Eccoci con il penultimo capitolo. È
lungo e corposo, spero davvero di non deluderti. Ho una paura pazzesca!
Vi
annuncio che il prossimo sarà l'epilogo - e ho un magone in gola grande quanto
un Troll a cavallo di un Olifante. Sarà un capitolo più corto degli altri e mi
servirà per definire le ultime cose ancora lasciate in sospeso ed una piccola
idea che avevo dall'inizio della storia, che devo inserire. Altrimenti
inizierò a sbattere ripetutamente i piedi per terra.
Buona
lettura, lettori e lettrici!
Marta.
Betulla
15.
28 Aprile 3019 T. E.
Erano
in marcia da quattro giorni, da quando avevano lasciato l'accampamento in cui
avevano vissuto per quasi un mese. Avevano salutato il Campo di Cormallen ed
oltrepassato Cair Andros, diretti verso sud, verso Minas Tirith, seguendo senza
timori il letto dell'Anduin, in direzione di Osgiliath.
Frodo
e Sam si erano risvegliati dopo un'infinità di tempo, tanto che molti di loro
non si erano rilassati finché non li avevano visti aprire gli occhi. E dopo
quasi una settimana di profondo sonno i due Hobbit avevano anche trovato le
forze di alzarsi sulle loro corte gambe e muovere i primi passi.
Brethil
e i Raminghi, accompagnati anche da Legolas e Gimli, tuttavia, non avevano
trascorso l'intero soggiorno con loro. C'era ancora del lavoro da svolgere, per
ricacciare indietro gli ultimi Esterling e Sudroni sopravvissuti e che
continuavano a tendere imboscate nonostante l'evidente sconfitta, e Boromir non
ebbe neanche la possibilità di avere la sua fidata compagna al fianco per
cercare un po' di conforto, né gli fu concessa la presenza di Aragorn, intento
a curare i numerosi feriti. Per fortuna con lui c'era Pipino, e qualche giorno
dopo il loro arrivo all'accampamento si era unito persino Merry, giunto da
Minas Tirith dopo una settimana, con Beregond. Non c'era molto da fare, se non
attendere che i due Hobbit provenienti da Mordor si risvegliassero, e Boromir fu
ben felice di spendere il suo tempo con i due cugini della Contea. Lo aiutavano
a non concentrarsi troppo sul futuro incontro con Frodo e a ciò che avrebbe
dovuto e voluto dirgli per scusarsi. Avevano parlato a lungo, esplorando la
foresta di betulle che li circondava, e l'Uomo gli aveva raccontato numerose
storie che lo vedevano protagonista con il fratello, quando erano ragazzi e il
padre li portava nei boschi per imparare a cacciare. Per Faramir l'Ithilien era
sempre stata una terra magica e avrebbe tanto voluto avere il fratello al suo
fianco, per fargli raccontare tutte quelle leggende elfiche che solo lui
conosceva.
Boromir
sorrise nel guardare i due Hobbit, uno seduto sulla sella di Éomer, l'altro su
quella di Beregond, e si chiese per quanto tempo ancora avrebbe potuto godere
della loro allegra presenza prima che decidessero di partire verso la lontana
Contea. Scosse il capo, cacciando con forza quei pensieri. Non aveva alcuna
intenzione di aggiungere ulteriori angosce a quelle che già aveva. Lanciò una
veloce occhiata davanti a sé, verso il cavallo di Aragorn; alle sue spalle
Frodo si reggeva sulla sella con precarietà, forse ancora troppo debole per
mettersi in viaggio così presto, ma risoluto a rimanere in piedi finché ce
l'avesse fatta.
Durante
la sera di festa che avevano dedicato a Frodo e Sam, dopo un ricco banchetto e
tante risate, Brethil lo aveva esortato a raggiungere il resto della Compagnia
che si era riunita per chiacchierare e per raccontarsi tutto ciò che era
avvenuto in quei mesi dopo la loro separazione; nonostante lui fosse apparso
riluttante per il profondo senso di colpa che gli stringeva nuovamente il
cuore, aveva acconsentito. Si era avvicinato al gruppo, che aveva già iniziato
a discorrere e ad ascoltare le proprie storie, ma aveva preso posto in
disparte, accanto ad Aragorn. Per tutta la serata non aveva avuto il cuore e il
coraggio di guardare Frodo, nonostante avesse sentito su di sé il suo sguardo
pesare come un macigno. Aveva invece scambiato numerose ed astiose occhiate con
Sam, che evidentemente mai avrebbe digerito ciò che era successo tra il suo
padron Frodo e l'Uomo di Gondor. Boromir, però, capì che non avrebbe potuto
fuggire lo Hobbit ancora a lungo, ma fintanto che fosse stato possibile avrebbe
atteso ancora qualche tempo, per raccogliere quel poco di coraggio morale che
gli era rimasto.
Il
Capitano della Torre Bianca sospirò, stringendo i denti. Da quando era
diventato così codardo?
