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Autore: Sephora    26/08/2012    4 recensioni
«Negli ultimi anni ho imparato a guardarmi le spalle».
«Non lo metto in dubbio: temo solo che tu ti possa distrarre guardando quelle di qualcun altro».

La storia si ripete.
Il mondo magico vive nell'ombra fredda e desolata dei Dissennatori da ormai tre anni: né il Ministro, né gli Auror sono riusciti a scongiurare l'inevitabile.
Viene riesumato l'Ordine della Fenice per organizzare l'ultima, strenua resistenza.
Siete pronti al tutto per tutto?
Vincitrice del premio "Rivelazione" e seconda classificata al LONG FICTION BATTLE.
Genere: Dark, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Dominique Weasley, Rose Weasley, Teddy Lupin, Un po' tutti | Coppie: Rose/Scorpius
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'The Prophecy'
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III


CHAPTER THREE





To the right, to the left. 
We will fight to the death. 
To the Edge of the Earth. 
It's a brave new world. 
It's a brave new world. 
____ 

A destra, a sinistra. 
Combatteremo fino alla morte. 
Fino al limite della Terra. 
È un nuovo mondo coraggioso. 
È un nuovo mondo coraggioso. 

 

 

 

 

 

[...]Adam Miller, sessant'anni, membro del Wizengamot, scomparso tre giorni or sono. La sua fotografia è la numero 4. Chiunque avesse sue notizie può rivolgersi alla Divisione Auror.





Annunci della Gazzetta del Profeta, sezione: persone scomparse.





*





La luce del sole filtrava attraverso le persiane abbassate.

L'odore di pelle e legno era pungente, fastidioso quasi quanto il continuo picchiettare dell'anello di Weber sulla scrivania. La pietra incastonata nella montatura d'oro rifletteva dei triangoli colorati sul soffitto, che vibravano al minimo spostamento del gioiello. Per comprare un anello del genere a Ginny, Harry avrebbe dovuto risparmiare per anni, se non di più; forse non ci sarebbe mai neanche riuscito, visto che aveva lasciato il suo lavoro come Auror per dedicarsi solo ai ragazzi e alle ronde.

Metti a rischio la vita dei tuoi figli, dei tuoi nipoti. Sangue del tuo sangue.

Gli pareva quasi di sentirla, sua moglie, mentre gli sputava contro accuse su accuse. Non voleva nemmeno immaginare cosa gli avrebbe fatto se fosse capitato qualcosa ai suoi ragazzi.

Già, i suoi ragazzi, non più i loro. Ormai erano figli solo di Ginny: Harry aveva rinunciato a rivestire la figura di padre anni addietro. Non puoi essere genitore e capo senza scrupoli al tempo stesso, non se uno dei tuoi figli scende ogni notte in campo e l'altro scandaglia libri dichiarati illegali dal Ministro. Mentre la bambina... La bambina doveva rimanere nascosta, al sicuro.

«Non trova buffo che noi due non ci siamo mai incontrati di persona?» Weber intrecciò lentamente le dita, congiungendo i palmi. «Sono contento che si sia presentata finalmente l'occasione».

Harry si sporse sulla scrivania. «Dov'è mio figlio?»

Aveva qualcosa di magnetico, Weber. Forse erano i capelli spettinati, gli occhi castani, caldi, che sembravano avvolgerti, o la voce pastosa: era così ammaliante da esser asceso alla carica più alta del Mondo Magico in qualche anno.

«Già, giusto» borbottò il Ministro. «Beh, che dire? Ogni famiglia ha la sua pecora nera. Ai miei tempi si usava uscire di nascosto per andare ad incantare le scope dei vicini, di questi giorni invece deve andare di moda farsi trovare accanto a un morto».

«Ho chiesto dov'è mio figlio» ripeté Harry, asciutto, digrignando i denti.

«Credevo avesse lavorato per un po' tra gli Auror, dovrebbe saperlo dove si trova».

Harry scattò in piedi e batté i pugni sul tavolo. «È lampante che quell'uomo sia stato ucciso da un Dissennatore e non da un mago!»

