Anime & Manga > Pokemon
Segui la storia  |       
Autore: Afaneia    13/08/2012    1 recensioni
Rosso è finalmente tornato a casa, da Blu, dopo aver abbandonato le vette innevate del Monte Argento e aver finalmente sconfitto la maledizione di Missingno. Tuttavia, tornare alla vita normale non è per lui così semplice, poiché il suo lungo eremitaggio ha portato delle conseguenze, e dovrà ora affrontare quei piccoli problemi quotidiani che, sulla cima di quel monte, non aveva mai considerati...
Sentendosi profondamente imbarazzato, Rosso disse: "Non so che cosa regalare a Blu per Natale."
"Ah! È questo, dunque" esclamò Luisa, alzandosi. "Credevo non l'avresti detto mai."

Spin off tratta da Prescelta Creatura e Storia di Rosso e di Blu. Contiene spoiler!
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Saga della Prescelta Creatura'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Rosso sbatté la porta con una violenza che non pensava di trovarsi addosso. In tutti quegli anni, egli aveva forse pensato di aver perdonato Giovanni, il suo gioco scorretto, la sua umiliazione; aveva forse pensato che ormai davvero tutto ciò che era stato appartenesse al solo passato, aveva pensato, semplicemente, di aver scordato tutto e tutto perdonato. Ma non era così, Rosso si era sbagliato, non aveva capito: egli aveva dimenticato che, ora che le tracce di Missingno si erano perdute su di lui, egli era tornato uomo e rancoroso, come tutti gli esseri umani. Ed era ora proprio la sua umanità ritrovata a spingerlo al suo odio profondo: egli in quegli occhi vedeva non lo sguardo di un uomo, ma quello dell’uomo che l’aveva sconfitto; e molto di più, poiché quell’uomo aveva abbandonato suo figlio che si era affidato a lui proprio nel momento in cui egli non aveva potuto soccorrerlo. Rosso ricordava quei limpidi occhi di Blu, dopotutto, così com’erano stati quando Giovanni aveva riparato all’estero, ed egli aveva amato Blu anche in quel momento.

Ora fronteggiava immobile quel colosso di altezza e di prestanza fisica: Giovanni aveva cinquantasei anni, ma ancora era identico all’uomo che lo aveva umiliato, ormai molti anni prima, a pochi chilometri di distanza. Eppure, per quanta rabbia provasse, Rosso non sapeva trovare parole per esprimerla. Per un attimo, forse, Giovanni avrebbe persino potuto vedere nei suoi occhi un ultimo fantasma di quei terribili bagliori allucinanti, ma poi Rosso parlò: “Che ci fai qui?”

Era una domanda sciocca, una domanda banale. Avrebbe potuto chiedere milioni di altre cose e invece… ora doveva ascoltare.

Ma Giovanni sorrise leggermente, di un sorriso pallido e amaro che non si estese ai suoi occhi. “Potrei fare a te la stessa domanda” disse lentamente, “Ho tutti i diritti di essere qui. Io ho comprato questa casa per mio figlio, dopotutto, molti anni fa.”

“Io abito qui, ora!” ruggì Rosso e istintivamente si scagliò in avanti di un passo. Giovanni sollevò con calma una mano: “Non ti agitare, Rosso. So che vivi con Blu, ora.”

“Perché sei tornato?” esclamò ancora Rosso.

“L’avevo promesso a Blu” rispose con calma Giovanni. “Avevo promesso che sarei tornato a prendermi cura della sua vita. Perché non sarei dovuto tornare?”

“Perché sei solo un bastardo!” gridò Rosso. Tremava tutto, con una violenza tale che credette di scoppiare, e invece si trattenne. Gridò: “Hai abbandonato Blu quando lui aveva più bisogno di te, quando…”

“Quando tu lo avevi appena abbandonato” rispose Giovanni. “Pochi giorni prima che tu lo abbandonassi di nuovo, per il tuo viaggio.”

“Intendi forse rinfacciarmelo?” domandò Rosso. “Non ero suo padre!”

“No, non lo eri, è vero” rispose Giovanni. “Ma verso di lui non avevi meno impegni di quanti ne avessi io, poiché vi amavate; e dopotutto, è pur sempre vero che io avevo motivi validi per abbandonare Kanto: per causa tua, la polizia era sul punto di arrestarmi, e quand’anche poi fossi riuscito a evitare questo pericolo, non avrei certo potuto sottrarmi alla furia di Mewtwo. Non erano dunque questi ottimi motivi per abbandonare Kanto?”