Abbassò
lo sguardo sulla donna che cavalcava con lui e chiuse gli occhi, inspirando il
profumo della sua pelle che gli inebriava i sensi da due giorni. La piacevole e
confortante sensazione di averla vicino era diventata quasi insostenibile, ora
che non indossava più la pesante armatura, ma semplicemente la cotta di maglia
sotto la tunica blu. Si era imposto di tenere le mani sulle gambe, anziché
stringerla per i fianchi quando accelerava l'andamento del galoppo di Nerian e
lei doveva essersi accorta di quel piccolo cambiamento, ne era sicuro. Eppure
nessuno dei due fece accenno a quella strana situazione che, da qualche tempo,
si stava creando tra loro. Boromir era sempre stato convinto che l'amicizia tra
uomo e donna non fosse possibile, perché o l'uno o l'altra avrebbe iniziato a
provare qualcosa di più profondo del semplice rispetto; poi aveva dovuto
cambiare idea quando aveva visto con che devozione Brethil trattasse con
Aragorn, o con i gemelli di Gran Burrone. Persino con lui, all'inizio, sembrava
ci fosse una profonda amicizia fraterna. Eppure perché sentiva che ora le cose
stessero prendendo una piega diversa?
«Guardate,
amici miei.» disse Aragorn, interrompendo il flusso sconclusionato dei suoi
pensieri. «Oltre quella collina vedremo finalmente le bianche mura di Minas
Tirith.»
I
cori di felicità si elevarono per tutto l'esercito e Boromir sorrise,
orgoglioso. Sarebbe finalmente tornato a casa, insieme ad Aragorn. Ma prima di
perdersi in spensierate fantasie, aveva un compito da svolgere. Aveva promesso
a Brethil di mostrarle la sua città in tutto il suo splendore, anche se
l'ultima volta che l'aveva veduta le ferite della guerra erano ancora
sanguinanti. Eppure la maestosità di Minas Tirith non sarebbe svanita neanche
dopo la fine del mondo, di questo ne era sicuro.
«Brethil.»
disse al suo orecchio. La sentì rabbrividire, ma non ci fece caso - o meglio,
non volle farci caso. «Devo chiederti di chiudere gli occhi, prima di
oltrepassare la collina. Voglio farti vedere qualcosa.» Lei gli lanciò
un'occhiata scettica, ma lui sorrise. La circondò con le braccia per prenderle
di mano le briglie. «Ti bendi da sola o devo farlo io?»
«Non
vuoi farmi conoscere la via per raggiungere Minas Tirith, per caso?» gli
domandò, con non troppo velato sarcasmo. «Perché credo che sia abbastanza
evidente.»
«Bendati,
non voglio ripetermi. O rovinerai la sorpresa.»
«Non
mi piacciono le sorprese.» borbottò lei, eseguendo ugualmente l'ordine. Brethil
si calò sul viso il profondo cappuccio e chiuse gli occhi, fortemente a
disagio; e non certo perché non si fidasse di Boromir - l'Uomo sapeva cavalcare
anche con un corpo tra lui e le redini. Ma con la vista momentaneamente
inutilizzabile ogni suo altro senso s'acuì terribilmente e non fu semplice per
lei sopportare il fiato di lui sul viso e la barba ispida che le graffiava il
volto ad ogni scossone; così come fu una tortura l'odore della sua pelle,
fresca di sali e acqua. Ma da quando aveva iniziato a percepire tutte quelle
sensazioni?
Forse, Merry aveva ragione.
Forse,
lei amava Boromir.
E l'aver preso coscienza di quel fatto
la scosse, proprio come Nerian la sballottò per saltare un ostacolo.
«Dimmi, per quanto tempo devo rimanere
cieca?» chiese, allontanando quel pericoloso ragionamento.
«Ancora pochi minuti, promesso.» le
disse. Poté immaginarlo sorridere, nel sentire quel tono sicuro e quasi
orgoglioso. «Fidati di me, sarà spettacolare.»
Brethil non osò chiedergli cosa sarebbe stato spettacolare, perché
era più che certa che non le avrebbe detto niente di più. Così attese paziente,
nel buio completo, concentrandosi sulle voci che udiva e non sulle braccia
dell'uomo che la cingevano per reggere le briglie. Passarono davvero solo pochi minuti,
quando sentì che la salita della collina era conclusa e ora iniziava la
discesa.
Boromir
le sfilò il cappuccio. «Puoi guardare, adesso.»
E
meraviglia! L'imponente ed affilata figura di Minas Tirith che si stagliava
contro la parete del Mindolluin, bella e fiera nonostante la rovina portata
dalla guerra. La bianca pietra con cui era stata costruita risplendeva sotto i
raggi del sole di mezzogiorno e l'alta e snella Torre di Ecthelion troneggiava
sui campi del Pelennor, vertiginosamente. Brethil non ricordava di aver
ammirato la Città dei Re mentre la raggiungeva stanca ed affamata, né
ovviamente durante la battaglia nel Pelennor; ma ora che ne aveva la
possibilità non riuscì a nascondere lo stupore di tanta bellezza. Era risaputo
che fossero gli Elfi a creare ciò che di più bello vi fosse sulla Terra di
Mezzo, e che i Nani sapessero costruire con la pietra meglio di chiunque altro.
Ma quell'opera degli Uomini era davvero qualcosa di indescrivibile, così
elegante e al tempo stesso spaventosa da commuoverla; la razza umana era
mortale, ma con quell'opera di splendente architettura erano riusciti a
rendersi eterni.
«È
la città più bella che i miei occhi abbiano mai osservato, Boromir.» gli disse,
in un sussurro. E pensava veramente ciò che aveva appena pronunciato. Così come
capiva da dove provenisse l'ardore con cui l'Uomo parlava della sua città. Chi
non si sarebbe innamorato di tanta bellezza?
