Rosso
sbatté la porta con una violenza che non
pensava di trovarsi addosso. In tutti quegli anni, egli aveva forse
pensato di
aver perdonato Giovanni, il suo gioco scorretto, la sua umiliazione;
aveva
forse pensato che ormai davvero tutto ciò che era stato
appartenesse al solo
passato, aveva pensato, semplicemente, di aver scordato tutto e tutto
perdonato. Ma non era così, Rosso si era sbagliato, non
aveva capito: egli
aveva dimenticato che, ora che le tracce di Missingno si erano perdute
su di
lui, egli era tornato uomo e rancoroso, come tutti gli esseri umani. Ed
era ora
proprio la sua umanità ritrovata a spingerlo al suo odio
profondo: egli in
quegli occhi vedeva non lo sguardo di un uomo, ma quello
dell’uomo che l’aveva
sconfitto; e molto di più, poiché
quell’uomo aveva abbandonato suo figlio che
si era affidato a lui proprio nel momento in cui egli non aveva potuto
soccorrerlo. Rosso ricordava quei limpidi occhi di Blu, dopotutto,
così
com’erano stati quando Giovanni aveva riparato
all’estero, ed egli aveva amato
Blu anche in quel momento.
Ora
fronteggiava immobile quel colosso di altezza e
di prestanza fisica: Giovanni aveva cinquantasei anni, ma ancora era
identico
all’uomo che lo aveva umiliato, ormai molti anni prima, a
pochi chilometri di
distanza. Eppure, per quanta rabbia provasse, Rosso non sapeva trovare
parole
per esprimerla. Per un attimo, forse, Giovanni avrebbe persino potuto
vedere
nei suoi occhi un ultimo fantasma di quei terribili bagliori
allucinanti, ma
poi Rosso parlò: “Che ci fai qui?”
Era
una domanda sciocca, una domanda banale. Avrebbe
potuto chiedere milioni di altre cose e invece… ora doveva
ascoltare.
Ma
Giovanni sorrise leggermente, di un sorriso
pallido e amaro che non si estese ai suoi occhi. “Potrei fare
a te la stessa
domanda” disse lentamente, “Ho tutti i diritti di
essere qui. Io ho comprato
questa casa per mio figlio, dopotutto, molti anni fa.”
“Io
abito qui, ora!” ruggì Rosso e istintivamente si
scagliò in avanti di un passo. Giovanni sollevò
con calma una mano: “Non ti
agitare, Rosso. So che vivi con Blu, ora.”
“Perché
sei tornato?” esclamò ancora Rosso.
“L’avevo
promesso a Blu” rispose con calma Giovanni.
“Avevo promesso che sarei tornato a prendermi cura della sua
vita. Perché non
sarei dovuto tornare?”
“Perché
sei solo un bastardo!” gridò Rosso. Tremava
tutto, con una violenza tale che credette di scoppiare, e invece si
trattenne.
Gridò: “Hai abbandonato Blu quando lui aveva
più bisogno di te, quando…”
“Quando
tu lo avevi appena abbandonato” rispose
Giovanni. “Pochi giorni prima che tu lo abbandonassi di
nuovo, per il tuo
viaggio.”
“Intendi
forse rinfacciarmelo?” domandò Rosso.
“Non
ero suo padre!”
“No,
non lo eri, è vero” rispose Giovanni.
“Ma verso
di lui non avevi meno impegni di quanti ne avessi io, poiché
vi amavate; e
dopotutto, è pur sempre vero che io avevo motivi validi per
abbandonare Kanto:
per causa tua, la polizia era sul punto di arrestarmi, e
quand’anche poi fossi
riuscito a evitare questo pericolo, non avrei certo potuto sottrarmi
alla furia
di Mewtwo. Non erano dunque questi ottimi motivi per abbandonare
Kanto?”
“Sta’
pur certo che Mewtwo non avrebbe tentato mai
nulla per vendicarsi di te” rispose Rosso. “Credi
forse che egli fosse di
spirito malvagio come credi? Era libero, e libero non aveva bisogno di
vendicarsi.”
“Dimentichi
l’altro motivo” disse allora Giovanni.
“Avrei dovuto permettere a mio figlio di vedermi in
prigione?”
