Un'AU
scolastica. Non so se desiderare un biscotto o una randellata sulle
gengive.
Mentre
ci penso, facciamo i ri-ri-riauguri a Nakaba,
che anche quest'anno è invecchiata (9/8) con la consueta classe che
contraddistingue lei e il suo neurone Nathaniel ùù
Attenzione:
l'avvertimento demenziale è lì per più di una solida
motivazione.
Piano B
Neji
Hyuuga faceva il rappresentante di istituto dall'alba dei tempi –
cioè, quattro anni – ed era stato eletto sempre praticamente
all'unanimità. Era intelligente – un vero genio –, carismatico,
organizzato e sicuro di sé. La Sorte, o anche semplicemente
l'evoluzione, l'avevano scelto come Individuo Adatto Allo Scopo:
si era candidato ed era stato eletto, come ovvia conseguenza del suo
essere se stesso. E così per gli anni seguenti, fino al fatidico
giorno in cui s'era svegliato Naruto Uzumaki.
Ora,
invero, Naruto Uzumaki era sveglio da secoli: era entrato
nell'istituto lo stesso anno di Neji, salvo farsi brillantemente
bocciare, anche a causa di una settimana di sospensione che si era
giustamente meritato, dopo aver imbrattato l'intera Aula Magna –
foto dei passati presidi comprese – accampando come scusa che a
quel modo fosse “più allegra”. La sua carriera scolastica era
proseguita così, tra assenze ingiustificate, rumore e risse di cui
noiosamente Neji veniva informato dal collegio docenti a cadenza
mensile. Un tipo problematico, ecco; uno sfigato con problemi
relazionali e in costante ricerca d'attenzione, sosteneva
rispettosamente il genio, nel suo intimo.
La
cosa non l'aveva minimamente toccato finché quello sfigato con
problemi relazionali non aveva deciso – così come la gente normale
decide di comprarsi delle scarpe nuove – che quell'anno sarebbe
stato eletto rappresentate d'istituto, dattebayo!
A
massacrare le sue certezze, da quel dì Naruto Uzumaki si era
rivelato ben diverso da come i suoi turbolenti primi anni l'avevano
pubblicizzato: rumoroso, sì, ma anche biondissimo, arancione,
carismatico – estremamente carismatico –, gioviale,
sconvolgentemente generoso e altruista, senza un briciolo di malizia
e naturalmente dotato de Il Sorriso Che Scalda I Cuori.
«Buongiorno,
avversario!» gli berciò nelle orecchie proprio quel Naruto Uzumaki,
non appena lo vide varcare la soglia dell'aula magna. Era già sul
palchetto ad armeggiare con un microfono – più precisamente, stava
cercando di impiccarcisi mentre Sakura Haruno, della sua sezione, si
ingegnava a sistemare l'arsenale elettronico antidiluviano offerto
dalle finanze statali.
Neji,
ancora a metà strada tra le file disordinate di sedie, lo squadrò
con aria critica per qualche lungo secondo, rispondendo al suo
entusiasmo unicamente con un cenno del capo, prima che la sua
attenzione fosse, come ogni volta, irrimediabilmente catturata dal
Maligno.
Il
principale problema di Naruto Uzumaki, difatti, non era tanto
l'essere Naruto Uzumaki, bensì l'avere attorno Sasuke Uchiha: con i
suoi capelli neri, la sua faccia pallida da “ogni giorno dalla
mia nascita non è giornata” e la sua ferma intenzione di fare
in modo che il suo migliore amico – sì, quell'Uzumaki lì –
diventasse alla svelta rappresentate di istituto, così da non dover
più subire l'assillo del “diventerò rappresentate d'istituto,
'ttebayo!”.
Di
fatto, sarebbe stato molto più logico che a candidarsi fosse stato
Sasuke stesso, già per il semplice fatto che la sua sola bella
presenza gli sarebbe valsa l'appoggio dell'intera popolazione
femminile della scuola; ma evidentemente Uchiha preferiva sostenere
da dietro le quinte, ovvero stare seduto mollemente in aula magna
alle otto del mattino, con una sigaretta in mano a litigare stizzito
con Sai e la gigantografia del volantino che lui avrebbe dovuto
appiccicare al muro. A quanto pareva, dalla sua angolazione anche un
asse cartesiano gli sarebbe sembrato storto.
«Sasuke,
mettiti gli occhiali e piantala di assillarlo, è dritto!» gli gridò
Naruto, dentro al microfono che credeva spento. Il fischiò per poco
non fece cadere Neji, che andò a barcollare qualche metro più in
là.