«Sì,
lo è.» Boromir sorrise apertamente nell'osservare l'imponente chiglia di pietra
che sembrava farsi largo tra i campi, una nave nata dalla roccia del Mindolluin
e che faceva rotta verso Osgiliath, quella che un tempo era la splendente
capitale di Gondor che si distendeva sotto i loro occhi, alle pendici della
collina. Proseguirono in silenzio, beandosi di quella vista spettacolare,
finché le rovine di Osgiliath nascosero la stazza di Minas Tirith. L'esercito
rincontrò quello lasciato giorni addietro e si fermò per un giorno a riposare,
prima della penultima tappa di quel lungo ed insperato viaggio di ritorno.
Boromir
sparì tra i soldati, che lo accolsero con gioia e rispetto, e Brethil lo seguì
con lo sguardo finché le fu possibile. Le rovine di quella città erano così
tristi ed affascinanti che per un attimo un senso di tristezza le strinse il
cuore. Provò ad immaginarsi come potessero essere gli archi ora crollati, con i
conci perfettamente squadrati e levigati; guardò le colonne abbattute sul
pavimento lastricato, dai capitelli scolpiti da mani sapienti, così come tutte
le costruzioni sventrate da catapulte ed incendi. Chissà se quella città
fantasma, avamposto di vitale importanza per la difesa della capitale, un
giorno sarebbe tornata a splendere come un tempo, con la musica e la bellezza
che Boromir aveva tanto decantato?
La
donna smontò dal suo Nerian, accarezzandogli il collo e baciandogli il muso; lo
assicurò vicino ai destrieri degli altri Raminghi ed Elegost le si avvicinò,
con una borraccia ormai svuotata. «Ho sentito dire che ci sia una fonte
d'acqua, da queste parti. Andiamo in esplorazione?»
Brethil
annuì, conscia che non avrebbe saputo che fare se non vagabondare alla ricerca
di qualcosa per intrattenersi. Detestava quei momenti di calma, perché non vi
era abituata. Per tutta la vita aveva dovuto imparare a rimanere guardinga, a
nascondersi e a battersi nel mezzo di foreste, tra la natura incontaminata. Lei
non era una persona da città, neanche se questa fosse stata desolante ed
inabitata. Ora che le cose stavano cambiando si sarebbe mai abituata? Ne
dubitava fortemente.
Seguì
Elegost, passando inosservata tra i grandi soldati di Gondor, nonostante i
capelli, in quell'ultimo mese, fossero cresciuti un po' troppo per i suoi
gusti. Aveva tentato di accorciargli, nei giorni precedenti, ma Boromir,
sostenuto dai petulanti Pipino e Merry, l'avevano dissuasa; e lei si ritrovava
ora ad accarezzarsi quelle ciocche che le sfioravano le spalle con disagio,
attendendo che, da un momento all'altro, qualcuno potesse realmente accorgersi
di lei, una donna tra gli uomini. Ma dato che neanche le cicatrici che aveva in
volto sembravano attirare più attenzioni del previsto - aveva notato molti visi
sfregiati, in quei giorni - proseguì l'esplorazione alla ricerca di acqua.
Trovarono una fontana non molto lontano dal luogo dove avevano lasciato i
cavalli e si dissetarono avidamente.
Il
Ramingo si sedette sul bordo in pietra, osservando l'amica, in piedi con le
braccia incrociate. Si guardava intorno con circospezione, quasi temendo che da
un momento all'altro potessero subire un attacco inaspettato dall'altra parte
del fiume. Elegost quasi rise dal sollievo. «Amica mia, potresti anche
rilassarti, sai?»
Lei
gli riservò un'occhiata penetrante, stringendo le labbra. Poi sospirò,
lasciandosi andare accanto all'uomo.
«Abbiamo
vinto, siamo vivi. Lui è vivo.»
aggiunse in un sussurro, quasi con rammarico. «Cosa ti preoccupa, ancora?»
Brethil
si guardò intorno: il clima gioioso ed in festa aveva contagiato tutti, persino
le pietre. Perché, allora, lei sentiva un nodo allo stomaco? Credeva di avere
la risposta. Si sentiva insicura, incerta del futuro che l'attendeva. La guerra
era finita, ma ci sarebbero state molte altre battaglie da combattere per riportare
la pace sulla Terra di Mezzo. Eppure non ci sarebbero stati vagabondaggi, né
nascondigli per i Raminghi. Aragorn avrebbe sciolto il loro ordine e ognuno
avrebbe potuto scegliere cosa meglio fare dei propri ultimi anni di vita. Lei
sapeva cosa avrebbe fatto: avrebbe continuato a servire il suo mentore ed il
suo Re fino alla morte. Ma lui l'avrebbe accettata? E soprattutto, avrebbe
trovato un posto in quella città?
Brethil
si passò una mano tra i capelli, spostando un ciuffo scuro dal viso. L'adattamento
non era mai stato un suo problema, di questo ne era consapevole; quando si era
trasferita ad Edoras aveva la sua stanza, ma nessuno la serviva e riveriva come
una dama di corte, perché così lei aveva espressamente chiesto; non c'erano
Rainiel varie che le portavano abiti sontuosi da indossare e che le pettinavano
i capelli. Senza contare che Rohan e le sue praterie erano principalmente la
sua casa e trascorreva pochissimo del suo tempo negli alloggi riservati
all'esercito. Ma Minas Tirith era differente: era raffinata e meno selvaggia, e
il Re ed il Sovrintendente erano i suoi migliori amici; li conosceva bene e non
le avrebbero permesso di dormire al Terzo Cerchio, neanche se avesse iniziato a
pregare Ilùvatar e tutti i Valar. Boromir soprattutto non avrebbe accettato che
una donna proseguisse in quel travestimento mascolino che lei tanto amava,
perché la rendeva sicura e le garantiva un'identità.
