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Autore: GretaTK    14/08/2012    7 recensioni
"Quello era il loro giorno di riposo dopo la conclusione ufficiale del nuovo album, e David, imprecando, si stava chiedendo perché allora il suo telefono di casa squillasse imperterrito, svegliandolo bruscamente e senza dargli pace. [...]
-Pronto?-
-Buongiorno, ehm… c’è David Jost per caso?- domandò una voce femminile dall’altra parte della cornetta.
Era troppo sottile e fragile per essere quella di una donna adulta, ma qualcosa in quel tono determinato ed ansioso nello stesso momento, aveva già una parvenza di maturità intellettuale più che fisica.
-Si, sono io, chi parla?-
-Sono Hanna-
-Mi dispiace, non conosco nessuna Hanna-
-Forse non mi sono spiegata bene. Sono tua figlia Hanna. Io e Lynet siamo appena atterrate ad Amburgo, puoi venirci a prendere?-.
Il silenzio di tomba che ne seguì fu la prova schiacciante di come il fiato di David si bloccò nel bel mezzo della sua gola, così come il cuore."
Tratto dal secondo capitolo.
Spero vi piaccia :) 
Genere: Comico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi quii Aliens ! Ho fatto prestissimo questa volta ! Sono sinceramente stupita di me stessa *^*
Questo capitolo lo trovo decisamente più carino del precedente , e spero lo apprezziate tanto quanto l'ho fatto io !
Sinceramente l'ho appena finito , e come al solito l'ho ricontrollato alla veloce x3
Fatemi sapere che ne pensate , vi prego ! Non vi chiedo tanto , solo di spendere mezzo minuto per lasciarmi una recensione qualunque !
Dopotutto , il tempo per leggere la mia storia lo trovate , no ? Cosa vi cambiano 30 secondi in più !? :(
Comunque , ora che mi viene in mente , questo molto probabilmente è il penultimo capitolo , e devo ancora decidere se fare un epilogo o meno .
Beh , ora me ne vado e vi lascio in pace ! Godetevi il diciottesimo capitolo della mia Fiction !
Un bacio ( anche se mi fate disperare ! xP )
Vostra GretaTK





Capitolo 18, Siamo uno come lo Yin e lo Yang.







Le urla, gli schiamazzi, le lacrime.
Mille e mille voci unite in un unico grande coro indefinito e caotico.
Le luci forti, il palco enorme, la musica e la voce del cantante.
Era un'emozione incomparabile a qualsiasi altra cosa per le Aliens presenti al concerto.
Ai loro occhi sembrava tutto un sogno, come se stessero guardando i loro idoli da uno schermo gigantesco.
Non riuscivano proprio a concepire che quei quattro ragazzi davanti a loro, intenti a suonare sul palco, erano reali e proprio lì, a pochi metri da loro.
Erano carne e ossa, sangue e cuore.
Sì, quattro cuori che battevano veloci, allo stesso ritmo di quelli delle fan presenti in quel Palasport di Tokyo.
Loro non lo sapevano, nessuno di loro poteva saperlo, ma erano un tutt'uno.
I Tokio Hotel e le Aliens formavano un unico elemento.
Forte, magico, infinito.
Indistruttibile.
Erano come una grande famiglia piena d'amore e di comprensione.
Non importava quanto gli interessi, il modo di vestire o le abitudini fossero diverse.
Loro erano finalmente riuniti sotto lo stesso tetto, e questo bastava per capire che, nonostante tutto, dentro ogni fan c'era un pezzetto del gruppo, e viceversa.
Non avevano lo stesso sangue in circolo nelle vene, ma il loro cuore batteva per la stessa cosa, e questo li rendeva tutti fratelli e sorelle d'anima, e non c'è cosa più meravigliosa sulla faccia della Terra.
Dopotutto i parenti non puoi sceglierteli, e non possono starti per forza simpatici, mentre il legarsi così profondamente ad una persona considerandola parte di te e della tua famiglia è una scelta cosciente e voluta, con tutta tè stessa.
E tutte quelle persone presenti al concerto non volevano altro che quei quattro ragazzi nella loro vita.
E, anche se non lo erano proprio fisicamente, i Tokio Hotel erano sempre con loro, in ogni momento.
Erano parte integrante del loro cuore, e della loro anima, e proprio per questo non avrebbero mai potuto abbandonarle nemmeno volendo.
Cosa che, in ogni caso, non avrebbero mai desiderato fare.
 
