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Autore: Finnick_    21/08/2012    6 recensioni
Panem: i Giochi non esistono più. Capitol City è stata sconfitta.
E' la verità? Oppure l'attuale governo mantiene ancora fredde apparenze che facilitano la rinascita di una nuova generazione?
Mellark-Everdeen, Odair-Cresta. I ragazzi di una generazione che sfiderà la nuova Capitol 13.
Che gli Hunger Games risorgano, tributi.
Ambientazione: dopo "Il canto della rivolta".
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Katniss Everdeen, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Mezzora dopo sto attraversando il corridoio a pian terreno che aveva attirato la mia attenzione quando siamo arrivati. La porta si è chiusa alle mie spalle e una donna vestita di bianco mi accompagna attraverso il corridoio. Gale, la Paylor e Robby sono rimasti fuori. I miei genitori sono stati mandati dentro una delle prime stanze, Annie è stata lasciata nella stanza numero 10 e Finnick è davanti a me che cammina in silenzio sotto la spinta della sua accompagnatrice. Questo corridoio ha l’aspetto contrario dell’enorme ingresso e delle nostre stanze: pareti di metallo, porte di ferro chiodate e un silenzio pesante, quasi come se fossimo in un bunker. I neon sono pochi e molto distanziati tra loro e la lieve luce che emanano si riflette opaca sul ferro, creando un’atmosfera chiusa e soffocante. La donna che mi accompagna mi da un colpetto sul braccio destro: -qui dentro- e spinge una porta con scritto “16”. Prima di entrare scorgo Finnick che sta per oltrepassare la porta 18.
Quando sono dentro la porta si chiude con un colpo metallico e per un attimo rimango al buio completo. Poi si accende una luce gialla che illumina una stanza arancione, con un lettino al centro e una parete di specchi in fondo. Un uomo vestito di un elegante completo blu e scarpe di vernice nera fa il suo ingresso da una porta alla mia sinistra. Ha un aspetto estremamente sofisticato, ma non eccessivo e il suo portamento rende tutto quel lusso quasi piacevole.
Mi tende una mano –sono Aldous, il tuo stilista- dice senza tanti preamboli.
Ricambio la stretta –Rue Mellark. Credo che avrai da fare un po’ di lavoro- dico lanciandomi un’occhiata ai vestiti.
-meglio così. Non sarebbe divertente, altrimenti- abbozza quello che prendo per un sorriso –cambiamo stanza. Questo lettino a te non serve-
Lo seguo al di là della porta da cui era entrato. Non è espansivo. È diretto. Io non ho voglia di parlare e lui non farà niente per costringermi, bene così.
Dall’altra parte c’è una stanza molto più grande, piena di gente. Donne dai lunghi capelli biondi, mori e rossi si affaccendano tra un grande armadio e l’altro, altre stanno preparando la mia futura postazione di fronte ad uno specchio enorme. Sul tavolo davanti alla poltrona rosa c’è uno scaffale pieno di lozioni e boccette ripiene di liquidi colorati. No, tutto questo colore non fa assolutamente al caso mio. Preferivo la stanza arancione col lettino e gli specchi.
Aldous batte le mani –ragazze, questa è Rue Mellark. Rue, questo è il tuo stuff di preparatrici- Le donne che correvano da un lato all’altro della stanza si fermano al centro e mi osservano sorridendo.
Mi salutano tutti con voci allegre e leggere, poi riprendono a scorrazzare.
-non aver paura- mi dice Aldous –vai. Io andrò a prendere il vestito che indosserai e gli farò le giuste modifiche in base al tuo corpo- detto questo mi sorride mestamente e scompare di nuovo dietro la porta.
Improvvisamente sento l’impulso di farmi portare via insieme a lui: troppi colori, troppa confusione qui dentro. Voglio il verde. Solo quello. Il verde della mia foresta, del mio distretto. Chiudo gli occhi per un attimo e mi ritrovo piccola a scorrazzare nei prati con Jymith e Chays. Sento il vento tra i capelli e mi vengono le lacrime agli occhi al pensiero che probabilmente tutto questo non c’è più.
Il mio breve sogno viene interrotto da una voce più squillante delle altre:
-carissima, accomodati!- una donna di nome Inera prende la poltrona con le ruote e me la spinge davanti.
Mi vede esitare e mi incita con una mano agitata a mezz’aria:
-su, su, siediti, cara! Dobbiamo iniziare- batte due colpetti sulla pelle rosa della poltrona.
