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Autore: Dorothy257    31/08/2012    1 recensioni
[Dark Fall]
Uno strano messaggio.
Un'area abbandonata.
Un antico mistero.
Strane presenze di secoli passati.
E due ragazzi che capiranno che, anche se non c'è nessuno, non sono soli.
[Storia basata sull'omonimo videogioco, fatevi catturare dall'atmosfera misteriosa di Dark Fall e intraprendete questo viaggio con me, non ve ne pentirete.]
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 4, A waste land.
 
 


«Carino questo posto, un po’ inquietante ma carino», disse Ray guardandosi intorno.
«Si riuscisse a vedere qualcosa. È troppo buio qui. Ne vuoi una?», chiese Mia allungando una torcia all’amico dopo aver frugato nello zaino.
«Addirittura due?», deglutì rumorosamente Ray.
«Sorpreso? Cosa ti aspettavi? Pannelli solari e acqua calda? È un posto abbandonato da anni, sarà già tanto che ci sia l’acqua» scherzò lei.
«Di bene in meglio. Prova a chiamare Dan» suggerì il ragazzo.
Mia annuì e selezionò velocemente il contatto di suo fratello dalla rubrica del telefono.
«Non c’è campo» disse in preda allo sconforto. «Spero stia bene».
«Tranquilla Mia, lo troveremo. Ora cerchiamo qualcosa che possa illuminare un po’ di più questo tugurio».
I due si guardarono attorno, con occhi stretti in piccole fessure cercavano di scrutare nel buio, leggermente rischiarato dalla luce delle torce, un modo per attraversare i binari.
Si trovavano su una delle due banchine, sotto i loro piedi il legno marcio e mezzo mangiucchiato dagli insetti cigolava ad ogni minimo movimento. Davanti a loro un’altra banchina, in mezzo, a un metro di profondità si estendevano due binari di metallo arrugginito. Entrambi si inoltravano in due gallerie buie e scure come buchi neri: una a prima vista interminabile, l’altra corrispondeva alla lunghezza della costruzione che vi si ergeva sopra: l’Hotel della Stazione.
«Ok, abbiamo due possibilità, o attraversiamo i binari arrampicandoci sulla banchina o entriamo in quella porticina di ferro e passiamo per l’albergo».
«Io senza luci là dentro non ci entro» rispose categorico il più pauroso dei due.
«D’accordo» disse Mia e si avvicinò al limite del marciapiede. Con un balzo felino atterrò poco distante dalla prima lastra di metallo.
«E se passasse un treno?» chiese Ray improvvisamente preoccupato.
«Non ne circolano da anni, tranquillo. Passami un po’ di valige che ti aiuto a scendere».
Dopo vari “viaggi”, traslochi e movimenti più o meno agili i due ragazzi riuscirono a salire sulla banchina opposta. Nell’ultima traversata Mia notò qualcosa brillare nell’oscurità della galleria apparentemente senza uscita.
«Aspetta Ray, ho visto qualcosa qui dentro»
«Cosa?»
«Macchie bianche, voglio controllare».
Dirigendo il fascio di luce verso il suolo, Mia si inoltrò cautamente all’interno della vecchio tunnel in mattoni. Notò subito barili di ferro usurati negli anni e vagoni in legno abbandonati. Ma ad attirare la sua attenzione fu un pezzo di giornale dell’epoca, ingiallito dal tempo e strappato ai bordi.
«Ray guarda! Un ritaglio di un giornale del ’43. Parla della stazione!» disse appena raggiunse l’amico che l’aveva aspettata fuori da quella specie di trappola senza fine.
«“Sei persone scomparse in un albergo. La polizia è sconcertata dal caso delle sei persone scomparse a Dowerton. Nella dichiarazione rilasciata si dice che gli inquirenti sospettano che il proprietario, George Crabtree, sia implicato nel mistero. Il medico del paese, Alexander Robert, gli ha prescritto forti sedativi e sonniferi in questi mesi”. Sei persone scomparse? Questo tuo fratello non lo aveva precisato!»
«Sette persone scomparse, sono sette. Ascolta: “Ricercato il proprietario. Gli abitanti del luogo interpellati hanno detto che non si aspettavano che gli ospiti fossero in pericolo con il Sig. Crabtree, ma hanno ammesso che ultimamente si comportava in modo strano. Bertie Jones, il macellaio, ha detto che è sempre stato un po’ strambo. Si continuano le ricerche per quella che sembra essere la settima scomparsa”. Dobbiamo scoprire cosa c’è sotto».
«Dice altro?»
«No, è stato strappato prima della fine dell’articolo e sembra bruciato ai bordi».
Uno squillo di cellulare ruppe la tensione tra i due e riempì l’aria stagnante e surreale che li circondava.
«Pensi che sia Dan?» chiese speranzosa Mia alla ricerca del telefono nello zaino.
«Non avevi detto che non c’era campo?»
«Infatti, non c’è segnale, ma un numero sconosciuto mi sta chiamando»
«Non rispon…»
«Pronto?» chiese titubante Mia una volta portato l’apparecchio all’orecchio in modo tale che anche l’amico riuscisse a sentire.
Una voce limpida ed allegra da ragazzino rispose dall’altro capo, lasciandoli attoniti e a bocca aperta.