 




 

[ *** ]

 
 



-Siete stati fantastici ragazzi!- urlò Lynet eccitata, correndo incontro ai ragazzi che avevano appena messo piede nel corridoio del backstage.
Si congratulò con tutti e quattro, soffermandosi un po’ di più con Bill, che la baciò dolcemente trattenendole il viso fra le mani.
Lei si lasciò totalmente andare a quel contatto, sperando con tutto il cuore che non finisse mai.
Non gli importava nemmeno di trovarsi in mezzo ad un corridoio affollato dove chiunque avrebbe potuto vederli.
Tutto ciò che voleva era proprio lì, fra le sue braccia e a contatto con le sue labbra, e tutto il resto del mondo poteva anche sparire per quel che le importava.
Quando il cantante si staccò da lei, osservò incantato il suo volto, notando che teneva ancora gli occhi chiusi.
Sorrise intenerito, per poi lasciarle un bacio delicato sulla fronte.
-Il tuo modo di stupirti di ogni cosa grande o piccola della vita riesce a darmi il coraggio di credere che non è tutto perso a questo mondo. Tu mi dai speranza, Lynet, quella speranza che credevo di aver perso, ma che ora si è risvegliata dentro me-.
La ragazza aprì gli occhi, fondendo le sue iridi cioccolato in quelle nocciola del cantante, sentendosi magicamente parte di qualcosa di grande.
Qualcosa che comprendeva entrambi e che, dentro di lei, sentiva sarebbe durato per sempre.
-Sei tu il motivo per il quale guardo alla vita come a qualcosa di fantastico. In te ho trovato un motivo per vivere appieno la vita, coi suoi lati brutti e con quelli belli-
-E di quale faccio parte, io?- domandò malizioso il cantante, sorridendo in modo sghembo e portando una ciocca di capelli dietro l'orecchio di Lyn.
-Di quelli brutti, ovviamente!-.
Per un primo momento il cantante rimase stupito dalla risposta della ragazza, ma dopo poco meno di due secondi scoppiò a ridere insieme a lei, passandole un braccio attorno alle spalle e dirigendosi con le verso il loro camerino.
Sentendola al suo fianco non poté fare a meno di pensare a quanto fosse assurdo e magnifico tutto quello.
Finalmente, dopo tanti anni di dolore e rassegnazione, si erano ritrovati, e dentro di sé sentiva che, questa volta, tutto sarebbe stato diverso, migliore.
-Ammettilo, all'inizio ci eri rimasto malissimo!- esclamò divertita la mora, riprendendo poi a ridere.
A quel suono acuto ma cristallino, Bill provò dei brividi intensi passargli lungo tutta la schiena.
Si era sempre chiesto se la felicità si potesse calcolare o associare a qualche profumo o luogo, ed ora aveva trovato la sua risposta.
La felicità era il suono delle risate di Lynet.
Se lei era felice, lo era inevitabilmente anche lui.
 
 





 

[ *** ]

 