Ignorando
la rispostaccia di Sasuke – in merito al luogo in cui Naruto si
sarebbe dovuto ficcare gli occhiali di cui lui non necessitava
affatto, guai a sostenere il contrario –, Hyuuga si concesse una
panoramica dell'aula, corrucciato: dov'erano Tenten e Rock Lee, per
esempio? Era già abbastanza intollerabile essere arrivato in ritardo
rispetto alla cricca di Naruto Uzumaki for president – così
recitava l'imbarazzante volantino disegnato da Sai –, ma non poteva
tollerare di essere lasciato solo nel momento del bisogno proprio da
quelli che avrebbero dovuto essere i suoi migliori amici. Il Destino
si stava facendo beffe di lui, da un po' di tempo a quella parte –
in verità dalla sua nascita, ma anche semplicemente a concentrarsi
sull'ultimo mese, c'era dell'ottimo materiale su cui lavorare.
Per
esempio, perché Sasuke Uchiha era sempre tra i piedi? E perché lo
guardava così fisso?
«Non
si fuma nei locali della scuola!» realizzò, dopo averlo studiato a
sua volta per quasi un minuto intero senza quasi accorgersi della
sigaretta accesa, che invece avrebbe dovuto notare per prima. A
pochi metri da loro, Sakura stava cercando di strozzare Naruto col
filo del microfono per ragioni ignote, ma Sasuke non ne parve
toccato.
«E
quindi?»
Strafottente
testa di cazzo.
«E
quindi sono ancora il rappresentate in carica degli studenti. Sei
pregato di non infrangere le regole davanti a me».
«Puoi
voltarti dall'altra parte, non te lo impedirò».
Strafottente,
arrogante, irritante testa di cazzo.
Resistette
per altri quindici lunghissimi secondi in cui la testa di cazzo in
questione aspirò una boccata con l'aria di non essere molto pratico,
ma sufficientemente determinato, finché Neji si ritrovò a inspirare
a sua volta troppi centimetri cubi di fumo passivo: la cosa non giovò
ai suoi nervi.
«Fuori,
Uchiha» sillabò, monolitico nella sua autorevolezza.
Sasuke
lo squadrò da capo a piedi per l'ennesima volta e Neji sostenne il
suo sguardo fosco con maestosa imperturbabilità; fu una piccola
vittoria vederlo alzarsi svogliatamente e precederlo lungo l'aula,
diretto all'uscita.
Lo
seguì deciso sia ad assicurarsi che lui non sgattaiolasse nuovamente
dentro sia, principalmente, per provare ad avvistare Tenten o Lee:
avrebbe tanto desiderato possedere una supervista a trecentosessanta
gradi, ma si dovette limitare a sporgersi dal cancello e spiare
guardingo lungo la strada, solo per individuare sparuti gruppi di
studenti perdigiorno che sembravano tutti squinternati potenziali
elettori di Naruto Uzumaki.
Percorse
a ritroso il breve tratto di cortile, solo per ritrovarsi ancora
davanti la faccia di Sasuke Uchiha. La faccia soddisfatta di Sasuke
Uchiha.
«Uchiha»
chiamò, quando ancora mancavano tre gradini a separarli – ma il
fatto che l'altro fosse in una posizione sopraelevata non istillava
comunque il minimo dubbio in Neji su chi fosse effettivamente
superiore. «Tu non hai idea del perché Tenten e Rock Lee non siano
già qui, vero?»
Le
sopracciglia di Sasuke non si mossero d'un millimetro.
«Dovrei?»
Paranoia.
Era sicuramente paranoia: Sasuke Uchiha non aveva rapito i suoi
collaboratori per intralciare le elezioni. Insomma, siamo seri:
Naruto pareva tenerci parecchio alla carica e così Neji stesso, ma
queste cose ai confini della realtà, con lotte all'ultimo sangue per
questioni pressoché ridicole, esistevano solo nei manga. Neji trasse
un breve respiro seccato e si convinse che, semplicemente, a Lee non
fosse suonata la sveglia e Tenten stesse già sotto casa sua a
lanciargli oggetti contundenti contro la finestra: tutto regolare,
nessun contorto complotto da menti malate.
Poi
però la campanella suonò, e Neji riconobbe parecchi studenti del
suo anno che sciamavano fiacchi nell'aula magna; la stessa aula magna
in cui Naruto Uzumaki aveva sistemato volantini e microfoni
circondato da entusiastico sostegno morale, mentre lui stava lì ad
aspettare quelli che con i suoi volantini e il suo sostegno morale si
stavano lavando i denti, presumibilmente.
