Plic….Plic….Plic….plic...plic.
Un
rumore costante, ripetitivo,monotono.
Sempre
uguale, quasi meccanico nel suo indifferente ripetersi, eguale avvicendarsi,
come se il solo desiderio di variare di pochi, insignificanti, particolari in
modo da spezzare quella noiosa monodia in una ben più piacevole armonia, non lo
sfiorasse minimamente.
Plic…plic…plic.
Eguale…perfettamente eguale…
Lo
scorrere del tempo scandito dall’atono sobbalzare del silenzio.
Dal
suo rapido singhiozzare.
Plic…plic…plic….cinque secondi.
Il
pulsare di un cuore nel petto scavato dell’oscurità.
Plic…plic…plic….dieci secondi.
Il
ripetersi, lugubre melanconia, del ciclo della morte. Dalla roccia al cielo.
Dal cielo alla Roccia. Dalla roccia al…
Inuyasha
aprì gli occhi.
Attorno
a lui, il silenzio. Dinnanzi a sé, il nulla. Tenebre ed oscurità, e quella
debole sensazione di perdizione. Quasi un mormorio, quasi un irriducibile
fastidio per le sue membra immobili, per il suo corpo sopraffatto.
Esitò,
il fiato che si dilungava in un ampio sospiro, avido espandersi di ossa ora
appena visibili, ora languidamente affioranti dal pallore della pelle. E tossì.
Piano, debolmente, con fatica mentre un sapore di stantio fuoriusciva dalle sue
labbra come a ricordargli, giuda impenitente, che era da un po’ –giusto quel
che bastasse per rammaricarsene- che non toccava cibo.
Eppure
non sentiva fame. Non ora. Non ora che il suo corpo si era abituato all’idea
che ben presto, molto presto, non avrebbe più avuto bisogno di nulla.
Socchiuse
gli occhi. Buio dentro. E occhi di ghiaccio a scrutarlo nella miseria di quel
limbo. Occhi fissi, lucenti, opali sgranati nella penombra come iridi fisse di
predatore, di cacciatore.
Sospirò,
la testa che scivolava piano all’indietro incontrando assi di legno rosicchiate
dal tempo e dai topi.
“Suvvia
Inuyasha, non è il caso di essere così tristi” lo punzecchiò allora una voce
docilmente. La placida benevolenza dell’aguzzino che giochi, futile diletto,
con il proprio prigioniero preferito.
“I
tuoi uomini sono in salvo” tendersi di labbra sornione “E tuo fratello è stato
risparmiato. Il principe Haman ha promesso che non
gli verrà torto un capello nemmeno dopo che i lunghi anni di esilio lo avranno
ridotto ad un vecchio stanco, incurante di sicari e vendette”
Il
mezzo demone si diede appena la pena di arricciare il naso in un’espressione
infastidita. Quasi che qualcosa di molesto –forse una mosca- fosse proprio
allora volato li, fra una narice e l’altra.
“Oh
andiamo, Inuyasha” accendersi nel buio di un sorriso più chiaro degli altri,
più limpido di molti “Non sarai ancora arrabbiato per lo scherzetto di Zaccar, vero? Alla fin fine, che fossi stata io o il
Principe ad organizzare la presa della città non avrebbe fatto alcuna
differenza no? Un trono in frantumi è pur sempre un trono in frantumi. Poco
importa chi sia stato a vibrare il fatidico colpo.”
Il
mezzo demone si sforzò di concedere un mezzo sorriso al proprio interlocutore.
Un doloroso contrarsi di muscoli indolenziti, di pelle troppo secca, troppo
sottile per non spaccarsi inevitabilmente sotto quel gesto.
Grazie. E’ questo che
dovrei dire, no?
E
ripensò a quando, atterrando nel bel mezzo della guerriglia che infuriava nella
Sala da Ballo, egli non aveva potuto fare a meno di accostarsi a Kagome, unico volto riconoscibile in quella marmaglia e sibilarle,
lentamente “Dov’è Haman Yosei?”
per sentirsi rispondere con un sorriso sprezzante, la figura di Sango che faceva allora capolino dietro di lui ridacchiando
un “ Non è qui. Credo che Sesshoumaru e Inutaro Miyoshi lo stiano tenendo impegnato più a Nord”
Che simpatia.