Con astio mi siedo e improvvisamente vengo catapultata nel mondo del makeup e makeover,  tra bagni rigeneranti e trattamenti unti per la pelle e i capelli. I miei pori vengono ostruiti da centinaia di tipi diversi di creme. Il mio viso è del tutto acqua e sapone solo dopo ore. Mangio velocemente qualcosa che mi viene portato da la stessa donna in bianco che mi aveva accompagnato qui e non mi viene nemmeno dato il tempo di inghiottire l’ultimo boccone di pollo che sono di nuovo sballottata da una parte all’altra della stanza. Vengono testati sulla mia pelle tutti i colori che conosco e una decina di tonalità in più che non avrei mai immaginato esistessero. Quando sulla mia faccia compare una sfumatura di verde erba la donna con i capelli rossi e quella bionda esultano come se avessero vinto un premio e si battono il cinque.
Rimango sconcertata e quasi del tutto disgustata da quella scena, più che dagli infiniti trattamenti che mi sono stati riservati solo quel giorno.
La sera veniamo riaccompagnati nei nostri appartamenti, con gli stessi vestiti con cui eravamo partiti, solo con capelli e pelle cento volte più morbidi e luccicanti. Mi faccio quasi paura a guardarmi allo specchio della toeletta della mia stanza. Ma la paura non è dovuta ad un lavoro pessimo, anzi. Il mio volto è come illuminato, adesso e sembro assumere un aspetto del tutto nuovo. I capelli mi scendono neri sulla schiena in morbide onde e gli occhi azzurri sono messi in risalto dalle ciglia rifatte. Stanno facendo un ottimo lavoro.
So che sarei soddisfatta anch’io del mio nuovo aspetto, se non fosse che questo è il contrario di quello che vuole la Coin. Ma come faccio ad impedire a tutti di agghindarmi alla perfezione nei prossimi tre giorni?
Finnick che farà? Suppongo che si lascerà truccare e vestire come vogliono i suoi preparatori e poi si inventerà qualcosa un attimo prima della parata. Esattamente come farò io.
Lo farò anche per non destare inopportuni sospetti che metterebbero ancora più a repentaglio la vita di tutti noi. Mentre mi guardo allo specchio mi tornano in mente le odiose minacce della Coin: in pratica dobbiamo fallire, fare di tutto per non essere amati dal paese. Ci ha consegnato anche discorsi fasulli. Altrimenti. Altrimenti siamo tutti morti. Primo fra tutti Chays che è ancora nelle sue mani e poi toccherà ad ognuno di noi in un modo diverso.
Ma non posso farlo, dannazione! Penso con uno scatto d’ira. La parata doveva essere la possibilità di salvezza per noi e per l’intera nazione e adesso è una condanna, o per quel che resta dei nostri distretti e noi stessi, o per tutta Panem. Se riuscissimo a farci odiare dai distretti, la Coin salirebbe al potere e riporterebbe in voga il vecchio sistema di Snow. Inaccettabile. È del tutto inaccettabile.
Mi butto sul letto combattuta tra le due enormi responsabilità che mi gravano sulle spalle.
Ci hanno minacciato! La Coin ci ha minacciato! È questo quello che vorrei urlare, aprendo la porta e facendo partecipi tutti di quello che sento dentro. Invece sono accovacciata sul letto, innervosita dalla mia incapacità di trovare una soluzione. Mi costringo a non aprire bocca, mordendomi le labbra. Se dobbiamo morire tutti parlare di quello che sta accadendo accelererebbe solo il processo.
Mi sento scomparire, sia dentro che fuori.
Non posso combattere così, non posso scegliere se salvare la vita di alcuni e distruggere quella di altri. È terribile essere responsabili della vita di così tante persone. Come faceva mia madre a sopportare il peso di due Hunger Games e della guerra sulle sue spalle? Io non mi sento capace di sopportare nemmeno una minaccia.
Mi ritrovo a pensare che l’unico fattore positivo è che ho riacquistato del tutto la memoria. A cosa sia dovuto, poi, questo rinsavimento resta ancora un mistero. Ma non voglio indagare oltre. La memoria è tornata, punto e basta. Adesso nella mia stanza c’è buio. Tanto buio che la luce della luna non riesce a penetrare dalla finestra, come la sera prima, e io rimango a stringere le coperte fissando il vuoto.
Poi, pian piano scivolo in un sonno inquieto e tormentato, in cui rivivo tutti gli orrendi fatti successi solo quest’oggi: il Distretto 12 è stato bombardato a causa mia, insieme al 4 e all’8; ho riacquistato la memoria, ma non ho avuto il tempo di gioirne, perché la Coin è piombata dall’oltretomba a minacciare me e Finnick e accusarci di essere i futuri responsabili di una guerra imminente; il primo giorno di preparazione è stato sfiancante e rumoroso. Da sola in quella stanza dai mille oggetti. E domani sarà così di nuovo.