«'Giorno
Hyuuga» lo salutò Temari, del suo anno. Neji le rispose con un
cenno breve alquanto rigido e la guardò passeggiare seriosa seguita
dai fratelli, Kankuro e Gaara. Si sentì alquanto abbandonato, mentre
anche le loro schiene si allontanavano per prendere posto nell'aula
mezza vuota; vittima del Fato e degli amici idioti: possibile che
persino Tenten e Lee fossero rimasti a dormire come metà del corpo
studentesco, quello composto da amebe disinteressate alla vita
scolastica? Maledizione.
«Maledizione».
Neji
aggrottò le sopracciglia: lui l'aveva solo pensato, mica detto. Si
voltò di scatto, solo per doversi poi trattenere dall'arretrare
appiccicato al muro. Non l'aveva sentito avvicinarsi, ma Sasuke
Uchiha era accanto a lui, e spiava con occhio altrettanto critico la
situazione all'interno dell'aula. Neji fece per dire qualcosa –
anche semplicemente “come ti salta in testa di spuntare così alle
spalle della gente” –, ma quello lo precedette, volandosi verso
di lui con una determinazione inquietante dipinta negli occhi.
«Devi
venire con me» spiegò, diretto e conciso.
Per
un momento – un momento di panico nebuloso – la mente di Neji fu
attraversata da implicazioni sconvolgenti: una proposta del genere,
con quella foga così sfrontata da affascinarlo, gli era arrivata
solo da una ragazza, una volta. Cioè, aveva ricevuto una serie
infinita di proposte più o meno sensuali, più o meno imbranate, più
o meno allettanti, ma non aveva mai ceduto a nessuna per ragioni che
si era sempre astenuto bene dall'approfondire. La sola volta che
davvero l'idea di intrattenere rapporti più stretti con un individuo
di sesso femminile gli aveva veramente sfiorato la fantasia, era
stata con Temari, che gli si era proposta con la sicurezza di chi non
accetta un no perché sicura delle sue carte. Poi non aveva
funzionato – e Neji sapeva che era stata colpa sua, ma non voleva
approfondire il motivo, Destino infame – e così aveva accantonato
nuovamente la questione, nell'archivio delle cose “meno importanti
del test d'ammissione all'università”.
Ora,
Sasuke Uchiha non era una ragazza, ma il geniale cervello che Neji si
ritrovava lo aveva collegato a Temari in maniera così fluida da fare
spavento e fu principalmente per questo – l'essere rimasto
allocchito con la bocca semiaperta –, che Sasuke poté prendere
corpo e cervello e spintonarli direttamente via, lontano
dall'ingresso dell'aula magna, verso le scale laterali che
conducevano in palestra.
Neji
si trovò coi piedi sul parquet senza avere la più pallida idea di
come ci fossero arrivati e per un lungo momento restò a fissare
imbambolato il canestro rotto che penzolava sulla sua testa, prima
che un rumoraccio cigolante lo riportasse nel mondo degli esseri
senzienti.
«Che
diavolo stai facendo?» domandò un poco vacuo alla schiena di Sasuke
Uchiha, che armeggiava vicino alla porta come un capomastro.
Lui
non si voltò.
«Chiudo
a chiave. Le ho prese stamattina dalla guardiola».
Il
mento di Neji fece quasi per annuire – è che quello lì aveva
detto in un tono talmente compreso, come stesse spiegando un nesso
causale che era un capolavoro di linearità, piuttosto che delirando
dentro una palestra –, prima di realizzare l'assurdità della
frase.
«Le
hai rubate dalla guardiola?»
«Preferirei
considerarlo un prestito» rispose Sasuke neutro, prima di voltarsi
finalmente a guardarlo. «È colpa tua e di questa scuola di merda,
io non volevo arrivare ad usare il piano B».
Certo.
Il piano B.
«Il
cosa, di grazia?»
«Il
piano B. Adesso siediti pure, perché resteremo qui dentro per un bel
po'. Ed è una fortuna che non ti abbia dovuto stordire».
Certo,
stordire. Sicuro! Cosa c'era in quelle sigarette?
«Uchiha,
di cosa diavolo stai parlando?»
Sasuke
Uchiha si permise persino di indulgere in un'occhiata di
commiserazione nei suoi confronti – come fosse stato Neji e non
lui, lo psicolabile in preda al delirio –, prima di andare ad
accomodarsi su una delle panche accanto all'armadietto delle palle, a
litigare con l'accendino quasi scarico.