Si
schiarì piano la gola riarsa, dita artigliate che si sollevavano scostando un
paio di ciocche argentee dal viso “Il Vostro Principe non ha mai avuto interesse
in Zaccar, non è vero?” chiese allora lentamente, il
tono che già pregustava la più ovvia delle risposte “Eravate voi, voi ribelli che bramavate la
rivalsa, la riconquista di ciò che fino all’ultimo era stato vostro”
Per
un attimo vi fu il silenzio, poi il suono di un sospiro leggero “Glielo
dovevamo” ammise allora la voce con sincerità, verità inappellabile “Ben pochi
Re avrebbero potuto essere paragonati a quello che il tuo caro fratello ha
trucidato senza pietà. Io, Sango e Moriku eravamo i suoi più fedeli servitori e come tali
prima ancora del trono, della guerra e di qualunque altra ribellione, era su di
voi, sui fratelli Miyoshi, che pretendevamo
soddisfazione” una pausa “Che tutto ciò fosse giocato a favore dei piani alti…è stata solo una fortuita coincidenza”
Nel
buio, Inuyasha avvertì un fin troppo noto touche rimanersene intrappolato fra le sue labbra mentre, in silenzio, prendeva
il più nobilmente possibile atto del fatto di essere stato ancora una volta ingannato
– e non lui solo – da tre semplici, infimi, umani.
Tre
umani che in silenzio avevano corrotto il carceriere di Kagome
affinché questi al posto che ucciderla la salvasse. Che avevano disperso in
tutta Yarda la voce che Zaccar
fosse rimasta sola e sguarnita, facile bersaglio di qualunque fuggitivo,
esiliato, reietto e vendicatore della conquista subita tempo addietro. Che
avevano provveduto affinché ogni nobile, ogni vassallo e infimo servitore se ne
rimanesse in religioso silenzio nel mentre che il golpe veniva ideato,
studiato, pianificato.
I
loro alleati.
L’attimo
prima tutti uniti sotto il vessillo Miyoshi e quello
dopo tutti stretti alle sottane del nuovo Re di turno, pronti a volgere le armi
ovunque egli desiderasse. Chissà che manna per loro scoprire che il grosso dell’esercito
Miyoshi si era allontanato dalla Città delle
meraviglie, marciando alla carica verso la trappola ordita da Haman Yosei, il nuovo stendardo
della resistenza all’oppressione.
Ed
in tutto quello, nel mobilitarsi di traditori vecchi e nuovi loro, Sango Miroku e Kagome, fedeli servi di un Re oramai trapassato ed ora
seduti tutti e tre attorno ad un unico tavolo intenti ad escogitare il modo più
semplice, più indolore e sicuro per separare l’unica forza, l’unica certezza
che ancora rimanesse ai Miyoshi per sopravvivere.
Come dividere Inuyasha
e Sesshoumaru?
Con
una smorfia, il mezzo demone avvertì se stesso sorridere ancora, piano,
malcelata ironia.
Di
sicuro l’idea non doveva aver tardato molto ad arrivare. In fondo le donne capiscono sempre quando le si sta guardando in quel modo. Magari il malcapitato di
turno no, o dolce ignaro, ma loro certamente si.
E Kagome,
malgrado tutto, malgrado si trovasse ad un passo dai Kami,
doveva per certo avuto modo di intuire
qualcosa dal loro ultimo incontro.
Che
fosse stato il bacio? O quel suo modo abbastanza sanguigno di rivelarle quanto
volentieri avrebbe voluto sbattersela a sangue? Possibile che il suo vago e rispettoso interesse fosse stato smascherato con tale facilità?
Un
nuovo sorriso, il capo di Inuyasha che prendeva a scuotersi un paio di volte di
propria sponte. “Lui mi desiderava. E
anche ora mi desidera” doveva aver concluso Kagome
mentre, viva e vegeta, si metteva seduta al tavolo dei traditori “Nel modo perverso, malato e abietto in cui
solo un demone può bramare una donna ma si, certamente lui ha avuto e tuttora ha
per me un riguardo che va al di là del semplice volermi morta” E nell’eco delle sue parole il susseguirsi
di quelle di Sango la quale qualche tempo lo
raggiungeva in viaggio verso il varco dello Tsii
“ Se la vuoi vieni a
prendertela. Lei è a Zaccar ed è molto probabile che
solo separandoti dall’unica possibilità che hai di contrastare questa rivolta,
nonché dal tuo unico e solo fratello, potrai rivederla”
Sorrise
ancora tra sé e sé, Inuyasha, la triste panoramica della propria sconfitta che
ora appariva quanto mai lineare, pulita, priva di qualsivoglia sbavatura che
deviasse dall’inevitabile –quanto scontato- epilogo.