Sì,
era questo che temeva. Non voleva perdere la sua identità. Aveva lottato contro se stessa nell'ultimo anno,
sovrastata dalla vergogna di ciò che aveva fatto, e combattendo contro
l'impulso di tornare dalla sua gente in ginocchio, per chiedere perdono. Aveva
agognato quella vita che aveva abbandonato come nient'altro al mondo e ora la
possibilità di tornare tra i Raminghi si faceva più flebile di giorno in
giorno. Cosa ne sarebbe stato di Brethil la Dùnadan?
Elegost
si sporse verso di lei, una mano sul braccio per risvegliarla da quell'abisso
di pensieri che sembrava averla risucchiata da minuti interi. Lei lo guardò
quasi senza vederlo, inizialmente. Poi sorrise, ricordandosi la sua domanda, e
scosse il capo. «Stai tranquillo, buon Elegost. Non c'è niente che mi
preoccupi. Devo solo abituarmi al cambiamento.»
L'Uomo
non parve tanto convinto da quella risposta, ma non obiettò. Sapeva di non
chiamarsi Elladan o Elrohir per avere l'onore di conoscere i suoi pensieri. «Lo
immagino. Aragorn Re di Gondor... è una bella novità!»
Brethil
annuì, anche se non fosse realmente quel mutamento di appellativo a spaventarla.
«Sarà un buon sovrano, ne sono sicura.»
«E
noi i suoi servitori più fedeli. Questo niente potrà cambiarlo.»
La
donna rifletté per qualche istante su quelle parole e pensò che Elegost avesse ragione.
Forse tutto e niente sarebbe mutato. Ora doveva solo pensare a riposarsi,
finalmente.
Riposarsi.
Non
era neanche del tutto convinta di conoscere il significato di quella parola.
Vigilia di Maggio 3019 T. E., prima dell'alba
Si
erano accampati sul Pelennor solo qualche ora prima, ma Brethil non riusciva a
dormire. Guardava la sua tenda come se fosse una prigione, rigirandosi da un
fianco all'altro. Aveva anche tentato di conciliarsi il sonno lucidando la
spada del padre, ma neanche quello sembrò giovarle in alcun modo. Il giorno
dopo avrebbero varcato le mura di Minas Tirith e allora la sua vita sarebbe
cambiata definitivamente. Si era imposta un po' di calma, perché non sarebbe
stata lei la Regina di Gondor e Aragorn sarebbe dovuto essere più teso di una
Dùnadan in crisi d'identità. Eppure non vi era riuscita. Più volte aveva
cacciato l'impulso di andare da Boromir per cercare un po' di quella
tranquillità che solo lui riusciva ad infonderle, ma le scoperte che aveva
fatto in quegli ultimi tempi su ciò che provava per l'Uomo l'avevano convinta a
non muoversi. Il timore di poter vedere solo un profondo affetto e non l'amore
che lei provava per lui era opprimente.
Osservò
lo scrigno che Beregond le aveva consegnato il giorno prima e non riuscì a frenare
un sorriso nell'immaginare l'espressione di Boromir quando avesse visto cosa
conteneva.
Fu
quando udì il movimento della tenda che si apriva che pensò di trovarsi il
Sovrintendente davanti, anch'esso insonne. Eppure l'ospite inatteso non era
Boromir. Aragorn non aveva un'ottima cera, sebbene le sorrise, anzi: sembrava
che anche lui, per tutta la notte, non avesse chiuso occhio.
Brethil
chinò rispettosamente il capo, nascondendo l'ironia di quel gesto. «Mio
Signore.»
«Per
favore, amica mia, non farlo.» la pregò l'uomo, sedendosi accanto a lei. Teneva
in mano un fagotto ma non osò aprirlo, ancora. «Ho già il tuo rispetto, non vi
è necessità alcuna per cui ti rivolga a me in quel modo. Anche se lo hai fatto
con sarcasmo.»
La
donna sorrise apertamente, ora. «Non riesci a dormire neppure tu.»
Aragorn
inspirò ed espirò profondamente, cercando la forza di parlare e di trovare le
parole giuste. «Sono spaventato. Mentirei se affermassi il contrario.»
«È
normale che lo sia. Non si diventa Re tutti i giorni.»
«Questo
dovrebbe confortarmi?» le domandò, aggrottando la fronte. Rise nel vedere il
divertimento negli occhi grigi dell'altra.
«Sarai
un buon Re, Aragorn. Ne hai già dato prova in questi giorni. Non vi è nulla che
devi temere.» gli disse, stringendogli una mano. «E presto sarai affiancato
dalla Regina più devota e bella che Terra di Mezzo abbia mai visto.»
L'Uomo
sorrise, perdendosi nel ricordo del bel viso della Stella del Vespro. Ma non si
attardò troppo nei suoi pensieri. Le porse il fagotto che teneva sulle gambe e
lei lo osservò con curiosità. «È un dono che spero accetterai.»
Brethil
non capì l'occhiata che le regalò finché non scoprì cosa l'Uomo le stesse
porgendo. La tunica blu arrivava sopra le ginocchia, sagomata sulla forma di un
corpo femminile, e faceva mostra di un Albero Bianco ricamato ed impreziosito
da sette piccole gemme trasparenti e brillanti che lo coronavano, al di sopra
di una corona alata. Un paio di pantaloni stretti e del medesimo colore
completavano il quadro con una cinghia argentata e un mantello più scuro dai
risvolti rossi, insieme a dei copri braccia in pelle decorati con il medesimo
motivo di Gondor.