Assodato
che non avrebbe ricevuto risposta, Neji si diresse a gran passi
davanti a lui, per poi piantare i piedi a terra con un cigolio di
suole sul legno. Sasuke gli rifilò un'occhiata obliqua, prima di
decidersi a voltare del tutto il capo.
«Te
lo chiedo un'altra volta, Uchiha: cosa diavolo ci facciamo qui?»
Sinceramente,
Neji si chiese da dove gli uscisse tutta quella pazienza: un altro,
davanti agli occhi al cielo di quella testa di cazzo, sarebbe già
partito con i pugni. Lui si limitò invece ad irrigidire i muscoli
facciali, in attesa, incurante persino del fumo che salì a prudergli
contro le narici.
Quando
Sasuke si alzò in piedi, a fronteggiarlo, di nuovo la testa di Neji
giocò sporco sparandogli davanti agli occhi un'immagine inquietante
– inquietantissima – di un bacio hollywoodiano con tanto di
colonna sonora che gli costò un'espressione da gatto abbagliato dai
fari sulla statale e il conseguente sguardo di sufficienza di Sasuke.
Questi, lungi dall'essersi trasformato in Audrey Hepburn, si era
semplicemente alzato per portarsi al suo livello e spiegargli meglio,
con lo stesso tono del cattivo di qualche remake scadente di 007,
che l'aveva intenzionalmente chiuso in palestra e che ivi sarebbero
rimasti fino alla fine dell'assemblea di istituto, amen.
Neji
soffocò dignitosamente con l'aria, gli occhi che sfuggirono prima
alla porte poi alle finestre, solo per tornare increduli sulla
faccia perfettamente seria di Sasuke.
«Stai
scherzando».
«Per
niente» replicò lui, convinto. «Non ho alcuna intenzione di subire
un altro anno di questa tiritera delirante: Naruto vincerà queste
maledette elezioni e le vincerà oggi, fosse l'ultima cosa che
faccio».
Ed
era serio. Seriamente serio: la serietà fatta persona. La
proverbiale sicurezza di Neji Hyuuga vacillò.
«Aspetta,
ricapitoliamo: tu mi hai rapito perché Uzumaki possa vincere le
elezioni a tavolino?» e se non era sicuro che fosse stata una buona
idea chiedere una cosa tanto ridicola, a sentire la risposta comprese
che avrebbe decisamente fatto meglio a restare zitto.
«Naruto
aveva tutte le possibilità di vincere, ma è troppo ingenuo.
Praticamente tutti quelli che voterebbero per lui, sono anche tutti
quelli che mai e poi mai rinuncerebbero ad un giorno di assenza
giustificata solo per partecipare a qualcosa di frivolo come
un'assemblea» enunciò, lineare. «Hai visto anche tu: quei quattro
gatti che si sono presentati sono tutti tuoi compagni di classe o
comunque gente che partecipa alle attività extrascolastiche, che ti
conosce e che quindi ti voterà: non ci sarebbe stata storia. Da qui,
il piano B».
Neji
si rifiutò categoricamente di domandare quale fosse il piano A.
«Ovviamente,
Naruto non lo sa. E sarà meglio che non lo venga mai a sapere»
concluse Sasuke, e l'ultima frase suonò alquanto minacciosa.
«No,
Uchiha, apri le orecchie e ascoltami bene: tu mi hai rapito?»
Sasuke
parve ponderare la questione per qualche momento, assorto.
«Teoricamente
suppongo che la terminologia corretta sia “sequestro di persona”,
però fossi in te non la farei così tragica».
«Uchiha,
tu mi hai rapito!»
«Vuoi
denunciarmi?»
«No,
voglio spaccarti la faccia!»
Neji
si accorse d'aver alzato la voce solo quando la sua eco riverberò
contro il soffitto alto della palestra; fissò ancora Sasuke negli
occhi, chiedendosi se per caso non stesse avendo a che fare con un
pazzo pericoloso. Infine giudicò che la sua cintura di karate
sarebbe bastata a salvarlo nel caso lui si fosse dimostrato poco
collaborativo, così trasse un profondo respiro, inspirando fumo e
tutta la pazienza che aveva sudato via, per poi semplicemente
limitarsi a tendere una mano verso di lui, il palmo in alto.
«Le
chiavi» ordinò, rigido.