Se la vuoi.
Queste
le parole di Sango.
E Lui la voleva, Kagome?
Questo
il suo unico, semplice, pensiero.
La voleva davvero? Ripensandoci ora a
mente fredda, un chiostro d’ombra a placare l’irrefrenabilità delle sue azioni,
quante probabilità avrebbero potuto esserci che lui, semplicemente, le avesse
riso in faccia chiedendole, cortesemente “Kagome
chi?”
Proprio
allora un alito di vento giunse al sottile olfatto di Inuyasha. Uno sbuffo dal
sentore dolce, pungente ed insieme soffice come seta. Aspirò piano, lentamente,
il puzzo di muffa e legno marcito che in un attimo smettevano di esistere in
onore di quell’unica fragranza, di quel solo e meraviglioso ricordo di
perfezione.
Che domanda ridicola.
Lei sapeva che lui
sarebbe arrivato. No, meglio, che sarebbe corso da lei il più in fretta
possibile. Un po’ per spezzarle l’osso del collo come aveva promesso. Un po’
perché in effetti era dal primo istante in cui l’aveva incontrata che ogni cosa
–guerra, potere, vendetta- avevano assunto toni tutt’altro che nitidi se
paragonati a lei, all’attrazione che quella stupida umana esercitava nei suoi
confronti.
Esisteva
qualcosa di più semplice, in fondo? Di più stupido e banale dell’aguzzino che
si invaghisca del proprio prigioniero? Forse, solo il medesimo prigioniero che
si infatui del proprio carceriere.
Se voleva Kagome?
Proprio
allora, con un movimento impercettibile, la figura dinnanzi Inuyasha si mosse
appena interrompendo il legame olfattivo che li univa. Sorrise ancora, questa
volta con una nota triste.
“Immagino
che l’ultimo bagno, l’ultimo che avevo appositamente chiesto ti venisse fatto
sia stato un toccasana” sputò freddamente “Una rinascita fra rose e profumi”
aggiunse.
Certo. Certo che la
voleva, dannazione.
“Non
avrei mai dovuto fidarmi di un tizio con la testa da maiale” continuò
stancamente “Di sicuro il tradimento più a buon mercato della storia.” concluse
con un sogghigno. Giusto il tempo di lasciar intendere a quale ricompensa stesse giusto alludendo.
La
voce attese per un attimo nel silenzio. Poi la sensazione che dall’ombra, ella gli
stesse cautamente sorridendo.
“Non
così a buon mercato, in realtà” fu la docile replica ”Quel suino sapeva il
fatto suo in quanto a zeri, ma alla fine siamo giunti ad un equo accordo.” il
mezzo demone le scoccò uno sguardo sornione “Di certo più equo di quanto avrei
mai potuto essere io” replicò piano. La voce gli sorrise di nuovo, un che di
divertito che per un attimo si sommava al veleno naturale delle parole “Poco ma
sicuro. Se fossi stato tu il secondino da corrompere l’unica mia chance sarebbe
stata quella di offrirmi a te con un bel fiocco in testa” replicò leggera.
Beffardo, Inuyasha scrollò piano le spalle. Un movimento a metà fra il complice
e il piccato che l’attimo dopo si tradusse nel suo scattare brutalmente in
avanti, il corpo ossuto a tendersi come una molla nella ferocia di un balzo, di
uno slancio che terminò il proprio corso solo nel clangore delle catene ai suoi
polsi, sordo tramestio ad un soffio, a pochi centimetri dalle labbra di Kagome.
Certo che la voleva.
Che la desiderava. Che ora, forse per l’ultima volta, avrebbe dato ogni cosa
per farla sua.
“Giusta intuizione” sibilò con una smorfia.