 
-Ho tanta voglia di stare un po’ da solo con te- le sussurrò vicino all'orecchio, col capo appoggiato alla sua spalla e le braccia avvinghiate alla sua esile vita.
-Ho sentito bene? Credo che tu abbia sbagliato a parlare. Sicuramente volevi dire che hai tanta voglia di fare sesso con me-.
Il ragazzo si alzò di scatto, guardandola con occhi sbarrati.
-Ma non è vero! Io voglio davvero...-
-Shh- lo intimò lei, poggiandole l'indice sulle labbra -Stavo solo scherzando, Tom. Anche io ho tanta voglia di stare con te-.
Il broncio preoccupato del ragazzo si trasformò in un sorriso bellissimo, così luminoso da poter mozzare il fiato a chiunque.
Il cuore di Hanna cominciò a scalpitare impazzito, come se qualcuno gli avesse iniettato una dose eccessiva di adrenalina nelle vene.
Ed infondo, era proprio così.
Era stato lui, col suo sorriso sincero e splendente ad averla fatta agitare tanto.
Senza pensarci due volte, Hanna si avvicinò velocemente a lui, catturando le labbra del ragazzo con le sue.
Gli mise le mani sul viso, mentre lui la strinse con più vigore alla vita, attirandola a sé.
Quando i loro corpi furono del tutto a contatto l'uno con l'altro, una scarica elettrica li aveva fatti rabbrividire fino a triplicare in loro la voglia di stringersi e di sentirsi.
Il loro bacio appassionato diventava sempre più profondo e quasi disperato, come se volessero diventare veramente un'unica persona, fin nell'anima.
Quando furono senza fiato troncarono quel contatto, senza però osare allontanarsi di un solo millimetro.
Tenevano la fronte appoggiata l'una contro l'altra, con le palpebre abbassate ed i respiri affannati e veloci.
Nessuno dei due aveva mai provato prima in vita sua un bisogno tanto forte ed insaziabile di aversi e di sentirsi di proprietà esclusiva di qualcun altro.
Era più che amore il loro, era qualcosa che superava i limiti del sentire umano, come se tutto ciò che avevano a disposizione per esprimere i loro sentimenti non bastasse mai.
Era straziante quella sensazione di impotenza e limitazione, ma, ad essere sinceri, non dispiaceva a nessuno dei due.
Se non fossero mai stati in grado di far uscire tutto il loro amore ed il loro desiderio dal loro corpo, sarebbe stato solo un bene, perché questo non avrebbe fatto altro che far aumentare il bisogno impellente l'uno dell'altra e, se non ci fosse mai stata la possibilità di esprimere del tutto quelle emozioni, esse non sarebbero mai potute svanire, rendendoli in grado di stare insieme fino alla fine dei loro giorni, ed anche oltre.
Abbracciandosi stretti l'uno all'altra, Hanna si perse ad osservare il paesaggio che scorreva veloce sotto ai suoi occhi.
L'autostrada era caotica come al solito, ma aldilà del guardrail i piccoli campi, che terminavano poco più in là, all'inizio della città vera e propria, erano una distesa di bianco intenso.
Tutto ciò non poteva che emozionarla.
Odiava profondamente il freddo, ma la neve le era sempre piaciuta, soprattutto quando se ne stava in casa ad osservarla scendere con lentezza comodamente seduta sotto alla finestra, circondata da una coperta di lana e con una fumante tazza di caffè-latte fra le mani.
Le dava una sensazione di pace infinita la neve, come se tutto il frustrante caos nella sua mente svanisse solo perdendosi ad osservarla.
-A che pensi?- le domandò Tom a bassa voce, osservandola incuriosito.
-Alla neve. E' così bella- mormorò lei, con gli occhi che le brillavano.
Lui sorrise, pensando a quanto potesse essere forte e determinata, ma anche piccola ed ingenua nello stesso istante.
-No, tu lo sei-.
La biondina spostò velocemente lo sguardo dal panorama per puntarlo dritto dritto negli occhi del chitarrista.
Non seppe cosa dire.
O meglio, non trovò il modo per esprimere a parole ciò che sentiva, così decise di ascoltare semplicemente il suo cuore, che gli suggeriva solamente una cosa: abbracciarlo.
Avvinghiò le braccia al suo collo e strinse quanto più poteva, nascondendo il viso fra di esse.
Il respiro di Hanna era lento e profondo, ed il suo fiato caldo e rassicurante.
Lo sentiva sul collo e sulle spalle, donandogli una sensazione di pace interiore che non avrebbe mai pensato di poter provare in vita sua.
Era diverso dal respiro di tutte quelle donne che c'erano state prima di Hanna.
Quelli proprio non li sopportava.
Era per quel motivo che, terminato il divertimento, Tom le aveva sempre cacciate via.
Non voleva assolutamente dormire con loro perché le loro braccia ed il loro fiato sul suo corpo gli davano fastidio.
Ma Hanna era diversa da chiunque altra, e lei era l'unica che poteva e che avrebbe mai potuto godere della compagnia di Tom in ogni modo possibile.
Lui era disposto a tutto per lei, perché se gli era accanto aveva la forza di fare qualsiasi cosa.
Ed il suo respiro, scontrandosi con la sua pelle, gli faceva percepire quanto Hanna gli fosse vicina, e non solo fisicamente.
Quel calore che emanava lo raggiungeva fin nell'angolo più profondo e buio di sé stesso, scaldandolo come niente altro al mondo.
Ed in quel momento capì perfettamente che era quello il vero significato delle parole "appartenenza", "vicinanza" e "comprensione".
E quelle parole, associate al viso di Hanna, poteva essere riunite in un unico gruppo, chiamato "felicità".
Eh sì, perché il suo essergli così adorante non poteva far altro che rallegrarlo sinceramente.
Allora è questa ciò che chiamano felicità, pensò fra sé e sé stringendola a sua volta, tanto forte da sentirsi scoppiare il cuore.
 