Sasuke
incrociò le braccia e dell'illogico disappunto gli si coagulò in
viso. Aggrottò le sopracciglia, cupo.
«Non
te le do, credevo d'essere stato chiaro».
«Certo.
E mi sembra chiaro che, se adesso non me le dai, non finirà bene per
te».
«Non
essere idiota, Hyuuga, posso stenderti quando voglio».
Restarono
immobili a fissarsi torvi per un lungo momento; all'esterno, Neji fu
sicuro d'udire il brusio che annunciava l'inizio dell'assemblea.
«Qui
c'è un solo idiota e non sono io. Ora, dammi quelle chiavi e può
darsi che io decida di dimenticare questa delirante faccenda, invece
che denunciarti».
«Sono
minorenne, idiota. Non finirei comunque in galera» gli sibilò
in risposta, acido.
«Potrei
comunque uscire dalla finestra, siamo al primo piano» osservò di
rimando, nel tentativo vano di ricercare un filo logico in tutta
quella folle situazione. Davvero, in qualunque modo fosse finita,
prima di tutto avrebbe fatto sì che lo psicolabile fosse seguito da
uno specialista, perché lasciare a piede libero gente del genere era
contro il senso civico.
«È
per questo che mi sono chiuso con te, invece di chiuderti da
solo. Se ti avvicini ad una finestra, ti stendo».
«Sequestro
di persona e violenza?»
«Parli
come se avessi progettato di stuprarti, Nejiko».
Al
che, accaddero due cose contemporaneamente: all'esterno,
l'impassibile Neji Hyuuga usò la mano che ancora teneva tesa dinanzi
a sé per spintonare Sasuke Uchiha contro la panca e farlo ricadere
seduto come un sacco di patate. Nella sua testa, che aveva di recente
scoperto essere un ricettacolo di immagini compromettenti, lui e
Sasuke Uchiha, per l'occasione nudo, lo facevano sui tappetoni del
salto in alto in compagnia di un pallone da basket e una racchetta da
tennis tavolo. La sconvolgente visione che occupò un intero emisfero
cerebrale per quasi un secondo, servì a Sasuke per assestargli una
ginocchiata nelle parti basse e lasciarselo crollare addosso
incurante del suo rantolo sofferente.
«Non
eri cintura nera di qualcosa, tu?» dovette pure sentirsi
sbeffeggiare, tra l'altro contro il suo orecchio, direttamente dal
fiato caldo e puzzolente di sigaretta di quell'individuo disturbato –
l'individuo disturbato che gli attivava il lobo pornografico del
cervello, per di più.
Recuperò
abbastanza in fretta da decidere che anche basta: quella
situazione si stava tirando troppo per le lunghe, apriva scenari
terrificanti e lui aveva un'elezione da portare a termine.
«Hyuuga,
che cazzo stai facendo?» ringhiò Sasuke, quando ruzzolarono
entrambi giù dalla panca, avviluppati in un groviglio rissoso.
«Prendo
quelle dannate chiavi!»
Sotto
le sue mani, Sasuke sgusciò di lato per poi cercare di rifilargli
una gomitata; Neji schivò ruotando sul ginocchio e sarebbe quasi
riuscito a bloccarlo a terra, se quello non gli avesse assestato una
capocciata da trauma cranico. La visuale di Neji si riempì per un
momento di uno sfarfallio luminoso che gli calò davanti agli occhi
come un sipario, lasciandolo stordito e a stento consapevole d'essere
mezzo accasciato sul pavimento di una palestra; registrò solo
vagamente le braccia di Sasuke che si agitavano contro di lui per
liberarsi del suo peso. Quando la nebbia luminosa si fu diradata,
però, era così furioso che, al diavolo la dignità, agguantò le
caviglie di Sasuke e, senza risparmiarsi un rantolo belluino, lo fece
crollare schiena a terra in un tonfo sordo.
«Cintura
nera di karate, Uchiha» gli ansimò contro, una volta assicuratosi
d'averlo bloccato in via definitiva. «Ma non disdegno il judo».
Lui
rispose solo con uno sguardo di raggelante astio, tutt'altro che
domato; Neji lo ignorò, ignorò il fatto d'essere seduto cavalcioni
su di lui e tutte le conseguenti, preoccupanti immagini che il suo
cervello vittima degli ormoni gli inviava, per concentrarsi
esclusivamente nella ricerca di quelle dannate chiavi.
Che
non erano in nessuno dei due palmi riottosi che dovette forzare
all'inverosimile per aprire, non erano nelle tasche né da nessuna
altra parte.