Tese, le sue braccia vibrarono di una forza viva, presente, giusto il preambolo
di ciò che ancora avrebbero potuto fare se solo, se solamente avesse voluto “Anche
se dubito che anche allora avrei accettato la gentile offerta. Il tuo pugnale
conficcato nella schiena avrebbe per certo guastato gran parte della magia”
Kagome deglutì, il suo profumo che tradiva ora una
nota più acre, quasi la sensazione dell’adrenalina che in un attimo era
zampillata sottopelle nell’avvertire quanto, in realtà, la distanza che ora li
separasse fosse apparente. Illusoria, frutto di un reciproco accordo di non
belligeranza. Socchiuse una, due volte le palpebre, una che di gelido che
traluceva improvvisamente negli occhi di lei “Non c’è mai stata magia” replicò seccamente.
“Solo uno sciocco bambino che si diverte a rompere, uno dopo l’altro, i propri
giochi” nel rispondere i suoi occhi trovarono quelli del mezzo demone intenti a
fissarla da dietro l’oscurità. Ricambiarono lo sguardo, lasciando che le tracce
di una sfida, di quell’antica sfida oramai dimenticata nelle trame del tempo,
serpeggiasse fra di loro come tocco vibrante.
Arretrando,
la catene che ricadevano ai suoi fianchi come tentacoli inerti, il mezzo demone
abbandonò il capo all’indietro mentre, con un sospiro, ritornava seduto
nell’angolo. Frusciarono appena le vesti, i piedi nudi che incontravano il
caldo della pietra poc’anzi abbandonata e li restarono, un unico movimento per
accovacciarsi e ritrovare le vecchie distanze fra lui e la ragazza. Portandosi
una mano al volto si massaggiò un paio di volte gli occhi, lasciando che vividi
spiragli di luce si accendessero improvvisamente dinnanzi al suo sguardo
stanco.
“E’
davvero possibile odiare tanto una cosa da desiderare con tutto se stessi di
distruggerla?” lo seguì poco dopo la voce di lei. E forse fu per l’improvvisa
calma del tono o per la rassegnazione con cui ella gli rivolse quelle poche
semplici parole che senza sapere come, Inuyasha avvertì il proprio sogghigno
venir meno. E la rabbia. E la forza. Lasciò ricadere il braccio a terra,
scintille di luce che si esaurivano nella sagoma della ragazza.
“E’
possibile odiare tanto se stessi da voler distruggere tutto ciò che si ama” fu
la sua atona risposta. “E’ possibile credere che solo rinunciando a metà della
propria anima si possa infine scomparire in un’assenza. In una vita da Youkai. La vita che avrei dovuto avere ma che mi fu negata.”
Chiuse
stancamente gli occhi, avvertendo da dietro le palpebre socchiuse lo sguardo di
Kagome assottigliarsi.
“Nessuna
emozione. Nessun pensiero. Nessuna domanda” sospirò “Nulla per cui valesse la
pena chiedersi, in fondo, se esistesse per davvero un confine fra bene e male,
fra giusto e sbagliato. Un motivo per essere umano o solo un diavolo.” ed in
quelle ultime parole egli avvertì il suono della propria voce farsi per un
istante roco, debole, la caduca intonazione dell’uomo che affiorava a tradimento
lasciando che le sue parole acquistassero quella flessione, quel timbro davvero
troppo umano per passare inosservato.
“Tu mi hai ucciso” replicò freddamente Kagome. Troppo presto e troppo rapidamente per lasciar
sperare anche solo in una minima traccia di commozione nelle sue parole. Un soffio,
un sospiro in quell’annegare silenzioso “Direi che c’è ben poco da chiedersi su
quale scelta, infine, tu abbia fatto, Inuyasha” concluse atona.
Annuì
lentamente, il mezzo demone, lasciando che fili argento scivolassero dinnanzi
al suo volto in un velo lucente. Una ragnatela indistricabile.