“Questo
motivo è solo colpa tua” esclamò Rosso. “Avresti potuto
rinunciare, smettere anni fa,
vent’anni fa, quando è morta Ambra, quando Blu era
piccolo, quando te l’ha
chiesto il professor Oak. Allora no che non saresti finito in prigione,
stanne
certo! Allora non c’erano prove delle tue
attività.”
Per
la prima volta nel corso di quella
conversazione, Giovanni parve dubitare un momento della forza delle sue
ragioni. Si mise seduto per mascherare quell’istante di
fragilità e disse: “Non
sai di cosa stai parlando.”
“Forse
ne so più di te” replicò Rosso,
avanzandosi
di un passo ora che la stanza si era sgombrata un po’ di
quella ingombrante
presenza. “Io ho sconfitto Team Rocket.”
“Ti
dico che non sai” disse Giovanni alzando gli
occhi su di lui; e per un attimo Rosso si spaventò al vedere
quegli occhi.
Poiché quello era uno sguardo di uomo, uno sguardo che
pareva perduto e
affranto, molto profondamente lacerato e perplesso. No, quelli non
erano gli
occhi che Rosso ricordava da quel giorno di tanti anni prima, e che
forse in
più di una occasione egli aveva confuso con quelli azzurri e
luminosi di
Mewtwo: erano quelli di un uomo, e d’un tratto Rosso
ricordò il suono di parole
che aveva udite tanti anni prima: se sei
come me, dei tuoi fantasmi non ti libererai mai e poi mai.
Subito
le parole di Giovanni confermarono il suo
pensiero. Egli si alzò, come riscuotendosi, e voltandogli le
spalle distolse
gli occhi da lui. Disse: “Credi tu che sia facile? Credi tu
che sarebbe stato
facile, dopo anni d’attività, dopo anni
d’impegno… credi tu che se avessi tutto
abbandonato nel nome del mio amore per Ambra, per amore di Blu, sarebbe
stata
semplice, sicura, la nostra vita…?”
“Questo
non è un motivo!” gridò Rosso.
“Bisognava
impegnarsi, combattere, decidere, pensare alla vita di
Blu…”
“E
i fantasmi?” esclamò allora Giovanni, volgendosi
di scatto: i suoi occhi ora fiammeggiavano, “Non mi comprendi
proprio tu,
Rosso, tu che per sette anni sei rimasto confinato sulla cima di quella
montagna, prigioniero di un sogno che a nessuno era dato
sapere… oh, non dire
che non comprendi, Rosso: proprio tu dovresti esser capace di capire
cosa vuol
dire, aver qualche ricordo che non si sa come
dimenticare…”
Allora
Rosso tacque, si accese in viso di vergogna:
era vero… sì, sul Monte Argento era stato
Missingno a tenere prigioniera e
avvinta la sua vita, colla prospettiva di un grande destino e di un
premio per
la sua smisurata ambizione: non era, dopotutto, solo colpa
sua… Ma prima, prima
di quella terribile notte, non c’era nessun Missingno a
guidare le sue azioni:
solo la sua triste volontà l’aveva trascinato per
Kanto in preda a quella
lucida follia…
Era
la prima volta che Rosso comprendeva almeno in
parte la grande somiglianza tra lui e Giovanni: quella fortissima
sensazione
che vi fosse qualcosa in tutto il mondo che bisognava assolutamente
fare,
qualcosa che non era né chiaro né definito,
qualcosa che forse non era neppure
possibile, ma che andava perlomeno inseguito, tentato, fino alla fine,
fino
alla morte. Si sedette scrutando Giovanni. Vi erano riusciti entrambi,
alla
fine? Sì, lui, Rosso, vi era riuscito: aveva portato Luisa
da Missingno, e
questo era quanto. Aveva impiegato venti anni. E Giovanni, invece, di
anni ne
aveva impiegati cinquanta: aveva perso tutto, aveva ucciso sua moglie,
trascurato suo figlio. Ma ora non poteva più odiarlo
così tanto: dopotutto, lui
stesso aveva per anni abbandonato Blu…
Giovanni
lo scrutava ora con calma fissità. Disse:
“Mi comprendi, tu?”
“Sì”
disse Rosso. Era più calmo. Proseguì:
“Per
quanti anni hai inseguito Mewtwo?”
“Non
ero molto più grande di voi due quando partiste
per il vostro viaggio” disse Giovanni. “Lo vidi, un
giorno… Mew, intendo dire.
Oh, lo so che può sembrarti strano” soggiunse.