«Dove
le hai messe?» si ritrovò a domandare, stizzito e quasi retorico:
sicuramente erano cadute da qualche parte durante la colluttazione,
ma non potevano essere lontane e...
«Le
ho messe dove non puoi prenderle» lo interruppe Sasuke, tronfio.
Le
sopracciglia di Neji si esibirono in un tuffo corrucciato al centro
della sua fronte.
«Non
le hai ingoiate, Uchiha, c'è attaccato l'orribile portachiavi della
preside» sentenziò, mostrandosi sicuro. Non era certo che Sasuke
Uchiha non fosse abbastanza psicopatico da aver trovato il modo di
mandare giù il pupazzetto a forma di lumaca grosso come un indice
che penzolava dal mazzo di chiavi, ma che fosse riuscito a ingoiare
quello e del metallo così, come un drogato professionista, gli
pareva seriamente improbabile. O comunque apriva scenari ancora più
destabilizzanti sulla reale natura delle sue già evidenti
psicopatologie.
«Non
le ho ingoiate, imbecille» ribatté fortunatamente il pazzo, ancora
steso a terra. E mentre lui sembrava inspiegabilmente più rilassato,
Neji si irrigidì di reazione.
Distolse
lo sguardo e percorse il pavimento polveroso con le pupille, attento.
«E
non sono cadute» aggiunse però la voce ora vagamente vittoriosa di
Sasuke, che si era messo a studiare il soffitto con espressione di
neutro distacco.
Le
palpebre di Neji si assottigliarono quasi automaticamente, con
sospetto. Senza sciogliere la presa, percorse con lo sguardo l'intero
corpo sotto di lui: sicuramente non se l'era ficcate nella maglietta,
sarebbero cadute subito; voltò il collo per studiargli le scarpe e i
calzini, ma anche lì nessun rigonfiamento sospetto. Rigonfiamento.
Sospetto.
Neji
serrò le palpebre, cercando di calmarsi.
Non
sarebbe finito in balia di quello psicolabile, no – e non ne era
per niente già in balia: aveva tutto sotto controllo –, era fuori
discussione. Doveva calmarsi e ragionare con lucidità, come sempre.
«Uchiha»
cominciò, trovando difficile articolare suoni. «Dimmi che non te le
sei infilate nelle mutande».
Sotto
di lui, le labbra di Sasuke si stirarono un poco in disappunto.
«Non
che ci fossero molti altri posti» spiegò, serioso.
«Uchiha,
ti sei infilato le chiavi nelle mutande!»
«Non
dirlo come se fossi fuori di testa. Dove avrei dovuto metterle
secondo sua signoria il genio?» ebbe il coraggio di ribattere,
superiore. Neji lo sbatacchiò un poco contro il pavimento, incapace
di trattenersi.
«Non
puoi averle messe dentro le... Sasuke, dentro le mutande!»
«Perché
siamo passati al nome proprio?»
«Perché
hai messo le chiavi nelle mutande!»
E
quando lui sgranò gli occhi come a crederlo pazzo, Neji fu quasi
tentato di staccargli la testa lì, a mani nude.
«Per
non fartele prendere. Sei sicuro di essere un genio?»
«Non
era una domanda... Dei. Stiamo calmi» tentò, inutilmente.
Non stava calmo, non stava calmo per niente.
«Qui
l'unico agitato sei tu».
L'avrebbe
preso a pugni. Ecco cosa: la soluzione era prenderlo a pugni!
«Hyuuga,
togliti di dosso».
«No».
Sasuke
sbuffò, sollevando polvere e cominciando a mostrare segni di
insofferenza.
«Togliti
e basta».
«Dammi
le chiavi».
«No»
e ormai sibilava. «Togliti».
«Dammi
quelle maledette chiavi».
«Piuttosto
la morte».
Dei,
che drammatico.
«Uchiha,
te lo ripeto per l'ultima volta: se non mi dai quelle chiavi, me le
prendo da solo».
Sasuke
lo scrutò dubbioso per un lungo momento, poi emise uno sbuffo fin
troppo simile ad una risata di scherno.
«Non
ne hai il coraggio».
Neji
deglutì.
«Mi
stai dando del codardo?»
«Te
lo stai dando da solo».
«Uchiha,
io non ti infilerò le mani nelle mutande!»
«Vorrei
ben vedere, è per questo che le ho messe lì, quelle dannate
chiavi!»
E
Neji perse la calma. Lì per lì, diede la colpa al Destino, ma che
gli piacesse o meno era chiaro che la colpa fosse solo e unicamente
dei suoi ormoni.