“Si,
certo” sorrise piegando la testa di lato, scoccandole uno sguardo in tralice “E allora perché ora sono qui?” in quel
silenzio, pensò Inuyasha, vi era oramai davvero troppo poco da nascondere
perché importasse celare ancora ciò che l’evidenza aveva reso palese. Così,
ghigno impenitente, continuò laddove sapeva il discorso l’avrebbe portato “Senza
più un regno, senza più una famiglia e un futuro. Solo l’ombra di ciò che ero e
di ciò che pensavo sarei diventato.” Esitò. La gola che improvvisamente si
seccava “Eppure l’unica cosa a cui ora riesco a pensare è a quanto morbida
potrebbe essere la tua pelle se ora ti stringessi a me” sospiro “O a quando
dolce è ancora il tuo profumo, nonostante tutto.” chiuse gli occhi. Un po’ per
codardia. Un po’ perché, brivido sottile, gli parve proprio allora di avvertire
la forza che quelle parole –per la prima volta vive, per il primo istante sue-
esercitavano su di lui. Il loro potere, viscerale calore nel cui solo suono
ogni parte del suo corpo, del suo io, vibrava ora in morbosa risposta. “Lavanda
e vaniglia.” Come se nulla fosse mai
accaduto, come se quei giorni non fossero stati altro che una trascurabile
parentesi fra il loro incontrarsi e rincontrarsi. Prese fiato, concedendosi
uno sbuffo divertito.“Ma l’ho fatto per davvero?” sorrise piano, suo malgrado,
abbandonando sconfitto la testa all’indietro. Deprimente che, proprio ora nel
bel mezzo del suo primo –o forse secondo?- attimo di onestà, la sola cosa che
trovasse lecito fare fosse sorridere ogni cinque minuti come un perfetto ebete
“Davvero mentre il Mio Regno andava
in pezzi io sono corso qui da te? E non per ucciderti, non per sventrarti e
finire ciò che avevo cominciato molto tempo addietro. Figurati.” smorfia
stizzita “Solo per averti. Punto.” a ripensarci bene– sebbene non servisse poi
tanto pensiero per arrivarci- tutta quanta la faccenda pareva davvero una
battuta di pessimo gusto. Una specie di tiro mancino escogitato giusto per far
fare a lui la figura dell’imbecille di turno, del damerino tutto salamelecchi e
fronzoli come mai era stato fino ad allora, e a qualcun altro –un certo Haman Yosei ad esempio- la parte
del grande stratega oh-mio-dio-ma-quanto-sono-geniale.
E
giusto per rendere la cosa ancora più tragica-perché
no- eccolo qui ora a sbrodolare dichiarazioni d’amore al lume di candela. Fuori
il plotone d’esecuzione e lui dentro, stretto stretto
a Kagome a supplicarla di amarlo solo un pochino,
solo un pochetto malgrado, che sbadato, fino a due
giorni prima l’avesse torturata a morte sperando nella sua rapida quanto
liberatoria dipartita.
“Ho
avuto prostitute molto meno problematiche” sputò quindi arcigno –in ricordo dei
vecchi tempi, probabilmente- sperando che la reazione di Kagome
lo salvasse da quella confessione davvero troppo patetica e penosa perfino per
quella parodia di se stesso che ora era divenuto.
Il
manrovescio lo colpì infatti in pieno viso, costringendolo a piegare il volto
di lato nell’immediato arroventarsi della guancia lesa. Esitò, non ancora del
tutto soddisfatto in verità, giusto in tempo perché un altro colpo lo
raggiungesse a tradimento dall’altra parte, rubandogli una mezza smorfia
contrita. Poi, brutale, il raggiungerlo di due mani alle spalle, uno strattone
convulso che lo attirava in avanti e costringeva a volgere il proprio sguardo in
alto laddove, flebile, uno spiraglio di luce solcava il nero fitto della cella.
Laddove, grigio perla, due occhi lo stavano ora guardando scuri e vitrei, due
pozze di un nulla profondo e denso.
Ed
ebbe finalmente modo di guardarlo per bene, quel viso. Giusto un attimo, un
misero secondo a metà fra oscurità e penombra prima che la furia di Kagome lo investisse con tutta la forza di cui lui aveva
sempre saputo lei fosse capace.
Eppure
fu abbastanza. Fu sufficiente. Fu finalmente Lei – e nessun’altro doppione mal
riuscito. E nessun’altro scambio d’identità - mentre con disprezzo ella lo
avvinceva a sé. Una lama di luce fra i capelli, una falce ossidiana sul viso.
Un sibilo come respiro.
