III
CHAPTER THREE
To the right, to the left.
We will fight to the death.
To the Edge of the Earth.
It's a brave new world.
It's a brave new world.
____
A destra, a sinistra.
Combatteremo fino alla morte.
Fino al limite della Terra.
È un nuovo mondo coraggioso.
È un nuovo mondo coraggioso.
[...]Adam
Miller, sessant'anni, membro del Wizengamot,
scomparso tre giorni or sono. La sua fotografia è la numero 4. Chiunque avesse
sue notizie può rivolgersi alla Divisione Auror.
Annunci della Gazzetta del Profeta, sezione:
persone scomparse.
*
La luce del sole filtrava
attraverso le persiane abbassate.
L'odore di pelle e legno
era pungente, fastidioso quasi quanto il continuo picchiettare dell'anello di
Weber sulla scrivania. La pietra incastonata nella montatura d'oro rifletteva
dei triangoli colorati sul soffitto, che vibravano al minimo spostamento del
gioiello. Per comprare un anello del genere a Ginny,
Harry avrebbe dovuto risparmiare per anni, se non di più; forse non ci sarebbe
mai neanche riuscito, visto che aveva lasciato il suo lavoro come Auror per dedicarsi solo ai ragazzi e alle ronde.
Metti a
rischio la vita dei tuoi figli, dei tuoi nipoti. Sangue del tuo sangue.
Gli pareva quasi di
sentirla, sua moglie, mentre gli sputava contro accuse su accuse. Non voleva
nemmeno immaginare cosa gli avrebbe fatto se fosse capitato qualcosa ai suoi
ragazzi.
Già, i suoi ragazzi,
non più i loro. Ormai erano figli solo di Ginny:
Harry aveva rinunciato a rivestire la figura di padre anni addietro. Non puoi
essere genitore e capo senza scrupoli al tempo stesso, non se uno dei tuoi
figli scende ogni notte in campo e l'altro scandaglia libri dichiarati illegali
dal Ministro. Mentre la bambina... La bambina doveva rimanere nascosta, al
sicuro.
«Non trova buffo che noi
due non ci siamo mai incontrati di persona?» Weber intrecciò lentamente le
dita, congiungendo i palmi. «Sono contento che si sia presentata finalmente
l'occasione».
Harry si sporse sulla
scrivania. «Dov'è mio figlio?»
Aveva qualcosa di
magnetico, Weber. Forse erano i capelli spettinati, gli occhi castani, caldi,
che sembravano avvolgerti, o la voce pastosa: era così ammaliante da esser
asceso alla carica più alta del Mondo Magico in qualche anno.
«Già, giusto» borbottò il
Ministro. «Beh, che dire? Ogni famiglia ha la sua pecora nera. Ai miei tempi si
usava uscire di nascosto per andare ad incantare le scope dei vicini, di questi
giorni invece deve andare di moda farsi trovare accanto a un morto».
«Ho chiesto dov'è mio
figlio» ripeté Harry, asciutto, digrignando i denti.
«Credevo avesse lavorato
per un po' tra gli Auror, dovrebbe saperlo dove si
trova».
Harry scattò in piedi e
batté i pugni sul tavolo. «È lampante che quell'uomo sia stato ucciso da un Dissennatore e non da un mago!»
Weber si rilassò sulla
poltrona, inarcando le sopracciglia. «Lo è, in effetti. Per questo suo figlio e
il suo figlioccio non sono finiti ad Azkaban».
Allungò il braccio, flettendo le dita verso la libreria a parete. Un sibilo
fendé l'aria, e qualche attimo dopo una bacchetta scura, nodosa, era tra le sue
mani. «Mi piacerebbe sentire la sua teoria, signor Potter: come mai, secondo
lei, i Dissennatori hanno iniziato a uccidere maghi
come se fossero carne da macello? Sono un tipo curioso, gliel'ho già detto? Morbosamente
curioso, oserei dire».