“Sta’ pur certo che Mewtwo non avrebbe tentato mai nulla per vendicarsi di te” rispose Rosso. “Credi forse che egli fosse di spirito malvagio come credi? Era libero, e libero non aveva bisogno di vendicarsi.”

“Dimentichi l’altro motivo” disse allora Giovanni. “Avrei dovuto permettere a mio figlio di vedermi in prigione?”

“Questo motivo è solo colpa tua” esclamò Rosso.  “Avresti potuto rinunciare, smettere anni fa, vent’anni fa, quando è morta Ambra, quando Blu era piccolo, quando te l’ha chiesto il professor Oak. Allora no che non saresti finito in prigione, stanne certo! Allora non c’erano prove delle tue attività.”

Per la prima volta nel corso di quella conversazione, Giovanni parve dubitare un momento della forza delle sue ragioni. Si mise seduto per mascherare quell’istante di fragilità e disse: “Non sai di cosa stai parlando.”

“Forse ne so più di te” replicò Rosso, avanzandosi di un passo ora che la stanza si era sgombrata un po’ di quella ingombrante presenza. “Io ho sconfitto Team Rocket.”

“Ti dico che non sai” disse Giovanni alzando gli occhi su di lui; e per un attimo Rosso si spaventò al vedere quegli occhi. Poiché quello era uno sguardo di uomo, uno sguardo che pareva perduto e affranto, molto profondamente lacerato e perplesso. No, quelli non erano gli occhi che Rosso ricordava da quel giorno di tanti anni prima, e che forse in più di una occasione egli aveva confuso con quelli azzurri e luminosi di Mewtwo: erano quelli di un uomo, e d’un tratto Rosso ricordò il suono di parole che aveva udite tanti anni prima: se sei come me, dei tuoi fantasmi non ti libererai mai e poi mai.

Subito le parole di Giovanni confermarono il suo pensiero. Egli si alzò, come riscuotendosi, e voltandogli le spalle distolse gli occhi da lui. Disse: “Credi tu che sia facile? Credi tu che sarebbe stato facile, dopo anni d’attività, dopo anni d’impegno… credi tu che se avessi tutto abbandonato nel nome del mio amore per Ambra, per amore di Blu, sarebbe stata semplice, sicura, la nostra vita…?”

“Questo non è un motivo!” gridò Rosso. “Bisognava impegnarsi, combattere, decidere, pensare alla vita di Blu…”

“E i fantasmi?” esclamò allora Giovanni, volgendosi di scatto: i suoi occhi ora fiammeggiavano, “Non mi comprendi proprio tu, Rosso, tu che per sette anni sei rimasto confinato sulla cima di quella montagna, prigioniero di un sogno che a nessuno era dato sapere… oh, non dire che non comprendi, Rosso: proprio tu dovresti esser capace di capire cosa vuol dire, aver qualche ricordo che non si sa come dimenticare…”

Allora Rosso tacque, si accese in viso di vergogna: era vero… sì, sul Monte Argento era stato Missingno a tenere prigioniera e avvinta la sua vita, colla prospettiva di un grande destino e di un premio per la sua smisurata ambizione: non era, dopotutto, solo colpa sua… Ma prima, prima di quella terribile notte, non c’era nessun Missingno a guidare le sue azioni: solo la sua triste volontà l’aveva trascinato per Kanto in preda a quella lucida follia…

Era la prima volta che Rosso comprendeva almeno in parte la grande somiglianza tra lui e Giovanni: quella fortissima sensazione che vi fosse qualcosa in tutto il mondo che bisognava assolutamente fare, qualcosa che non era né chiaro né definito, qualcosa che forse non era neppure possibile, ma che andava perlomeno inseguito, tentato, fino alla fine, fino alla morte. Si sedette scrutando Giovanni. Vi erano riusciti entrambi, alla fine? Sì, lui, Rosso, vi era riuscito: aveva portato Luisa da Missingno, e questo era quanto. Aveva impiegato venti anni. E Giovanni, invece, di anni ne aveva impiegati cinquanta: aveva perso tutto, aveva ucciso sua moglie, trascurato suo figlio. Ma ora non poteva più odiarlo così tanto: dopotutto, lui stesso aveva per anni abbandonato Blu…

Giovanni lo scrutava ora con calma fissità. Disse: “Mi comprendi, tu?”