«Ehi! Siete di Londra, vero? Siamo venuti via da Londra, un paio di anni fa, nel ’41. Me lo hanno detto i dottori, l’aria era troppo cattiva per me e mio padre. Problemi di respirazione, eh sì. La stazione non è sempre stata così, un tempo era luminosa, frenetica e piena di gente. Credo l’abbiano chiusa, non ricordo il perché, non riesco mai a ricordare molte cose. Posso vedere anche gli altri quindi forse posso aiutarti. Penso che gli altri sperino che tu possa dargli una mano. Uno di loro ti conosce, è tuo fratello vero? È quello nuovo, appena arrivato. È un po’ confuso, anche io lo ero all’inizio ma poi ti abitui. A proposito mi chiamo Tim, Timothy Pike. Di solito vengo qui nella galleria, sui binari, o sul cavalcavia a giocare. Mi piace guardare i treni. Ma non ci sono treni, non più. Senti non dire a mio padre che sono qui, mi ammazzerebbe, non so se capisci… Comunque sia vi conviene accendere un po’ le luci o saranno guai per voi. C’è un capanno degli attrezzi da queste parti, credo che gli interruttori siano là. La luce sarà la vostra compagna in questo posto. Sapete, si nasconde nel buio. Più tardi capirete…»
I due amici si guardarono interrogativi e sconcertati con ancora il cellulare a mezz’aria. Non essendo totalmente convinta che la chiamata fosse terminata, Mia controllò velocemente il display ma la rete del suo telefono di ultimissima generazione non dava segni di vita.
Si guardarono di nuovo, indecisi se pronunciare ad alta voce quella domanda che li tormentava da qualche minuto. Un fruscio rapido ed improvviso quanto forte e spaventoso interruppe quella loro muta conversazione e li fece voltare, ancora in mezzo ai binari, verso la banchina dalla quale erano scesi.
«Ehy! Chi c’è lì?» domandò Mia rivolgendo il fascio di luce verso il legno scuro e facendolo vagare nei dintorni.
«Siamo armati, non ci fai paura!» disse con finto tono coraggioso l’altro.
«Ray ma che dici non siamo in un film, smettila di fare lo scemo pauroso», lo ammonì la ragazza riabbassando la torcia, «credo sia stato il vento o qualche animale selvatico, nulla di cui preoccuparsi».
«Sì certo fai tanto la ragazza spavalda ma poi quando piangerai dal terrore non venire da me a farti consolare!», e concluse, «comunque vento o non vento hai sentito che ha detto quel ragazzino, meglio accendere qualche lampada ad olio in questo posto uscito dalla preistoria o sarà peggio per noi».
Con un sospiro di sconforto raggiunsero le loro numerose valigie. Decisero di non proseguire per la banchina, a detta di Ray troppo buia e di poco interesse dal momento che aveva solo porte che conducevano all’interno della stazione e lui si rifiutava categoricamente di entrarci senza aver prima acceso le luci. Optarono quindi per svoltare a destra e seguire l’indicazione “Toilets” che avrebbe portato, in ogni caso, in un luogo di immediato utilizzo. Appena svoltato l’angolo si trovarono davanti un piccolo slargo rettangolare. Sul muro in mattoni a sinistra vi erano due porte in legno: una per il bagno degli uomini, l’altra per quello delle donne. Davanti a loro utensili di vario genere e datazione storica erano ammassati contro un’alta staccionata che delimitava la proprietà della stazione. Leggermente a sinistra un casottino in mattoni e lamiere di metallo chiaro risaltava nell’oscurità e riportava sulla propria porta la scritta “Capanno degli attrezzi” e il simbolo giallo dell’alta tensione.
«Bingo! Direi proprio che l’abbiamo trovato!» esultò la ragazza e si diresse spedita ad aprirne la porta cigolante.
«Em, Mia io credo che ti aspetterò qui a controllare che non arrivi nessuno, ok?».
«Come vuoi», rispose la ragazza mentre stava per addentrarsi nel buio del capanno. Ray si guardò attorno fischiettando nervoso e senza pensarci un secondo in più si precipitò all’interno dello stesso blaterando frasi sconnesse su quando fosse meglio rimanere assieme.
«Ok, ok ma potevi anche evitare di chiudere la porta! Già con sta puzza si respira poco, se poi finisce anche l’aria!» si lamentò la ragazza.
«Guarda che io non ho chiuso proprio niente!»
«Come no, lo dici solo per spaventarmi e farmi credere che si sia chiusa da sola».
«Lo giuro non sono stato io! AHHH AIUTO qualcosa di viscido mi ha toccato la guancia! Ti prego usciamo in fretta!»
«Stai tranquillo è solo la cordicella della lampadina», sentenziò illuminando il filo pieno di polvere e muschio che penzolava dal basso soffitto appena poco distante dal volto di Ray, «adesso tiriamo la corda e BAM luce fu! Meglio, non trovi?» ridacchio guardandosi intorno e spegnendo la torcia.
«Sembrava più spazioso visto da fuori, i muri devono essere molto spessi. Ah ecco, questo dovrebbe essere il quadro elettrico generale». Si riferiva a due piccole ante in legno mezzo ammuffito, le aprì scoprendo due manopole. Il ragazzo le sollevò e spostandole verso il basso fece accendere cinque spie verdi posizionate poco distanti dall’anta di destra.
«Bene, ora dovrebbero essersi accese le luci in tutta la stazione, hotel compreso. Andiamo a verificare?» Mia annuì sorpresa all’improvvisa intraprendenza dell’amico, probabilmente l’aver risolto il problema delle luci gli aveva infuso coraggio.
 