Harry sospirò. Aveva
passato notti insonne a pensare a quel piccolo e apparentemente insignificante
dettaglio: a chi interessava perché o percome? I Dissennatori
uccidevano, ora, punto e basta. Eppure c'era qualcosa che non
quadrava, un dannatissimo pezzo del puzzle che era stato incastrato in un posto
non suo.
«La Gazzetta sostiene che
sono semplicemente sfuggiti dalle mani del Ministero. Secondo la versione
ufficiale dell'accaduto, in passato i Dissennatori si
limitavano a portar via l'anima alle loro vittime perché il Ministero proibiva
loro di finirli» asserì cautamente, cercando di darsi un tono. «D'altra parte,
è singolare come questa informazione venga omessa in qualsiasi libro
sull'argomento».
«Come ben sa, i miei predecessori
ritenevano importante che la pericolosità dei Dissennatori
non venisse divulgata. Se tutti avessero scoperto fino a che punto si possono
spingere... Beh, avremmo dovuto senza dubbio trovare qualche altro metodo per
scongiurare eventuali evasioni o, peggio!, ribellioni. Uhm... maghi potenti, Mangiamorte, pazzi... Chi altri, se non i Dissennatori, si sarebbe mai avvicinato a loro? Lei
comprende senz'altro, Signor Potter. Tra l'altro, conosco bene l'articolo che
spiega l'accaduto: ho collaborato io stesso alla sua stesura». Increspò le
labbra in un sorriso lascivo. «Uhm, l'opinione della Gazzetta va presa
senz'altro per buona. Metterla in discussione sarebbe sconveniente, non trova?
D'altra parte, che motivo avrebbero quegli imparziali giornalisti di manipolare
la notizia?»
«Indubbiamente» sillabò
Harry. Falsa pista o suggerimento dettato dall'arroganza?
«Ma ora basta parlare di
queste sciocchezzuole. Vorrei sentire, ovviamente, come lei
giustifica la presenza di James Sirius Potter e Ted
Lupin in quella casa».
Harry arretrò di qualche
passo, le gambe improvvisamente molli. Girò la testa, per poter vedere oltre la
vetrata: James e Teddy erano seduti lì, scortati da
due Auror. «Sono due ragazzi fin troppo curiosi e
pericolosamente coraggiosi. Probabilmente hanno sentito delle urla o hanno
visto qualcosa di strano» rispose, senza distogliere gli occhi dalla sala
d'attesa.
Weber sospirò. «Lei è un
personaggio molto illustre: sarebbe sconveniente per entrambi – ha ancora
accaniti sostenitori, non creda – essere fiscali riguardo questa faccenda.
Andare a finire davanti al Wizengamot a combattere
una causa già persa in partenza non avrebbe senso, vero?»
Harry lo squadrò a lungo,
per riuscire a capire cosa stesse passando per la sua mente, quali fossero le
sue reali intenzioni – pensò anche di usare la Legilimanzia,
poi però escluse la possibilità a priori: solo un incosciente ci avrebbe
provato.
«Vero» convenne infine, con
voce strascicata.
Weber intrecciò le dita e
poggiò le mani sulle gambe accavallate, prendendo a fissare la sala d'aspetto
– a fissare James.
«Sa, questa storia ha anche
un risvolto alquanto buffo» disse dopo qualche momento, con un sorriso soltanto
accennato a deformargli le labbra. «Io non ho mai nominato i Dissennatori, o tanto meno detto che la vittima fosse un
uomo: eppure lei lo sapeva. Non lo trova buffo? Io sì, molto».
*
«Non mi serviva a niente la
tua sfilza di nozioni teoriche, Scorpius». Rose si
chinò a terra e fece scorrere la cerniera dello stivale lungo il polpaccio, per
poi calciarlo via scuotendo il piede. «Non so se l'hai capito, ma andiamo a Nocturn Alley per respingere le
creature magiche che incontriamo, non per scriverci su un trattato!»
«Oh, scusami se prima d'ora
non ci eravamo mai ritrovati davanti a qualcosa che non fosse un Dissennatore!» rimbrottò Scorpius,
laconico. «E con una Chimera – una Chimera! Nota ammazzamaghi! -
dubito sia utile un Patronus!»