“Guardami”
gli ordinò con rabbia. Le sue iridi una nota stonata in ciò che un tempo era
stata una bellissima melodia “Guardami” oltre di esse, il gelo di una prigione,
il dolore dell’agonia, il rancore di lunghi giorni passati nella dimenticanza
del sole, della luce, della vita. Come
aveva potuto fare questo? Come?Possibile essere tanto stupidi in due sole
mosse?
“Il mio regno per un
ricordo”
lo apostrofò con rabbia. E certamente Inuyasha si sarebbe aspettato di ricevere
uno sputo di disprezzo, una molto umana manifestazione di odio e disgusto
comunemente usata per umiliare e mortificare i propri nemici –lui l’aveva
spesso usato.
“Ma
sai cosa ricordo io?” eppure Kagome passò oltre “Ricordo
un uomo fermo sulla soglia della mia cella. Ricordo fili d’argento attorno al
suo viso e occhi crudeli fissi su di me. Ricordo la sua rabbia e la sua forza,
e quell’odio viscerale nello scoprire quanto lo addolorasse, quanto lo ferisse
il doversi separare anche solo per un poco da me. Dal suo giocattolo” Una
pausa, nel suo sguardo il risplendere di quell’attimo, di quel solo ed unico
momento “Tu mi dicesti di
ricordarlo. Mi dicesti di non smarrirlo nemmeno nella tenebra che presto mi
avrebbe preso così che un giorno, dinnanzi ai Numi, avrei ben potuto descrivere
le fattezze del mio assassino. Di colui che senza un pensiero fece della mia
vita suo diletto per poi gettarla via, capriccioso” nell’incupirsi dello
sguardo, Inuyasha avvertì la stretta su di lui tremare appena, incontrollabile
debolezza.
“E
sai la cosa buffa?” non c’era proprio nulla di divertente nelle sue parole, eppure
Kagome sorrise una volta. Forse per far piacere a
lui. Forse per deridere se medesima. “Io ho davvero
ricordato. Ho ricordato anche quando tutto il resto era già svanito. E
quando mi hanno tirato fuori da quel buco puzzolente, quando mi hanno lavata e
vestita, immagina la gioia dei miei compagni nel sentirmi esalare la prima
parola dopo giorni di mutismo, di silenzio.” E nella sua voce Inuyasha potè a sua volta sentirla. Quella nota. Quella flebile
flessione che, suo malgrado, anche lui aveva inutilmente tentato di nasconderle
per molto, troppo tempo. Sbattè le palpebre, il
chiarore delle iridi di Kagome che riflettevano in
lui la sensazione di un gelo latente, incalzante.
Lo
stesso che la ragazza gli rivolse poco dopo mentre, lentamente, allentava la
presa su di lui così che questa divenisse poco più che un contatto accennato,
vago gesto senza furore.
“Inuyasha”
sillabò in un soffio.
Queste
le sue prime parole. Questo il rancore che ella ora si permetteva di
attribuirgli, colpa il non sapere se fu nell’odio o nell’amore che questa venne
esalata.
“Credettero ti stessi maledicendo” smorfia sofferta, Kagome bruciò il proprio viso di un ghigno amaro “Che piena
di rancore per le torture a cui mi avevi sottoposta, di odio per l’avermi quasi
ammazzata e stuprata non avessi altro desiderio che distruggerti e ucciderti”
Mentre piegava il capo di lato, uno spiraglio di luce colpì la curva della sua gola
mostrando un segno più chiaro, una lama di pelle dal colore perlaceo.
“Ed
io, piena di vergogna, glielo lasciai credere. Annuii e ripresi ad essere la Kagome che ero stata molto, molto tempo fa” era una ferita,
realizzò in quell’istante il mezzo demone. Una ferita che dal collo scendeva
fino al petto per poi perdersi nelle pieghe dello yukata
che ella indossava “In realtà non sapevo perché ti avessi nominato così come
ignoravo il perché ora ucciderti e sbudellarti –e vendicarmi - non fosse
affatto il primo fra i miei pensieri”
L’attimo
dopo Inuyasha aveva serrato la propria mano destra attorno alla nuca di lei,
saggiando con il pollice il contorno lunare di quella grinza, di quella
parentesi disegnata sul corpo di lei.