«Aragorn...»
sussurrò Brethil, accarezzando la morbida stoffa tra le dita. «Perché?»
«Ciò
che indossi ora fa parte del passato e devi lasciarlo alle spalle.»
«Mi
rappresenta bene, però.»
L'Elessar
sorrise, benevolo. «Amica mia, la Prima Guardia del Re deve mostrarsi in tutto
il suo splendore; non voglio che sia ricoperta con un vecchio e logoro
mantello.»
Gli
occhi della donna sgranarono per la sorpresa. Lei la Prima Guardia del Re?
Aragorn la stava davvero onorando con quel ruolo?
Quello
che un tempo non troppo lontano si faceva chiamare Grampasso fece scattare la
spilla argentata che le teneva fermo il manto sulla spalla sinistra e lo rigirò
tra le mani per qualche tempo, osservando la stella argentata simbolo dei
Raminghi del Nord. «Questa puoi tenerla ed indossarla, se lo desideri. Anche se
i Dúnedain non esistono più, voglio che il loro ricordo sia tramandato negli
anni. E tu, Brethil figlia di Aeglos, sei l'esempio migliore.»
Brethil
sorrise tra le lacrime ed annuì, stringendo la spilla tra le mani e
abbracciando l'amico e mentore di una vita. «Dopo tutto quello che ho fatto
vuoi davvero premiarmi così? Non credo di meritarmi un simile posto al tuo
fianco, Aragorn.»
«Sta
a me decidere cosa sia meglio o no. E abbiamo a lungo discusso sul passato.
Dimentica ciò che è stato, ma non dimenticare mai chi sei, Brethil.»
«No,
non lo farò mai, mio Re.» fece la Dùnadan, ora seria e regale come la donna che
era sempre stata.
Brethil
e Aragorn, però non erano gli unici che non riuscivano a dormire. Anche
Boromir, infatti, se ne stava seduto all'aria aperta, vicino alla sua tenda,
per guardare quel cielo stellato da troppo tempo celato dietro le nuvole di
Mordor. E se voltava il capo verso la sua sinistra avrebbe potuto vedere le
luci di Minas Tirith, piccole fiaccole che illuminavano le strade durante la
notte. Mancava ancora poco, ormai, al suo rientro accanto al Re ed era così
entusiasta che difficilmente avrebbe chiuso occhio. Non avrebbe mai creduto che
durante la sua vita avrebbe potuto assistere al ritorno del Re, né che sarebbe
stato suo amico e Sovrintendente. Era una sensazione così bella che lo lasciava
senza fiato.
Il
sorriso che gli era nato sulle labbra sparì nello stesso momento in cui si
accorse di una piccola presenza seduta al suo fianco. Frodo si era avvicinato
silenzioso come solo un Hobbit sapeva fare e ora rimirava le stelle in
silenzio, senza voltarsi per guardarlo. Boromir sentì i suoi muscoli tendersi
per il nervosismo e abbassò lo sguardo. Il profondo e tremendo senso di colpa
che aveva provato dal momento in cui lo Hobbit era scappato dalle sue grinfie
ora si fece insopportabile e quando Frodo gli chiese come mai non riuscisse a
dormire, l'Uomo non riuscì a parlare. Ci provò, ma dalla gola non fuoriuscì che
un insieme incomprensibile di sillabe.
Non
era ancora pronto ad affrontarlo; perché lo stava mettendo così a dura prova?
Era forse quella la sua punizione? Oh, era più che sicuro che nessuna pena
sarebbe bastata a sedare l'odio che provava per se stesso, né quello di Frodo.
«Boromir.»
La
voce dello Hobbit riecheggiò nella mente dell'Uomo, facendolo rabbrividire. In
tutte quelle settimane nessuno dei due aveva osato rivolgere la parola
all'altro, e ora sentire il suo nome sulla bocca del Mezzuomo lo debilitò più
d'ogni altra cosa: perché non riusciva a capire cosa significasse quel tono
stanco, sereno, con un filo di bonario rimprovero. Non vi era astio nella voce
di Frodo, ma forse solo il fastidio di non aver ricevuto una risposta alla sua
semplice domanda.
Il
Sovrintendente si schiarì infine la gola. «Conto le ore che mancano all'alba.»
Boromir sospirò di sollievo. Non era poi stato tanto difficile mettere qualche
parola in fila per creare una frase di senso compiuto, dopo tutto.
«Dovresti
riposare, invece. Il Re avrà bisogno di un consigliere in forze, non dagli
occhi cerchiati di nero.»
Boromir
si voltò un minimo per spiare il viso rilassato dell'altro. «Potrei
rimproverarti per lo stesso motivo. È tardi.»
«Ho
dormito sufficientemente per una settimana e le notti successive sono state
così liete e prive di incubi che posso dirmi soddisfatto. Non ho sonno.»
Boromir
mosse le gambe, guardando i palmi delle mani che strinse a pugno. «Non è saggio
da parte tua venire proprio da me, Frodo.»
Lo
Hobbit lo guardò negli occhi chiari, finalmente. «Perché non dovrei? Abbiamo
giocato a nascondino per troppo tempo, ormai. Non credi?»
«Non
hai paura che io... che io possa farlo di nuovo?»