Scorpius aveva
paura di Rose quando ostentava fino a che punto fosse incosciente. Lei era
troppo impulsiva per soffermarsi a riflettere sulle conseguenze di un'azione
avventata – non che ci fosse molto da prevedere: quando ci si ritrova davanti
un essere come quello anche uno stupido capisce come andrà a finire.
Scorpius era più
assennato.
Rose pensava fosse un
difetto, mentre lui non era ancora riuscito a capire in quale dose il buon
senso fosse una qualità: avere paura può salvare la vita così come può
fottertela, paralizzandoti. Quel tipo di paura Scorpius
la conosceva bene, perché ogni notte si vedeva disteso a terra, coperto da una
spolverata di brina come quel corpo che gli aveva fatto vedere Teddy. Senza anima, senza vita, gli aveva
detto. Quando mangiava pesante, poi, gli capitava di immaginare anche Rose
accanto a sé, il suo petto immobile, e i suoi capelli rossi ingrigiti, e la sua
pelle tanto pallida da farla sembrare una bambola di porcellana. Era così reale
da spaventarlo a morte. Bambola di porcellana. Oh, se fosse stata
una Legilimens quantomeno decente e avesse captato
l'appellativo “bambola” accostato al suo nome l'avrebbe senz'altro schiantato:
fortunatamente, tanto era impedita con la magia a livello teorico quanto aveva
una propensione naturale per quello pratico. Come fosse possibile, rimaneva un
mistero.
«Sopratutto se il tuo Patronus è un gatto dalla coda spelacchiata, giusto?»
Scorpius si
riscosse. «Tibbs non ha la coda spelacchiata: è fatto così!»
«Non posso credere che il
tuo Patronus abbia un nome. Anzi, rettifico: non
posso credere che il tuo Patronus si chiami Tibbs».
«È in onore di mister
Tibbs, il gatto di mia nonna! Quante volte te lo dovrò ripetere?»
«Fantastico, allora meno
male che non ho mai avuto un falco domestico: conoscendo Hugo l'avrebbe chiamato
Biscottino, Ciambellina o qualcosa del genere. E lungi da me chiamare il mio Patronus col nome di un dolce».
«Dimenticavo che Hugo è
assuefatto agli zuccheri. È paradossale: vado più d'accordo con lui che con
te».
«Avete la mia benedizione:
scappate in America e sposatevi».
Scorpius si passò
una mano tra i capelli, visibilmente preoccupato. «Rose, a proposito del
discorso di prima...»
«Attacca e difenditi, il
concetto è sempre quello» commentò lei, facendo spallucce. «E se non riuscissi
a difenderti? Sei seriamente convinta di poter Schiantare una Chimera?» sibilò
incredulo. Gli bastò però notare la smorfia in cui Rose costrinse il viso – la
fronte corrugata, le sopracciglia arcuate – per capire che, contro ogni
ragionevole obbiezione, sì, ne era assolutamente certa. «Era una
domanda retorica» precisò allora.
Rose dischiuse la porta
dello sgabuzzino quel che bastava per lanciarci dentro gli stivali. «Sono
convinta che rimanere a guardarla negli occhi non sia gran che utile»
bofonchiò, strascicando i piedi fino al soggiorno. «Sono una ragazza d'azione,
io».
«Le ragazze d'azione sono
pericolosamente sconsiderate».
«Allora meno male che ci
sei tu a tenermi a freno». Con un gesto teatrale si asciugò il sudore dalla
fronte. «Perché meno impulsivo di te, non conosco nessuno».
«Solo perché non voglio
farti correre rischi inutili...»
«Sei troppo ansioso. So
quello che faccio».
«Lo spero».
Rose gli rivolse
un'occhiata contrita, come se volesse valutare quella sua ultima frase. Lo
faceva spesso, di recente: ogni qualvolta gliela riservava, Scorpius
sapeva di aver detto qualcosa che l'aveva colpita. Se in senso buono o meno,
non ne aveva la più pallida idea.