“Sì” disse Rosso. Era più calmo. Proseguì: “Per quanti anni hai inseguito Mewtwo?”

“Non ero molto più grande di voi due quando partiste per il vostro viaggio” disse Giovanni. “Lo vidi, un giorno… Mew, intendo dire. Oh, lo so che può sembrarti strano” soggiunse. “Forse erano altri tempi… eppure lo vidi, lo vidi con l’intensità con cui tu hai veduto Mewtwo… l’ho amato con la stessa forza con cui tu hai amata la tua ambizione. L’hai mai veduto, tu, Mew?” domandò.

“Non dal vivo” mentì Rosso, che non voleva parlargli di Luisa. Giovanni sorrise.

“Non puoi capire, allora… no, che sciocco! Forse puoi. Mai nulla del genere avevo provato per un Pokémon, mai nulla per una donna. Ciò che provai per Ambra, molti anni dopo…”

“Non era lo stesso” disse Rosso alzando le spalle, sorpreso anche solo che Giovanni sentisse il bisogno di specificare quella differenza. Mai nella sua vita egli aveva paragonato, neppure soltanto nella sua propria mente, l’amore per Blu a quello per la sua ambizione.

“No, non era lo stesso. Ho amato Ambra di tutto l’amore che ho potuto, e di certo non è stato abbastanza, ma è stato molto; ma Mew era diverso. Era quel desiderio insaziabile, insanabile, di possesso, di controllo, di…”

“Quello è stato il mio troppo amore, il mio grande errore. Ambra è morta mentre io cercavo Mew, e trovavo Mewtwo… e solo quando è morta ho visto che per colpa del mio sogno, avevo ucciso mia moglie… che ero solo, solo con mio figlio, e che rischiavo, mio malgrado, di uccidere anche lui, poiché nonostante tutto il mio sogno era più forte, di lui, più forte di me… più forte, molto più forte della mia volontà. E poi, mi sono occorsi dieci anni per portare davvero a termine l’esperimento. E non ho avuto Mew…”

“Che cos’hai provato?” domandò Rosso con vivo interesse. Era il primo essere umano che gli descriveva esattamente ciò che lui stesso aveva provato per Ho-Oh…

“Era finita” disse Giovanni. La sua voce pareva vibrare ultimamente come di un’ultima nota interminabile, ma davvero ultima; egli chinò gli occhi. “Non Mew, ma Mewtwo; e nella rabbia malvagia che gli leggevo in viso, io rivedevo tutti gli orrori che lo avevano creato, tutti gli omicidi, gli abusi, le cattiverie… io, io avevo fatto tutto ciò! Per Mew, per i grandi occhi azzurri di Mew che io volevo rivedere! E allora era ovvio, era normale che non fosse Mew, che fosse un altro Pokémon, un Pokémon diverso, un Pokémon malvagio…”

“Non malvagio” tentò di dire Rosso, ma invano: Giovanni non lo sentì.

“Mi era rimasto un desiderio grande di Mew, ma non era più lo stesso desiderio di un tempo: ora era un desiderio umano, un desiderio normale, accettabile, un rimpianto dolce e melanconico, ma che non guidava più le mie azioni; solo, qualche volta, qualche mio sogno…”

“Era come svegliarsi dopo aver dormito molto, molto a lungo… tutto per me era nuovo, tutto diverso. Molte cose erano accadute nel corso del mio sonno, nel corso dei miei incubi… ora era difficile affrontare la realtà. Avevo Mewtwo, che non era la creatura intangibile che io avevo per anni sognata e vagheggiata, ma che era più simile a me; era una macchina creata per la guerra, per combattere; e io la usai per combattere contro quel mondo che si era trasformato mentre io non guardavo. Avevo un figlio, un figlio che in tutti quegli anni era cresciuto troppo lontano da me, e che ora non sapevo più come raggiungere: Blu si allenava con me, viveva con me, ma non riusciva, dopotutto, a comunicare… e sapevo che lui provava un tormento forte, che era innamorato, questo lo sentivo, ne ero consapevole, ma non sapevo come toccarlo, come raggiungerlo…”

“E poi, Mewtwo è scappato, tu hai sconfitto il mio impero, Blu ha perduto contro la Lega Pokémon; ed è arrivato l’esilio per me. Era la giusta punizione per aver dato troppa attenzione al mio sogno, e troppa poca alla mia vita…”

Calò il silenzio, per un po’. Rosso ora taceva con calma; il suo respiro stesso si era fatto più quieto, ora. Quanto era appena accaduto era davvero incredibile: forse, pensò Rosso, avrebbe dovuto cessare di aspettarsi qualsiasi cosa dalla propria vita.

