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Autore: MaikoxMilo    22/08/2012    14 recensioni
Ceresole Reale, un paesino situato nell'alta valle dell'Orco in provincia di Torino, sarà da sfondo alle vicende della giovane Sakura, che nel giro di poco tempo verrà a sapere dei "demoni" legati alla sua famiglia e vedrà, letteralmente, crollare il mondo che fin da bambina l'aveva avvolta in un'aura di freddezza e solitudine inconcepibile per lei.
Può un incontro cambiare la vita di una persona fino a tal punto da farle rivedere completamente il proprio passato?!
Lo so, come presentazione non è un granché ma è il meglio che sono riuscita a fare. Questo è il mio primo esperimento di AU e mi auguro con tutto il cuore che possa piacere e, perché no, far strappare anche un sorriso ai lettori (anche se dal prologo non sembra proprio) Eh! Eh! A voi quindi questo piccolo esperimento che vede come ambientazione un luogo caro alla mia infanzia e che ha avuto la capacità di incidersi nel mio cuore come ben pochi altri!
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Aquarius Degel, Aries Mu, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO 1: LA MIA VITA 
 
Qualche tempo prima …
 
“Sono tornata a casa!” affermai, scaraventando la cartella sul pavimento e chiudendomi la porta dietro. Non mi stupii affatto quando vidi corrermi incontro i miei due cani: sempre i primi a salutarmi ogni qualvolta rientravo da scuola o da qualsiasi altro posto. 
 
“Mirtillo! Zeus! I miei due unici amori!” esclamai, felice più che mai dal vederli sempre così vivaci. Istintivamente mi inginocchiai e cominciai ad accarezzarli dietro alle orecchie, cercando di non essere buttata giù dalle loro zampe e di non farmi lavare la faccia dalla loro lingua appiccicosa. 

Mirtillo era il più giovane dei due, nonché ancora un cucciolotto malgrado le dimensioni già piuttosto considerevoli a dispetto dei suoi 9 mesi di età. Nulla di strano visto che gli Spinoni italiani sono cani piuttosto grossi; ed il mio color crema con le zampe e il muso di un marrone chiaro non faceva certo differenza!  
 
Zeus invece era un Pastore Belga color nero che si aggirava intorno ai 2 anni. Malgrado fosse più discreto dell’altro, quando rientravo a casa era sempre il primo a saltarmi addosso con un’enfasi non proprio degna del nome che portava (lo avevo chiamato con il nome del padre degli dei per dargli un’aria reverenziale, ma con scarsi esiti data la sua ingenuità).

Una cosa era certa: nessuno dei due era un buon cane da guardia, anzi, con ogni probabilità se mai fosse entrato un ladro, quest’ultimo sarebbe rimasto piacevolmente sorpreso dall’accoglienza canina che lo avrebbe riservato!  
 
“Buongiorno, Fiore di Ciliegio!” 
 
Così presa da Mirtillo e Zeus non mi ero nemmeno resa conto che Milo, mio fratello maggiore, era appena sceso dalle scale che conducevano alle nostre camere da letto con Asia, la micia di casa, in braccio. 
 
“Sakuraaaaaa!!!! Il mio nome è Sakura, fratello!” gli gridai, innervosita dal suo solito tono ironico. 
Milo scoppiò in una fragorosa risata e, posizionandosi di fronte a me, fece scendere la gatta dalle sue braccia. 
 
“Non è colpa mia se il tuo nome significa ‘Fiore di Ciliegio’!” esclamò, fissando le sue iridi azzurre nelle mie dello stesso colore. Quella caratteristica  era l’unica che avevo in comune con lui, per il resto completamente diverso da me. Fratelli, vero, ma talmente agli antipodi da sembrare due opposti che si attraevano e si respingevano senza mai darsi pace. Capelli blu-violaceo lui, castano chiaro io; solare e sicuro di sé lui, timida e insicura, a volte anche sin troppo impacciata, io … 
 
“Lo so bene anch’io che Sakura significa ‘Fiore di Ciliegio’; come sono consapevole che Ceresole Reale, il paesino di montagna in cui viviamo, indica secondo alcuni la presenza di piante di ciliegio (da qui l’idea di mia madre di chiamarmi con un nome giapponese) o l’abbondanza di acque, e infatti la nostra casa è in riva ad un lago!” risposi, sbuffando, facendo per andare in cucina a bere qualcosa, ma mio fratello mi sbarrò la strada. 
 