 




 

[ *** ]

 



 
La sala riunioni dell'albergo, nonostante l'ora tarda, era occupata dalla band insieme al manager, Benjamin, Silke e Dunja.
Tutti gli altri membri della crew, compresi i bodyguards, erano già nelle loro stanze, probabilmente al calduccio sotto alle coperte o mezzi assonnati difronte alla tv che, sicuramente, andava per il niente.
Le gemelle invece avevano preferito aspettare i ragazzi e il padre nella hall dell'hotel, comodamente sedute sulle poltroncine in velluto bordeaux.
Ad entrambe si chiudevano gli occhi dalla stanchezza, ma non volevano cedere a quel torpore che, malignamente, cercava di trascinarle fra le braccia di Morfeo.
Ma, nonostante questo, loro erano decise più che mai ad aspettare la fine della riunione.
Il motivo era più che comprensibile.
Quella notte le ragazze non avrebbero dormito nella stessa stanza e, per non farsi scoprire dal padre, avrebbero dovuto farsi vedere mentre entravano nella loro suite.
Poi si sarebbero cambiate e, successivamente, sarebbero sgattaiolate una nella camera di Bill e una in quella di Tom.
Avevano bisogno di stare vicino a loro, quella notte.
Il giorno dopo sarebbero tornate in Germania, e nessuno di loro poteva sapere cosa sarebbe successo.
E se Karoline avesse avuto nuovamente la meglio su di loro? Non avrebbero sopportato l'idea di non aver approfittato di stare al loro fianco per un'ultima volta.
Già sapevano che non avrebbero chiuso occhio tutta la notte, comunque.
Sarebbero state talmente agitate che sarebbe stato impossibile azzittire i pensieri e lasciarsi cullare dalle braccia di Morfeo.
Avrebbero passato la notte ad osservare quei due ragazzi che loro ormai consideravano Angeli.
I loro Angeli Custodi.
Si sarebbero stampate ad inchiostro indelebile ogni lineamento, caratteristica e neo del loro viso nella memoria.
Avrebbero conservato con estrema gelosia la loro immagine nel cuore, così che, appena avrebbero abbassato le palpebre, si sarebbero trovate dinnanzi la loro immagine in modo nitido e ben definito, così da riuscire a sentirli almeno un po’ vicino nonostante la distanza che li avrebbe separati.
Sempre se sarebbero stati divisi di nuovo.
Le ragazze speravano con tutte loro stesse che quel fatto non si sarebbe ripetuto, e per questo il loro piccolo organo posizionato a sinistra del petto non la smetteva un solo attimo di battere a velocità assurde.
-Non ce la faccio più-.
Hanna si voltò verso la sorella che, con la testa poggiata alla testiera della poltrona, fissava distratta l'alto soffitto ocra dell'hotel.
Non ci fu bisogno di altre futili parole, perché la bionda capì immediatamente che Lynet non si stava riferendo all'attesa dell'uscita dei ragazzi e di David dalla sala, bensì all'ansia e irrequietezza che quella dannata tachicardia non aveva intenzione di far cessare.
Hanna, senza aprire bocca, le prese una mano fra la sua, e la strinse forte.
Con quel contatto gli trasmise tutta la sua comprensione e la sua vicinanza in modo tanto dolce e sincero che Lynet non poté che sorridere fra sé, senza staccare comunque gli occhi dal soffitto.
-Sai, Hanna, credo che, qualunque cosa accadrà domani, noi resteremo per sempre di loro proprietà, così come loro due con noi. Nessuna distanza e nemmeno lo scorrere del tempo potrà mai cambiare questa cosa. E' una consapevolezza agghiacciante, nonostante tutto, non trovi?-.