«Sono
veramente basita».
Tsunade
Senju assestò una botta contro il piano della scrivania e un
fermacarte a forma di lumaca si spostò di qualche centimetro accanto
ad una pila di registri.
Sasuke,
seduto rigido sulla punta della sedia, taceva. Neji voleva un badile:
prima lo avrebbe usato per colpire lui, poi ci si sarebbe scavato la
fossa.
«È
tutto un enorme equivoco» provò a spiegarsi, ma qualcosa gli
bloccava la gola, rendendo le parole difficili a venir fuori. Doveva
essere una cosa grossa e ruvida dotata di due occhiacci spaventosi
quanto quelli di suo zio Hiashi. Quando sarebbe venuto a scoprire
che-
«Atti
osceni in luogo pubblico. Ecco per cosa vi arresterebbero, se la
scuola decidesse di denunciarvi! Atti osceni in luogo pubblico e
furto!» e la donna fece per tendere la mano verso le chiavi rimaste
sopra la scrivania. Poi evidentemente dovette ricordare dove erano
state rinvenute e lasciò perdere. Neji non riuscì a biasimarla e,
anzi, la considerazione seguente del suo cervello – a lui quel
posto non spiaceva – lo spronò a riacquistare la lucidità
necessaria a spostare l'attenzione su qualcosa di più pressante.
«Davvero,
è tutto un gigantesco, enorme equivoco. Possiamo spiegare».
Ma
Tsunade, una vena pulsante sulla tempia, non sembrava disposta a
sentire alcunché neanche da un ambasciatore straniero in missione di
pace, figurarsi da uno dei due studenti che erano stati beccati in
atteggiamenti equivoci in palestra solo venti minuti prima.
Quando
le porte si erano aperte di colpo, Neji era stato come scagliato
fuori dal suo corpo: l'aveva vista, la scena e non riusciva
minimamente a trovare un modo per spiegarla ad un ignaro, così come
ignari erano stati Naruto, Sai, Sakura, Temari e famiglia. C'era
stato un momento di silenzio statico, denso come fango e poi tutto il
suo genio, tutto il cervello che si diceva avesse, tutta la dignità,
tutto il suo essere Neji Hyuuga, ed il suo orgoglio di esserlo, erano
finiti in merda, bruciati in quattro parole: non è come sembra.
E se ci fosse rimasto, fuori del suo corpo, forse avrebbe riso: perché,
al contrario, sembrava proprio che lui avesse una
mano nei pantaloni mezzi abbassati di Sasuke Uchiha e che lo tenesse
ancorato al suolo con la forza, mentre lui si dibatteva furibondo
lanciandogli insulti coloriti di varia natura, molti dei quali
diretti ai suoi congiunti e ai suoi avi. Poi dalle mutande erano
cadute le chiavi e finalmente il tintinnio si era guadagnato anche
l'attenzione di Sasuke, che era rimasto zitto. Zitto e tendente al
verde, così come continuava ad essere anche ora, seduto accanto a
lui in un composto silenzio claustrale.
«'Eramente
delusa, Hyuuga!» stava insistendo la preside intanto, infervorata.
«I nostri migliori studenti, come vi è saltato in mente! Non
prenderò provvedimenti più gravi unicamente perché...»
Non
lo seppero mai, perché a quel punto entrò Naruto Uzumaki quasi
sfondando la porta, impegnato a gridare che Neji Hyuuga stava
stuprando il suo migliore amico e lui avrebbe testimoniato, seguito a
ruota da Sakura Haruno, Temari e famiglia e tutti i testimoni oculari
della presunta aggressione la cui unica vittima, sia chiaro, erano
state le chiavi rimaste troppo a lungo nelle mutande di Uchiha.
Il
colloquio con la preside si concluse con Naruto scazzottato dalla
stessa in un impeto stressato di insofferenza per tutto quel
trambusto e con Sai che, nel silenzio seguente, sorridendo svagato,
domandò tranquillissimo: «ma allora queste elezioni chi le ha
vinte?»
Gaara.
«Ma
quando si sarebbe candidato, Gaara?»
Sasuke
si prese tempo, steso sul letto a guardare il fumo della sigaretta
scivolare su.
«Che
ne so? Sono stato sospeso anche io, genio» gli soffiò, mentre
spegneva il mozzicone nel posacenere che in realtà era la tazza
della colazione di Neji – guai a farglielo notare. «Avranno
rifatto tutto da capo. Avrei dovuto pensarci che Naruto piuttosto che
accettare una vittoria a tavolino si sarebbe messo a sfondare porte
per trovarti».