“Dove pensi di andare senza dirmi niente della tua giornata?! Com’è andata  a scuola?” mi domandò, iniziando a torturarmi le guance come faceva di solito per salutarmi. 
 
“Milov!! Lassciami, nonv riescov a parlarve coscì!!!!” tentai di oppormi, sbracciandomi. 
 
Mio fratello, sghignazzando ancora, mollò la presa su di me e mi guardò con sguardo curioso. 
 
“Ho 18 anni, Milo, compiuti da poco, è vero ma non c’è bisogno che mi fai ancora questi giochetti come quando eravamo bambini! Comunque a scuola è andato tutto bene, Mu oltre ad essere un amico prezioso è anche un ottimo compagno di banco!” dissi, massaggiandomi le guance e dirigendomi in cucina con passo incalzante. 
 
“Non ho dubbi! Muto durante le lezioni  lui, tu idem … Vi siete proprio trovati, non c’è che dire!” mi prese ancora in giro, ridacchiando. 
 
“Che io sappia a scuola si va per imparare … E poi non è vero che non parliamo, tutt’altro, però quando il professore spiega ascoltiamo con estrema attenzione!” ribattei, inarcando un sopracciglio e portandomi il bicchiere, pieno d’acqua, alla bocca.

Nel frattempo il mio sguardo navigò fuori dalla porta-finestra della cucina che si affacciava sul giardino di casa nel quale due pini svettavano maestosi verso il cielo … Quanto mi piaceva il luogo dove abitavamo! L’aria fresca della montagna era un toccasana per i polmoni ed io, nata e cresciuta in montagna, proprio non potevo concepire l’idea di vivere in una sporca e chiassosa città. Figurarsi, già il paese dove andavamo a scuola Mu ed io, Rivarolo Canavese situato parecchio più a valle di Ceresole Reale (e infatti ogni mattina sveglia alle 5 e pulmino alle 6 per poi ritrovarsi il più delle volte a correre per evitare di entrare tardi nell’edificio), mi sembrava sin troppo trafficato per essere considerato ‘montagna’.  
 
Rimasi a lungo a fissare l’azzurro del lago fare concorrenza al cielo straordinariamente dello stesso colore, sì, perché anche se l’Autunno era ormai arrivato da un po’ l’ultima scintilla d’Estate non aveva ancora deciso di svanire da quella valle, regalando agli abitanti del posto un clima ancora particolarmente temperato durante il giorno.  
 
“Ehi, miss Socrate, hai finito di perderti nei tuoi pensieri?! Devo parlarti!” mi richiamò mio fratello, in tono alto. 
 
Alzai gli occhi al cielo, per poi posizionarli sulla sua figura, intenta ad armeggiare una bottiglia di coca cola tra le mani.
 
La cucina non era molto spaziosa, ma compensava questa mancanza con i meravigliosi disegni quadrangolari dipinti sulle mattonelle, il bianco sgargiante degli elettrodomestici e il particolare odore di incenso che si aggirava nell’aria. 
 
“Mi ascolti o no?! Ho detto che a quanto pare sono venute delle nuove persone ad abitare in questo paese!” mi rimbeccò ancora Milo. 
 
Sbattei le palpebre, mormorando un “eh?” ben poco convinto: dovevo ammetterlo non avevo capito una sola parola di quello che mio fratello aveva cercato di dirmi! 
 