«Bello schifo!»  
«In effetti tutti i torti non li hai Ray».
E non li aveva davvero, la stazione era sì più illuminata ma il suo aspetto non era migliorato, anzi il decadimento, la sporcizia e la bruttezza della costruzione erano ancora più evidenti. Il marciume e la ruggine ne facevano da padrone; la facciata dell’Hotel della Stazione si ergeva per tre piani ed era bucata da numerose finestre, alcune delle quali rotte e altre non illuminate, la struttura era in mattoni rosso scuro ma dava l’idea di crollare da un momento all’altro. La banchina sulla quale si trovavano Mia e Ray aveva un porticato in tenda che in passato doveva essere stata di colore bianco e ad illuminare lo stretto pavimento quattro lampioni, uno dei quali si accendeva e spegneva in continuazione dando al tutto un’aria ancora più surreale.
«Beh almeno ci sono le stelle! Prima non me ne ero accorto!» e una risata smorzò l’atmosfera cupa attorno a loro. Ma ben presto tornò a fare capolino quella domanda che si erano posti silenziosamente qualche decina di minuti prima.
«Mia secondo te è stato solamente uno scherzo telefonico quello di poco fa?»
La ragazza sospirò e guardando l’insolito cielo stellato con occhi lucidi rispose all’amico: «Non lo so, davvero. Ma ho paura di no».
 
 
To be continued…

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Ebbene sì, dopo ben quasi sette mesi torno ad aggiornare Dark Fall. Chiedo scusa ma tra scuola, maturità e relax estivo non ho avuto tempo/voglia/ispirazione per scrivere. Avendo comunque quasi mezzo capitolo pronto da un mesetto oggi mi sono auto-imposta di finirlo ed eccolo qui! :D 
Spero che non vi siate dimenticati della mia storia e chi lo sà, magari si aggiungerà qualche nuovo lettore! :) 
Grazie a chi legge e chi recensisce!
A presto! Dorothy.-
  
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