Weber si rilassò sulla poltrona, inarcando le sopracciglia. «Lo è, in effetti. Per questo suo figlio e il suo figlioccio non sono finiti ad Azkaban». Allungò il braccio, flettendo le dita verso la libreria a parete. Un sibilo fendé l'aria, e qualche attimo dopo una bacchetta scura, nodosa, era tra le sue mani. «Mi piacerebbe sentire la sua teoria, signor Potter: come mai, secondo lei, i Dissennatori hanno iniziato a uccidere maghi come se fossero carne da macello? Sono un tipo curioso, gliel'ho già detto? Morbosamente curioso, oserei dire».

Harry sospirò. Aveva passato notti insonne a pensare a quel piccolo e apparentemente insignificante dettaglio: a chi interessava perché o percome? I Dissennatori uccidevano, ora, punto e basta. Eppure c'era qualcosa che non quadrava, un dannatissimo pezzo del puzzle che era stato incastrato in un posto non suo.

«La Gazzetta sostiene che sono semplicemente sfuggiti dalle mani del Ministero. Secondo la versione ufficiale dell'accaduto, in passato i Dissennatori si limitavano a portar via l'anima alle loro vittime perché il Ministero proibiva loro di finirli» asserì cautamente, cercando di darsi un tono. «D'altra parte, è singolare come questa informazione venga omessa in qualsiasi libro sull'argomento».

«Come ben sa, i miei predecessori ritenevano importante che la pericolosità dei Dissennatori non venisse divulgata. Se tutti avessero scoperto fino a che punto si possono spingere... Beh, avremmo dovuto senza dubbio trovare qualche altro metodo per scongiurare eventuali evasioni o, peggio!, ribellioni. Uhm... maghi potenti, Mangiamorte, pazzi... Chi altri, se non i Dissennatori, si sarebbe mai avvicinato a loro? Lei comprende senz'altro, Signor Potter. Tra l'altro, conosco bene l'articolo che spiega l'accaduto: ho collaborato io stesso alla sua stesura». Increspò le labbra in un sorriso lascivo. «Uhm, l'opinione della Gazzetta va presa senz'altro per buona. Metterla in discussione sarebbe sconveniente, non trova? D'altra parte, che motivo avrebbero quegli imparziali giornalisti di manipolare la notizia?»

«Indubbiamente» sillabò Harry. Falsa pista o suggerimento dettato dall'arroganza?

«Ma ora basta parlare di queste sciocchezzuole. Vorrei sentire, ovviamente, come lei giustifica la presenza di James Sirius Potter e Ted Lupin in quella casa».

Harry arretrò di qualche passo, le gambe improvvisamente molli. Girò la testa, per poter vedere oltre la vetrata: James e Teddy erano seduti lì, scortati da due Auror. «Sono due ragazzi fin troppo curiosi e pericolosamente coraggiosi. Probabilmente hanno sentito delle urla o hanno visto qualcosa di strano» rispose, senza distogliere gli occhi dalla sala d'attesa.

Weber sospirò. «Lei è un personaggio molto illustre: sarebbe sconveniente per entrambi – ha ancora accaniti sostenitori, non creda – essere fiscali riguardo questa faccenda. Andare a finire davanti al Wizengamot a combattere una causa già persa in partenza non avrebbe senso, vero?»

Harry lo squadrò a lungo, per riuscire a capire cosa stesse passando per la sua mente, quali fossero le sue reali intenzioni – pensò anche di usare la Legilimanzia, poi però escluse la possibilità a priori: solo un incosciente ci avrebbe provato.

«Vero» convenne infine, con voce strascicata.

Weber intrecciò le dita e poggiò le mani sulle gambe accavallate, prendendo a fissare la sala d'aspetto – a fissare James.

«Sa, questa storia ha anche un risvolto alquanto buffo» disse dopo qualche momento, con un sorriso soltanto accennato a deformargli le labbra. «Io non ho mai nominato i Dissennatori, o tanto meno detto che la vittima fosse un uomo: eppure lei lo sapeva. Non lo trova buffo? Io sì, molto».