«L'Anello
è andato distrutto, forse potresti recriminarmi questo. Ma non avresti niente
da rubarmi.» Frodo sorrise, tristemente. «Le voci che ti spinsero sull'orlo della
pazzia sono sparite. Neppure io le sento più, finalmente.»
«Sì,
è... è una liberazione.» Boromir chinò il capo. Sembrava voler aggiungere
qualcosa, eppure non riuscì a parlare.
«Continui
a desiderarlo, nel tuo profondo, vero?» Frodo attese che lui annuisse, quasi
con timidezza. «Capisco cosa stai provando, Boromir. Lo capisco più di chiunque
altro. Sono oltremodo felice che sia andato distrutto, che la sua minaccia non
oscuri più questa bella terra. Ma la consapevolezza di non poterlo più riavere
al collo e di poterlo toccare è un dolore talmente lancinante che provo
vergogna di me stesso. E questa sensazione non mi abbandonerà mai.»
«No!
No, non devi vergognarti, Frodo.» esclamò l'uomo, con enfasi. «Portasti un
fardello così pesante che non riesco ad immaginare neppure un briciolo della
sofferenza che dovesti sopportare in questi mesi. La tua forza è talmente più
grande della mia che ti ha permesso di andare avanti, di non lasciarti
incantare dal suo potere e di distruggerlo. Hai fatto ciò che io e che nessuno
di noi avrebbe saputo come affrontare. Dovresti essere fiero di te stesso.»
«Fiero,
dici?» Frodo rise, senza allegria. «Oh, Boromir, se solo sapessi cosa feci e,
soprattutto, cosa non feci, durante
il mio viaggio. Quando mi presi l'onere dell'incarico, quel lontano giorno a
Gran Burrone, ero davvero deciso a portare a termine la mia missione, perché
non volevo che la mia bella Contea potesse correre il rischio di essere
incenerita da quel pericolo immenso. Sapevo che non sarebbe stata una
scampagnata, mi rendevo conto che non sarebbe stato facile. Non sarei stato
solo, ma avevo portato io l'Anello fino a quel momento e solo io avrei potuto continuare a farlo; solo io avevo il potere di tenerlo e, di conseguenza di gettarlo
tra le fiamme del Monte Fato. Ma già da allora il suo potere mi aveva ammaliato
e unicamente alla fine mi son reso conto che non ci sarei riuscito. Avrei causato
la distruzione della Terra di Mezzo, se non fosse stato per Sam... e per
Gollum.»
Boromir
lo interrogò con lo sguardo. «Gollum?»
«Gandalf
aveva ragione, come sempre, quando mi disse che anche lui avrebbe avuto un
ruolo in questa storia. Promettimi di non dirlo a nessuno: è un segreto che
voglio portare con me nella tomba, anche se questo significa mentire a tutti
coloro che ancora oggi elogiano Frodo dalle Nove Dita. Solo il buon caro Sam
conosce la verità.»
L'Uomo
annuì. «Non devi parlarmene, se non ti fidi di me. Lo capirei.»
«L'avrei
tenuto per me.» disse Frodo velocemente, senza ulteriori esitazioni, per paura
di non riuscire ad ammettere la sua colpa se avesse atteso oltre. «Non ebbi il
coraggio di gettarlo nel fuoco. Feci ciò che fece anche Isildur, millenni fa:
lo reclamai come mio e me lo misi al dito - quello che mi manca. Gollum mi
aggredì e fece di tutto per riprendersi ciò che credeva suo. Morì con lui, poco
dopo. Avrei fatto esattamente ciò che l'Anello desiderava, l'avrei tenuto per
me.» Frodo sospirò e un lungo silenzio pesante calò tra i due. E in tutto quel
racconto Boromir non riuscì a non pensare a Brethil, al suo sogno e alla sua
liberazione di Gollum. Oh, se solo avesse saputo, sarebbe stata felice e magari
parte di quella colpa che continuava ad addossarsi sarebbe sparita!
Fu
lo Hobbit a spezzare quella lunga pausa. «Non esiste un eroe in questa storia,
Boromir, né io lo sarò mai. Spero che questo possa consolarti, un poco. Abbiamo
sbagliato entrambi, ma non è stata colpa nostra. Chi non ha subito il richiamo
dell'Anello non potrà mai capire. Per questo non hai niente da recriminarti. Ti
perdonai già quello stesso giorno. Ci lasciammo da amici... lo siamo ancora?»
Boromir
sentì la tensione accumulata in quei mesi sciogliersi improvvisamente di fronte
a quella semplice domanda che gli riempì il cuore di sollievo. «Non mi
perdonerò mai quello che ho fatto, Frodo, anche se chiunque continuerà a dirmi
che non fossi in me, quel maledetto giorno. Eppure se non fossi stato io,
l'Uomo che ti aggredì, non ricorderei niente di quei momenti. Ma purtroppo li
ho ben vivi nella mente e non riuscirò mai a dimenticarli. Hai sempre avuto il
mio appoggio, Frodo, e la mia stima; e io ho rovinato tutto per la
disperazione. Sei davvero sicuro di voler chiudere questa faccenda così
semplicemente?»
«Fu
già chiusa nel momento in cui vidi il tuo sguardo, Boromir. Ora rispondi alla
mia domanda, per favore.» ripeté Frodo, sorridendo. Perché in cuor suo conosceva
già la risposta dell'uomo: poteva leggergli il tormento ed il dispiacere in
viso come un libro aperto.