“Forse erano altri tempi… eppure
lo vidi, lo vidi con l’intensità con cui tu hai
veduto Mewtwo… l’ho amato con
la stessa forza con cui tu hai amata la tua ambizione. L’hai
mai veduto, tu,
Mew?” domandò.
“Non
dal vivo” mentì Rosso, che non voleva parlargli
di Luisa. Giovanni sorrise.
“Non
puoi capire, allora… no, che sciocco! Forse
puoi. Mai nulla del genere avevo provato per un Pokémon, mai
nulla per una
donna. Ciò che provai per Ambra, molti anni
dopo…”
“Non
era lo stesso” disse Rosso alzando le spalle,
sorpreso anche solo che Giovanni sentisse il bisogno di specificare
quella
differenza. Mai nella sua vita egli aveva paragonato, neppure soltanto
nella
sua propria mente, l’amore per Blu a quello per la sua
ambizione.
“No,
non era lo stesso. Ho amato Ambra di tutto
l’amore che ho potuto, e di certo non è stato
abbastanza, ma è stato molto; ma
Mew era diverso. Era quel desiderio insaziabile, insanabile, di
possesso, di
controllo, di…”
“Quello
è stato il mio troppo amore, il mio grande
errore. Ambra è morta mentre io cercavo Mew, e trovavo
Mewtwo… e solo quando è
morta ho visto che per colpa del mio sogno, avevo ucciso mia
moglie… che ero
solo, solo con mio figlio, e che rischiavo, mio malgrado, di uccidere
anche
lui, poiché nonostante tutto il mio sogno era più
forte, di lui, più forte di
me… più forte, molto più forte della
mia volontà. E poi, mi sono occorsi dieci
anni per portare davvero a termine l’esperimento. E non ho
avuto Mew…”
“Che
cos’hai provato?” domandò Rosso con vivo
interesse. Era il primo essere umano che gli descriveva esattamente
ciò che lui
stesso aveva provato per Ho-Oh…
“Era
finita” disse Giovanni. La sua voce pareva
vibrare ultimamente come di un’ultima nota interminabile, ma
davvero ultima;
egli chinò gli occhi. “Non Mew, ma Mewtwo; e nella
rabbia malvagia che gli
leggevo in viso, io rivedevo tutti gli orrori che lo avevano creato,
tutti gli
omicidi, gli abusi, le cattiverie… io, io avevo fatto tutto
ciò! Per Mew, per i
grandi occhi azzurri di Mew che io volevo rivedere! E allora era ovvio,
era
normale che non fosse Mew, che fosse un altro Pokémon, un
Pokémon diverso, un
Pokémon malvagio…”
“Non
malvagio” tentò di dire Rosso, ma invano:
Giovanni non lo sentì.
“Mi
era rimasto un desiderio grande di Mew, ma non
era più lo stesso desiderio di un tempo: ora era un
desiderio umano, un
desiderio normale, accettabile, un rimpianto dolce e melanconico, ma
che non
guidava più le mie azioni; solo, qualche volta, qualche mio
sogno…”
“Era
come svegliarsi dopo aver dormito molto, molto
a lungo… tutto per me era nuovo, tutto diverso. Molte cose
erano accadute nel
corso del mio sonno, nel corso dei miei incubi… ora era
difficile affrontare la
realtà. Avevo Mewtwo, che non era la creatura intangibile
che io avevo per anni
sognata e vagheggiata, ma che era più simile a me; era una
macchina creata per
la guerra, per combattere; e io la usai per combattere contro quel
mondo che si
era trasformato mentre io non guardavo. Avevo un figlio, un figlio che
in tutti
quegli anni era cresciuto troppo lontano da me, e che ora non sapevo
più come
raggiungere: Blu si allenava con me, viveva con me, ma non riusciva,
dopotutto,
a comunicare… e sapevo che lui provava un tormento forte,
che era innamorato,
questo lo sentivo, ne ero consapevole, ma non sapevo come toccarlo,
come
raggiungerlo…”
“E
poi, Mewtwo è scappato, tu hai sconfitto il mio
impero, Blu ha perduto contro la Lega Pokémon; ed
è arrivato l’esilio per me.
Era la giusta punizione per aver dato troppa attenzione al mio sogno, e
troppa
poca alla mia vita…”
Calò
il silenzio, per un po’. Rosso ora taceva con
calma; il suo respiro stesso si era fatto più quieto, ora.