*





«Non mi serviva a niente la tua sfilza di nozioni teoriche, Scorpius». Rose si chinò a terra e fece scorrere la cerniera dello stivale lungo il polpaccio, per poi calciarlo via scuotendo il piede. «Non so se l'hai capito, ma andiamo a Nocturn Alley per respingere le creature magiche che incontriamo, non per scriverci su un trattato!»

«Oh, scusami se prima d'ora non ci eravamo mai ritrovati davanti a qualcosa che non fosse un Dissennatore!» rimbrottò Scorpius, laconico. «E con una Chimera – una Chimera! Nota ammazzamaghi! - dubito sia utile un Patronus

Scorpius aveva paura di Rose quando ostentava fino a che punto fosse incosciente. Lei era troppo impulsiva per soffermarsi a riflettere sulle conseguenze di un'azione avventata – non che ci fosse molto da prevedere: quando ci si ritrova davanti un essere come quello anche uno stupido capisce come andrà a finire.

Scorpius era più assennato.

Rose pensava fosse un difetto, mentre lui non era ancora riuscito a capire in quale dose il buon senso fosse una qualità: avere paura può salvare la vita così come può fottertela, paralizzandoti. Quel tipo di paura Scorpius la conosceva bene, perché ogni notte si vedeva disteso a terra, coperto da una spolverata di brina come quel corpo che gli aveva fatto vedere TeddySenza anima, senza vita, gli aveva detto. Quando mangiava pesante, poi, gli capitava di immaginare anche Rose accanto a sé, il suo petto immobile, e i suoi capelli rossi ingrigiti, e la sua pelle tanto pallida da farla sembrare una bambola di porcellana. Era così reale da spaventarlo a morte. Bambola di porcellana. Oh, se fosse stata una Legilimens quantomeno decente e avesse captato l'appellativo “bambola” accostato al suo nome l'avrebbe senz'altro schiantato: fortunatamente, tanto era impedita con la magia a livello teorico quanto aveva una propensione naturale per quello pratico. Come fosse possibile, rimaneva un mistero.

«Sopratutto se il tuo Patronus è un gatto dalla coda spelacchiata, giusto?»

Scorpius si riscosse. «Tibbs non ha la coda spelacchiata: è fatto così!»

«Non posso credere che il tuo Patronus abbia un nome. Anzi, rettifico: non posso credere che il tuo Patronus si chiami Tibbs».

«È in onore di mister Tibbs, il gatto di mia nonna! Quante volte te lo dovrò ripetere?»

«Fantastico, allora meno male che non ho mai avuto un falco domestico: conoscendo Hugo l'avrebbe chiamato Biscottino, Ciambellina o qualcosa del genere. E lungi da me chiamare il mio Patronus col nome di un dolce».

«Dimenticavo che Hugo è assuefatto agli zuccheri. È paradossale: vado più d'accordo con lui che con te».

«Avete la mia benedizione: scappate in America e sposatevi».

Scorpius si passò una mano tra i capelli, visibilmente preoccupato. «Rose, a proposito del discorso di prima...»

«Attacca e difenditi, il concetto è sempre quello» commentò lei, facendo spallucce. «E se non riuscissi a difenderti? Sei seriamente convinta di poter Schiantare una Chimera?» sibilò incredulo. Gli bastò però notare la smorfia in cui Rose costrinse il viso – la fronte corrugata, le sopracciglia arcuate – per capire che, contro ogni ragionevole obbiezione, , ne era assolutamente certa. «Era una domanda retorica» precisò allora.

Rose dischiuse la porta dello sgabuzzino quel che bastava per lanciarci dentro gli stivali. «Sono convinta che rimanere a guardarla negli occhi non sia gran che utile» bofonchiò, strascicando i piedi fino al soggiorno. «Sono una ragazza d'azione, io».

«Le ragazze d'azione sono pericolosamente sconsiderate».

«Allora meno male che ci sei tu a tenermi a freno». Con un gesto teatrale si asciugò il sudore dalla fronte. «Perché meno impulsivo di te, non conosco nessuno».

«Solo perché non voglio farti correre rischi inutili...»

«Sei troppo ansioso. So quello che faccio».

«Lo spero».