«Sarò
tuo amico finché la vita non abbandonerà questo corpo, Frodo della Contea. E
anche quando non ci sarò più tu la mia stirpe e tutto il popolo di Gondor ti
ricorderà come il migliore degli amici.» Boromir sospirò sollevato nel vedere
la luce di felicità brillare negli occhi dello Hobbit e tornò a guardare
nuovamente verso la Città Bianca. «Domani vedrai finalmente il luogo in cui
nacqui, quarantuno anni fa. Ti mostrerò i luoghi della mia infanzia e le
bellezze di Minas Tirith; e potrà accompagnarci anche Sam, se lui vorrà. Anche
se temo che non sarà così comprensivo come te, e di questo non lo accuso.»
«Sam
ti sembrerà scontroso, ma non offenderti. Non può capire cosa abbia significato
per noi l'influsso dell'Anello. Ma sarà felice di visitare una così grande
città degli Uomini, se glielo chiederò. Quante storie avrà da raccontare al suo
Gaffiere!» Frodo si stiracchiò, alzandosi con un saltello. Lo guardò con un
sorriso e gli strinse una mano sulla spalla. «Sono felice che tutto si sia
risolto per il meglio, Boromir. In queste ultime settimane il nostro silenzio
mi aveva quasi oppresso. Finalmente tutto ora è risolto e il mio animo ne
gioisce.»
L'Uomo
lo seguì, in piedi, e cacciò indietro le lacrime che gli pizzicavano
insistentemente gli occhi. «Se tu sei felice allora io non saprei che nome dare
alla gioia e al sollievo che provo in questo momento, perché è talmente grande
ed insperata che non mi sembra neanche di meritarla.» Le parole di Boromir
quasi vennero interrotte dall'abbraccio di Frodo, e qualsiasi cosa fu inutile
per fermare il pianto liberatorio che aveva cercato di bloccare.
Si
salutarono pochi istanti dopo, forse imbarazzati per quel gesto eppure con un
peso in meno sul cuore. Lo Hobbit si congedò, intenzionato a camminare ancora
un po' prima di tentare di dormire. Boromir, d'altro canto, non aveva nessuna
voglia di chiudere occhio: prima era troppo eccitato dall'idea dell'incoronazione
di Aragorn, ora doveva raccontare a qualcuno dell'immensa gioia che provava
nell'aver chiarito ogni malinteso e ogni colpa con Frodo. Era più che sicuro
che se avesse incontrato Pipino o Merry avrebbero iniziato a saltare e a
ballare, facendo un gran chiasso e svegliando mezzo esercito. Ma per fortuna i
due Hobbit russavano già da qualche ora, così Boromir si diresse a grandi passi
verso la tenda di Brethil, da cui proveniva la tremula luce di una candela.
«È
permesso?» domandò a bassa voce. Scostò la tenda appena lei gli rispose e qualsiasi
cosa stesse per dire fu fermata da ciò che vide. Aragorn doveva averle
consegnato la nuova divisa, era evidente; ma vederla piegata in un fagotto e
poterla osservare sul corpo della legittima proprietaria erano due cose diverse.
E Brethil gli apparve più bella che mai, anche senza i capelli acconciati e un
abito sontuoso.
«Non
è troppo... troppo?»
Boromir
si crucciò. «Cosa vuol dire "troppo troppo"?»
«Per
me, intendo. Non è troppo?» ripeté lei, indicando i suoi vecchi abiti. «Non ho
mai indossato una divisa così bella. Anzi, non ho mai indossato una divisa, che
è ben diverso. A parte il mantello e questa.» aggiunse, sfiorando la spilla che
ora le teneva fermo il lungo e pulito mantello blu.
«È
adatta al tuo valore, Brethil. E al ruolo che coprirai tra qualche ora.» le
rispose, avvicinandosi ed accarezzandole le braccia per riscaldarla con un po'
di conforto. «Gondor non vedrà Prima Guardia del Re più nobile di te, credimi.»
«Tu
sapevi e non mi hai detto niente?» Brethil prese un respiro profondo,
sorridendo mestamente. «Credo che mi ci dovrò abituare. Ma almeno è meglio di
quell'orribile abito che mi costrinsi ad indossare.»
«Orribile?
Lo scelsi di persona!»
«Allora
lascia che ti dica che hai un pessimo gusto, Boromir. Aragorn dovrebbe darti
qualche lezione in proposito.»
Si
osservarono in cagnesco per qualche istante, ma non durò a lungo. Entrambi
risero, trattenendo il volume della loro ilarità per non svegliare i vicini di
tenda.
«Sei
bellissima, Brethil. Davvero.»
Lei
abbassò il capo, arrossendo, e gli diede le spalle con la scusa di dover
recuperare qualcosa che gli apparteneva. Prese uno scrigno e glielo porse. «Un
giorno ti dissi che qualsiasi oggetto rotto sarebbe potuto essere riparato,
così come Andúril nacque dai frammenti di Narsil. Oggi vedrai che avevo
ragione.»
Boromir
prese il regalo con riverenza, sentendo distintamente il cuore iniziare a
galoppare per l'emozione. Sì, ricordava bene quel giorno, così come tutti
quelli che avevano trascorso insieme. Lui si era adirato, perché l'oggetto di
cui stavano parlando non era un cimelio di poco conto, ma uno dei simboli della
Casa dei Sovrintendenti. Eppure, eccolo lì, il Corno di Gondor! Un tempo
spezzato in due dall'infuriare della battaglia sui colli di Amon Hen, ora
nuovamente riportato all'antico splendore. Le giunture in cui si era rotto
erano pressoché invisibili, segno dell'ottimo lavoro di artigianato, e sorrise
come un bambino. Spostò lo sguardo dal corno alla donna, incredulo.