La biondina si voltò nuovamente a fissarla, catalogando le parole della gemella, pensandole più e più volte, senza mai trovare una risposta adatta.
Si sentiva così sciocca in quel momento.
Non aveva più nemmeno la forza di parlare.
Si stava fasciando la testa prima che fosse rotta e, questo, la faceva inevitabilmente chiudere in sé stessa, a differenza di Lynet che, invece, aveva l'estremo bisogno di parlare e sfogarsi.
Per sua fortuna, anche se la sorella non era più nelle facoltà di formulare frasi di senso compiuto, rimaneva comunque un'ottima ascoltatrice.
Improvvisamente la porta della sala riunioni si spalancò, e le persone al suo interno cominciarono ad uscire una dietro l'altra.
Arrivati nella hall, le ragazze si alzarono dalle poltroncine, avviandosi con tutti loro nell'ascensore.
Bill, vedendo Lynet andargli incontro, le sorrise dolcemente, guardandola con così tanto amore da poter commuovere persino il più insensibile degli Uomini.
Lei ricambiò il sorriso, e le loro dita si intrecciarono senza nemmeno riceverne il comando dal cervello.
Era una cosa automatica, spontanea. Un gesto dettato dai sentimenti, e non dalla razionalità.
Appena furono nell'ascensore, Tom, ben nascosto dagli sguardi indiscreti di David grazie alla presenza di altre quattro persone davanti a lui, abbracciò Hanna dal dietro, attirandola a sé e facendola aderire perfettamente al suo corpo.
La biondina, a contatto con quel calore rassicurante, chiuse gli occhi e si lasciò cullare dolcemente dalle sue braccia forti che la trattenevano in un modo così soffocante da suonare come una promessa.
Ed infondo lei sapeva davvero che Tom, con quell'abbraccio, le stava confessando tutti i suoi sentimenti nei suoi confronti senza alcuna maschera a nasconderli.
D'altronde non era mai stato bravo con le parole, e faceva quel che poteva per farle capire ciò che la sua voce non era in grado di spiegarle.
E ad Hanna bastava quello, non aveva bisogno d'altro.
Per lei non era importante il modo in cui una persona esprimeva i suoi sentimenti, bensì che lo facesse, e basta.
Dopotutto nella vita la cosa più importante è raggiungere uno scopo che ci si è prefissati, e non la maniera con cui ci si arriva.
Se davvero vuoi qualcosa, la raggiungi senza il minimo scrupolo, facendo tutto quello che ti è possibile, anche se questo, a volte, comporta conseguenze che devi essere disposta ad affrontare.
E lei, per Tom, sarebbe stata in grado di accettare qualsiasi condizione per averlo ma, soprattutto, per renderlo felice.
Qualsiasi.
Persino quella di sparire per sempre dalla sua vita, se lui gliel'avesse chiesto.
Nonostante sia una ragazza combattiva e che non si fa mettere i piedi in testa, Hanna avrebbe comunque accettato la sua scelta, se questo lo avrebbe rallegrato.
Perderlo per renderlo felice era un prezzo che sarebbe stata disposta a pagare, se fosse stato necessario.
I suoi pensieri vennero interrotti dai delicati baci del ragazzo che, con estrema lentezza, le percorreva tutto il collo, fino ad arrivare al suo orecchio.
Lei, essendo ultra sensibile in quella zona, non poté che mettersi a ridere.
Tutti si voltarono verso Hanna e Tom, osservandoli incuriositi, incrociando le gote imporporate di lei ed il sorrisetto divertito di lui.