Rose gli rivolse un'occhiata contrita, come se volesse valutare quella sua ultima frase. Lo faceva spesso, di recente: ogni qualvolta gliela riservava, Scorpius sapeva di aver detto qualcosa che l'aveva colpita. Se in senso buono o meno, non ne aveva la più pallida idea.

«Ti va una tazza di... di qualcosa, non so cosa sia avanzato» propose, con un tono meno sfacciato del solito. Aveva la netta sensazione che Rose non avrebbe rifiutato: nessuno considererebbe un appuntamento bere un bicchiere di un liquido non ben specificato a casa propria.

«Solo se alcolico: il vino elfico concilia il sonno».

«Conosco un altro paio di modi per conciliare il sonno, se ti interessa».

«Quando i Draghi sputeranno caramelle» sbuffò Rose, aprendo la porta del soggiorno.

Non appena varcarono la soglia, capirono che qualcosa non andava. Non solo perché Teddy non era stravaccato sulla poltrona, ad aspettare che tutti tornassero interi dalle ronde, ma anche perché lì, stretti l'uno accanto all'altro, c'erano Albus, sua madre e Dominique.

«Sono tornati?» balbettò Ginny, saltando in piedi come una molla. «Avete notizie?»

«Noi siamo appena arrivati» rispose subito Rose, affiancando sua zia. «Che cos'è successo?»

La preoccupazione negli occhi di Ginny fu più chiara delle spiegazioni che seguirono.






*






Ginny aveva costretto Dominique ad andare a letto dopo il secondo caffè della nottata: quella, aveva detto, era la massima quantità di caffeina che una quindicenne poteva assumere senza che corresse il rischio di diventare schizzata o che le si bloccasse la crescita – e Dominique era già abbastanza bassa di suo. Albus l'aveva accompagnata in camera ufficialmente per assicurarsi che fosse seriamente intenzionata a mettersi sotto le lenzuola, ufficiosamente, però, era rimasto con lei, seduto sull'orlo del materasso e con una coperta sulle ginocchia, per poter tenere d'occhio il vialetto dalla finestra.

James ritornò solo alle sette del mattino, ed era inequivocabilmente solo.

Quando Al lo riconobbe, il suo cuore perse un battito – uno, due, tre, ventiquattro: in quel momento non era di certo il conteggio delle proprie pulsazioni ad interessargli –, i muscoli si rilassarono e si concesse di accomodarsi in una posizione meno fastidiosa. Fino ad allora aveva passato la nottata col gomito di Dominique conficcato tra le costole, come se torturare il proprio costato potesse distrarlo dal pensare che suo fratello, Teddy e Nik erano, con tutta probabilità, in una cella di Azkaban.

Mezz'ora dopo, il terribile cigolio della porta della stanza di Dominique la svegliò.

«Jamie!» Dominique rovinò giù dal letto nel tentativo di liberarsi dalle coperte che le imprigionavano le gambe, e attraversò la stanza zoppicando per lanciarsi contro James, facendolo arretrare di qualche passo.

«Merlino, Dom, crepare soffocato da una Puffola Pigmea non è il massimo» ansimò James col fiato smorzato, allontanandola un po'.

Dominique incrociò le braccia sotto al petto, con un espressione corrucciata in viso; allora James le scompigliò i capelli chiari, ed entrò nella stanza, accompagnando la porta dietro di sé.

Albus aveva sempre pensato che Dominique fosse una ragazza strana. Passava dall'essere euforica alla depressione più nera nel giro di qualche minuto, dall'adorare il Quidditch al trovarlo il più stupido degli sport, dal venerare letteralmente James al pensare che fosse un totale idiota – ah! Come la capiva in quel momenti –, dal mettersi uno di quei suoi maglioni rosa confetto al provare la giacca di pelle di Rose. Ginny sosteneva che fosse colpa degli ormoni e gli consigliava di ringraziare il cielo che Lily fosse in campagna con nonna Molly, perché altrimenti avrebbero dovuto gestire ben due neo adolescenti. In ogni caso, Albus trovava il fatto comunque strano: non si ricordava che Rose o Liz avessero mai sofferto di schizofrenia, eppure anche loro avevano avuto quindici anni. Solo dopo un po' aveva realizzato che Rose doveva essere stata troppo impegnata a schiantare quei vecchi manichini di legno per poter pensare al fisico che cambiava, ai brufoli e agli sbalzi di umore, e a Liz non era mai interessato niente altro che non riguardasse lo studio. Dominique, invece, non era inquadrata come loro: non sapeva chi voleva essere, né come lo sarebbe diventata.

