noi.

Mary gridò e smise di arrampicarsi. Dopo interminabili minuti ci rendemmo conto che il Titanic stava affondando.

«Non moriremo come topi» ripeté e ricominciò a muoversi verso l'alto fino a giungere laddove il transatlantico s'era rotto. Mary si guardò attorno e si rese conto che non avevamo via di scampo: ovunque si vedevano solo rottami e l'acqua nera come l'inchiostro. Nessuno sarebbe mai venuto in nostro soccorso.

«Il mare è bello, amore mio. Ci sono tanti pesci colorati che ci terranno compagnia, là potremmo riposare e stare insieme per sempre» disse.

Mi accarezzò con dolcezza infinita, chiuse gli occhi e cingendomi con le braccia si lasciò cadere in acqua.

L'impatto fu terribile: l'oceano era freddo e scuro. L'acqua si richiuse sopra le nostre teste come un sudario ghiacciato. Mary tentò di tornare verso la superficie ma il gelo e la stanchezza presero subito il sopravvento. Il simbolo del nostro futuro radioso, il cappellino bianco che ancora stringeva tra le dita le scivolò dalla mano e piano piano si inabissò.

«Scusami, amore. Ti avevo promesso il mondo e tu non lo potrai mai vedere» mi bisbigliò con l'ultimo fiato che aveva nei polmoni.

Sentii chiaramente il suo cuore cessare di battere.

«Non mi è mai importato del mondo, avrei solo voluto vedere il tuo viso. Ti amo anch'io, mamma» risposi un attimo prima di spirare nel grembo di Mary.

  
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