“Ecco, ci risiamo … Possibile che bisogna ripeterti 100 volte la stessa frase?! -sospirò Milo, amareggiato dalla mia incapacità di ascoltare le persone, anzi, la SUA persona visto che lui era l’unico che quando parlava non lo calcolavo minimamente - Ti ho detto che sembra che questa mattina sia arrivata una nuova famiglia, e pare che i loro membri saranno nostri concittadini per un po’! Sembra siano francesi …” ribadì, innervosito dal mio atteggiamento.  
 
“Ah, bene … E quindi?” domandai, confusa. Non riuscivo a comprendere perché Milo si sforzasse di dirmi una cosa simile, eppure avrebbe dovuto sapere che io non ero affatto come lui, che cioè non sarei andata a curiosare o a presentarmi, nemmeno se mi avessero pagato oro! 
 
Effettivamente forse la timidezza era il lato più negativo del mio carattere, nonché motivo preponderante di avere così pochi amici e di non possedere la benché minima fiducia in me stessa. 
 
“E quindi??? Quindi sai come sono le tradizioni qui: Ceresole Reale è un paesino di appena 170 abitanti, grosso modo ci conosciamo tutti, chi più chi meno, e se arriva gente nuova tutti devono andare a presentarsi e ad accogliere i nuovi venuti!” mi spiegò Milo, con una punta di stizza nella voce. 
 
“In tutta franchezza, Milo, non me ne può fregare di meno! Vengo da una dura settimana di scuola e oggi mi devo riposare! Domani farò il solito giro del lago che mi piace tanto con Mirtillo e Zeus ed io mi sento a posto così senza bisogno di conoscere altre persone!” esclamai, dirigendomi verso il salotto dove, tra tutti gli arredamenti, spiccava un grosso acquario da 250 litri contenente le più svariate specie di pesci dai più variopinti colori.

Prima di dare loro da mangiare mi soffermai ad osservare intensamente il gruppetto di Corydoras, un pulitore da fondo, che era intento a grufolare sulla sabbia del fondale. Quella particolare specie di pesce era la preferita mia e di mio fratello, motivo per il quale i nostri genitori ne avevano comprati un bel numero. 
 
“Sakura, sei sempre la stessa, non puoi fare uno sforzo per una volta?! Così renderai felice nostro padre e nostra madre!” insistette ancora Milo, facendo capolino dalla porta. 
 
“Per cosa?! Sei tu il loro cocco, le cose non cambieranno se ci vado anch’io!” ribattei, con una punta di acidità nella voce. Non volevo trattare male mio fratello, l’unica persona che mi era rimasta sempre accanto fin dalla più tenera età, ma sapevo che i nostri genitori non vedevano altro che lui e che io, per loro, brillavo solo di luce riflessa … riflessa proprio dallo stesso Milo. 
 
“Tu li giudichi troppo male, in realtà loro …” 
 
“Non dire altro, Milo! Per favore …” 
 
Senza aspettare una eventuale risposta uscii dal salotto e iniziai a salire le scale che conducevano su in camera mia. 
 
“Uff, sei proprio uguale a Mu, ci credo che è il tuo migliore amico!” commentò mio fratello, stranamente laconico. 
 
“Milo, i nostri genitori … li vedi da qualche parte in casa in questo momento?! Ecco, Mu, pur non conoscendo il padre ha sempre avuto la madre al suo fianco che parteggiava per lui, io … fin da quando ero piccola non ho avuto altri che te e una volta diventata un po’ più grande ho dovuto imparare in fretta a cavarmela da sola e a stare attenta che la tua ‘curiosità adolescenziale’ non ti portasse a compiere azioni potenzialmente pericolose … Come quando, appena quindicenne, ti sei ubriacato uscendo con i tuoi amici ed io, all’età di soli 13 anni ti ho dovuto riportare a casa … Puoi ben immaginare la reazione di mamma e papà, vero?!” affermai solo con un sospiro rassegnata, per poi salire le scale e dirigermi verso camera mia.
  
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