«Ti va una tazza di... di
qualcosa, non so cosa sia avanzato» propose, con un tono meno sfacciato del
solito. Aveva la netta sensazione che Rose non avrebbe rifiutato: nessuno
considererebbe un appuntamento bere un bicchiere di un liquido non ben
specificato a casa propria.
«Solo se alcolico: il vino
elfico concilia il sonno».
«Conosco un altro paio di
modi per conciliare il sonno, se ti interessa».
«Quando i Draghi sputeranno
caramelle» sbuffò Rose, aprendo la porta del soggiorno.
Non appena varcarono la
soglia, capirono che qualcosa non andava. Non solo perché Teddy
non era stravaccato sulla poltrona, ad aspettare che tutti tornassero interi
dalle ronde, ma anche perché lì, stretti l'uno accanto all'altro, c'erano Albus, sua madre e Dominique.
«Sono tornati?» balbettò Ginny, saltando in piedi come una molla. «Avete notizie?»
«Noi siamo appena arrivati»
rispose subito Rose, affiancando sua zia. «Che cos'è successo?»
La preoccupazione negli
occhi di Ginny fu più chiara delle spiegazioni che
seguirono.
*
Ginny aveva
costretto Dominique ad andare a letto dopo il secondo caffè della nottata:
quella, aveva detto, era la massima quantità di caffeina che una quindicenne
poteva assumere senza che corresse il rischio di diventare schizzata o che le
si bloccasse la crescita – e Dominique era già abbastanza bassa di suo. Albus l'aveva accompagnata in camera ufficialmente per
assicurarsi che fosse seriamente intenzionata a mettersi sotto le lenzuola,
ufficiosamente, però, era rimasto con lei, seduto sull'orlo del materasso e con
una coperta sulle ginocchia, per poter tenere d'occhio il vialetto dalla
finestra.
James ritornò solo alle
sette del mattino, ed era inequivocabilmente solo.
Quando Al lo riconobbe, il
suo cuore perse un battito – uno, due, tre, ventiquattro: in quel momento non
era di certo il conteggio delle proprie pulsazioni ad interessargli –, i
muscoli si rilassarono e si concesse di accomodarsi in una posizione meno
fastidiosa. Fino ad allora aveva passato la nottata col gomito di Dominique
conficcato tra le costole, come se torturare il proprio costato potesse
distrarlo dal pensare che suo fratello, Teddy e Nik erano, con tutta probabilità, in una cella di Azkaban.
Mezz'ora dopo, il terribile
cigolio della porta della stanza di Dominique la svegliò.
«Jamie!»
Dominique rovinò giù dal letto nel tentativo di liberarsi dalle coperte che le
imprigionavano le gambe, e attraversò la stanza zoppicando per lanciarsi contro
James, facendolo arretrare di qualche passo.
«Merlino, Dom, crepare soffocato da una Puffola
Pigmea non è il massimo» ansimò James col fiato smorzato, allontanandola un
po'.
Dominique incrociò le
braccia sotto al petto, con un espressione corrucciata in viso; allora James le
scompigliò i capelli chiari, ed entrò nella stanza, accompagnando la porta
dietro di sé.
Albus aveva
sempre pensato che Dominique fosse una ragazza strana. Passava dall'essere
euforica alla depressione più nera nel giro di qualche minuto, dall'adorare il Quidditch al trovarlo il più stupido degli sport, dal
venerare letteralmente James al pensare che fosse un totale idiota – ah! Come
la capiva in quel momenti –, dal mettersi uno di quei suoi maglioni rosa
confetto al provare la giacca di pelle di Rose. Ginny
sosteneva che fosse colpa degli ormoni e gli consigliava di ringraziare il
cielo che Lily fosse in campagna con nonna Molly, perché altrimenti avrebbero
dovuto gestire ben due neo adolescenti. In ogni caso, Albus trovava il fatto comunque strano: non si ricordava
che Rose o Liz avessero mai sofferto di schizofrenia,
eppure anche loro avevano avuto quindici anni. Solo dopo un po' aveva
realizzato che Rose doveva essere stata troppo impegnata a schiantare quei
vecchi manichini di legno per poter pensare al fisico che cambiava, ai brufoli
e agli sbalzi di umore, e a Liz non era mai
interessato niente altro che non riguardasse lo studio. Dominique, invece, non
era inquadrata come loro: non sapeva chi voleva essere, né come lo sarebbe
diventata.