Se si fossero trovati in un'altra situazione, Hanna li avrebbe sicuramente guardati accigliata, per poi domandare, con ben poco tatto, un: "Che cavolo avete da guardare?".
Ma la verità era che quel ragazzo le distruggeva ogni difesa.
Si sentiva sempre così piccola ed insignificante al suo fianco, come se la luce emanata da Tom coprisse inevitabilmente la sua.
Lui era il suo Sole, e lei un piccolo satellite solitario che godeva della sua aura dorata e bollente per poter risplendere a sua volta.
Hanna si sentiva un niente in confronto a Tom, un puntino lontano e pallido nel bel mezzo dell'Universo che aveva bisogno della sua luce per sopravvivere, proprio come la Luna con il Sole.
Qualsiasi cosa facesse, aveva l'impressione che non avrebbe mai potuto raggiungere il suo splendore abbagliante.
Finalmente l'ascensore si fermò, ed Hanna poté riprendere a respirare ora che i presenti avevano distolto gli sguardi da loro.
Ognuno si diresse verso la propria camera, augurando la buonanotte nel corridoio prima di ritirarsi nei rispettivi alloggi.
-Buonanotte, bambine mie- le salutò dolcemente David, dando un bacio sulla guancia ad entrambe le sue figlie.
-'Notte papà- ricambiarono all'unisono, sorridendogli intenerite.
Appena David fu nella sua stanza, le gemelle si scambiarono uno sguardo fugace con i due Kaulitz che risposero con un cenno del capo.
Lynet ed Hanna si catapultarono nella loro camera cambiandosi in fretta e furia, per poi ispezionare furtivamente il corridoio e, infine, raggiungere le suite dei rispettivi ragazzi.
-Allora la tengo io la chiave della stanza?- domandò Lynet in un bisbiglio, dopo aver picchiettato delicatamente sull'uscio della stanza di Bill.
-Sì, è meglio! Tu solitamente ti svegli prima di me, almeno quando dobbiamo tornare nella nostra camera non mi devi aspettare in corridoio!-
-D'accordo, allora buonanotte- le augurò la mora, poco prima che la porta difronte a lei si aprisse.
-'Notte anche a voi- sussurrò ai due, prima di vederli scomparire dietro l'uscio della loro camera e notare che Tom le aveva appena aperto.
-Wow, chi è questa gran gnocca che ha appena bussato alla mia porta?- domandò retorico il chitarrista, squadrandola con malizia pura nelle iridi e leccandosi ammiccante il piercing al labbro.
-Ti interessa davvero sapere il mio nome?- stette al gioco lei, ricambiando lo sguardo con la stessa bramosia.
-Sì, almeno so che nome devo urlare quando arriverò all'orgasmo-
-Tom!- lo rimproverò lei, lasciandosi però scappare una risata divertita.
Il ragazzo si lasciò contagiare dal suo sorriso e, ridendo insieme a lei, la issò su una spalla per portarla nella penombra della camera.
Quella notte, al sicuro fra quelle braccia, entrambe le gemelle si ritrovarono presto nel mondo dei sogni.
Avevano dato per scontato che non si sarebbero addormentate nemmeno se avessero ingerito del sonnifero, ed invece, a contatto col corpo dei loro ragazzi, ogni pensiero e timore si era volatilizzato come fumo nel vento.
Ormai erano consapevoli che quei due, per loro, erano una cura a tutti i mali.
Persino alla paura agghiacciante che provavano ogni volta che gli occhi scuri di Karoline emergevano dalle loro menti.
Niente e nessuno poteva spaventarle se al loro fianco c'erano Bill e Tom, e quella nuova consapevolezza le rese ancora più sicure del fatto che, quell'amore, era terribilmente giusto.
Si sentivano uno come lo Yin e lo Yang.
 