«Quando...?»
«Durante la mia convalescenza mi son fatta degli amici a corte.» rispose
lei, pensando al buon Beregond. «Sottovaluti troppo l'amore e la bravura del
tuo popolo, Boromir. Elladan ed Elrohir hanno fatto il resto.»
Il sorriso dell'uomo s'ingrandì così tanto che si ritrovò a ridere
per la felicità. Avrebbe voluto suonarlo per condividere la gioia, ma dovette
rimandare. Accarezzò il viso della donna con riverenza e le baciò la fronte.
«Dove ti tenevano nascosta, Brethil?» le chiese, abbracciandola. «Prima salvi
la mia vita e la mia anima, e ora anche uno degli oggetti a cui tengo di più.
Devi essere necessariamente un dono dei Valar.»
Lei scosse il capo, nascondendo a stento il piacevole malessere
che provò nell'udire quelle parole e nello stare tra le sue braccia. «Faccio
solo ciò che è in mio potere per rendere felici le persone che amo.»
Boromir sorrise e si allontanò un poco, per guardarla, assorto nei
suoi pensieri. Si disse che quello che stava per fare non fosse razionale, che
per quanto vi avesse rimuginato non era ancora giunto ad una conclusione.
Eppure quelle ultime parole gli avevano dato quell'incentivo in più che gli
diede la forza di parlare, di agire. Si schiarì la gola e s'inumidì le labbra,
visibilmente nervoso. Non si era mai trovato in una situazione simile e per
quanto fosse pronto ad affrontare qualsiasi tipo di battaglia - anche uno
contro cento! - nessuno lo aveva addestrato ad un momento simile. Chi avrebbe
dovuto farlo, purtroppo, aveva lasciato quelle terre troppo presto. Tuttavia si
diede mentalmente la carica e finalmente parlò. «Ci sarebbe una
cosa che desidererei chiederti, Brethil.»
Lei annuì. «Qualsiasi cosa per il
Sovrintendente di Gondor.»
Boromir sorrise, sollevando una mano
verso la guancia sfregiata di lei e accarezzandola un po' rozzamente. I
polpastrelli callosi e ruvidi di lui la fecero rabbrividire, ma Brethil non osò
muoversi, con il timore di compiere qualche sciocchezza o semplicemente di
rovinare quell'assoluto momento di perfezione.
«Molto bene.» esordì lui, rizzando la
schiena e assumendo un'espressione seria che, per un attimo, la fece vacillare
nell'incertezza. «Hai ben detto, sono il Sovrintendente di Gondor, ed è un
ruolo assai pesante.»
«Sono certa che saprai come compiere il
tuo lavoro, Boromir.»
«Sì, non ne dubito nemmeno io.»
Brethil sorrise di fronte alla sua sfrontatezza,
ma continuò ad ascoltarlo senza interromperlo ulteriormente; aveva la netta
sensazione che stesse girando intorno ad una questione importante che lo
innervosiva parecchio, e questo non faceva altro che alimentare la sua
curiosità e la sua tensione.
«Eppure,» continuò l'Uomo «anche il più
grande dei Re ha bisogno del suo consigliere più fidato. Io non sarò mai Re, ma
avrò bisogno della mia coscienza per evitarmi di compiere sciocchezze in
futuro.» Boromir sorrise nel vedere la perplessità in quegli occhi grigi. «Per
questo motivo ti chiedo, Brethil figlia di Aeglos, di farmi l'onore di
diventare mia moglie, cosicché possa avere la Coscienza che cerco sempre al mio
fianco. Perché sei diventata importante quanto l'aria che respiro, e ti amo. Ma
se questo sentimento non è ricambiato allora accetta le mie scuse.»
Brethil non assimilò subito il
significato di quelle parole finché non si accorse che gli occhi dell'Uomo
attendevano impazientemente una risposta. Strinse le labbra, contrariata dal
fatto che le sue corde vocali non la stessero aiutando a dovere, né il suo
cervello osasse formulare una risposta immediata. Perché era troppo scioccata
dalla proposta di Boromir eppure lusingata che venne travolta da una profonda
confusione. Non aveva mai preso in considerazione l'idea di sposarsi, un
giorno, perché non credeva che la sua vita gliene avrebbe dato la possibilità.
Non aveva abbandonato il sentiero che aveva iniziato a percorrere da piccola,
ma stava semplicemente prendendo una via che lo affiancava e che a sua volta le
apriva numerose possibilità. Il matrimonio, per la Prima Guardia de Re, era
concesso?
Brethil socchiuse le labbra per
parlare, ma quando si rese conto che non avrebbe avuto la forza di pronunciare
neanche la sillaba più semplice che conoscesse, fece l'unica cosa che le
riuscì. E il bacio che i due si scambiarono, quella notte di fine Aprile, fu
solo il primo di una numerosa serie.
*
Spero vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto. Io sono
un po' spaventata, perché ci sono numerosi passaggi che mi hanno dato parecchie
rogne - vi avevo avvisati di dare le colpe a Boromir e Frodo! Quattro giorni
solo per scrivere la loro scena, non è normale.
Ci leggiamo la settimana prossima, con i ringraziamenti vari
ed eventuali.
Grazie per tutto a tutti voi che siete la fuori!
Un abbraccio,
Marta.