Per questo, ormoni o no, rimaneva più instabile di Scorpius a cavallo di una scopa.

Instabile e volubile, un po' come Teddy – solo che lui era troppo cresciuto perché questo si potesse attribuire all'adolescenza.

Teddy.

«Dove sono papà, Nik e Teddy?» chiese Albus, scivolando giù dal letto.

James s'irrigidì e sgranò gli occhi, inclinando leggermente la testa verso Dominique, come a imporgli il silenzio finché ci fosse stata lì la cugina.

«Stanno arrivando. Si sono fermati al Ministero per sbrigare delle faccende burocratiche». Passò un braccio attorno alle spalle di Dominique e la sospinse verso il letto. «Non c'è niente di cui preoccuparsi, Dom. Dormi ora».

«Okay, certo, ma...»

«Noi li aspetteremo in piedi ancora un paio di minuti, se tardano ce ne andiamo a dormire».

Le sorrise, e se Dominique non avesse provveduto da sola, Albus era sicuro che quella sottospecie di mamma chioccia in cui si trasformava James di tanto in tanto le avrebbe rimboccato le coperte.

Attraversato il corridoio, James prese Albus per la manica della camicia e lo trascinò giù per le scale, intimandogli di stare zitto. In soggiorno, Rose si era addormentata accucciata sul divano. Scorpius le si era seduto accanto, a una scrupolosa distanza: nel sonno, Rose scalciava come un Ippogrifo imbizzarrito.

Quando entrarono in cucina, James non gli rivolse nemmeno uno sguardo: piantò le braccia sul tavolo e puntò gli occhi sul piano in legno, serrando i pugni attorno al bordo.

«Nik non si trova più» sputò tra i denti, prima che Albus gli domandasse per l'ennesima volta cosa fosse successo. «È andato in bagno e da allora nessuno l'ha più visto. Teddy e papà lo stanno cercando ovunque – anche in posti in cui probabilmente Nik non è mai stato in vita sua – perché non sanno dove sbattere la testa. È come se si fosse volatilizzato». Si girò, iniziando a girare per la cucina, e portò l'indice tra le labbra e il pollice tremolante a sfiorare la barba poco curata sul mento. «D'altro canto, però, è impossibile andarsene dal Ministero senza essere notati» bofonchiò, la voce distorta dalle nocche che sfioravano la bocca semiaperta. «Eppure nessuno dice di averlo incrociato e, casualmente, è scomparso poco dopo che Weber ci dicesse ufficialmente che non eravamo imputabili e quindi non sotto la responsabilità del Ministero...»

«Avete avvisato Neville?»

James si arrestò, lasciando ricadere il braccio lungo il fianco. «Per dirgli cosa? Tuo figlio è scomparso?»

«Dubito voglia parlare del tempo!»

James lo ignorò. «Liz poteva essere considerata un caso a sé stante, ma ora che anche Nik...»

«Le persone non scompaiono così, da un giorno all'altro. Non in tempi come questo. Solo perché non hanno trovato il corpo, non significa che sia ancora...»

«Viva. Lo so. Ma Nik... Nik non è un topo da biblioteca, non è come Liz. È abituato ai Dissennatori, li respinge senza problemi».

«James...»

«No, Al, fammi finire il ragionamento».

«James...»

«Ti ho detto...»

«James». Teddy era sulla soglia della cucina, le mani coperte dai guanti stringevano la bacchetta graffiata, consumata dal tempo, dagli incantesimi e da James – quel solco sul manico, appena sotto l'intarsio a forma di spirale, era tutto merito suo e di una delle zuffe ai tempi di Hogwarts.

James non sentì nemmeno quel che disse Teddy: aveva già capito tutto dal modo in cui lo stava guardando.

«James, Nik non è scomparso».



 

 

 

 

 

 

   
 
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