 
In effetti è così per i successivi tre giorni. Il giorno seguente l’arrivo della Coin il mio stuff ha sperimentato su di me tutti i tipi di acconciature possibili e immaginabili, muovendomi la testa in ogni direzione per capire quale capigliatura mi rendesse il profilo migliore. Poi mi sono vista comparire da vanti una fila infinita di ombretti, rossetti, brillantini di ogni tipo e di ogni colore.
Di quelle “ragazze” affannate alla ricerca del look migliore non ce n’era una che pensasse a me. Al fatto che non fossi un manichino, ma una persona reale con sentimenti del tutto scombussolati. Per un po’ ho dato loro la colpa della mia difficoltà a prendere sonno, pensando che fossero i loro trattamenti a farmi venire caldo e freddo a intermittenza. In realtà sono consapevole che non è così.
L’unico ad aver mostrato un po’ di pietà nei miei confronti è stato Aldous, che si offriva volontario al posto di Inera, fin troppo esuberante, per sistemarmi a fine giornata.
Adesso che sono sul tetto del nostro palazzo penso che questi tre giorni siano stati una tortura pari al non vedere mai i miei genitori se non a cena e a non poter parlare con loro di niente. Mi sento come se mi stessi preparando agli Hunger Games. E odio questa sensazione.
Le luci dell’alba sono passate da qualche minuto e adesso mi ritrovo a fissare il cielo azzurro sotto il quale la città prende vita.
Sono quattro giorni che desidero salire quassù, ma alla fine per un motivo o un altro ho sempre rinunciato. Adesso ci sono, da sola. Da sola come avrei voluto il primo giorno in cui siamo arrivati.
Sono perfettamente pulita e lucida come l’acqua del fiume che scorre sotto di me.
Con un cupo sorriso mi rendo conto che la Coin potrebbe spiarmi anche in questo preciso momento. Non ho più rivisto Finnick dal primo giorno di preparazione e spero che almeno lui l’abbia affrontata meglio di me. Io non sono stata capace di darmi pace nemmeno un secondo. E oltretutto in questi tre giorni a Chays potrebbe essere successa qualunque cosa.
Potrebbe benissimo essere stato eliminato, con la sicurezza che io non so minimamente dove sia e come stia e che accondiscenderò al piano della Coin per salvarlo. Invece, magari, lui è l’unico andato in pace. Per sempre.
-è sempre stato un bel posto, questo- non mi volto a guardare perché riconosco la voce e rimango appoggiata con le braccia al muretto che limita il tetto.
-anche ai tempi di Snow. Non tutti i tributi ci sono passati, alcuni non sapevano nemmeno dell’esistenza del tetto aperto-
Aldous mi si avvicina e si appoggia accanto a me.
-ottimo per riflettere- dico fissando l’orizzonte.
-già. I tuoi genitori lo sapevano meglio di chiunque altro. Anch’io c’ho trovato pace- risponde.
Mi giro a guardarlo.
-non sapevo che anche tu fossi stato un tributo- dico.
-vincitore, per di più. Dei settantatreesimi Hunger Games, avevo appena dodici anni-
Aldous un vincitore. Non me lo immaginavo. E per di più dell’edizione precedente a quella in cui vinsero mia madre e mio padre.
-preferirei buttarmi in un’arena. Sfogherei quello che mi tengo dentro- dico.
Lui sembra del tutto sconvolto dalla mia affermazione.
-non scherzare, ragazzina. Tuo fratello non è qui con te, ma questo non implica che tu perda tutto per la rabbia che hai dentro –
Non si tratta solo della sua assenza! Vorrei esclamare. Ma non posso.
-niente mi vieta di desiderare un’arena dove vendicarmi, piuttosto che partecipare alla parata-
-hai sedici anni- mi dice senza mezzi termini –non fare l’avventata, non sai cosa voglia dire partecipare a quei giochi. Sono terribili, distruggono tutto quello che avevi, ti lacerano dentro, finchè non ti resta nemmeno il fiato per respirare. Quando ti accorgi di essere l’unico sopravvissuto su ventiquattro ragazzi della tua età, rimpiangi di non essere morto con loro-
Mi zittisco. Forse sono stata troppo precipitosa nella mia affermazione, ma non mi interessa. E’ quello che penso. Mi limito a rimanere in silenzio per rispetto ad Aldous.
In quel momento si sente un boato dalla piazza della città, che è proprio davanti a noi. Scorgo una folla di dimensioni paurose farsi avanti in massa e stabilirsi sugli spalti preparati. Sono tutti là, per vedere noi.
Per amarci, gettarci fiori e ovazioni. Non succederà, se faremo come la Coin ci ha detto di fare.
Libero un grosso respiro e penso che, se oltrepasso la porta alle mie spalle per tornare dentro, non farò che rimanere in una trappola mortale.
-andiamo. La Parata aspetta solo voi-
Non oppongo resistenza quando Aldous mi  da un colpetto sul braccio e mi accompagna dentro.
  
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