“Sono
stata io a fartela, questa” disse gravemente “E’ stato il giorno in qui ci
siamo incontrati”
Ricordava
quell’ultimo truce affondo. Quella molle sensazione di carne sfaldata, di
legamenti che in un attimo perdevano consistenza nel lacerio
dei suoi artigli. Ma non quella cicatrice.
Questa
volta Kagome non ebbe alcuna reazione. Chiuse una
volta le palpebre. Due. E poi con un mezzo sorriso portò entrambe le mani allo
scollo dello yukata che, leggero, cedette alla
pressione delle sue dita.
Ed
eccola, visibile come squarcio di fuoco, il risalire di una lunga cicatrice,
ombra chiara su pelle alabastro. Mentre in silenzio Inuyasha apriva la mano sulla
sua lunghezza, il palmo che scendeva fino alla base del seno dove questa si
interrompeva in bianchi filamenti grinzosi, fu quasi con dolorosa furia che un
pensiero gli balenò alla mente. Lei non
si era mai lasciata guardare così. Semplicemente, attentamente, dolore e
sporcizia non più uniti a schermare ciò che ora nudo si mostrava innanzi ai
suoi occhi.
“Eppure
a volte mi chiedevo: quanto a lungo avrei potuto fingere di essere la Kagome di un tempo? Quanto inganno avrei potuto tessere
prima di essere irrimediabilmente scoperta per ciò che ero?” il suo corpo tremò
una volta, insieme alla voce “Tu eri sempre li. Pronto a ricordarmi che
qualcosa –molto più di quanto avrei potuto accettare- era cambiato”
I
loro occhi si incontrarono ancora e nel silenzio di parole impossibili da
pronunciare, lei abbassò infine lo sguardo.
Lei è già mia.
Realizzò
di colpo Inuyasha.
Il suo corpo è già
mio.
Si
ritrovò ad annaspare. Una chiara sensazione di vertigine che lo costringeva a
ritrarre di scatto la mano dal corpo di Kagome, a
piegare il capo di lato e lottare per un terribile istante contro un’imprevista
e alquanto agghiacciante sensazione di vomito. Chiuse gli occhi, il terreno che
slittava a tradimento sotto di lui facendolo scivolare all’indietro. Possibile riuscire in pochi istanti a fare
così tante figure da idiota tutte insieme?
Quando
li riaprì, Kagome lo stava baciando.
Un
tocco leggero, gelido come la brezza di un mattino. Una sensazione appena
accennata, appena percepibile insieme al respiro di lei sul volto del mezzo
demone.
Ed
immobile, Inuyasha si scoprì incapace di replicare.
Incapace
di reagire a quel semplice gesto se non afferrando con entrambe le mani le
spalle di Kagome e respingendola con forza, la
ricerca d’aria che diveniva improvvisamente una necessità ancora più vitale
dell’essere baciato da lei.
Strinse
i denti ed inspirò, guadagnandosi di controparte un sogghigno amaro.
“Ancora
troppo umano per te, Inuyasha?” lo raggiunse la sua voce asciutta. Vi era una
traccia di dolore in quelle parole. La stessa che, pur non capendo come, il
mezzo demone era stato in grado di avvertire fino ad allora, sottofondo bianco
ad ogni sillaba, ad ogni frase pronunciata
da lei.
Sospirò,
impedendosi comunque di lasciarla andare. Non
ora. Non proprio adesso.
“L’hai
detto anche tu” le disse con un sogghigno contratto “Io ho già scelto da che
parte stare”.
Seppe
di aver detto una menzogna nell’istante in cui, non sentendola replicare, alzò
il proprio sguardo verso di lei.
Cogliendo
i suoi occhi. Cogliendo quell’espressione così tanto simile, così tanto eguale
a quella che quel giorno –il giorno del loro addio- ella gli aveva rivolto.
Un
poco stupita. Un poco melanconica. Un poco ferita dal trovare li, proprio
dietro quegli occhi abituati a scrutarla con crudeltà e perfidia, uno sguardo
umano. Due occhi da uomo che da uomo non potevano fare altro che studiarla e
desiderarla nel modo che solo fra affini e simili può accadere.
Ancora troppo umano,
Inuyasha? Anche adesso? Anche ad un passo
dalla fine?
Ma
quanto poteva essere diverso il suo nome se pronunciato dalle labbra di lei?