Per questo, ormoni o no,
rimaneva più instabile di Scorpius a cavallo di una
scopa.
Instabile e volubile, un
po' come Teddy – solo che lui era troppo cresciuto
perché questo si potesse attribuire all'adolescenza.
Teddy.
«Dove sono papà, Nik e Teddy?» chiese Albus, scivolando giù dal letto.
James s'irrigidì e sgranò
gli occhi, inclinando leggermente la testa verso Dominique, come a imporgli il
silenzio finché ci fosse stata lì la cugina.
«Stanno arrivando. Si sono
fermati al Ministero per sbrigare delle faccende burocratiche». Passò un
braccio attorno alle spalle di Dominique e la sospinse verso il letto. «Non c'è
niente di cui preoccuparsi, Dom. Dormi ora».
«Okay, certo, ma...»
«Noi li aspetteremo in
piedi ancora un paio di minuti, se tardano ce ne andiamo a dormire».
Le sorrise, e se Dominique
non avesse provveduto da sola, Albus era sicuro che
quella sottospecie di mamma chioccia in cui si trasformava
James di tanto in tanto le avrebbe rimboccato le coperte.
Attraversato il corridoio,
James prese Albus per la manica della camicia e lo
trascinò giù per le scale, intimandogli di stare zitto. In soggiorno, Rose si
era addormentata accucciata sul divano. Scorpius le
si era seduto accanto, a una scrupolosa distanza: nel sonno, Rose scalciava
come un Ippogrifo imbizzarrito.
Quando entrarono in cucina,
James non gli rivolse nemmeno uno sguardo: piantò le braccia sul tavolo e puntò
gli occhi sul piano in legno, serrando i pugni attorno al bordo.
«Nik
non si trova più» sputò tra i denti, prima che Albus
gli domandasse per l'ennesima volta cosa fosse successo. «È andato in bagno e
da allora nessuno l'ha più visto. Teddy e papà lo
stanno cercando ovunque – anche in posti in cui probabilmente Nik non è mai stato in vita sua – perché non sanno dove
sbattere la testa. È come se si fosse volatilizzato». Si girò, iniziando a
girare per la cucina, e portò l'indice tra le labbra e il pollice tremolante a
sfiorare la barba poco curata sul mento. «D'altro canto, però, è impossibile
andarsene dal Ministero senza essere notati» bofonchiò, la voce distorta dalle
nocche che sfioravano la bocca semiaperta. «Eppure nessuno dice di averlo
incrociato e, casualmente, è scomparso poco dopo che Weber ci dicesse
ufficialmente che non eravamo imputabili e quindi non sotto la responsabilità
del Ministero...»
«Avete avvisato Neville?»
James si arrestò, lasciando
ricadere il braccio lungo il fianco. «Per dirgli cosa? Tuo figlio è scomparso?»
«Dubito voglia parlare del
tempo!»
James lo ignorò. «Liz poteva essere considerata un caso a sé stante, ma ora
che anche Nik...»
«Le persone non scompaiono
così, da un giorno all'altro. Non in tempi come questo. Solo perché non hanno
trovato il corpo, non significa che sia ancora...»
«Viva. Lo so. Ma Nik... Nik non è un topo da
biblioteca, non è come Liz. È abituato ai Dissennatori, li respinge senza problemi».
«James...»
«No, Al, fammi finire il
ragionamento».
«James...»
«Ti ho detto...»
«James». Teddy era sulla soglia della cucina, le mani coperte dai
guanti stringevano la bacchetta graffiata, consumata dal tempo, dagli
incantesimi e da James – quel solco sul manico, appena sotto l'intarsio a forma
di spirale, era tutto merito suo e di una delle zuffe ai tempi di Hogwarts.
James non sentì nemmeno
quel che disse Teddy: aveva già capito tutto dal modo
in cui lo stava guardando.
«James, Nik non è scomparso».