Neji
si astenne dal ribattere qualcosa, perché sarebbe stato un
“ovviamente, psicopatico”. No: visto che tanto la sospensione
c'era e sarebbe durata fino alla fine della settimana, tanto valeva
utilizzare quei giorni in maniera fruttuosa: non bisogna opporsi al
Destino, era andata così.
«Pensa
ancora che volessi stuprarti?» domandò quindi, supino e rilassato,
perso ad osservare Sasuke che si liberava rudemente del lenzuolo e
poggiava i piedi a terra. «Lo pensa anche Sakura» rispose, anche se
non era esattamente una risposta; ma evidentemente non aveva voglia
di approfondire, perché semplicemente annunciò «vado a pisciare»,
con eccezionale compostezza nonostante le chiappe nude.
Neji
le seguì con lo sguardo fin dietro la porta, sospirando.
In
un colpo solo era riuscito a perdere le elezioni, farsi sospendere e
guadagnarsi la nomea di maniaco sessuale presumibilmente a vita: un
disastro.
Eppure,
steso nel suo letto alle undici del mattino, tra le lenzuola sfatte e
un sentore non troppo vago di sigaretta, non poté trattenere una
parte del suo cervello dal pensare che averci guadagnato la
possibilità di mettere le mani nelle mutande di Sasuke a piacimento,
fosse tutto sommato un contrappasso più che accettabile.
Stava
quasi per lasciarsi sfuggire un sorriso, quando di colpo si ricordò.
«Sasuke?»
chiese, al silenzio della casa vuota. Rispose prima lo sciacquone,
poi la solita voce bassa e seccata emise un grugnito di attesa.
Neji
tentennò, mentre le parole piano B gli ronzavano in testa con
preoccupazione crescente.
«Non
ho più sentito Rock Lee e Tenten».
Silenzio.
«Tu
non ne sai niente, vero?».
Ancora
silenzio
Al
timido cigolio della porta Neji, ormai seduto al centro del
materasso, serrò per un momento le palpebre.
«Tu
non ne sai niente» ritentò, duro.
Sasuke,
ancora platealmente nudo, roteò vago gli occhi, prima di grattarsi
brevemente la nuca.
«Potrei
essermene dimenticato».
«Dimenticato.
Dimenticato di cosa» non c'era bisogno di andare nel panico,
vero?
Dalla
faccia di Sasuke, vaga tensione mista a ritrosia sostenuta, sembrava
di sì.
«È
che... Ti ho poi parlato del piano A... ?»
FINE ? ò__ò
Nda
Doveva
essere una Neji/Sasuke, ma se li chiamate Ruggero e Gianfranco
secondo me è uguale.
Comunque.
“Ogni
giorno dalla mia nascita non è giornata” è uno slogan gentilmente
offertoci da slice,
che poi mi ucciderà per averla ingiustamente associata a Sasuke. Tra
l'altro c'è da fabbricarle un altarino, perché alle mie lagne
accorate, invece di mandarmi al diavolo, ha risposto suggerendomi
tipo tre trame molto più intelligenti di questa. Non sono riuscita
ad usarle, ma grazie per aver cercato di farmi scrivere qualcosa di
decentemente sensato XD
Per
l'ambientazione indefinito-occidentalizzata ci sono ben due motivi:
uno,
mi mancava il tempo di documentarmi sulle scuole giapponesi, quindi
per evitare inesattezze mi sono direttamente tenuta sul vago: siamo
da qualche parte e le scuole funzionano più o meno come da noi (cioè
male *collasso*). Due, in Giappone hanno le divise e le divise hanno
i *bleah*bottoni e poiché i *bleah*bottoni sono il Male, niente
divise (questo è invero irrilevante, ma fa sentire intimamente
meglio me e le mie psicosi).
Passando
alle cose importanti: buon compleanno alla nostra eccelsa Nakaba!,
fanciulla filosofeggiante a cui garbano pair che non stanno né in
cielo né in terra e che, come se non bastasse, contengono sempre
Sasuke XD
Questa
cosa è preoccupante, Jo. Trova una soluzione tipo subito. O almeno
entro l'anno prossimo, perché un'altra Neji/Sasuke (o
Ruggero/Gianfranco) potrebbe uccidermi *sviene*
I personaggi fortuna loro non mi appartengono, sono di quello squintern- ahn, del sensei Kishimoto.