Alzando lo sguardo, ricordò come da un passato lontanissimo che Giovanni non era solo il suo ultimo nemico: era il padre di Blu…

“Ti dispiace che io viva con Blu, ora?” domandò. Giovanni scosse il capo.

“No” disse. “No, Rosso…anzi, ne sono felice. Avevo paura che Blu restasse solo.” Rosso non rispose: pensava agli anni che Blu aveva effettivamente trascorso senza di lui.

“Dove sei stato finora?” domandò per distogliere la mente da quel pensiero.

“Conosci la regione di Unima?” domandò Giovanni. “È lontano da qui, è molto distante e diversa dalle nostre regioni. Ho vissuto là, dove nessuno sapeva neppure che vi fosse stato mai un Giovanni a capo di un Team Rocket…”

“Ti mancava Blu?”

“Forse che a te non mancava, lassù?” replicò Giovanni.

“Che domanda sciocca” rispose Rosso. “Mancava come l’aria, mancava come il calore del sole che lassù non si sentiva; mancava come l’erba verde che era sempre sotto la neve. Mancava come le mani di mia madre; mancava come tutto il mondo che in anni di esilio avevo dimenticato, mancava come la verità che non riuscivo a raggiungere, perché purtroppo non era sul monte dove io la cercavo.”

“Hai capito, dunque” disse Giovanni.

Sì, Rosso aveva capito: aveva rammentato quel sentimento di nostalgia profonda, che aveva assunto le forme non di una sensazione forte e struggente ma di qualcosa di più profondamente radicato e intrinseco, come se mancasse l’acqua, come se mancasse l’aria.

Ora Giovanni era seduto, era vicino a lui, vicinissimo a lui… Rosso non gli era stato mai vicino così. D’improvviso Rosso si alzò e indietreggiò: un ultimo barlume del suo odio lo spingeva ad allontanarsi dalla sua grande massa imponente e virile, ma poi, per mascherare il suo impulso, cominciò a muoversi nervosamente per quella cucina, come mosso da bel altro tipo d’istinto. Domandò: “E ora cos’è che ti ha spinto a tornare? Perché ora, perché oggi? Sai bene che domani è Natale.”

“Blu” rispose Giovanni semplicemente.

“Dopo nove anni” disse Rosso voltandosi con inquietudine.

“Sì, dopo nove anni” replicò Giovanni. “Sì, dopo il mio esilio… per donare di nuovo a mio figlio un vero Natale come gliene ho troppi sottratti.”

Di nuovo Rosso avrebbe voluto replicare, ma di nuovo s’interruppe, si trattenne. Non sapeva più come rispondere, come reagire… ricordava molto vagamente di aver voluto aggredire Giovanni, di essersi voluto vendicare, sino a non poi molti minuti prima; eppure ora non lo ricordava davvero più. Gli pareva di cercare in sé una rabbia che neppure lui stesso riusciva più a provare.

“Che cosa farai, ora?” domandò senza forze.

“Vivrò qui, o a Smeraldopoli” disse Giovanni. Poi, vedendo lo sguardo sorpreso di Rosso, disse ridendo: “No, non temere! Non intendo certo vivere in questa casa: ora Blu ha la sua felicità con te, e tanto mi basta. Voglio solo trovare un posto dove vivere in pace, lontano da tutto quello che ho voluto costruire e insieme distruggere, e vicino, per quanto possibile, alla felicità dell’unica creatura al mondo che io abbia amata tanto e che io sia riuscito a salvare, allontanandolo dalla mia affannosa ricerca…”

Rosso alzò con un qualche stupore gli occhi su di lui. Ecco, ora aveva capito cosa doveva fare.

 

Eccomi di nuovo qua! Ho avuto qualche giorno di ritardo nell’aggiornamento, ma come al solito nel troiaio della mia camera avevo perso il foglio sul quale avevo scritto l’ultima parte di questo capitolo e tutto quello seguente ^^ un ringraziamento a Gleeklove, che di certo si aspettava che avessi perso il foglio.

Baci :)

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Afaneia