Quanto era appena
accaduto era davvero incredibile: forse, pensò Rosso,
avrebbe dovuto cessare di
aspettarsi qualsiasi cosa dalla propria vita.
Alzando
lo sguardo, ricordò come da un passato
lontanissimo che Giovanni non era solo il suo ultimo nemico: era il
padre di
Blu…
“Ti
dispiace che io viva con Blu, ora?” domandò.
Giovanni scosse il capo.
“No”
disse. “No, Rosso…anzi, ne sono felice. Avevo
paura che Blu restasse solo.” Rosso non rispose: pensava agli
anni che Blu
aveva effettivamente trascorso senza di lui.
“Dove
sei stato finora?” domandò per distogliere la
mente da quel pensiero.
“Conosci
la regione di Unima?” domandò Giovanni.
“È
lontano da qui, è molto distante e diversa dalle nostre
regioni. Ho vissuto là,
dove nessuno sapeva neppure che vi fosse stato mai un Giovanni a capo
di un
Team Rocket…”
“Ti
mancava Blu?”
“Forse
che a te non mancava, lassù?” replicò
Giovanni.
“Che
domanda sciocca” rispose Rosso. “Mancava come
l’aria, mancava come il calore del sole che lassù
non si sentiva; mancava come
l’erba verde che era sempre sotto la neve. Mancava come le
mani di mia madre;
mancava come tutto il mondo che in anni di esilio avevo dimenticato,
mancava
come la verità che non riuscivo a raggiungere,
perché purtroppo non era sul
monte dove io la cercavo.”
“Hai
capito, dunque” disse Giovanni.
Sì,
Rosso aveva capito: aveva rammentato quel
sentimento di nostalgia profonda, che aveva assunto le forme non di una
sensazione forte e struggente ma di qualcosa di più
profondamente radicato e
intrinseco, come se mancasse l’acqua, come se mancasse
l’aria.
Ora
Giovanni era seduto, era vicino a lui,
vicinissimo a lui… Rosso non gli era stato mai vicino
così. D’improvviso Rosso
si alzò e indietreggiò: un ultimo barlume del suo
odio lo spingeva ad allontanarsi
dalla sua grande massa imponente e virile, ma poi, per mascherare il
suo
impulso, cominciò a muoversi nervosamente per quella cucina,
come mosso da bel
altro tipo d’istinto. Domandò: “E ora
cos’è che ti ha spinto a tornare?
Perché ora,
perché oggi? Sai bene che domani è
Natale.”
“Blu”
rispose Giovanni semplicemente.
“Dopo
nove anni” disse Rosso voltandosi con
inquietudine.
“Sì,
dopo nove anni” replicò Giovanni.
“Sì, dopo il
mio esilio… per donare di nuovo a mio figlio un vero Natale
come gliene ho
troppi sottratti.”
Di
nuovo Rosso avrebbe voluto replicare, ma di nuovo
s’interruppe, si trattenne. Non sapeva più come
rispondere, come reagire…
ricordava molto vagamente di aver voluto aggredire Giovanni, di essersi
voluto
vendicare, sino a non poi molti minuti prima; eppure ora non lo
ricordava
davvero più. Gli pareva di cercare in sé una
rabbia che neppure lui stesso
riusciva più a provare.
“Che
cosa farai, ora?” domandò senza forze.
“Vivrò
qui, o a Smeraldopoli” disse Giovanni. Poi,
vedendo lo sguardo sorpreso di Rosso, disse ridendo: “No, non
temere! Non intendo
certo vivere in questa casa: ora Blu ha la sua felicità con
te, e tanto mi
basta. Voglio solo trovare un posto dove vivere in pace, lontano da
tutto
quello che ho voluto costruire e insieme distruggere, e vicino, per
quanto
possibile, alla felicità dell’unica creatura al
mondo che io abbia amata tanto
e che io sia riuscito a salvare, allontanandolo dalla mia affannosa
ricerca…”
Rosso
alzò con un qualche stupore gli occhi su di
lui. Ecco, ora aveva capito cosa doveva fare.
Eccomi di nuovo qua!
Ho avuto qualche giorno di ritardo nell’aggiornamento, ma
come al solito nel
troiaio della mia camera avevo perso il foglio sul quale avevo scritto
l’ultima
parte di questo capitolo e tutto quello seguente ^^ un ringraziamento a
Gleeklove, che di certo si aspettava che avessi perso il foglio.
Baci :)