Quanto fragile il ricordo della sua vita se paragonato a quell’unica memoria che ella aveva saputo conservare di lui?
Un
nuovo sguardo di Kagome, lungo, intenso, e poi il profumo
dei suoi capelli sul viso lo colse di nuovo. Un tocco leggero, simile ad un
respiro sulle vesti che dalla spalla attraversò il suo corpo intero per poi
terminare nel sonoro Clang delle
manette che cadevano improvvisamente inerti a terra. Distante dalla sua
guancia, un sospiro soffice di derisione
“Sempre
quella sbagliata, da che tutto questo è iniziato”.
Più
tardi gli sarebbe piaciuto raccontare che proprio in quella, spirito nobile,
egli avesse allora deciso di allontanarla per una seconda volta da sé, uno
sguardo da vero uomo mentre, sicuro, le confessava per filo e per segno il suo
eterno ed incompreso amore. Le diceva una volta e per tutte che l’aveva
desiderata fin dal primo momento, dal primo istante in cui aveva avvertito il
suo profumo da sotto le vesti con cui ella aveva tentato di nascondersi a lui.
E
gli sarebbe piaciuto continuare aggiungendo che anche Kagome,
colta da tutto quel sentimentalismo, avesse proprio allora deciso di ricambiare
i suoi sentimenti, ricordando che anche lei –spia segreta- aveva fin da molto
tempo prima iniziato a provare qualcosa per lui, una passione quasi del tutto
cancellata dalla prigionia ma in seguito riemersa per il semplice fatto –che si-
al cuore non si comanda e lui aveva un lato abbastanza umano da far innamorare
una come lei.
Ma
ciò che gli riuscì di fare, ciò che riuscì di fare all’ex principe di tutta Yarda, signore delle terre conosciute, incredibile
guerriero e dominatore di folle prima che le guardie aprissero quella maledetta
gabbia e venissero a prelevare lui per il suo ultimo viaggio verso il patibolo,
fu semplicemente voltare appena la testa di lato e lasciare che, finalmente, le
loro labbra si incontrassero.
E
stringerla a sé, con quella disperata possessione e stordimento nel sentire il
corpo di lei modellarsi perfettamente al proprio, costole ad aprirsi come dita sottopelle
nel suo sospirare, nel suo piegare il capo all’indietro mentre, seta dopo seta,
egli scopriva ogni centimetro di quella pelle un tempo perfetta.
Tentò
di essere gentile. E dolce. E di trattarla come nei suoi sogni spesso aveva
creduto di poter fare.
Eppure
fu passandole una mano fra i capelli, fu circondandole la vita con un braccio
che avvertì quanto anche lei sapesse quanto
poco di quelle dolcezze le sarebbero state concesse. Quanta poca dolcezza vi
fosse in Inuyasha anche ora, anche adesso ad un passo dalla fine.
Così,
quando con un sospiro entrò in lei fu senza un lamento che ella accolse quel
nuovo dolore, l’ultimo che forse Inuyasha sarebbe mai più stato capace di causarle.
Perdonami. Avrebbe voluto
sussurrarle all’orecchio, uno sguardo a cogliere il breve luccichio dei suoi
occhi. E rassicurarla che probabilmente al mondo esistono altre forme d’amore,
altri modi d’amare che non regalino solo tormenti e disperazione. Ma lei,
brutale dolcezza, glielo impedì. Non gli concesse di mentirle ancora una volta.
Ancora una mentre ella, gesti senza voce, gli concedeva il proprio Addio così
come, molto tempo prima, lui l'aveva donato a lei.
Semplicemente,
nel socchiudersi di palpebre sottili come vetro ella contrasse la schiena una
volta, il volto esangue a schermarsi nel suo abbraccio muto, in quel suo gemere
contro la sua spalla mentre, affondare disperato, egli la trascinava per l’ultima
volta nelle tenebre insieme a lui, anima senza meta.
Ed ecco qui^__^
L'Addio di Kagome, un poco di luce in questa storia tetraXD
Questo è il penultimo capitolo, dopo di che…la
fine (si, ci siamo quasi, stento a crederci pure io).
Come sempre un grazie
infinito a tutti quanti per le vostre recensioni! Spero che questo capitolo
possa piacere^///^.