 

 

[ *** ]

 





 
-È tutto confermato, Signora Keller. Il volo che le riporterà ad Amburgo partirà domani sera alle nove, parlando col fuso orario di Tokyo. Calcolando le dodici ore di viaggio più il cambiamento del fuso, in Germania sarà l’una di notte quando arriveranno-
-Perfetto- affermò maligna la donna, con un sorriso molto simile a un ghigno -La ringrazio tanto per il lavoro impeccabile che ha svolto. I soldi che le spettano le verranno accreditati sul suo conto corrente domani mattina-
-Non mi ringrazi, è il mio lavoro, dopotutto. Arrivederci Signora Keller, se avrà bisogno di altri servizi in futuro non esiti a chiamarmi-
-Ne terrò conto- rispose la donna, nonostante sapesse che non avrebbe più usufruito di lui -Arrivederci, è stato un piacere-
-Il piacere è stato tutto mio-.
E, detto questo, entrambi conclusero la chiamata, pienamente soddisfatti.
Dopodomani ci sarà una bella sorpresa per voi, care le mie figlie adorate, pensò sarcastica, pregustandosi già il sapore fresco e frizzante della vittoria.
-Ora che tutto è sistemato, posso anche pensare a come far fallire te, mio caro Gabriel. Ti pentirai amaramente di avermi voltato le spalle!-.
Dopo aver espresso i suoi pensieri ad alta voce, la donna si alzò dal divano e, dopo aver spento le luci del piano inferiore, percorse le scale raggiungendo la sua camera da letto.
Si arrotolò fra le coperte, ancora trepidante per i successi appena raggiunti.
Prima di farsi trascinare nel mondo dei sogni, però, si voltò verso il comodino alla sua destra ed afferrò il Black Berri per spegnerlo, ma qualcosa glielo impedì.
L’icona gialla dei messaggi lampeggiava sullo schermo touch, e qualcosa nel suo modo di risplendere sul display, la mise a disagio.
Non che la luminosità dell’icona cambiasse come ne aveva voglia, ma la donna percepì chiaramente puzza di guai in quella bustina virtuale.
Probabilmente, nonostante fosse fredda come un iceberg, il suo sesto senso femminile la mise comunque all’erta.
Cosa vuoi che sia?, pensò fra sé e sé, ma stranamente, quell’auto-incoraggiamento, non funzionò affatto.
Dopo aver preso un respiro profondo ed essersi auto-etichettata come una fifona da quattro soldi, Karoline aprì il messaggio, e ciò che vi lesse la rese pallida come un lenzuolo.
 

 

Ti lascio il beneficio di credere di aver vinto anche questa volta perché sono pur sempre un gentiluomo, Karol, nonostante ti odi tanto,
però cerca di credere meno in tè stessa perché, a quanto vedo, ad avere troppa autostima ti sei fregata da sola.
Ci vediamo dopodomani, Karoline, perché lo so che verrai, ti conosco troppo bene per esserne certo.
A presto, D.”.

 
La donna non seppe di preciso cosa intendeva con il fatto che si fosse fregata da sola.
Insomma, era impossibile che avesse commesso qualche errore! Lei non sbagliava mai.
Evidentemente le aveva detto quelle cose solo per farla preoccupare.
Eppure, alla sua stessa rassicurazione, non ci credeva nemmeno lei.
David non si era mai spinto tanto in là da mandarle un messaggio in quegli ultimi due anni e mezzo e, se questa volta aveva trovato il coraggio, significava solo una cosa: guai in vista.
E, per la prima volta in vita sua, l’astuta ed imbattibile avvocatessa Karoline Keller sì sentì con le spalle al muro.
Era una sensazione che non aveva mai provato prima d’ora e, al solo pensare che era stato proprio lui a metterla in quella condizione, la spaventava maggiormente.
Che, per una volta tanto, qualcuno avesse trovato il modo di batterla?
Non poteva ancora trovare una risposta, ma i dubbi erano tanti, e sempre più insistenti.
Non le era mai successo prima di sentire la sua sicurezza scivolarle via di dosso come un getto d’acqua dalla pelle e, per quanto possa sembrare impossibile, si sentì vulnerabile.
Karoline era in trappola, e quella sensazione di impotenza la spaventava come niente altro al mondo.
Avrebbe dovuto mettere alla prova la sua astuzia per l’ennesima volta, ma questa volta non era più tanto sicura di vincere.

  
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